L'uso degli inibitori del fattore di necrosi tumorale (TNF) come infliximab e adalimumab ha rivoluzionato il trattamento di molte patologie infiammatorie croniche intestinali. Tuttavia, in alcuni casi rari, i pazienti possono necessitare di interventi chirurgici, come l'ileo-stomia deviata o la colectomia, per trattare malattie particolarmente gravi e refrattarie al trattamento medico. Il trattamento farmacologico, pur essendo molto efficace, non è una soluzione definitiva per tutti i pazienti, e la possibilità di ricorrere alla chirurgia deve essere presa in considerazione quando la malattia non risponde ad altri approcci.

Un altro importante aspetto da prendere in considerazione è la proctite/radiopatia da radiazioni, che può danneggiare il colon in vari modi. L'esposizione alle radiazioni pelviche può causare danni acuti e cronici alla mucosa rettale. La proctite da radiazioni acuta è meglio descritta come proctopatia, poiché l'infiammazione è minima o assente. I danni cronici possono manifestarsi in due forme: le ectasie vascolari associate alla radioterapia (RAVE) e la proctopatia da radiazioni, che causa danni alla mucosa senza un'infiammazione evidente.

I sintomi di un danno acuto da radiazioni si manifestano generalmente entro sei settimane dall'esposizione e includono dolore addominale o pelvico, diarrea, secrezioni mucose, tenesmo e, raramente, sanguinamento. Tali sintomi, di solito, sono autolimitanti e si risolvono in 2-6 mesi senza necessità di terapia intensiva. Al contrario, i danni cronici si sviluppano più tardi, in genere tra 9 e 12 mesi dopo la radioterapia, e possono includere sanguinamento rettale con anemia da carenza di ferro, urgenza fecale, cambiamenti nella consistenza delle feci, stitichezza e diarrea da overflow.

La diagnosi di danno da radiazioni avviene attraverso endoscopia e biopsia. Durante la fase acuta, le caratteristiche endoscopiche possono essere normali o non specifiche, ma in alcuni casi si osservano telangectasie, pallore e mucosa fragile. La biopsia può rivelare ectasie vascolari con capillari dilatati e lamina propria ialinizzata intorno ai vasi sanguigni. In caso di danno cronico, le modifiche tardive sono caratterizzate da fibrosi, endarterite obliterante, ischemia cronica, formazione di stenosi e sanguinamento. Endoscopicamente, si possono osservare telangectasie e/o stenosi, mentre la biopsia mostrerà fibrosi e distorsione delle cripte, con pochi o nessun infiltrato di cellule infiammatorie o ulcere.

La prevenzione del danno radiante dipende da vari fattori, tra cui la dose cumulativa di radiazioni, la dimensione delle frazioni, la tecnica di somministrazione e la presenza di trattamenti concomitanti, come la chirurgia o la chemioterapia. Tra questi fattori, la dose di radiazione appare come il più significativo. Il danno può essere ridotto limitando la dose e l'area di esposizione, nonché proteggendo i tessuti circostanti.

Per quanto riguarda la gestione dei sintomi, per il danno acuto, la terapia di supporto è spesso sufficiente, mentre per i sintomi più fastidiosi, gli enemi di sodio butirrato possono favorire la remissione. Nel caso di danni cronici, gli enemi di sucralfato sono efficaci nel ridurre il dolore, il tenesmo e/o il sanguinamento. Inoltre, la terapia endoscopica può essere utilizzata per trattare il sanguinamento rettale persistente dovuto alle telangectasie. Le opzioni terapeutiche includono la coagulazione con plasma argonico, sonda riscaldante, cauterizzazione bipolare e ablazione con radiofrequenza. In questi casi, è fondamentale il trattamento con trasfusioni di sangue e l'assunzione di ferro per contrastare l'anemia.

Per quanto riguarda le stenosi intestinali croniche indotte da radiazioni, la gestione varia in base alla gravità. I pazienti con sintomi ostruttivi lievi traggono beneficio dall'uso di ammorbidenti per le feci. L'endoscopia può essere utile per dilatare le stenosi corte, ma le stenosi lunghe o angolate richiedono un approccio chirurgico, poiché sono più suscettibili alla perforazione. Le stenosi recidivanti possono essere trattate con iniezioni di steroidi, mentre l'uso di stent colici, seppur efficace, aumenta il rischio di perforazione intestinale.

Infine, la diagnosi delle coliti microscopiche come la colite collagene (CC) e la colite linfocitaria (LC) è fondamentale. La CC è caratterizzata da un ispessimento del bandolo collagene subepiteliale maggiore di 10 μm, con un aumento delle cellule infiammatorie, in particolare linfociti, nell'epitelio superficiale e nella lamina propria. La LC non presenta tale bandolo collagene, ma mostra un aumento dei linfociti intraepiteliali, con la necessità di un incremento di 20 o più linfociti per 100 cellule epiteliali superficiali. Questi aspetti istologici sono determinanti per una diagnosi precisa e per la scelta del trattamento più appropriato.

