Donald Trump, al suo insediamento come presidente, ha preso immediatamente decisioni drastiche che hanno scosso le fondamenta della politica americana. Molte di queste azioni non erano frutto di un processo ponderato, ma erano piuttosto reazioni impulsive, destinate a essere implementate senza una revisione adeguata. Tra i temi principali della sua presidenza, vi erano le sue politiche sull'immigrazione e la sicurezza, che sono state tra le più controverse.
Una delle prime decisioni significative di Trump fu l’ordine esecutivo sul "blocco totale e completo" dei musulmani che cercavano di entrare negli Stati Uniti. Questo ordine non solo era un riflesso della retorica populista della sua campagna, ma, come molte altre misure presidenziali, venne formulato senza una chiara considerazione delle implicazioni legali e pratiche. I funzionari di carriera della Casa Bianca si trovarono a dover gestire una bozza di decreto incompleta e mal redatta che venne avviata con un’urgenza tale da non lasciare spazio ad alcuna revisione adeguata.
Il caos divenne evidente quando la Casa Bianca, spinta dalla determinazione di Stephen Bannon e di altre figure influenti, decise di firmare il decreto senza aspettare che il Dipartimento di Giustizia approvasse il documento. L'ordine esecutivo, che comprendeva un divieto di ingresso per rifugiati siriani, una sospensione di 120 giorni per tutti i rifugiati e un blocco di 90 giorni per i cittadini di sette nazioni a maggioranza musulmana, fu firmato con una velocità che rifletteva la mancanza di preparazione. Nessuno, nemmeno il Segretario della Difesa James Mattis, fu informato adeguatamente su cosa stesse per accadere. Mentre Trump stava firmando il decreto, i funzionari del Dipartimento di Giustizia cercavano disperatamente di apportare modifiche dell'ultimo minuto, ma la confusione regnava sovrana.
Il risultato fu che il decreto entrò in vigore immediatamente, senza alcuna preparazione. Le frontiere statunitensi divennero teatro di caos, con i viaggiatori che si trovavano improvvisamente bloccati, non sapendo se sarebbero stati respinti o arrestati. L'incompetenza nella gestione della politica di immigrazione divenne chiara, e le corti federali furono costrette ad intervenire, sospendendo temporaneamente il blocco.
Questa disorganizzazione fu il riflesso di una visione che, piuttosto che cercare il consenso e il dialogo, prediligeva un approccio unilaterale, spesso legato alla retorica della campagna elettorale. Tuttavia, la velocità con cui vennero prese queste decisioni sollevò anche preoccupazioni tra coloro che lavoravano all’interno della Casa Bianca. Il Segretario per la Sicurezza Nazionale, John Kelly, per esempio, si trovò a lottare con il personale della Casa Bianca che spesso prendeva decisioni senza consultarne nemmeno le autorità competenti. Il caso di Kris Kobach, nominato senza il consenso di Kelly per un ruolo di rilievo nel Dipartimento della Sicurezza Nazionale, divenne uno degli esempi di come l’amministrazione di Trump ignorasse le gerarchie e le competenze richieste per garantire una gestione funzionale.
Un altro elemento fondamentale da considerare in questa fase iniziale della presidenza Trump fu la continua tensione tra la Casa Bianca e i suoi stessi membri del governo. La lotta per il controllo delle nomine e delle decisioni amministrative divenne rapidamente evidente, con Kelly che minacciò più volte di dimettersi per la mancanza di rispetto delle procedure interne e per il comportamento imprevedibile del presidente.
Tutto ciò evidenziò la difficoltà dell'amministrazione nel raggiungere una visione coerente. La mancanza di una strategia chiara e l'approccio impulsivo alla politica estera e interna crearono instabilità e incertezza, non solo tra i funzionari ma anche tra gli alleati internazionali degli Stati Uniti. Le prime settimane del mandato di Trump furono segnate da uno scontro continuo tra le sue intenzioni politiche e la realtà pratica della governance, un contrasto che influenzerà il corso della sua amministrazione.
