Un concetto chiave per comprendere il funzionamento degli asset sicuri è la liquidità, che si distingue chiaramente dalla nozione di "premio di illiquidità", un tema trattato nel capitolo precedente. Durante la crisi finanziaria, una delle principali preoccupazioni per le politiche monetarie, in particolare negli Stati Uniti, è stata quella di affrontare le carenze di liquidità. La liquidità, infatti, è essenziale non solo per il buon funzionamento dei mercati, ma anche per garantire la stabilità dell'economia. Se si dovesse stilare una classifica dei paesi in base all'utilità del loro debito per facilitare le transazioni, gli Stati Uniti sarebbero al primo posto, seguiti dalla Norvegia e dal Brasile, anche se quest'ordine potrebbe variare a seconda delle circostanze specifiche.
Un altro aspetto legato agli asset sicuri è la loro funzione di "numeraire", ovvero di unità di misura del valore. Sebbene ci piaccia pensare che i valori siano indipendenti dall'unità di misura, in realtà la scelta di un numeraire può influire sul valore percepito di un asset. La Norvegia, ad esempio, può esprimere il ritorno del suo debito in valuta locale, in dollari statunitensi o in un paniere di valute. Ogni opzione comporta delle differenze in termini di volatilità e di rischio percepito dal pubblico.
Le variabili macroeconomiche, come la crescita economica e l'inflazione, influiscono profondamente sui tassi d'interesse e quindi sui prezzi degli asset sicuri. Una maggiore crescita economica rende un paese più propenso a rispettare i propri impegni, mentre l'inflazione influisce sulla valutazione degli asset in modo diverso, favorendo gli investimenti in periodi di alta inflazione, ma penalizzando gli asset sicuri. Negli Stati Uniti, ad esempio, l'inflazione più bassa rispetto a paesi come il Brasile tende a favorire gli investitori in asset sicuri, mentre i tassi di interesse più elevati nei paesi con alta inflazione possono attrarre investimenti più rischiosi.
Il "privilegio esorbitante", una frase coniata da Valéry Giscard D'Estaing nel 1960 per descrivere il ruolo del dollaro statunitense come valuta di riserva mondiale, rimane uno degli aspetti centrali della politica economica globale. Il dollaro continua a essere l'asset di riserva principale nel mondo, con la Norvegia e, a distanza, il Brasile, che occupano posizioni secondarie. La domanda di asset sicuri, in particolare di titoli di stato statunitensi, è aumentata costantemente negli ultimi decenni. Tuttavia, la capacità degli Stati Uniti di soddisfare tale domanda è limitata dalla salute del bilancio federale e dalla riduzione della loro quota nell'economia globale.
Un altro fattore da considerare è il rischio di "trilemma" nella politica monetaria globale. La capacità di emettere valuta di riserva comporta vantaggi enormi per gli Stati Uniti, ma le crisi economiche o politiche potrebbero limitare la capacità di mantenere l'approvvigionamento di asset sicuri a livello globale, come dimostrato dalla recente esperienza.
Infine, la gestione degli asset sicuri, come i titoli di stato, è un'attività complessa che implica il bilanciamento di diversi fattori, tra cui la crescita economica, l'inflazione, il debito pubblico e la domanda di riserve. Negli ultimi anni, l'approccio basato sul peso del PIL ha dimostrato di avere una performance superiore rispetto ad altri metodi di ponderazione, ma questo approccio non è privo di problemi, in quanto non cattura tutte le variabili rilevanti per la gestione del rischio e della sicurezza dell'investimento. L'adozione di strategie basate sul PIL, sebbene abbia migliorato i rendimenti, solleva interrogativi sulla sua effettiva capacità di risolvere i problemi economici globali.
È cruciale, quindi, comprendere che la valutazione e la gestione degli asset sicuri non si limitano alla semplice analisi dei rendimenti, ma richiedono anche una comprensione profonda delle dinamiche macroeconomiche e delle politiche monetarie internazionali. La diversificazione, la scelta accurata dei numeraire e la consapevolezza delle limitazioni dei modelli basati sul PIL sono fattori chiave che determinano il successo o l'insuccesso di un portafoglio di asset sicuri.
