Il termine "Metabolic-Associated Fatty Liver Disease" (MASLD) è stato recentemente proposto come una nuova nomenclatura per riflettere meglio la patogenesi della sindrome metabolica e per favorire una diagnosi più inclusiva. MASLD si definisce come l’accumulo di grasso intraepatico (steatosi) in assenza di un consumo significativo di alcol (~2-3 drink al giorno per gli uomini o ~1-2 drink al giorno per le donne), escludendo altre malattie epatiche croniche. Tuttavia, tale terminologia non è ancora ampiamente adottata. Una diagnosi di MASLD richiede la presenza di steatosi epatica accompagnata da almeno una delle seguenti condizioni: sovrappeso o obesità, presenza di diabete di tipo 2, o segni di disfunzione metabolica.

Il "Metabolic Dysfunction-Associated Steatohepatitis" (MASH), invece, rappresenta una sottocategoria di MASLD, caratterizzata non solo dalla steatosi epatica, ma anche da segni istologici di danno agli epatociti, tra cui infiammazione lobulare, degenerazione vacuolare e, a volte, presenza di corpi di Mallory, con o senza fibrosi variabile. NAFL (Nonalcoholic Fatty Liver, o fegato grasso non alcolico) si riferisce ai casi di steatosi epatica metabolica che non presentano MASH. Con l’introduzione della terminologia MASLD, si è proposto di sostituire il termine NAFLD (Nonalcoholic Fatty Liver Disease) per meglio descrivere il contesto metabolico e fisiopatologico della malattia.

Le differenze tra MASLD, MASH e NAFL risiedono principalmente nel grado di danno epatico. Mentre NAFL ha una prognosi favorevole, con circa un quarto dei pazienti che progredisce verso MASH, i pazienti con MASH presentano un rischio significativamente maggiore di sviluppare cirrosi, con studi che suggeriscono che fino al 20% dei pazienti possa evolvere verso la cirrosi. Il decorso clinico di MASH è estremamente variabile; sebbene la progressione verso la cirrosi avvenga generalmente in un decennio o più, in alcuni casi il processo può accelerare notevolmente, culminando in cirrosi in pochi anni.

La mortalità nei pazienti con MASLD è più alta rispetto alla popolazione generale, con un incremento significativo della mortalità per cause epatiche, cancro (principalmente carcinoma epatocellulare, HCC), malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2. Spesso, i pazienti con MASLD non presentano sintomi evidenti e vengono diagnosticati incidentalmente durante esami del sangue di routine, dove si evidenziano lievi aumenti degli aminotransferasi sierici, oppure tramite immagini che rivelano steatosi epatica. Tuttavia, una piccola percentuale di pazienti può lamentare dolore nella parte superiore destra dell'addome, che può variare da un dolore sordo a una sensazione di dolore acuto. Questo sintomo è stato attribuito al rigonfiamento della capsula epatica in presenza di epatomegalia, anche se non è sempre correlato con l’ingrandimento del fegato e non si associa necessariamente alla gravità della malattia.

Il trattamento e la gestione dei pazienti con MASLD e MASH si basano principalmente sulla diagnosi precoce e sulla stratificazione del rischio, utilizzando strumenti non invasivi come l'elastografia per stimare la fibrosi epatica. Sistemi di punteggio come il MASLD fibrosis score sono ampiamente utilizzati per identificare i pazienti a rischio di fibrosi avanzata. Nei casi in cui venga sospettata fibrosi avanzata o MASH, è possibile ricorrere alla biopsia epatica, che rimane lo standard d’oro per la diagnosi e la valutazione dell’entità del danno epatico. Gli studi di imaging, come l'ecografia, la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica, sono altamente sensibili nella diagnosi della steatosi epatica, ma non sono in grado di differenziare tra MASLD e MASH.

In termini di prevalenza, MASLD è la malattia epatica cronica più comune nei paesi sviluppati, con una prevalenza globale che si stima essere intorno al 25%. Nei pazienti con diabete di tipo 2, la prevalenza può salire fino al 75%. Tuttavia, la prevalenza di MASH all’interno della popolazione con MASLD non è ben definita, ma i dati autoptici suggeriscono una prevalenza che va dal 3% al 6%. Studi prospettici condotti su popolazioni di pazienti adulti hanno evidenziato tassi di prevalenza di MASH che vanno dal 12% al 14%, mentre tra i pazienti morbosamente obesi sottoposti a chirurgia bariatrica, la prevalenza di MASLD è stata del 91%, con il 35% dei casi che hanno mostrato segni di MASH.