È importante notare che questo approccio disorganizzato non era semplicemente il risultato di un presidente inesperto, ma di una mentalità che prediligeva l'esecuzione rapida e il minimo coinvolgimento della burocrazia. Ciò portò a un errore strategico fondamentale: non riconoscere che la legge e le politiche richiedono tempo, esperienza e, soprattutto, la capacità di bilanciare gli interessi di diversi gruppi e istituzioni. La gestione approssimativa di tali decreti e la mancanza di coordinamento tra le agenzie governative hanno messo in evidenza un pericoloso deficit di preparazione per un governo che avrebbe dovuto essere in grado di prendere decisioni ponderate e ben informate.
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Qual è il ruolo dei messaggi e delle manovre politiche nel tentativo di ribaltare le elezioni del 2020?
Nel periodo successivo alle elezioni presidenziali del 2020 negli Stati Uniti, un intenso dibattito ha avuto luogo riguardo alla legittimità dei risultati e alle azioni intraprese da vari esponenti del Partito Repubblicano per contestarli. In questo contesto, i messaggi di testo e le comunicazioni tra membri di alto rango del governo Trump, tra cui Donald Trump Jr., Mark Meadows, e Virginia Thomas, moglie del giudice della Corte Suprema Clarence Thomas, sono diventati strumenti cruciali per comprendere i tentativi di modificare l'esito elettorale.
Il 5 novembre 2020, poco dopo che i media hanno dichiarato la vittoria di Joe Biden, Donald Trump Jr. ha inviato messaggi a Mark Meadows, suggerendo diverse strategie per ribaltare il risultato, incluse richieste di azioni legali immediate e una pressione sulle istituzioni per mettere in dubbio i voti. Questi messaggi sono solo uno dei numerosi esempi di come l'elite politica dell'epoca, supportata da alleati influenti, abbia cercato di modificare i risultati elettorali attraverso tattiche politiche controverse.
Queste comunicazioni, che sono emerse in seguito a indagini parlamentari e giornalistiche, rivelano un quadro di determinazione da parte di diversi protagonisti politici di agire per annullare i voti o per esporre irregolarità presunte, anche quando prove concrete di frodi non sono mai state presentate. Un esempio emblematico di queste manovre è la figura di Sidney Powell, avvocato che ha alimentato teorie complottiste e che è stata successivamente disavowata dal team di Trump.
A livello legale e istituzionale, questi eventi hanno sollevato numerosi interrogativi sul ruolo delle corti, degli avvocati e delle agenzie federali, in particolare sul come la pressione politica potesse influenzare le decisioni giudiziarie e le azioni delle autorità. Nonostante le indagini abbiano dimostrato l'assenza di frodi elettorali su larga scala, le azioni intraprese da membri del governo e delle sue cerchie più vicine hanno evidenziato le difficoltà nel garantire la trasparenza e l'integrità del processo elettorale.
Una delle caratteristiche più preoccupanti di questa fase è stata la risposta che tali azioni hanno suscitato all'interno del Partito Repubblicano. Se da un lato molti hanno sostenuto la lotta di Trump per difendere il risultato, dall'altro alcuni esponenti di spicco, come il senatore Mitch McConnell, hanno cercato di contenere le manovre più estremiste, sottolineando l'importanza di rispettare i risultati ufficiali. La divisione interna ha messo in evidenza la tensione tra la fedeltà a Trump e il rispetto delle istituzioni democratiche.
Il 2020, quindi, non è stato solo un anno di elezioni, ma anche un anno di sfide al sistema democratico e alle sue pratiche consolidate. Le azioni di Trump e dei suoi alleati, supportate da un'eco di disinformazione, hanno cercato di scardinare un processo che, seppur imperfetto, ha garantito la regolarità del passaggio di potere. Le implicazioni di tali manovre non riguardano solo gli Stati Uniti, ma pongono interrogativi sulla stabilità della democrazia in contesti globali.
Oltre a comprendere i dettagli specifici dei messaggi e delle strategie di ribaltamento, è essenziale riflettere su come queste azioni abbiano influito sulla percezione della democrazia da parte dei cittadini. Il fatto che milioni di americani abbiano creduto in teorie infondate e abbiano sostenuto un tentativo di sovvertire l'esito elettorale evidenzia un pericolo crescente per la fiducia nelle istituzioni democratiche. La polarizzazione crescente, amplificata dai social media, ha creato un terreno fertile per la disinformazione, che continua a minare la coesione sociale e politica.