Come la Ciclicità della Vita Influenza la Allocazione degli Asset e la Pianificazione Finanziaria
L’approccio tradizionale alla pianificazione finanziaria suggerisce di ridurre gradualmente la proporzione di azioni nel portafoglio man mano che ci si avvicina alla pensione. Questo principio, noto come la “regola 100 meno l’età,” raccomanda di investire una percentuale di azioni pari alla differenza tra 100 e la propria età, con l’idea che l’esposizione ai rischi di mercato debba diminuire con l’età. Sebbene questa regola sia ampiamente diffusa tra i pianificatori finanziari, la realtà dei mercati e delle scelte di investimento è molto più complessa e merita un’analisi più approfondita.
Un caso interessante, esaminato da Dimmock (2012), riguarda le università con un reddito non finanziario volatile, come tasse universitarie e donazioni. Queste tendono a preferire asset a basso rischio, come obbligazioni e titoli a reddito fisso, e a ridurre significativamente gli investimenti in asset alternativi. Tuttavia, non tutte le istituzioni seguono questa logica in modo uniforme; le università più selettive tendono a mantenere una certa esposizione a strumenti più rischiosi, dimostrando che la pianificazione degli investimenti dipende anche dal contesto specifico e dal grado di selettività.
L’analisi delle scelte finanziarie nel ciclo di vita rivela pattern comuni, come quelli esemplificati dai fondi di data target, come il Vanguard Target Retirement 2050 Fund. Questi fondi sono progettati per modificare l'allocazione degli asset man mano che l'investitore si avvicina alla pensione. All'inizio della carriera, quando l’età dell’investitore è ancora giovane, il portafoglio sarà composto per il 90% da azioni e per il 10% da obbligazioni, mentre a un anno dalla pensione la composizione diventa paritaria tra azioni e obbligazioni. Questo approccio, noto come "glide path," suggerisce che l’esposizione agli asset rischiosi dovrebbe diminuire in modo progressivo.
Tuttavia, l’idea che le azioni diventino meno rischiose nel lungo periodo è un concetto che merita attenzione. Alcuni, come Siegel (1994), sostengono che, nel lungo periodo, le azioni siano meno volatili, in quanto si presume che i rendimenti azionari tendano a mediare nel tempo. Tuttavia, l’evidenza empirica su questa affermazione è più complessa di quanto sembri. Gli studi mostrano che la variabilità dei rendimenti azionari non si riduce in modo significativo nel lungo periodo. In effetti, i rendimenti delle azioni non sono necessariamente prevedibili, e la loro rischio tende ad aumentare con l’orizzonte temporale, a causa dell’incertezza riguardo ai rendimenti futuri e ai parametri econometrici.
Ad esempio, la ricerca di Pástor e Stambaugh (2012) suggerisce che, sebbene esista una debole inversione della media nei rendimenti azionari, l'incertezza riguardo alle aspettative future dei rendimenti e ai modelli di stima statistica porta ad un aumento del rischio per chi investe a lungo termine. In altre parole, l’investitore che adotta la regola "100 meno l’età" potrebbe essere esposto a rischi superiori rispetto a quanto suggerito dalla teoria. Questo è particolarmente evidente quando si considera la protezione contro le performance negative delle azioni, come illustrato da Zvi Bodie (1995), che ha calcolato il costo di assicurazione contro il sottoperformance delle azioni rispetto alle obbligazioni. I suoi risultati mostrano che, a lungo termine, la protezione contro le perdite sulle azioni diventa più costosa, contraddicendo l’idea che le azioni siano meno rischiose nel lungo periodo.