Le popolazioni ispaniche sembrano essere particolarmente a rischio per MASLD, mentre la prevalenza nelle popolazioni afro-americane è più bassa nonostante simili tassi di comorbidità. Le popolazioni asiatiche, inoltre, tendono a sviluppare forme più avanzate di MASLD a un indice di massa corporea (IMC) inferiore rispetto ai loro omologhi bianchi.

La genetica gioca un ruolo importante nella predisposizione a MASLD, con la presenza di varianti genetiche, come quella del gene PNPLA3 (patatin-like phospholipase domain-containing protein 3), associata a un aumento del rischio di sviluppare MASLD, spesso con maggiore infiammazione e fibrosi. Altri geni, come quelli coinvolti nella regolazione della glucokinase (GCKR), sono stati associati alla prevalenza e alla progressione della malattia.

Per quanto riguarda la distinzione tra MASLD e MASH, la biopsia epatica rimane la tecnica diagnostica di riferimento, mentre gli studi di imaging e l'elastografia sono strumenti utili per la valutazione iniziale e la stratificazione del rischio. L’utilizzo di sistemi di punteggio non invasivi permette di identificare precocemente i pazienti a rischio di evoluzione verso forme più gravi di malattia.

Infine, è fondamentale sottolineare che la steatosi epatica può essere causata da fattori diversi dall'insulino-resistenza, dall'obesità e dalla sindrome metabolica, come nel caso dell'epatite steatosica alcolica, che può presentarsi clinicamente e istologicamente come MASH. La distinzione tra le due condizioni si basa sulla storia di consumo di alcol, che se superiore a 20 g/giorno per gli uomini o 10 g/giorno per le donne, è un indicatore importante per una diagnosi differenziale.

Qual è il significato clinico delle modifiche nella definizione di HRS-AKI e il trattamento di pazienti con cirrosi?

Con l’aumento della steatoepatite non alcolica (NASH) e dei disturbi metabolici associati, come il diabete e l'ipertensione, che sono diventati una causa comune di cirrosi, sempre più pazienti con cirrosi presentano anche una malattia renale cronica strutturale sottostante. Questa condizione comporta nuove sfide nella gestione e nel trattamento di tali pazienti, i quali possono sviluppare una sindrome epatorenale (HRS), una complicanza che impatta la funzionalità renale.

Negli ultimi anni, la definizione di HRS è stata rivisitata e riformulata, distinguendo due fenotipi principali: HRS-AKI (in precedenza HRS-1) e HRS-NAKI (in precedenza HRS-2). L'HRS-AKI è definita come un incremento della creatinina sierica (sCr) ≥0.3 mg/dL nell’arco di 48 ore o un aumento ≥50% rispetto al basale, con una serie di criteri aggiuntivi che devono essere soddisfatti per la diagnosi. Questo cambiamento nella definizione consente ai medici di avviare il trattamento in stadi più precoci, migliorando le probabilità di risposta terapeutica e limitando i danni ai reni.

Per quanto riguarda l'HRS-NAKI, la riformulazione distingue tra la disfunzione renale acuta (AKD) e la malattia renale cronica (CKD). L'HRS-AKD è caratterizzato da una velocità di filtrazione glomerulare (eGFR) inferiore a 60 mL/min per 1,73 m² per meno di tre mesi, o da un aumento della creatinina sierica inferiore al 50% rispetto al basale, mentre l'HRS-CKD si manifesta quando la disfunzione renale persiste per oltre tre mesi. Queste distinzioni hanno implicazioni dirette sul trattamento e sulla prognosi dei pazienti.

Il trattamento dell'HRS deve essere tempestivo, in quanto l'HRS-AKI è una delle principali cause di insufficienza renale acuta (AKI) nei pazienti con cirrosi e ha una prognosi grave, con una sopravvivenza mediana di soli tre mesi. La gestione farmacologica si basa sull'espansione del volume con albumina in combinazione con vasocostrittori, come il terlipressina o la norepinefrina, che mostrano tassi di risposta compresi tra il 30% e il 50%. Se non si riscontra alcuna risposta dopo quattro giorni di trattamento con le dosi massime tollerate, la terapia può essere interrotta, ma può essere continuata fino a 14 giorni se vi è un miglioramento.

Inoltre, l'uso dell'albumina ha un ruolo cruciale nel miglioramento del flusso cardiaco, prevenendo la riduzione di quest'ultimo che può essere causata dal terlipressina quando somministrato da solo. Questo approccio combinato si è dimostrato particolarmente efficace nella reversibilità della sindrome. In alternativa, in assenza di terlipressina, si può ricorrere alla midodrina, un vasocostrittore α-1 adrenergico, che viene utilizzato quando gli altri farmaci non sono disponibili, ma con tassi di recupero renale generalmente inferiori.

