Banaras, oggi conosciuta come Varanasi, è una città che vive di tradizioni secolari e di una vibrante vita culturale. Visitare i suoi ghats, il tempio di Vishwanath, l'osservatorio di Man Mandir o fare un giro in barca sul Gange erano esperienze che ci accompagnavano durante le visite guidate con gli ospiti, spesso nel tentativo di mostrare la spiritualità e la bellezza di questa città antica. Le vie strette e tortuose del centro città, sempre piene di vita e di attività commerciali, raccontano storie di un passato in cui la religione, la cultura e la quotidianità si intrecciavano in un unico grande flusso di energia.
Le esperienze religiose a Banaras erano fortemente influenzate dalla fede, ma anche dal modo in cui queste venivano vissute in famiglia. Mentre alcuni degli ospiti si immergevano nelle acque sacre del Gange, la nostra famiglia preferiva mantenere una posizione più distaccata nei confronti di certi rituali. Mio padre, sebbene fosse molto informato sulla religione indù, non credeva nei rituali tradizionali, e questo mi ha influenzato a sviluppare una visione simile. Le nostre visite ai templi, come il famoso tempio di Sankat Mochan, dedicato a Hanuman, erano spesso segnate da esperienze insolite: tra scimmie che rubavano i prasad e la curiosità dei visitatori, si mescolavano sempre elementi di folklore e di esperienze vissute da chi, come noi, era cresciuto in questa città.
In questi templi, specialmente al Sankat Mochan, non era raro che i giovani studenti della Banaras Hindu University, magari non troppo preparati per gli esami, sperassero in un aiuto divino da parte di Hanuman. Era un luogo dove si potevano recitare shlokas, ma anche semplicemente godere di un'aria più rilassata, circondati dal verde, lontano dal trambusto della città. La religiosità a Banaras non era solo un atto di devozione, ma anche un modo per connettersi con il passato, con i ricordi, e con una comunità che, pur nella diversità di approccio, trovava sempre spazio per l'interazione.
Oltre alla vita religiosa, la città offriva anche altre forme di svago. Il circo, che per noi bambini era un'occasione imperdibile, non mancava mai di affascinare con le sue esibizioni di animali addestrati, acrobati e altre meraviglie. In un'epoca senza televisione, questi spettacoli erano una finestra sul mondo, una forma di intrattenimento che scoprivamo con grande curiosità. Ogni visita al circo era un'esperienza magica, un'ulteriore occasione per essere sorpresi da ciò che il mondo aveva da offrire, lontano dalle nostre solite routine.
Un altro elemento della vita quotidiana a Banaras che ricordo con piacere erano le uscite per mangiare fuori. I ristoranti che servivano idli e dosa erano i nostri preferiti, ma la vera sorpresa era rappresentata dai ristoranti occidentali, dove andavamo raramente, come il Clark's Hotel o l'Hotel de Paris, quando mio padre ci portava in occasioni speciali. Lì, in un contesto diverso, si potevano gustare piatti che a Banaras erano considerati molto raffinati. Il fascino del cibo in città, tra prelibatezze locali e influenze esterne, rendeva ogni pasto una piccola avventura.
Non si può parlare di Banaras senza menzionare Sarnath, il luogo dove il Buddha predicò per la prima volta il suo insegnamento. Questo era un luogo che rappresentava il connubio tra spiritualità e natura. Le visite a Sarnath erano spesso organizzate in modo da includere una sosta in una dharmashala per pranzare e riposarsi. In quegli anni, Sarnath non era invasa da turisti come oggi, e il sito archeologico, con il suo grande stupa e i templi giapponesi e cinesi, offriva una pace che contrastava con la frenesia dei templi indù della città.
Un altro tipo di viaggio che amavamo fare era verso la stazione ferroviaria di Moghalsarai, da dove partiva il Bombay Mail. La mattina presto, in un’epoca in cui le automobili non erano comuni, il viaggio verso la stazione rappresentava per noi una vera e propria avventura. Lì, ci fermavamo a mangiare in un ristorante che serviva toast e omelette, un’ulteriore occasione per scoprire qualcosa di diverso dal solito.