La gestione di tali patologie richiede una comprensione approfondita delle varie cause e manifestazioni, così come una valutazione accurata dei benefici e dei rischi associati alle diverse opzioni terapeutiche. La personalizzazione del trattamento in base alla risposta del paziente è cruciale per ottenere i migliori risultati.

Qual è la definizione, l’eziologia e la gestione del sanguinamento gastrointestinale superiore?

Il sanguinamento gastrointestinale superiore (UGI bleeding) si definisce come l’emorragia che origina dall’esofago, dallo stomaco o dal duodeno prossimale al legamento di Treitz. Questa condizione rappresenta una problematica clinica significativa, con oltre 300.000 ricoveri annui nei reparti di emergenza e una mortalità stimata tra il 3,5% e il 10%. La presentazione clinica più comune del sanguinamento UGI è la melena, caratterizzata da feci nere e catramose, che può manifestarsi anche con la perdita di soli 50 mL di sangue. Altri sintomi includono l’emetesi di sangue fresco o di materiale simile a fondi di caffè (hematemesi), e l’ematochezia, che sebbene più tipica del sanguinamento gastrointestinale inferiore, può presentarsi anche in caso di sanguinamento UGI abbondante ed è spesso associata a instabilità emodinamica.

L’analisi clinica e laboratoristica può fornire indizi utili per distinguere un sanguinamento superiore da uno inferiore: un rapporto elevato tra azoto ureico nel sangue e creatinina (>30) e la presenza di melena sono fortemente suggestivi di sanguinamento UGI. Tra le cause più frequenti si annoverano la malattia da ulcera peptica (20-50%), erosioni gastroduodenali (8-15%), esofagiti (5-15%), complicanze da ipertensione portale (5-20%), lesioni da Mallory-Weiss (8-15%) e malformazioni vascolari (5%). Cause meno comuni includono fistole aortoenteriche e tumori gastro-intestinali.

La valutazione iniziale mira a stratificare il rischio del paziente per identificare chi necessita di interventi urgenti rispetto a chi può essere gestito in maniera più conservativa o dimesso per cure ambulatoriali. I fattori di rischio elevato comprendono anamnesi di neoplasie, cirrosi epatica, ematemesi al momento della visita, valori di emoglobina inferiori a 8 g/dL e segni vitali alterati. La perdita ematica moderata induce tachicardia a riposo, mentre perdite superiori a 1000 mL causano modificazioni ortostatiche, e oltre i 2000 mL si può arrivare allo shock.

Tra i sistemi di punteggio validati, il Glasgow-Blatchford score (GBS) è il più raccomandato per identificare pazienti a rischio molto basso, che possono essere dimessi con monitoraggio ambulatoriale. Un punteggio GBS di 0-1 indica un rischio ≤1% di necessità di trasfusione, intervento emostatico o morte. Altri sistemi includono l’AIMS-65, che prevede la mortalità intra-ospedaliera, e il Rockall score, che integra dati endoscopici per valutare la prognosi.

L’uso del sondino nasogastrico per il lavaggio, pur potendo aumentare la probabilità di identificare lesioni ad alto rischio all’endoscopia, non è raccomandato routinariamente per il suo discomfort e la limitata utilità diagnostica e prognostica.

La gestione iniziale richiede una rapida stabilizzazione emodinamica con attenzione alle vie aeree, respirazione e circolazione (ABCs), somministrazione di cristalloidi, trasfusione mirata a mantenere emoglobina intorno a 7 g/dL, e l’uso di prokinetici come eritromicina prima dell’endoscopia per facilitare la pulizia gastrica. L’endoscopia deve essere eseguita entro 24 ore dalla presentazione, con un approccio urgente (<12 ore) riservato a pazienti ad alto rischio. A seconda dei reperti, può essere indicata terapia endoscopica con clip emostatiche, polveri termiche o coagulatione, associata a trattamento farmacologico con inibitori della pompa protonica.

Oltre a quanto descritto, è essenziale comprendere che il sanguinamento gastrointestinale superiore si inserisce in un quadro clinico complesso, dove fattori comorbidi, stato nutrizionale e condizioni epatiche influiscono significativamente sull’esito. L’interdisciplinarità nella gestione, che coinvolge gastroenterologi, anestesisti e intensivisti, è cruciale per ottimizzare i risultati. Inoltre, la comprensione della fisiopatologia che sottende le diverse cause di sanguinamento, come l’alterazione della mucosa gastrica e duodenale e le dinamiche dell’ipertensione portale, permette di indirizzare con precisione la terapia e prevenire recidive. Il ruolo crescente delle tecnologie diagnostiche avanzate e delle terapie endoscopiche mininvasive promette di migliorare ulteriormente la prognosi di questa patologia complessa.

Quali sono le caratteristiche del sanguinamento gastrointestinale inferiore (LGIB) e come viene gestito clinicamente?

