La performance persistente dei fondi comuni sembra svanire non appena si utilizza un benchmark multifattoriale più sofisticato. In tale benchmark, infatti, tutte le alpha risultano negative nel corso dell'anno successivo. Vale la pena notare che i fondi meno performanti continuano a essere i peggiori, con le alpha dei decili più bassi (-4,8%) decisamente più basse rispetto ai decili più alti (-1,4%). La componente principale di questa inversione di tendenza è il fattore momentum, che regola l'effetto di continuità nelle performance. I fondi vincenti, infatti, tendono a detenere azioni di momentum—azioni con alti ritorni passati che continuano a performare bene nel breve periodo. Tuttavia, una volta aggiustato il ritorno per tenere conto di tale strategia, i fondi che si pensano "vincenti" non riescono a sovraperformare.
Nonostante la predominanza della gestione passiva, esistono fondi comuni che riescono a superare il mercato, anche se trovarli in modo costante risulta una sfida. I professori che dimostrano che è possibile individuare fondi vincenti ammettono che le loro strategie siano più appropriate per le istituzioni che per gli investitori individuali, dato che richiedono l'applicazione di statistiche complesse a un vasto database di rendimenti dei fondi. La selezione dei fondi migliori non dipende solo dai rendimenti passati, ma è essenziale esaminare anche i gestori e le composizioni del fondo. Studi di Chevalier e Ellison (1999a) mostrano che i gestori provenienti da università più selettive, i cui laureati hanno punteggi SAT più alti, tendono a generare rendimenti superiori. Inoltre, uno studio di Cohen, Frazzini e Malloy (2008) ha evidenziato che le relazioni personali giocano un ruolo significativo nella performance dei fondi. I gestori più connessi tendono a scommettere di più su aziende con membri del consiglio provenienti dalla stessa università, e le performance di questi investimenti sono nettamente superiori rispetto a quelli non connessi.
Un altro criterio per misurare la selezione dei fondi è l'"active share" sviluppato da Cremers e Petajisto (2009), che misura la deviazione tra le partecipazioni di un fondo e quelle del suo indice di riferimento. Un fondo con un’alta active share dimostra una selezione attiva delle azioni, e questi fondi tendono a generare rendimenti superiori. È interessante notare che l'errore di tracking, che misura la deviazione standard tra i rendimenti del fondo e quelli del suo benchmark, non è un buon indicatore di performance futura. Questo suggerisce che l'analisi profonda delle partecipazioni del fondo è essenziale per comprendere quante "scommesse attive" siano fatte dal gestore. In linea con questo, i gestori che si specializzano e mantengono portafogli più concentrati tendono a ottenere risultati migliori.
Nonostante tutte queste misure sofisticate, individuare un gestore di fondi che continui a sovraperformare il mercato è tutt'altro che semplice. Gli investitori tendono a seguire il flusso di denaro e a concentrarsi troppo sui rendimenti passati, il che porta a un comportamento tipico della "dumb money". Le statistiche di Frazzini e Lamont (2008) mostrano che i flussi di denaro tendono a concentrarsi sui fondi con alti ritorni passati, ma questo porta a performance future deludenti. Il denaro che entra nei fondi non è facilmente dissuaso dalle performance negative, il che crea una relazione convessa tra i flussi di capitale e le performance. In altre parole, gli investitori premiano i successi passati con flussi massicci di denaro, ma non puniscono le perdite con la stessa velocità. Questo fenomeno, noto come inerzia dell'investitore, ha avuto un ruolo determinante nel salvare alcune aziende, come nel caso di Janus.
Il modello di Berk e Green (2004) è una delle teorie più influenti in questo campo. In questo modello, i fondi manageriali sono descritti come talvolta capaci di generare valore prima delle commissioni, ma, in media, sottoperformano dopo averle dedotte. Gli investitori inseguono i ritorni passati e questo flusso di capitale non fa altro che ridurre la capacità di generare ritorni extra da parte dei gestori. Secondo Berk e Green, i fondi tendono a crescere fino a raggiungere un punto in cui il loro ritorno atteso non supera più quello di un gestore medio, il che spiega l'assenza di performance persistente. Quando i fondi diventano troppo grandi, i rendimenti extra che erano stati generati diminuiscono. Gli investitori, a quel punto, si spostano verso il prossimo "miglior" fondo, riducendo ulteriormente la capacità di ottenere rendimenti superiori.
