La natura eterogenea dei dati rende inevitabile l’insorgere di anomalie: valori fuori contesto, dati mancanti, errori silenziosi che si insinuano tra righe e colonne e che, se ignorati, minano la qualità e l'affidabilità dell'intero processo analitico. Con Power Query, è possibile identificare questi problemi in modo efficiente, visualizzando tendenze insolite e discrepanze lievi che spesso sfuggono a un controllo manuale.
Il primo passo consiste nell'utilizzare l’Editor di Power Query per visualizzare e validare la qualità dei dati. Attraverso la funzione Data Preview, e selezionando Column Quality, è possibile analizzare ogni colonna per verificare la presenza di errori, valori nulli o validità parziale. Una colonna come Agency, ad esempio, può mostrare un valore “<1%” di celle vuote, indicatore implicito di un’anomalia che, pur apparendo trascurabile, può avere ripercussioni sistemiche nell’analisi.
Ogni colonna può essere esplorata anche mediante la distribuzione dei valori (Column Distribution), che consente di osservare non solo la quantità di valori distinti (escludendo i duplicati), ma anche il numero di valori unici, ovvero quelli che compaiono una sola volta. Questa analisi aiuta a rilevare dati fuori scala o rumore statistico: ad esempio, un'eccessiva unicità in una colonna che teoricamente dovrebbe avere una bassa variabilità segnala possibili errori o una mancata normalizzazione dei dati.
Inoltre, è possibile profilare ogni colonna abilitando le opzioni Column Profile e Column Quality nel menu View di Power Query. Questo consente di ottenere statistiche dettagliate, tra cui il conteggio totale dei valori, il numero di errori, la quantità di colonne vuote, i valori minimi e massimi, la media, il numero di zeri e perfino la parità (valori dispari o pari). Quando la colonna contiene testo, vengono evidenziate le stringhe vuote, mentre per i numeri si mettono in luce valori mancanti o distribuzioni anomale.
Non si tratta solo di identificare errori, ma di comprenderne la natura. Con Power Query, si può esportare la distribuzione dei valori (Copy Value Distribution) per analizzarla anche al di fuori di Power BI, fornendo un quadro ancora più preciso della variabilità interna ai dati. Questo passaggio è essenziale per individuare incoerenze non apparenti a una prima lettura, come una codifica errata di categorie o un'incongruenza tra i valori di due colonne logicamente connesse.
Una volta rilevate le anomalie, interviene il processo di risoluzione, che può assumere forme diverse: sostituzione dei valori, eliminazione delle righe problematiche, o analisi della causa radice. Ad esempio, si possono sostituire i valori nulli con un valore calcolato o coerente col contesto analitico. Tuttavia, tale intervento deve sempre essere eseguito con cautela: la correzione nel dataset caricato in Power BI non ha effetto sulla fonte originale, e quindi potrebbe generare incoerenze se la fonte viene aggiornata successivamente. È fondamentale, quindi, che ogni correzione sia documentata o implementata anche a livello di origine, quando possibile.
La profilazione dei dati in Power Query rappresenta una fase cruciale nel ciclo di vita del dato. Prima di poter eseguire una visualizzazione significativa, occorre garantire che i dati siano coerenti, affidabili e pronti per essere interpretati correttamente. Senza una pulizia approfondita, ogni insight tratto dalle dashboard rischia di poggiare su fondamenta errate. Il concetto chiave è che la qualità dell’output analitico è sempre e solo funzione della qualità dell’input.
Per interpretare correttamente le anomalie e definire strategie di pulizia efficaci, è importante tenere conto anche di aspetti non immediatamente visibili nell’interfaccia di Power Query. I metadati, ad esempio, come i tipi di dati assegnati automaticamente da Power BI, possono causare ambiguità nei calcoli se non vengono uniformati. Due colonne apparentemente identiche possono in realtà avere formati diversi (es. testo vs numero), influenzando negativamente i join o le aggregazioni.
Inoltre, è fondamentale adottare una visione olistica del dataset: ogni colonna va letta non solo in isolamento, ma nel suo rapporto con le altre. La coerenza tra chiavi, date, unità di misura e nomenclature è parte integrante della qualità. Infine, ogni passaggio deve essere tracciabile: le trasformazioni applicate devono essere reversibili o almeno comprensibili, per garantire la trasparenza e la ripetibilità dell’intero processo ETL.
Cos’è una relazione in SQL e in che modo differisce dal modello relazionale teorico?
Nel mondo delle basi di dati, il termine “relazione” è spesso usato in modo intercambiabile con “tabella”. Tuttavia, questo uso genera ambiguità, poiché la nozione teorica di relazione, così come formulata nel modello relazionale, presenta caratteristiche ben definite e rigide che non sempre trovano riscontro nell’implementazione pratica offerta da SQL.