Non mancavano tuttavia le difficoltà nei nostri viaggi. Ricordo con particolare vividezza un viaggio sfortunato verso le cascate di Tandya e il tempio di Vindhya-Vasini Devi, un viaggio di oltre cento miglia che si trasformò in una serie di inconvenienti, tra cui ben quattro forature di pneumatici, che si risolsero solo grazie all'intervento del conducente e del suo assistente. Questo episodio, sebbene traumatico, ha contribuito a plasmare il mio carattere e la mia visione della vita.
Banaras, con la sua storia, i suoi templi, i suoi mercati e i suoi paesaggi, è sempre stata una città che non solo racconta la spiritualità dell'India, ma anche il lato umano e quotidiano di una città che, pur restando saldamente ancorata alle tradizioni, ha sempre saputo adattarsi e accogliere le diversità.
La città, dunque, non è solo un luogo di culto e meditazione, ma anche una testimonianza di come le persone, anche in un contesto così carico di religiosità, riescano a trovare nelle piccole cose quotidiane – che siano le visite al circo, le gite a Sarnath o i pasti condivisi con la famiglia – una forma di connessione profonda con il passato e con la comunità. Banaras è, prima di tutto, un luogo dove il sacro e il profano si intrecciano, creando un’atmosfera unica che ha il potere di influenzare chiunque vi si trovi.
Come è nato l'IUCAA e le sue sfide amministrative: un cammino verso l'autonomia accademica
La creazione di un centro di ricerca accademico come l'IUCAA non è stata solo una questione di visione scientifica, ma anche di lunga e meticolosa navigazione tra i meandri burocratici e le formalità amministrative. La prima sfida fu ottenere l'approvazione dal Ministero per lo Sviluppo delle Risorse Umane (MHRD), necessaria per registrare ufficialmente il centro come una società. Per questo, era essenziale preparare un dettagliato progetto approvato dal University Grants Commission (UGC), che sarebbe stato poi inviato al MHRD insieme al Memorandum of Association (MOA) e alle Regole del futuro centro.
L'approvazione del progetto da parte dell'UGC arrivò nel luglio di quell'anno, spingendo il dossier nelle mani del MHRD. Qui, l'esperienza pregressa del Nuclear Science Centre (ora IUAC) indicava che un processo burocratico del genere avrebbe richiesto tempo. Ma l'IUCAA si trovò più fortunato sotto due aspetti. In primo luogo, seguiva i passaggi già tracciati dal NSC, il che significava che, grazie al precedente, l'approvazione sarebbe arrivata in tempi relativamente brevi. In secondo luogo, Anil Bordia, il segretario all'Istruzione che trattava il caso, era un amico di Yash Pal e nutriva un affetto particolare per mio padre, che aveva avuto una carriera di prestigio come Presidente della Commissione per i Servizi Pubblici del Rajasthan. Grazie a questi legami, alcuni ostacoli burocratici furono superati con sorprendente velocità.
In novembre, durante una delle riunioni, ricevetti la notizia che il Ministero aveva finalmente dato il via libera. Yash Pal, entusiasta, annunciò la buona notizia durante un incontro ufficiale. Nonostante avessi avuto il sentore che l’approvazione fosse imminente, la certezza della sua realizzazione portò grande sollievo. Il passo successivo fu fissare la data per la cerimonia di fondazione del centro. Decidemmo di programmare l'evento per il 29 dicembre. Tuttavia, Yash Pal mi avvertì che, a causa dei tempi per la registrazione ufficiale della società, la data potrebbe essere posticipata. La sua preoccupazione derivava dall’esperienza del NSC, che aveva affrontato ritardi con l'ufficio del registro di New Delhi. Confidavamo, tuttavia, che l’ufficio di Pune fosse meno ostico.