Il fenomeno dei flussi di denaro e della "caccia ai ritorni" è quindi una parte essenziale del comportamento degli investitori, ma non sempre porta ai risultati sperati. I fondi che sono cresciuti grazie ai flussi di denaro, alimentati da rendimenti passati elevati, tendono a vedere la loro performance ridursi con l'aumento delle dimensioni, mentre quelli che non ricevono flussi continui spesso non riescono a tornare a livelli di performance competitivi.
È cruciale, quindi, che gli investitori comprendano che i rendimenti passati non sono indicatori affidabili per prevedere i risultati futuri, specialmente in un mercato in cui le dimensioni dei fondi influenzano significativamente le performance. Inoltre, un approccio più attento alla selezione dei fondi, che consideri non solo i rendimenti passati ma anche le competenze dei gestori, la composizione del portafoglio e l’active share, potrebbe rivelarsi più fruttuoso nel lungo termine. Ma anche con questi strumenti avanzati, la selezione di fondi che possano costantemente sovraperformare il mercato rimane un'impresa ardua.
L'evoluzione degli ETF e il loro impatto sul mercato finanziario
Nel 2011, i principali promotori di ETF erano iShares, StateStreet e Vanguard, con un patrimonio gestito (AUM) rispettivamente di 448 miliardi di dollari, 267 miliardi di dollari e 170 miliardi di dollari. Le dimensioni di queste società erano tali da rendere il loro impatto sul mercato globale degli ETF particolarmente significativo. Queste tre grandi entità erano coinvolte in una vera e propria "battaglia dei punti base", cercando di ridurre ulteriormente i costi degli ETF. Oggi, alcuni ETF su indici generali hanno commissioni inferiori allo 0,05%, un livello che riflette la crescente competitività nel settore.
A differenza di questi colossi, WisdomTree Investments è l'unica società di ETF che si può considerare indipendente. Essendo l'unica quotata in borsa, è possibile osservare direttamente la redditività di questo segmento di business. Nel 2011, WisdomTree ha raggiunto un AUM di 12,2 miliardi di dollari, posizionandosi al settimo posto negli Stati Uniti per grandezza. L'azienda, che ha lanciato il suo primo ETF nel 2006, ha finalmente registrato il primo anno in utile nel 2011, con un margine operativo del 5%. Questo dato, seppur positivo, appare modesto se paragonato al margine operativo del 32% di Janus nello stesso anno. La realtà è che i margini ridotti del settore ETF richiedono una grande scala per poter generare profitti. La crescita degli ETF è dunque legata principalmente alla capacità di attrarre enormi volumi di capitale, poiché le commissioni si abbassano costantemente.
Nel 1999, Barclays Global Investors, oggi parte di BlackRock, lanciò la divisione iShares, un'iniziativa che si rivelò audace e rischiosa. Con un obiettivo di raggiungere i 100 miliardi di dollari in AUM per diventare redditizia, la società decise di scommettere su un’intera piattaforma di ETF, accompagnata da un'educazione approfondita per gli investitori. Fu una scelta vincente: il business degli ETF di BGI decollò rapidamente. Questo esempio sottolinea un aspetto fondamentale del settore: per essere profittevoli, i principali attori devono essere enormi, e devono continuare a crescere mentre i costi delle commissioni si riducono.
Uno degli ambiti in cui gli ETF non hanno ancora trovato il loro posto è il mercato dei piani pensionistici 401(k), dove i consulenti e i promotori di fondi comuni continuano a dominare. Anche se gli ETF offrono costi più bassi, questi strumenti costituiscono solo una frazione minima del mercato delle pensioni, pari allo 0,2% del totale. I gestori di fondi pensione sono riusciti a mantenere i loro prodotti a commissioni elevate, in parte perché le commissioni sui piani 401(k) non dovevano essere divulgate fino al 2012. Tuttavia, con l'aumento dell'attenzione degli investitori sui costi dei piani pensionistici, i flussi verso gli ETF dovrebbero aumentare, anche se in modo lento, visto che molti consulenti e fiduciari dei fondi sono legati a determinate case di investimento.
Tuttavia, non è solo attraverso la gestione diretta degli ETF che le società di asset management possono guadagnare. John Bogle, fondatore di Vanguard, ha sottolineato che i costi di amministrazione degli ETF sono spesso trasferiti agli investitori sotto forma di commissioni di intermediazione. In questo contesto, alcune società di gestione possono guadagnare anche dai costi di trading, soprattutto se possiedono piattaforme di trading proprie o collaborano strettamente con i broker. Un esempio di questo fenomeno si verifica con Fidelity Investments, che nel 2013 ha introdotto commissioni elevate per gli investitori che vendono ETF "senza commissioni" all'interno di brevi periodi di tempo.