Nel contesto della cirrosi, la sindrome epatorenale (HRS) è una delle complicazioni più pericolose, con un alto tasso di mortalità. La prevenzione dell’AKI in questi pazienti è essenziale e si concentra sull’evitare fattori scatenanti come emorragie gastrointestinali e infezioni batteriche, che sono fattori comuni di rischio per l’insorgenza dell'AKI. Ad esempio, la gestione della peritonite batterica spontanea (SBP) con albumina endovenosa in combinazione con antibiotici ha dimostrato di ridurre il rischio di danno renale. È inoltre importante che i pazienti con ascite persistente o refrattaria siano valutati per il trapianto epatico, poiché questi pazienti hanno una prognosi sfavorevole senza un intervento terapeutico radicale.

Il trattamento e la gestione della cirrosi con ascite e HRS richiedono una diagnosi precoce e una terapia tempestiva. Il miglioramento delle tecniche diagnostiche e delle opzioni terapeutiche, tra cui l'uso di vasocostrittori e l'albumina, ha portato a un miglioramento del trattamento di questi pazienti critici. Tuttavia, la decisione finale sulla gestione deve essere personalizzata in base alla gravità della malattia renale e alle condizioni generali del paziente, tenendo sempre in considerazione la possibilità di un trapianto epatico, che rimane l'opzione terapeutica definitiva per i casi più gravi.

Qual è la gestione iniziale e il trattamento successivo della volvulo-sigmoidea?

Un uomo di 82 anni con demenza si presenta al pronto soccorso da una struttura di assistenza con crampi addominali, gonfiore e stitichezza. L'esame fisico rivela un paziente stabile con una distensione addominale grave, senza segni di peritonite. L'esame radiografico addominale mostra un grosso loop dilatato del colon che parte dalla pelvi e si estende fino al diaframma, mentre la tomografia computerizzata (TC) conferma la diagnosi. Qual è la diagnosi e quale sarebbe il trattamento iniziale? Come gestire la condizione dopo un trattamento iniziale riuscito?

Il quadro clinico suggerisce una volvulo-sigmoidea, senza segni di peritonite o ischemia intestinale. Il trattamento iniziale prevede la rianimazione del paziente e la detorsione del sigma tramite sigmoidoscopia o colonscopia, con o senza l'inserimento di un tubo rettale. La detorsione endoscopica è fondamentale, poiché consente di risolvere la condizione senza dover ricorrere a un intervento chirurgico immediato. Se la detorsione ha successo, il passo successivo consiste nella preparazione intestinale per una sigmoidectomia semi-elettiva durante la stessa ospedalizzazione. È importante comprendere che il fallimento della detorsione endoscopica rappresenta un'indicazione per un intervento chirurgico immediato.

La sigmoidectomia, che implica la resezione della porzione di colon affetta dal volvulo, è spesso la soluzione a lungo termine. Tuttavia, la sua realizzazione dipende dall'evoluzione della condizione del paziente dopo il trattamento iniziale. In caso di successo della detorsione e stabilizzazione del paziente, l'intervento chirurgico può essere eseguito senza urgenza, ma durante lo stesso ricovero ospedaliero. Il trattamento chirurgico è più complesso in caso di complicazioni come la necrosi intestinale o la perforazione, che rendono la detorsione inefficace.

Il monitoraggio dopo l'intervento è cruciale. Una sorveglianza endoscopica regolare può essere appropriata per prevenire recidive, soprattutto nei pazienti anziani o con comorbidità che rendono più difficile la gestione delle complicanze. La terapia post-operatoria include la gestione dei disturbi elettrolitici, il controllo del dolore e la promozione di una ripresa funzionale adeguata del tratto intestinale.

Accanto alla risoluzione acuta, è fondamentale per i medici comprendere che i pazienti con volvulo-sigmoideo possono presentare fattori predisponenti come un colon anatomicamente dilatato o cronico. L'identificazione e la gestione di questi fattori possono ridurre il rischio di recidiva e migliorare gli esiti a lungo termine.

Nel trattamento dei pazienti con volvulo-sigmoideo, un elemento critico è l’approccio personalizzato in base alla salute complessiva del paziente. Per esempio, nei pazienti anziani o con demenza, il trattamento deve tenere conto non solo delle condizioni addominali acute, ma anche della gestione delle comorbidità neurologiche e psicologiche. La comunicazione chiara con i caregiver e la pianificazione di interventi non solo fisici ma anche psicologici sono essenziali per ottimizzare la cura del paziente.