Il sanguinamento gastrointestinale inferiore (LGIB) è definito come un'emorragia che origina da qualsiasi sito situato distalmente alla valvola ileocecale. È comunemente manifestato come ematochezia, ossia la presenza di sangue rosso vivo nelle feci, ma non è sempre la caratteristica più evidente. Sebbene l'incidenza annuale di LGIB sia di circa 20 casi ogni 100.000 abitanti, la condizione può variare a seconda dell’età, della comorbidità del paziente e dell'uso di determinati farmaci.

Uno dei principali fattori di rischio per il LGIB è l'età, con un'incidenza che aumenta drasticamente tra la terza e la nona decada di vita. Alcuni farmaci come gli antiinfiammatori non steroidei (FANS), l'aspirina a basso dosaggio, l'alcol in quantità moderata o elevata e gli antiaggreganti piastrinici non aspirina, sono indipendenti fattori di rischio per il sanguinamento diverticolare. Anche l'uso di anticoagulanti può aumentare il rischio di emorragie diverticolari, in particolare nei pazienti più anziani.

La mortalità associata al LGIB è bassa, con un tasso che varia dal 2,4% al 3,9%, ma può aumentare significativamente (fino al 23%) nei pazienti che sviluppano emorragie dopo il ricovero ospedaliero. Sebbene la maggior parte dei casi di LGIB (65%-85%) siano auto-limitanti e non complicati, i pazienti che presentano segni di instabilità emodinamica, come ipotensione ortostatica o ematochezia massiva, richiedono un intervento immediato.

Un LGIB severo è caratterizzato da ematochezia accompagnata da instabilità emodinamica, una diminuzione significativa dell'emoglobina (almeno 2 g/dL) o la necessità di trasfusioni (almeno 2 unità di sangue intero). In alcuni casi estremi, come nelle emorragie massive, la perdita di sangue può essere così grave da causare shock e richiedere l’utilizzo di pressori per sostenere la pressione arteriosa. La riduzione dell'emoglobina superiore a 5 g/dL o la necessità di trasfondere 5 o più unità di sangue intero sono segnali di un LGIB che mette in pericolo la vita del paziente.

In ambito clinico, l'uso di sistemi di valutazione del rischio è diventato fondamentale per la gestione del LGIB. Esistono diversi punteggi predittivi validati che aiutano a stratificare i pazienti in base al rischio di esiti avversi, come il punteggio Oakland, che è stato sviluppato per prevedere la possibilità di dimissione sicura. Questi strumenti possono essere utili, ma non devono sostituire il giudizio clinico: sono integrativi, non esaustivi.

Le cause più comuni di emorragia intestinale inferiore grave e pericolosa per la vita sono il sanguinamento diverticolare, l’angiodisplasia, le ulcere post-polipectomia, la colite ischemica severa e, sorprendentemente, le emorragie provenienti da fonti gastrointestinali superiori, che si presentano in circa il 15% dei casi con ematochezia e instabilità emodinamica.

La diagnosi differenziale tra una fonte superiore e una inferiore di sanguinamento è cruciale. Caratteristiche come il vomito, la presenza di sangue nelle feci o il rapporto BUN/creatinina (superiore a 30) possono suggerire una causa superiore. D'altra parte, se i pazienti non riportano sintomi tipici di un sanguinamento gastrointestinale superiore e presentano solo ematochezia, è più probabile che la causa sia inferiore.

Nel trattamento del LGIB severo, la gestione iniziale si concentra sulla stabilizzazione del paziente. È essenziale somministrare fluidi per via endovenosa, come soluzione salina o Ringer lattato, per compensare la perdita di volume. Successivamente, occorre eseguire esami di laboratorio, compreso un emocromo completo, elettroliti, creatinina e BUN, nonché il rapporto INR nei pazienti sospetti di coagulopatia. Un elettrocardiogramma dovrebbe essere effettuato nei pazienti con malattia arteriosclerotica preesistente o sopra i 50 anni di età. È anche fondamentale eseguire una storia clinica completa e un esame fisico mirato, che includa una valutazione rettale digitale, necessaria per determinare il tipo di sanguinamento e la sua gravità.

La decisione di eseguire un’endoscopia dipende dalle condizioni cliniche del paziente. Nei casi non gravi, dove il sanguinamento è autolimitante e senza segni di instabilità, il trattamento ambulatoriale può essere considerato. Tuttavia, quando il sanguinamento persiste o si ripresenta, il monitoraggio seriale dei parametri ematologici e dei segni clinici è essenziale per evitare complicazioni.

Le cause principali di LGIB includono la diverticolosi, che rappresenta circa il 30% dei casi, seguita da emorragie anorettali, colite e sanguinamento post-polipectomia. La diverticolosi, in particolare, è una delle patologie più comuni, con circa il 17% dei pazienti affetti che sperimentano episodi di sanguinamento. La maggior parte di questi episodi si risolve spontaneamente, ma è importante monitorare attentamente il paziente, poiché il rischio di complicazioni aumenta con l’età e con la presenza di comorbidità.

In generale, la gestione del LGIB richiede un approccio multidisciplinare, che coinvolge gastroenterologi, chirurghi e altri specialisti, e deve essere adattato alle condizioni specifiche del paziente, tenendo sempre in considerazione i possibili rischi e la risposta al trattamento.