Nonostante le opportunità di guadagno attraverso il trading, molte società di ETF non traggono vantaggio diretto dai costi di trading, che generalmente sono più elevati rispetto ai fondi azionari o obbligazionari. La media dei costi di trading per gli ETF è di circa lo 0,9%, mentre i fondi tradizionali hanno spread tra domanda e offerta inferiori allo 0,25%. Tuttavia, gli ETF più grandi hanno costi di trading estremamente bassi, con gli spread medi dei primi dieci ETF dal 2007 al 2012 pari a 0,04%.
Per quanto riguarda gli ETF a leva, i piccoli investitori devono fare particolare attenzione, poiché questi prodotti, che offrono una moltiplicazione dei rendimenti, possono divergere notevolmente dai ritorni attesi a causa del meccanismo di compounding giornaliero. Ad esempio, un ETF "3× leveraged" che segue un indice potrebbe sembrare promettere un ritorno triplo rispetto all'indice stesso, ma nel tempo le divergenze tra il ritorno effettivo e quello atteso possono essere significative, specialmente dopo diversi giorni di trading. Questo effetto è stato osservato chiaramente durante il 2012, quando l'ETF Direxion Daily S&P 500 Bear 3X ha mostrato un ritorno molto più alto di quanto ci si potesse aspettare in base al suo nome, mentre il Direxion Daily S&P 500 Bull 3X ha registrato una perdita maggiore.
Infine, è interessante notare che il concetto di ETF, pur essendo diventato una delle principali innovazioni nel mondo degli investimenti, ha ancora margini di sviluppo. Sebbene i costi siano diminuiti drasticamente e la concorrenza sia diventata più agguerrita, rimangono molte aree di incertezza. Gli ETF, con la loro efficienza nei costi e la liquidità elevata, continueranno a crescere, ma il loro impatto sul mercato degli investimenti tradizionali potrebbe subire rallentamenti a causa della resistenza da parte dei gestori di fondi tradizionali e dei consulenti.
Perché i premi al rischio sistematico non possono scomparire
In un'economia in equilibrio, ogni attività deve essere detenuta da qualcuno. Se tutti gli investitori considerano un’azione – poniamo AA – così poco attraente da non volerla in portafoglio, allora quella situazione non può essere un equilibrio. Le azioni di AA sono ancora in circolazione, ma nessuno le vuole: vuol dire che il loro prezzo è troppo alto rispetto al valore atteso. Quando il prezzo scende, e il payoff atteso rimane invariato (secondo le ipotesi del CAPM), il rendimento atteso aumenta. Il processo continua finché il rendimento atteso è tale da rendere AA desiderabile per alcuni investitori, ossia finché la domanda uguaglia l’offerta. In quel punto si raggiunge l’equilibrio.
Questo meccanismo rende il portafoglio di mercato — il portafoglio a varianza minima efficiente (MVE) — la somma aggregata di tutte le preferenze degli investitori. Ogni asset è detenuto in proporzione alla sua capitalizzazione di mercato, e questo implica che il fattore di mercato stesso avrà un premio al rischio. Questo premio, frutto della sintesi tra le preferenze e l’avversione al rischio degli investitori, non può essere eliminato con strategie d’arbitraggio o con l’ingresso di hedge fund sofisticati. I fattori sistematici, per definizione, non possono essere neutralizzati: sono endogeni alla struttura dell’economia.
Altri fattori, come la crescita economica, l’inflazione o le strategie value-growth, porteranno premi al rischio solo se incorporano rischi non diversificabili. Se questi fattori scomparissero, ciò significherebbe un cambiamento strutturale nell’economia stessa, non un semplice miglioramento nelle strategie d’investimento.
Ogni investitore detiene il portafoglio di mercato, ma in proporzioni diverse rispetto all’asset privo di rischio. L’investitore più avverso al rischio deterrà più titoli di Stato, mentre uno più propenso al rischio avrà maggiore esposizione al portafoglio di mercato. Tutti si collocano lungo la Capital Allocation Line (CAL), che rappresenta le combinazioni efficienti tra rischio e rendimento. La posizione lungo questa linea dipende dall’avversione al rischio individuale, proprio come il fabbisogno nutrizionale varia da persona a persona.