In definitiva, la lezione che emerge da questo periodo non riguarda solo le manovre politiche interne agli Stati Uniti, ma offre uno spunto per riflettere su come la politica, i media e le istituzioni possono preservare l'integrità del processo elettorale di fronte a sfide sempre più complesse. La storia di queste elezioni ci insegna che, in un mondo globalizzato e digitalizzato, la difesa della verità e della giustizia richiede un impegno collettivo costante.
Come la politica e l'opinione pubblica si intrecciano attraverso le figure di potere e le istituzioni negli Stati Uniti
La politica statunitense, un campo complesso e dinamico, si è evoluta negli ultimi decenni sotto l'influenza di numerosi fattori: movimenti sociali, decisioni politiche e personaggi che hanno segnato il corso della storia contemporanea. Una delle caratteristiche fondamentali di questo sistema è la centralità delle figure di potere, che, attraverso le loro azioni e dichiarazioni, modellano la percezione della politica sia a livello nazionale che internazionale.
Il movimento Black Lives Matter (BLM) è un esempio emblematico di come l'attivismo sociale possa influenzare la politica e cambiare il dibattito pubblico. La sua nascita, in risposta agli episodi di brutalità della polizia verso gli afroamericani, ha avuto un impatto notevole sulla politica degli Stati Uniti. Non solo ha sollevato la questione della giustizia razziale, ma ha anche portato a un riesame delle politiche di sicurezza pubblica, in particolare nei confronti delle forze dell'ordine. Il movimento ha visto momenti di grande tensione e confronto, come durante le manifestazioni più ampie o gli scontri che si sono verificati in diverse città, tra cui Charlottesville, Virginia, dove la presenza di gruppi estremisti ha alimentato ulteriori conflitti e divisioni.
Contemporaneamente, la politica statunitense è stata definita dalla figura di Donald Trump, la cui ascesa al potere ha segnato un cambiamento radicale nella gestione delle questioni interne ed esterne. Le sue politiche, spesso controverse, hanno portato il paese a un periodo di isolamento internazionale, ma anche a una polarizzazione senza precedenti tra le diverse fazioni politiche interne. Le sue dichiarazioni, come quelle sui "virus cinesi" durante la pandemia di COVID-19, hanno sollevato discussioni su come le parole dei leader politici possano alimentare pregiudizi e contribuire alla divisione sociale.
Il contrasto tra i gruppi politici è evidente anche attraverso le figure come Hillary Clinton, Barack Obama e i loro oppositori, tra cui la famiglia Bush. I Clinton, in particolare, rappresentano una dinastia politica che ha attraversato vari decenni, con Bill Clinton che ha lasciato il segno come presidente, mentre Hillary ha cercato di seguire le sue orme, arrivando a essere la candidata democratica alle elezioni del 2016, scontrandosi poi con Trump in una delle elezioni più divisive della storia recente. Questo confronto tra leadership e ideologie ha delineato un quadro di forte competizione, in cui la lotta per la supremazia politica si gioca non solo sul piano delle politiche economiche o sociali, ma anche sulla battaglia per la narrativa pubblica e il consenso popolare.
Un altro aspetto cruciale nella politica americana è la questione delle disuguaglianze razziali e sociali, che è sempre stata una delle principali sfide del paese. Il tema delle minoranze, in particolare degli afroamericani, è stato al centro di numerosi dibattiti, come nel caso del trattamento delle persone di colore da parte delle forze dell'ordine. La storia del razzismo istituzionale negli Stati Uniti è lunga e complessa, ma eventi come l'omicidio di George Floyd e la conseguente ondata di proteste hanno riportato questa problematica al centro dell'attenzione mondiale, costringendo i leader politici a confrontarsi con la realtà di un sistema che non sempre garantisce uguali diritti a tutti i cittadini.
La relazione tra politica e media è altrettanto fondamentale. Organizzazioni come CNN, Fox News, e Breitbart News hanno svolto un ruolo cruciale nel plasmare l'opinione pubblica, dando spazio a diverse narrazioni e posizioni politiche. Le campagne elettorali, ad esempio, sono ormai inseparabili dai media, che non solo informano, ma spesso influenzano la percezione dei candidati e delle loro politiche. La visibilità mediatica è ormai una delle leve più potenti nella strategia politica, con ogni dichiarazione e azione che viene attentamente monitorata e interpretata.