Un altro aspetto fondamentale da considerare riguarda la natura dinamica della gestione del portafoglio. Come affermato da Luis Viceira, professore di finanza alla Harvard Business School, è logicamente incoerente contare su una riduzione del rischio a lungo termine senza considerare la variabilità dei rendimenti che lo genera. Pertanto, la gestione degli asset deve tenere conto non solo dell’età dell’investitore, ma anche delle condizioni di mercato, dei cicli economici e della propria situazione finanziaria.
Infine, è essenziale comprendere che l’allocazione degli asset non dovrebbe essere un processo statico, ma dinamico, influenzato dalle circostanze individuali e dal contesto economico. L’approccio della "regola 100 meno l’età" può servire come guida generale, ma è necessario personalizzare la strategia di investimento in base alle specifiche necessità e obiettivi finanziari di ciascun individuo. Gli investitori devono essere preparati a rivedere periodicamente la loro allocazione, tenendo conto dei cambiamenti nei mercati e nelle loro condizioni personali.
Come dovremmo investire nel ciclo della vita?
La regola del “cento meno l’età” è un principio di investimento che suggerisce di ridurre la percentuale di azioni nel portafoglio man mano che ci si avvicina alla pensione, basandosi sull’idea che le persone più anziane dovrebbero adottare un approccio meno rischioso. Tuttavia, questa regola non è adatta a chi ha un reddito da lavoro fortemente correlato con le azioni. I modelli del ciclo di vita suggeriscono che individui con redditi da lavoro simili a quelli delle azioni dovrebbero aumentare il loro investimento in azioni con l’età, in quanto desiderano sostituire il capitale umano, che diminuisce con il tempo, con il suo equivalente finanziario. In effetti, questa è la strategia adottata dalla maggior parte delle famiglie. Tuttavia, la necessità di affrontare le spese sanitarie impone di accantonare risorse in asset privi di rischio, e questi investimenti sicuri dovrebbero crescere man mano che il rischio sanitario aumenta nel ciclo della vita.
Molti pianificatori finanziari e fondi a data target seguono ciecamente la regola del “cento meno l’età”, senza considerare che il reddito da lavoro di un individuo si muove insieme al mercato azionario. In altre parole, la scelta di mantenere un portafoglio di azioni o obbligazioni mentre ci si avvicina alla pensione dipende in modo cruciale dal tipo di reddito da lavoro che si percepisce: se è più simile a quello di un’azione o a quello di un’obbligazione. La decisione di come gestire il proprio portafoglio dovrebbe, quindi, basarsi su una valutazione accurata del proprio profilo di reddito, piuttosto che seguire regole generali.
Quando si parla di pensionamento, uno degli aspetti fondamentali è il tasso di sostituzione, ovvero la percentuale di reddito che una persona riuscirà a ottenere durante la pensione rispetto al reddito pre-pensionamento. Questo concetto è essenziale nella progettazione dei piani pensionistici. Un caso interessante si è verificato nel piano pensionistico del Rhode Island, dove, dopo aver studiato i dati, si è scoperto che molti lavoratori, come insegnanti e dipendenti pubblici, non partecipavano al programma della Social Security. In questi casi, l'assenza di un reddito di sostituzione minimo garantito aumenta notevolmente il rischio per i pensionati.
Secondo gli economisti, il tasso di sostituzione dovrebbe essere inferiore al 100% per la maggior parte delle persone. Ci sono diverse ragioni per questo. Ad esempio, i pensionati spesso godono di una tassazione più favorevole e, in alcuni casi, riducono le spese legate alla casa. Inoltre, una volta in pensione, non è più necessario risparmiare per la pensione, riducendo il fabbisogno di risparmio complessivo. Le istituzioni internazionali, come la Banca Mondiale, suggeriscono che il tasso di sostituzione ottimale dovrebbe essere tra il 75% e l'80%, mentre studi più specifici, come quelli condotti da Scholz e Seshadri, stimano un tasso di sostituzione ottimale del 75% per le coppie sposate e del 55% per i single. Tuttavia, la variabilità tra le persone è notevole, poiché fattori come il numero di figli a carico o il livello di reddito influenzano profondamente questi calcoli.