In media, il mercato è detenuto dal "medio" investitore, il cui comportamento rappresenta l’intersezione tra la CAL e la frontiera media-varianza. Il coefficiente di avversione al rischio del mercato è la media ponderata, per ricchezza, dell’avversione al rischio di tutti gli individui. Ne deriva che, se l’avversione media aumenta, anche il premio al rischio di mercato deve aumentare per incentivare la detenzione di asset rischiosi. Questo premio è strettamente legato alla varianza del mercato: maggiore è la volatilità, maggiore deve essere il rendimento atteso.
L’equazione della Capital Market Line (CML) formalizza questa relazione:
E(rₘ) – r𝑓 = γ̄ * σₘ²
dove γ̄ rappresenta l’avversione media al rischio e σₘ² la varianza del portafoglio di mercato. Il CAPM, quindi, collega in modo diretto il rendimento atteso con le preferenze degli agenti economici. Questo è evidente nei momenti di crisi: nel 2008–2009, la volatilità è esplosa e i prezzi azionari sono crollati. Di conseguenza, i rendimenti attesi (e poi realizzati) sono saliti, confermando che il mercato richiede una compensazione maggiore per il rischio sistematico residuo.
Il rischio, nel contesto CAPM, non è una semplice variabilità dei rendimenti, ma esposizione a fattori sistematici. L’asset che si muove perfettamente con il mercato ha beta uguale a 1; uno che si muove indipendentemente dal mercato ha beta pari a zero. Il beta è quindi la misura del rischio sistematico: un asset ad alto beta ha scarse qualità diversificative ed è, per definizione, meno utile in un portafoglio già ben diversificato.
Da ciò emerge una seconda implicazione profonda: gli asset ad alto beta, cioè quelli che salgono quando il mercato sale, sono meno desiderabili, perché aggiungono poco alla diversificazione. Gli investitori, per detenerli, richiederanno rendimenti attesi più alti. Al contrario, gli asset a basso beta, che tendono a rendere quando il mercato va male, sono preziosi: proteggono il portafoglio nei momenti peggiori. In alcuni casi, gli investitori accetteranno anche rendimenti attesi negativi pur di avere accesso a questi strumenti. È per questo che obbligazioni sovrane di alta qualità o l’oro sono spesso tenuti in portafoglio: nonostante offrano rendimenti bassi, offrono protezione sistematica.
Il CAPM rivela quindi una verità essenziale: il rischio non è volatilità, ma esposizione ai fattori sistematici che guidano l’economia. Il premio al rischio non può essere eliminato dall’efficienza dei mercati o dall’innovazione finanziaria, perché è il riflesso stesso delle preferenze collettive e della struttura produttiva dell’economia. È una necessità intrinseca dell’equilibrio.
È essenziale comprendere che l'intero impianto teorico del CAPM si fonda su ipotesi forti: mercati perfetti, investitori razionali, orizzonti temporali unici e accesso illimitato al prestito e all'investimento. Sebbene nella realtà queste condizioni non siano mai pienamente soddisfatte, il CAPM resta una bussola utile. Tuttavia, la sua applicazione richiede consapevolezza dei suoi limiti e dell’evoluzione delle preferenze e dei rischi sistemici nel tempo. I premi al rischio, come qualsiasi altra entità economica, non sono statici: si muovono, si deformano, si riconfigurano con l’economia. Ma non scompaiono mai.
Comportamento del trasporto non equilibrio nei semiconduttori omogenei: analisi delle dinamiche temporali ed effetti spaziali
Come funziona Pix2pix e CycleGAN per la colorazione virtuale delle immagini?
Come si Calcola il Determinante di una Matrice: Teoria e Applicazioni
Quali sono le soluzioni stazionarie nei sistemi quasi-Hamiltoniani con metodi di media stocastica?
Proteggetevi dal trasferimento illegale dei vostri risparmi pensionistici
Ammissione alla Scuola Primaria nella Città di Tver: Procedure e Documentazione Necessaria
Progetto DEL CONSIGLIO DEI DEPUTATI DEL POPOLO DELLA CITTÀ DI KOVROV, REGIONE DI VLADIMIR
SCHEDA DELLE LEZIONI DI ALLENAMENTO per il gruppo di livello base, quinto anno di formazione nel calcio

Deutsch
Francais
Nederlands
Svenska
Norsk
Dansk
Suomi
Espanol
Italiano
Portugues
Magyar
Polski
Cestina
Русский