Quando ricevetti finalmente la comunicazione ufficiale dall'UGC che confermava l’approvazione da parte del Governo dell'India, tutto sembrava realizzarsi velocemente. Con Naresh, ci recammo all'ufficio del Registro delle Società a Pune, dove presentammo tutti i documenti necessari. La nostra apprensione fu dissolta immediatamente: l’ufficiale ci accolse calorosamente e ci assicurò che l’approvazione sarebbe arrivata entro due giorni. Questo rapido processo, in netta contrapposizione con l’esperienza di New Delhi, ci fece riflettere sulla differenza di approccio tra una città accademica come Pune e una città politica come la capitale indiana.
Il 29 dicembre, con il centro ufficialmente registrato, si svolsero le prime riunioni del Consiglio e del Comitato Direttivo. In quanto centro autonomo, il comitato esecutivo e il comitato direttivo precedente furono sciolti, rimpiazzati dal Consiglio e dal Comitato Direttivo come entità giuridiche nuove e indipendenti. Il presidente del UGC, Yash Pal, divenne anche presidente del nuovo Comitato Direttivo, portando la sua esperienza a garantire una gestione autonoma e distaccata da interferenze politiche.
Nonostante la giovane età del centro, questo sistema di gestione basato sull’autonomia si rivelò una delle sue forze principali. L’autonomia, infatti, non deve essere vista come un’opportunità di disconnessione o di isolamento, ma come un'opportunità di azione efficace, guidata dalla responsabilità. Spesso i capi delle istituzioni temono di esercitare il proprio potere, per paura di critiche o giudizi esterni, ma una gestione responsabile e trasparente elimina questi timori. Ad esempio, quando il segretario congiunto dell'UGC mi consigliò di inserire alcune clausole nei regolamenti per agevolare il funzionamento del centro, il suo suggerimento fu di non temere eventuali obiezioni da parte dei burocrati. Ascoltai il consiglio e il centro si giovò di queste disposizioni che ne semplificarono la gestione.
Dopo le riunioni, il comitato si trasferì al sito dove si sarebbe eretto il nuovo edificio. Lì, Yash Pal, insieme al vicecancelliere dell'Università di Pune, pose la prima pietra simbolica del centro. La data scelta, il 29 dicembre, venne vista da molti come significativa, anche se qualcuno si chiedeva se fosse stata una scelta casuale. Ma dietro ogni passo di questa creazione c'era una riflessione e una pianificazione ben precisa.
La creazione dell'IUCAA non fu solo una questione di approvazioni formali, ma anche di costruzione di relazioni e di un progetto che mirava a unire le accademie e la ricerca, a livello nazionale e internazionale. La visione era chiara: il centro doveva diventare il punto di riferimento per i ricercatori e accademici, creando un ecosistema favorevole alla crescita scientifica.
Il percorso che portò alla fondazione dell'IUCAA, pur segnato da difficoltà burocratiche e sfide politiche, dimostra come l'autonomia gestionale e la visione accademica possano combaciare, creando un’istituzione in grado di prosperare non solo dal punto di vista accademico, ma anche come punto di riferimento per il progresso scientifico.
Quali sono stati i principali ostacoli e successi durante la cerimonia di inaugurazione di IUCAA?
Nel luglio del 1992, quando il progetto Phase II di IUCAA stava per concludersi, pensavo che la cerimonia di dedicazione potesse svolgersi senza problemi, forse con un leggero ritardo, ma comunque secondo le previsioni. Tuttavia, la realtà si è rivelata molto più complessa. Gli imprevisti sono iniziati quasi subito. Il primo ostacolo emerse quando ci fu un disaccordo tra la CMC e l'IUCAA da una parte e il contraente della costruzione dall'altra. Questo causò una sospensione dei lavori per ben due settimane. Poco dopo, i lavori per la realizzazione del “Kund” (una struttura centrale) furono ostacolati dalla necessità di portare enormi lastre di granito tagliato da una cava in Karnataka. Il trasporto delle lastre fu problematica, con i camion che arrivavano in ritardo e, in un caso, una gru che collassò. Tali imprevisti causarono inevitabili ritardi.