Il modello relazionale si fonda sulla teoria degli insiemi, una branca della matematica in cui un insieme è definito come una collezione di oggetti univoci. L’unicità è un requisito fondamentale: non sono ammessi duplicati. All'interno del modello relazionale, una relazione è una collezione di tuple (righe), anch’esse tutte uniche. Ogni tupla rappresenta un record, e le colonne (chiamate attributi) rappresentano proprietà di tali record. A livello teorico, l'ordine delle righe e delle colonne è irrilevante e ogni attributo ha un nome univoco.
In SQL, ciò che viene chiamato "relazione" è in realtà una tabella, ma con una differenza fondamentale: le tabelle possono contenere righe duplicate. Questo allontana SQL dalla purezza del modello relazionale e lo avvicina al concetto di multinsieme (o bag), una struttura che consente la presenza di elementi ripetuti. Pertanto, benché SQL tragga origine dal modello relazionale, ne rappresenta un’interpretazione pratica, adattata alle esigenze concrete della gestione dei dati.
Una tabella SQL, per essere considerata formalmente una relazione, deve rispettare alcuni vincoli: ogni cella deve contenere un solo valore atomico; tutti i valori all'interno di una colonna devono appartenere allo stesso dominio; ogni colonna deve avere un nome unico; l'ordine delle colonne e delle righe è irrilevante; non possono esistere righe duplicate. Questi requisiti definiscono una relazione "ben formata". Tuttavia, nella pratica, molti database contengono tabelle che violano uno o più di questi principi, in particolare il divieto di duplicati, pur rimanendo perfettamente operative nel contesto applicativo.
Questa differenza tra teoria e pratica non è il risultato di un errore di implementazione, ma piuttosto di una scelta consapevole. SQL è un linguaggio di sottolivello progettato per lavorare con basi di dati relazionali, ma non possiede le caratteristiche di un linguaggio di programmazione general-purpose. La sua funzione è quella di interfacciarsi con un sistema di gestione di basi di dati (DBMS), e per costruire applicazioni complete che integrino query, gestione dello stato e interfacce utente, è necessario integrare SQL in linguaggi come Java, C# o Python.
Questa natura ibrida di SQL — tra fedeltà al modello teorico e adattamento alle necessità pragmatiche — è anche visibile nell'evoluzione storica del linguaggio. Prima che SQL diventasse uno standard de facto, esistevano diverse proposte di linguaggi per interagire con basi di dati relazionali. Il successo di SQL è dipeso in parte dal ruolo dominante di IBM e dal fatto che Oracle l’ha adottato come alternativa al proprio linguaggio proprietario già nelle fasi iniziali del suo sviluppo. Ciò ha consolidato SQL come standard, anche se imperfetto dal punto di vista della teoria relazionale.
Un altro concetto fondamentale connesso al modello relazionale è quello di dipendenza funzionale. Quando il valore di un attributo è determinato da un altro, si parla di dipendenza funzionale. Ad esempio, se si conosce un codice postale, si può determinare lo stato corrispondente: ogni codice postale esiste in un solo stato. In questo caso, si dice che lo stato dipende funzionalmente dal codice postale. Il codice postale è detto determinante, mentre lo stato è l'attributo determinato. La notazione convenzionale per rappresentare questa relazione è: CodicePostale ➪ Stato. Non vale il contrario, poiché uno stato può includere numerosi codici postali.
Più attributi insieme possono formare un determinante. Questo concetto è alla base della normalizzazione delle basi di dati, una pratica essenziale per ridurre la ridondanza, garantire la coerenza e facilitare la manutenzione nel tempo. Tuttavia, l’importanza delle dipendenze funzionali va oltre il semplice disegno di tabelle ben strutturate: esse permettono di comprendere la semantica dei dati, ossia il significato profondo delle relazioni tra le entità rappresentate nel database.
È essenziale comprendere che, anche se SQL nasce per gestire basi di dati relazionali, il suo funzionamento effettivo è talvolta una semplificazione o una deviazione dal rigore del modello matematico sottostante. SQL offre strumenti potenti che vanno oltre la rappresentazione di insiemi puri, come il supporto a valori nulli, aggregazioni, join esterni, e meccanismi di controllo degli accessi. Tutti questi elementi, sebbene estranei al modello relazionale classico, sono fondamentali per le applicazioni moderne.
In definitiva, chi lavora con SQL deve possedere una doppia consapevolezza: da un lato, conoscere le fondamenta teoriche del modello relazionale, che garantiscono coerenza logica e rigore; dall’altro, accettare e comprendere le deviazioni pragmatiche introdotte da SQL per affrontare problemi reali, come la gestione dei dati duplicati, l’ottimizzazione delle query o l’integrazione con linguaggi di programmazione.
