Nel corso dei secoli, il modo in cui l'umanità ha registrato e diffuso gli eventi è cambiato radicalmente. Un tempo, le "meraviglie" del cielo e le creature mitologiche sulla terra erano al centro delle narrazioni, ma a partire dal XVI secolo, con la nascita del giornalismo, la realtà e la politica presero il posto del fantastico. Questo cambiamento rifletteva non solo l'evoluzione delle tecniche di scrittura, ma anche un mutamento profondo nell'orientamento della società.

Nel 1600, la notizia non riguardava più solo eventi straordinari, come avvistamenti di draghi o comete, ma si concentrava su eventi reali e tangibili. La transizione verso una "notizia" più sobria, spesso descritta in modo secco e senza enfasi, rappresenta il cambiamento di un'epoca che, pur mantenendo elementi sensazionalistici, cominciava a dare maggiore valore alla cronaca degli eventi concreti e alla loro documentazione precisa.

Un esempio di questa evoluzione può essere trovato nel racconto dell'esecuzione del re Carlo I d'Inghilterra nel 1649, pubblicato nella "Perfect Diurnal of Some Passages in Parliament" di Samuel Pecke. Mentre gli eventi straordinari e drammatici venivano spesso descritti con termini come "orribile" o "meraviglioso", Pecke scelse di riportare i fatti con un tono incredibilmente sobrio: "Il re, chinandosi, poggiò il collo sul ceppo, e dopo una breve pausa, allungando le mani, l'esecutore con un colpo separò la sua testa dal corpo". Senza bisogno di enfasi, Pecke continuò immediatamente con un resoconto dell'attività del Parlamento. Questa tecnica, così diversa dai toni emotivi degli scritti precedenti, segnava una nuova era di giornalismo, più concentrata sulla cronaca quotidiana piuttosto che sulla spettacolarizzazione degli eventi.

Nonostante la nascita del giornalismo vero e proprio, il 1605 vide la pubblicazione del primo vero giornale da Johann Carolus, a Strasburgo. Il suo "Relation aller Fürnemmen und gedenckwürdigen Historian" era più una raccolta di notizie periodiche che un giornale nel senso moderno del termine, ma segnò un passo fondamentale nel passaggio dalla scrittura manuale di avvisi alla stampa su larga scala. Carolus aveva compreso che, per fornire notizie tempestive ai suoi abbonati, era più efficiente produrre una pubblicazione stampata regolarmente piuttosto che continuare con la copia manuale delle informazioni. Nonostante non ottenesse inizialmente il privilegio per la sua impresa, il concetto di "notizie" stampate si consolidava e si preparava a diventare la norma.

Il giornalismo, da allora, non avrebbe più trattato solo di eventi strani o meravigliosi, ma si sarebbe focalizzato sull'attualità, sull'informazione continua e sulla documentazione degli avvenimenti politici, sociali ed economici, rispondendo così a una crescente domanda di conoscenza da parte del pubblico. Le innovazioni nella stampa avrebbero contribuito a questa transizione, portando a una diffusione delle notizie a un pubblico sempre più ampio.

Un altro passo fondamentale nella storia della stampa fu l'emergere di pubblicazioni periodiche più strutturate, come il "Mercurius Gallobelgicus" del 1596. Questo periodico, che documentava gli eventi bellici e politici in Belgio e nei Paesi Bassi, rappresentava un esempio di come la stampa potesse non solo informare ma anche interpretare la storia, fondendo passato e presente in un unico flusso di notizie. Il legame tra cronaca e storia, che sarebbe diventato un pilastro del giornalismo moderno, si consolidò in questi primi esempi di giornali periodici.

Tuttavia, è importante comprendere che la transizione da una stampa che raccontava storie meravigliose a una che documentava eventi concreti non fu immediata né lineare. Sebbene la sobrietà nel riportare le notizie fosse una caratteristica crescente, la tentazione di enfatizzare l'aspetto sensazionalistico non scomparve mai del tutto. La stampa, infatti, pur essendo più orientata verso la cronaca di eventi verificabili, ha sempre mantenuto un lato spettacolare, come si può notare nelle prime pubblicazioni che mescolavano resoconti militari con narrazioni drammatiche di battaglie.