La presenza di figure come il vicepresidente Mike Pence o il consigliere John Bolton ha messo in evidenza il gioco di potere all'interno dell'amministrazione, in cui le alleanze e le rivalità tra le diverse correnti politiche definiscono la direzione del paese. Allo stesso modo, i personaggi come Rudy Giuliani, una volta celebre come sindaco di New York, sono stati cruciali in momenti di crisi, come nel caso delle indagini relative al presunto coinvolgimento della famiglia Biden con l'Ucraina, portando a sviluppi che hanno avuto forti ripercussioni sulla scena politica e sulle dinamiche internazionali.
In definitiva, la politica americana è un crogiolo di conflitti, alleanze, e ideologie che si riflettono nelle azioni e nelle decisioni prese dalle figure di potere, dalle istituzioni e dalla società. Le elezioni, le proteste, le guerre culturali, e le dinamiche internazionali si intrecciano in un sistema che è sempre in movimento, alimentato dalla lotta per il controllo dell'opinione pubblica e delle leve politiche.
Per comprendere appieno la politica degli Stati Uniti, è essenziale non solo analizzare gli eventi, ma anche considerare le implicazioni a lungo termine delle scelte politiche e come esse influenzano la società. Le tensioni tra i diversi gruppi sociali, l'evoluzione della tecnologia e dei media, e la crescente polarizzazione politica sono solo alcuni degli elementi che determineranno il futuro del paese. L'equilibrio tra i poteri, l'interpretazione della legge e le sfide globali, come il cambiamento climatico e le pandemie, continueranno a influenzare la politica degli Stati Uniti nei prossimi anni.
Le dinamiche di potere alla Casa Bianca: Tra Donald Trump, John Kelly e Jared Kushner
La Casa Bianca di Donald Trump era un luogo di costante tensione, dove le lotte di potere tra i membri dello staff e la famiglia del presidente erano all'ordine del giorno. Tra queste, il rapporto tra John Kelly, il capo di gabinetto, e Jared Kushner, genero e consigliere del presidente, emerge come uno dei più complessi e significativi. Kelly, con il suo approccio rigido e la sua esperienza militare, rappresentava un'idea di ordine e disciplina, ma la sua visione si scontrava con la flessibilità e l'approccio più politicamente strategico di Kushner.
Secondo Kushner, Kelly era un uomo che vedeva le cose in bianco e nero, incapace di cogliere le sfumature grigie che caratterizzavano la realtà politica di Trump. Mentre Kelly cercava di imporre un processo rigoroso, Kushner lo percepiva come un tentativo di influenzare ogni decisione, come se Kelly, con la sua esperienza da generale a quattro stelle, pensasse di sapere meglio di un presidente alle prime armi. Questa frizione si traduceva in un approccio strategico che cercava di "intrappolare" Trump in posizioni rigide, una tattica che Kushner considerava controproducente. Trump, infatti, accettava questo approccio inizialmente, ma alla lunga sembrava sempre più come una "bestia in gabbia" pronta a scappare.
Una delle principali preoccupazioni di Kushner e Ivanka Trump era che Kelly cercasse di escluderli dal processo decisionale, limitando la loro influenza. All'inizio, i due erano sempre presenti nelle riunioni e le loro opinioni erano considerate decisive, ma con il tempo le cose cambiarono. Kelly, da outsider, vedeva in questo comportamento una minaccia all'autorità e tentava di mantenere il controllo, escludendo i membri della famiglia Trump. Per Kushner, tuttavia, questa esclusione era una forma di umiliazione e lo faceva sentire marginalizzato.
Nonostante le difficoltà, Kushner cercò di mantenere una facciata di serenità, dichiarando a colleghi e amici che in realtà fosse sollevato dal fatto di avere meno responsabilità dirette, il che gli permetteva di concentrarsi su temi a lui più cari, come la pace in Medio Oriente. Ma la realtà era ben diversa: il suo rapporto con Kelly era segnato dalla tensione. Un episodio significativo avvenne durante una visita dell'ambasciatore britannico Kim Darroch alla Casa Bianca, quando la presenza di Kushner e Kelly nella stessa stanza creò un'atmosfera palpabile di gelo, come se la temperatura nella stanza fosse scesa di dieci gradi.