Alcuni individui preferiscono che il loro reddito non diminuisca mai, nemmeno in pensione. Questo è un pattern preferito da molte istituzioni e persino da alcuni paesi con fondi sovrani che non vogliono vedere una diminuzione del loro tenore di vita. La ricerca suggerisce che la maggior parte delle persone preferirebbe un reddito stabile o crescente durante la pensione. Le evidenze mostrano che molte famiglie in pensione sono costrette a ridurre il loro consumo non per scelta, ma a causa di una pianificazione finanziaria inadeguata o di un insufficiente flusso di entrate. Questo modello di comportamento può essere interpretato come una manifestazione di “rendimento decrescente” nella vita post-lavorativa.
I modelli del ciclo di vita possono anche essere utilizzati per calcolare i risparmi e gli investimenti ottimali da fare prima della pensione, utilizzando specifiche funzioni di utilità. Quando si considera la "formazione dell'abitudine" nell'utilità, gli investitori sentono con maggiore intensità il dolore derivante dall'incapacità di mantenere lo stesso stile di vita a cui sono abituati. Questo fenomeno è osservato anche a livello istituzionale, dove è difficile ridurre le spese oltre un certo livello, poiché tali livelli (o abitudini) tendono ad aumentare nel tempo.
In questo contesto, il concetto di “spesa a scatto” di Dybvig è rilevante. Questo modello, che si adatta a chi desidera mantenere stabile il proprio livello di consumo, suggerisce che una parte del portafoglio venga allocata in asset senza rischio, come garanzia contro eventuali riduzioni delle spese future. Quando il portafoglio a rischio ha raggiunto una crescita sufficiente, l’investitore può “scattare” verso un nuovo livello di consumo, trasferendo i fondi apprezzati in un portafoglio privo di rischio. Tuttavia, due ostacoli rilevanti impediscono l’applicazione di questo modello: prima di tutto, i tassi di interesse sono molto bassi (e in alcuni casi negativi), il che riduce la redditività degli investimenti sicuri; in secondo luogo, i rendimenti attesi sui titoli di stato sono esigui e potenzialmente negativi.
Quindi, partendo dalla questione del pensionamento e analizzando il problema a ritroso, i modelli del ciclo di vita ci dicono che l'unico vero asset privo di rischio per i pensionati non sono i T-bills, ma titoli reali come i TIPS, che sono legati all'inflazione e possono garantire un flusso di cassa costante in termini reali. Tuttavia, il prezzo di questi titoli è volatile e il finanziamento di questi bisogni pensionistici con bond reali espone l'investitore a rischi significativi legati all'andamento dei tassi reali.
Infine, uno degli aspetti più critici che emerge dalle analisi del ciclo di vita riguarda la domanda su quanto dovremmo risparmiare per una pensione comoda. Secondo gli studi di Skinner (2007), le cifre sono sorprendentemente alte: bisogna risparmiare molto più di quanto ci si possa immaginare per garantirsi una pensione che permetta di mantenere lo stesso tenore di vita pre-pensionamento.
Quali sono le caratteristiche principali degli adenomi pituitari e come influenzano il trattamento?
Come la Creatività e il Controllo Possono Portarti al Successo
Come la lingua può rivelare la natura umana attraverso l'uso delle parole
Come l’ottimizzazione in tempo reale migliora le operazioni delle macchine TBM: un approccio integrato per la costruzione di tunnel intelligenti
I nostri successi nell’anno scolastico 2013-2014
Struttura, logica e presentazione dei lavori di ricerca degli studenti
Elenco dei libri di testo utilizzati nel processo educativo Scuola secondaria n. 2 di Makarev
Compiti per la 10ª classe: storia, chimica ed ecologia — domande e problemi

Deutsch
Francais
Nederlands
Svenska
Norsk
Dansk
Suomi
Espanol
Italiano
Portugues
Magyar
Polski
Cestina
Русский