Un episodio che rimase impresso nella memoria di molti fu il momento in cui, durante una delle ispezioni, trovai i lavoratori fermi, nonostante ci fosse una montagna di macerie che dovevano essere rimosse. In un impeto di frustrazione, presi una vassoio rotondo, lo riempii di macerie e iniziai a spostarle da solo. I lavoratori, vedendomi, si attivarono immediatamente e iniziarono a lavorare a loro volta. Questo episodio, immortalato dal caricaturista Gujjar, che era stato invitato per creare una caricatura di Chandra, ora è appeso fuori dall'ufficio del direttore come ricordo di quel momento.
I ritardi proseguirono, ma niente poteva prepararci agli eventi imprevisti che seguirono. Il 6 dicembre, la demolizione della Babri Masjid scosse l'intero paese, generando tensioni e violenze. A Mumbai, molti artigiani musulmani, che avevano preso parte ai lavori di piastrellatura, rifiutarono di lasciare le loro case per paura di attacchi. Il nostro timore era che questo potesse compromettere la realizzazione del progetto. Solo intorno a Natale, con pochi giorni a disposizione, gli artigiani si presentarono per completare il lavoro, promettendo di lavorare giorno e notte. Per fortuna, riuscirono a finire i lavori poco prima della cerimonia, ma la situazione rimase tesa fino all'ultimo momento.
Un altro imprevisto fu il modello in scala del campus di IUCAA, creato da un artista non udente. Quando Correa lo vide, esplose in un’ondata di frustrazione, notando numerosi difetti rispetto al progetto originale. Dopo un confronto, trovammo una soluzione: il modello venne spostato in un corridoio laterale, lontano dalla vista principale. Ma altre difficoltà continuarono a sorgere. Una sciopero aereo rischiò di impedire l'arrivo del Professor Ram Reddy, che doveva tenere l'indirizzo principale. Tuttavia, grazie all'incredibile determinazione di Lata Shankar, riuscimmo a farlo arrivare in tempo.
La mattina del 28 dicembre, tutto sembrava finalmente in ordine. La cerimonia si svolse senza intoppi, con 500 persone sedute intorno al Kund in una calda sera d'inverno. La dedicazione fu seguita da un evento che rimarrà nella storia: l'attivazione del pendolo di Foucault, un dispositivo che simboleggia la rotazione della Terra. L'idea di includerlo come parte del progetto venne da Mangala, che aveva visto modelli simili a Parigi e Washington. Questo pendolo divenne simbolo di IUCAA, poiché, come sottolineò Chandra nel suo discorso, rappresenta un concetto fondamentale dell'astronomia: è la Terra a ruotare attorno al proprio asse, non il cielo attorno a noi.
La dedizione fu un atto simbolico che culminò con la pressione di un bottone da parte di Chandra, che avviò il movimento del pendolo. A seguito di ciò, Chandra parlò della connessione tra le opere di Claude Monet e la relatività generale, facendo un'affascinante analogia tra le stagioni della pittura e le diverse applicazioni delle equazioni relativistiche a fenomeni cosmici complessi. Sebbene la maggior parte del pubblico non fosse in grado di seguire tutti i dettagli, l'idea centrale di un universo in movimento, costantemente e invisibilmente, fu ben compresa.
Nonostante la cerimonia fosse un successo, per me c'era una tristezza nascosta: mio padre non era più in vita. Avrei voluto condividere con lui questa realizzazione, questo traguardo tanto atteso, perché lui avrebbe sicuramente approvato e avrebbe provato un legittimo orgoglio per ciò che avevo raggiunto. Mi sarebbe piaciuto ricevere quel suo amichevole colpo sulla spalla, segno di approvazione.
La giornata di dedicazione segnò la fine della fase di costruzione di IUCAA, ma anche l'inizio di una nuova fase, quella della consolidazione delle sue attività. Con la costruzione completata, il vero lavoro stava per cominciare: la creazione di un ambiente che fosse davvero funzionale e pronto ad accogliere il mondo scientifico.