Kelly, pur non affrontando mai direttamente Ivanka, cercava di escluderla dalle decisioni politiche, criticando aspramente i suoi collaboratori. Ad esempio, in una discussione con Julie Radford, la capo di gabinetto di Ivanka, Kelly si infuriò per una telefonata tra Ivanka e suo padre senza il suo permesso, suscitando la risposta indignata di Radford: "Con tutto il rispetto, signore, suo padre l'ha chiamata". Kelly riteneva che fosse il suo compito gestire la famiglia Trump come parte integrante del governo, ma questo non faceva che alimentare le frizioni interne.
Nel frattempo, Trump si trovava diviso riguardo alla presenza di Jared e Ivanka alla Casa Bianca. Se da un lato il presidente amava Ivanka e dava a Jared incarichi di rilievo che non avrebbe mai affidato a estranei, dall'altro non nascondeva il suo disappunto per la loro presenza, ritenendo che stessero minando la sua autorità. Le voci interne riportano che Trump si lamentasse regolarmente con i suoi collaboratori, dicendo che sarebbe stato meglio se i figli fossero tornati a New York. Ma questa frustrazione non si limitava alla loro influenza politica: i problemi legati alla trasparenza finanziaria della coppia, alle loro dichiarazioni e alle loro operazioni economiche, divennero un peso per l'amministrazione.
Il disastroso reportage riguardante i documenti di divulgazione finanziaria di Jared e Ivanka, le multe e le modifiche continue, alimentò la percezione di un governo imbarazzato. Inoltre, le accuse di conflitto di interessi, come le approvazioni di marchi cinesi ottenute durante la visita di Xi Jinping a Mar-a-Lago o la trattativa per la vendita dell'edificio di Fifth Avenue da parte della famiglia Kushner, sollevavano interrogativi sulla trasparenza e sull'integrità della Casa Bianca. Il discredito aumentava mentre la stampa alimentava le voci sullo stile di vita eccessivo e la presunta mancanza di esperienza politica della coppia.
La frattura tra la famiglia Trump e il resto della Casa Bianca si accentuava man mano che la tensione aumentava. Alcuni vedevano Jared e Ivanka come figure equilibrate e in grado di calmare l'atmosfera caotica che regnava, ma molti altri li consideravano arroganti e autocelebrativi. Le loro azioni sembravano costantemente mirate a guadagnare visibilità e a presentarsi come i membri più razionali e competenti della famiglia, ma questa auto-percezione spesso li rendeva invisi a chi lavorava con loro. La distanza tra la realtà e l'autovalutazione della coppia sembrava crescere, alimentando ulteriormente il malcontento tra le file dello staff.
A tutto ciò si aggiungevano le imprevedibili e spesso divisive dichiarazioni di Trump, che continuava a scontrarsi con vari membri del suo governo, come Rex Tillerson, il segretario di stato, con cui la relazione si deteriorava rapidamente. La continua incertezza politica, le tensioni interne e le prese di posizione pubbliche incendiavano un clima già teso, mentre Kelly cercava di mantenere un minimo di controllo. Ma, come sempre accadeva con Trump, ogni giorno sembrava portare una nuova crisi, un nuovo conflitto che minava la già precaria stabilità della Casa Bianca.
La comprensione di queste dinamiche interne alla Casa Bianca è essenziale per chiunque voglia analizzare la politica dell’amministrazione Trump, non solo per la luce che getta sulle lotte di potere tra membri dello staff e della famiglia, ma anche per comprendere come queste frizioni abbiano influito sulla governance e sulle decisioni politiche cruciali, dalle politiche estere alle questioni interne come il trattamento delle minoranze e delle crisi internazionali. L'importanza di sapere come il rapporto tra Trump, Kelly e Kushner si sia evoluto è chiara: ogni relazione, ogni alleanza e ogni scontro ha avuto un impatto profondo su come gli Stati Uniti sono stati governati durante gli anni della presidenza di Donald Trump.
Come le politiche educative possono essere influenzate dalla politica e dall'interpretazione delle leggi
Il 2018 ha visto un episodio singolare che ha messo a nudo il conflitto tra autorità amministrative e le normative federali negli Stati Uniti. Betsy DeVos, Segretario all'Istruzione del governo Trump, ricevette una chiamata da Stephen Miller, consigliere della Casa Bianca. La richiesta di Miller era insolita e controversa: sospendere i fondi federali, previsti dal Titolo I, per le scuole che accoglievano studenti senza documenti d'immigrazione. Questi studenti, secondo le stime, erano circa 750.000, e frequentavano scuole dalla materna fino al dodicesimo anno di istruzione. La richiesta di Miller, purtroppo, non solo era in contrasto con le politiche già stabilite, ma violava anche una decisione storica della Corte Suprema.