Comprendere questa dualità è cruciale per progettare basi di dati efficienti, scalabili e coerenti. E solo attraverso uno studio profondo del modello relazionale e delle sue applicazioni in SQL si può arrivare a una padronanza reale della gestione dei dati.
Come funziona e quali sono le sfide dell’uso interattivo ed embedded di SQL nelle applicazioni
L’Interactive SQL si basa sull’inserimento diretto di comandi SQL in un sistema di gestione di database (DBMS) come SQL Server, Oracle o DB2, che esegue le istruzioni fornite. Questo approccio consente di creare un database partendo da zero, utilizzando comandi come CREATE DATABASE, per poi popolarlo e interrogarlo con query mirate. Tuttavia, questa modalità presenta alcune limitazioni: la digitazione continua di comandi SQL da tastiera risulta spesso ripetitiva e noiosa, e l’uso diretto del linguaggio SQL è accessibile solo a chi ne conosce la sintassi, mentre la maggior parte degli utenti non ha familiarità con questo linguaggio.
Poiché SQL è l’unico linguaggio compreso dai database relazionali, non si può evitare il suo utilizzo, ma è possibile proteggere gli utenti da un’interazione diretta con esso. Un programma scritto in un linguaggio host può infatti “incapsulare” il codice SQL, generando interfacce amichevoli con schermate, moduli e menu, che traducono le azioni dell’utente in comandi SQL comprensibili al DBMS. In tal modo, gli utenti possono ottenere le informazioni desiderate senza dover affrontare la complessità di SQL.
Un aspetto cruciale da considerare nell’integrazione di SQL con un linguaggio host è la differenza fondamentale di natura tra i due. SQL è un linguaggio non procedurale, ciò significa che le sue istruzioni vengono eseguite in modo set-based, ovvero operando simultaneamente su interi insiemi di righe. Al contrario, i linguaggi procedurali, come C o COBOL, lavorano passo dopo passo e trattano i dati una riga alla volta. Questa divergenza richiede agli sviluppatori abituati a linguaggi procedurali un cambio di paradigma mentale per usare SQL efficacemente.
Inoltre, i tipi di dati definiti in SQL non sempre coincidono con quelli del linguaggio host, poiché lo standard ANSI/ISO SQL ha stabilito un set di tipi indipendenti dai linguaggi di programmazione. Ciò può generare problemi di compatibilità, specialmente quando si vogliono eseguire calcoli con dati recuperati da SQL tramite il linguaggio host. SQL offre però lo strumento CAST, che consente di convertire un tipo di dato in un altro, attenuando tale difficoltà.
Fino a tempi recenti, la forma più diffusa di SQL nelle applicazioni è stata l’embedded SQL, che integra comandi SQL all’interno di programmi scritti in linguaggi generici come C, C++ o COBOL. Questi linguaggi eccellono nella creazione dell’interfaccia utente, permettendo la costruzione di moduli con pulsanti, menu e la formattazione di report, attività che SQL non è in grado di svolgere da solo. La collaborazione tra il linguaggio host e SQL consente di sfruttare i punti di forza di entrambi: il primo gestisce l’interfaccia e la logica procedurale, mentre SQL si occupa dell’interazione con i dati.
Un esempio emblematico è un programma scritto in C con SQL embedded, tipico di un reparto risorse umane, che autentica un utente, consente la modifica di stipendio e commissioni di un dipendente, e aggiorna il database. In questo codice, le istruzioni SQL sono introdotte da direttive EXEC SQL, che indicano al precompilatore di estrarre queste istruzioni prima che il compilatore del linguaggio host entri in gioco. Sebbene questa tecnica permetta di ottenere applicazioni potenti e integrate, il debugging può risultare complesso, perché il debugger del linguaggio host non riconosce le istruzioni SQL.
Va anche sottolineato che in alcune piattaforme, come SQL Server, l’uso di SQL embedded è stato deprecato, suggerendo un graduale abbandono di questa tecnica nelle nuove implementazioni, a favore di metodi più moderni e flessibili.
È fondamentale comprendere che il successo nell’uso di SQL in applicazioni moderne richiede una consapevolezza profonda delle differenze concettuali tra SQL e i linguaggi host, nonché delle implicazioni pratiche legate alla gestione dei tipi di dati e alla separazione delle responsabilità tra interfaccia utente e accesso ai dati. Inoltre, occorre considerare l’evoluzione delle tecnologie e delle pratiche consigliate dai fornitori di software, che orientano verso strumenti più integrati e meno vincolati alle tecniche tradizionali come l’embedded SQL.
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