L'Esperienza al Campo di Keswick: Tra Cultura, Religione e Scoperta Personale
Nel corso del mio soggiorno a Londra, un incontro casuale con il maggiore Crittenden, membro del club Alliance, ha avuto un esito inaspettato: un invito a partecipare a un campo estivo a Keswick, nella regione dei laghi, organizzato dall'Inter Varsity Fellowship (IVF), un'organizzazione che si occupava di studenti universitari. Nonostante le spese di viaggio fossero a mio carico, la possibilità di esplorare questa splendida parte del nord-ovest dell'Inghilterra e di condividere l'esperienza con altri studenti mi spinse ad accettare l'invito. Chitre, il mio compagno di viaggio, non poté unirsi a me, ma la mia curiosità e l'emozione per l'opportunità prevalsero.
L'IVF, sebbene fosse un'opportunità di apprendimento, non mancava di un forte orientamento religioso. Inizialmente, l'atmosfera sembrava promettente, ma con il passare dei giorni mi resi conto che la finalità del campo era quella di attrarre i partecipanti alla religione cristiana, un aspetto che non avevo previsto. I pasti e le attività erano ben organizzati, ma ciò che mi colpì furono le frequenti e lunghe lezioni sulla salvezza cristiana e sull'esclusività della figura di Gesù Cristo per ottenere la salvezza. Per un indù come me, cresciuto in una tradizione che predicava la tolleranza religiosa e l'adozione di molteplici vie per il miglioramento dell'anima, la predicazione cristiana risultava difficile da accettare. Era una visione che non ammetteva sfumature e poneva limiti al mio spirito di apertura e comprensione.
Durante il mio soggiorno, conversai con altri studenti, tra cui un giovane bengalese, anch'egli indù, che esprimeva una grande preoccupazione per la pressione che sentiva di convertirsi al cristianesimo. La sua situazione mi fece riflettere ulteriormente sull'intolleranza che permeava l'approccio evangelico del campo. Le discussioni che nacquero da queste esperienze mi portarono a una maggiore comprensione della filosofia induista, che non solo accetta ma anche valorizza la diversità religiosa, mentre il cristianesimo mostrava, a mio avviso, un'intransigenza difficile da conciliare con la mia visione del mondo.
Tuttavia, nonostante questi momenti di riflessione e conflitto interiore, il campo estivo a Keswick non fu privo di piaceri. Durante la giornata, avevamo ampie pause libere, che ci permettevano di esplorare i paesaggi incantevoli della regione. Le gite organizzate, a piedi, in autobus e in barca, mi permisero di apprezzare la bellezza dei laghi e delle montagne. Il tempo, come spesso accade in Inghilterra, era imprevedibile, alternando pioggia e sole, ma ogni raggio di sole sembrava ancor più prezioso. In quei momenti, mi innamorai della regione dei laghi, un luogo che avrei visitato spesso nei miei anni successivi nel Regno Unito.
Oltre alla bellezza naturale, il campo mi offri un'opportunità unica di entrare in contatto con altre realtà culturali e religiose. Nonostante le differenze, mi resi conto di quanto l'esperienza mi stesse cambiando, spingendomi a riflettere sulla tolleranza e sul rispetto reciproco, temi che sono da sempre al centro della filosofia induista.
L'incontro con nuovi amici, come Dennis Webster, un giovane studente originario del Kenya che aspirava a entrare in seminario, mi permetteva di scoprire altri mondi e di comprendere le dinamiche delle religioni e delle culture in modo più profondo. Tuttavia, fu proprio la mia esperienza religiosa a rimanere al centro della mia riflessione. La tolleranza, che nel mio caso era un principio fondamentale, sembrava mancare in un contesto che privilegiava un unico punto di vista.
Alla fine del mio soggiorno, sentivo che la mia comprensione del mondo era cresciuta, ma allo stesso tempo mi rendevo conto che la vera crescita interiore non poteva venire da una religione che imponeva un'unica via, ma da un cammino di apertura e rispetto per le diversità. La bellezza del paesaggio inglese e la serenità che trovavo nei suoi laghi e nelle sue valli non facevano che accentuare il contrasto con le idee ristrette che avevo incontrato nel campo. Con il cuore più aperto, partii per un nuovo capitolo del mio viaggio, consapevole che ogni esperienza, anche quella più difficile, ha un valore immenso nel nostro percorso di crescita.
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