Nel 1982, nella causa Plyler v. Doe, la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva stabilito che ogni bambino, indipendentemente dal suo stato di immigrazione, ha il diritto di accedere all'istruzione pubblica. Pertanto, la proposta di Miller di revocare i fondi per le scuole che accoglievano studenti non documentati era palesemente illegale. DeVos, pur disapprovando fermamente l'idea, rispose con cautela, dichiarando di voler esaminare la questione con il suo team legale prima di rispondere formalmente. Il Dipartimento dell'Istruzione, dunque, avrebbe rapidamente emesso un parere giuridico che confermava la legittimità della posizione opposta a quella sostenuta da Miller.
Nonostante la risposta di DeVos e la chiara illegittimità della proposta, Miller continuò a esercitare pressione sul Dipartimento dell'Istruzione. Chiese altre misure, come la revoca dei fondi federali Title IV per le università che offrivano tariffe universitarie inferiori per gli studenti non documentati, altra proposta destinata al fallimento. In un momento di crescente frustrazione, DeVos e il suo team cominciarono a chiedersi chi stesse realmente dando gli ordini: era davvero il presidente Donald Trump, o Stephen Miller stava esercitando il potere del presidente stesso?
Questo episodio non solo mette in evidenza la tensione interna alla Casa Bianca durante la presidenza Trump, ma solleva anche questioni fondamentali su come la politica educativa possa essere influenzata da decisioni politiche più ampie. Le leggi e le politiche che regolano l'accesso all'istruzione pubblica sono storicamente viste come un pilastro della democrazia e dei diritti civili, e qualsiasi tentativo di modificarle a fini politici può sollevare non solo dubbi legali, ma anche etici.
Parallelamente, un altro importante confronto politico che ha caratterizzato il periodo presidenziale di Trump è stato quello con Nancy Pelosi, leader democratica della Camera dei deputati. Durante il conflitto riguardante il finanziamento del muro di confine con il Messico, il governo federale degli Stati Uniti subì una paralisi totale, con il Congresso che rifiutò di approvare i fondi richiesti dal presidente. Trump sperava che la pressione della chiusura del governo forzasse i democratici a fare concessioni, ma Pelosi, esperta politica con decenni di esperienza, non cedette. La sua determinazione e la sua comprensione delle dinamiche politiche di Washington la resero una delle principali avversarie di Trump, che, nonostante la sua iniziale convinzione di poter collaborare con lei, si trovò a fare i conti con una figura che non si lasciava intimidire.
Questo episodio dimostra l'importanza della leadership politica nell'ambito delle decisioni governative e, in particolare, di come le donne politiche, come Pelosi, siano in grado di navigare le acque tempestose della politica americana, nonostante i tentativi di denigrazione o sottovalutazione da parte degli avversari. Trump, con la sua consueta strategia di adulazione e intimidazione, si trovò a scontrarsi con una figura che non si lasciava manipolare da tecniche di persuasione superficiali.
Il confronto tra DeVos e Miller, così come quello tra Trump e Pelosi, dimostra la complessità della politica statunitense, dove le decisioni amministrative possono essere influenzate da motivazioni politiche e dove la resistenza legale e politica può assumere forme sorprendenti e imprevedibili. La protezione dei diritti fondamentali, come l'accesso all'istruzione, può essere messa a rischio da pressioni politiche, ma è altrettanto vero che il sistema legale e la forte volontà dei leader politici possono impedire che ingiustizie si materializzino.
In contesti come questi, è fondamentale comprendere non solo le implicazioni immediate delle politiche proposte, ma anche le loro conseguenze a lungo termine sulla coesione sociale e sulla percezione dei diritti civili nel paese. La lotta per garantire l'accesso all'istruzione a tutti i bambini, indipendentemente dal loro status di immigrazione, è un aspetto cruciale per mantenere l'equità e l'inclusività in una nazione come gli Stati Uniti. A tal fine, gli interventi politici non dovrebbero mai compromettere i principi fondamentali di giustizia e uguaglianza.
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