Per il lettore moderno, comprendere l'evoluzione della stampa è cruciale non solo per apprezzare la sua storia, ma anche per capire come l'informazione è cambiata nel corso dei secoli. La stampa giornalistica moderna è il risultato di un lungo processo di trasformazione che ha avuto inizio con la registrazione di notizie straordinarie e che ha portato alla nascita del giornalismo come lo conosciamo oggi. Questo cambiamento ha avuto un impatto profondo sulla società, influenzando non solo il modo in cui le persone accedono all'informazione, ma anche come interpretano e reagiscono agli eventi che accadono nel mondo.

La fotografia come testimonianza: realtà e finzione nel giornalismo visivo

Nel corso della storia del giornalismo visivo, l'immagine fotografica ha sempre rivestito un ruolo fondamentale nella costruzione della "verità". Tuttavia, la fiducia nella capacità della fotografia di trasmettere un'informazione imparziale e accurata è sempre stata problematica, poiché ogni fotografia, anche la più apparentemente oggettiva, porta con sé un certo grado di manipolazione, volontaria o involontaria. A partire dai primissimi esperimenti fotografici, è emerso con chiarezza che la fotografia, per quanto potente, non può essere considerata la verità assoluta, ma solo una versione selezionata e mediata della realtà.

Nel contesto del photojournalism, la manipolazione delle immagini è diventata una pratica sempre più comune. Non si tratta solo di interventi espliciti, come il ritocco digitale, ma anche di scelte più sottili, come la composizione dell'immagine o l'inquadratura, che possono influenzare profondamente la percezione del pubblico. Prendiamo ad esempio il caso di Robert Capa, il celebre fotografo della guerra civile spagnola. Il suo scatto più famoso, che ritrae un soldato lealista morente, è stato oggetto di numerose speculazioni. Molti si chiedono se l'immagine sia frutto di una pura casualità o se, invece, Capa abbia in qualche modo "manipolato" la scena per ottenere il colpo perfetto. La verità, probabilmente, si trova nel mezzo, come spesso accade: l'immagine non è mai solo un riflesso del "reale", ma una sua interpretazione.

Analogamente, il mondo del cinema e della filmografia ha affrontato problematiche simili. Fin dai primi anni del Novecento, i cineasti hanno messo in scena eventi storici, talvolta riproducendoli fedelmente, altre volte ricorrendo alla finzione più totale. Un esempio emblematico è quello di Georges Méliès, che, pur essendo uno dei pionieri del cinema, si dedicò a filmare scene di guerra finte, come la "Sottomissione di Tournavos", ricreata in uno studio parigino con l'ausilio di attori e scenografie artificiali. La capacità di manipolare la realtà attraverso la tecnologia cinematografica ha quindi fatto sì che anche le immagini in movimento, come quelle statiche, non siano mai completamente affidabili.

Nel contesto giornalistico, l'importanza della didascalia diventa cruciale. Come osserva Roland Barthes, una semplice didascalia può "caricare" l'immagine di significati, morali e interpretazioni culturali, trasformandola in qualcosa di più complesso rispetto alla semplice documentazione. Una fotografia, senza il contesto che la accompagna, può facilmente essere fraintesa. Prendiamo come esempio una foto che ritrae un pugno in faccia: senza spiegazioni, l'immagine potrebbe sembrare violenta e ingiustificata, ma se il testo che la accompagna rivela che si trattava di una scena messa in scena per uno spettacolo teatrale o una simulazione per un reportage, la lettura cambia radicalmente.

Queste problematiche non riguardano solo la fotografia o il cinema, ma investono in generale la natura stessa della rappresentazione visiva. Ogni medium che cerca di riprodurre la realtà è, in un certo senso, intrinsecamente incline alla distorsione. Non è tanto l'errore o la manipolazione intenzionale a renderla meno veritiera, quanto la comprensione che nessuna rappresentazione visiva può mai essere completamente neutrale o oggettiva. L'intervento umano, in qualsiasi forma, gioca sempre un ruolo, anche quando si cerca di evitare la finzione.

Tuttavia, la comprensione critica di queste dinamiche è fondamentale per il lettore o lo spettatore di oggi. È essenziale che chi fruisce di immagini fotografiche o filmiche non le accetti mai come pura realtà, ma che sviluppi una capacità di lettura critica. Le immagini devono essere viste non solo come documenti di un evento, ma come prodotti di una cultura, di una visione del mondo, e, a volte, anche di una manipolazione deliberata. L'arte della fotografia e del cinema non è solo quella di catturare un "momento decisivo", ma quella di interpellare continuamente il pubblico riguardo alle modalità in cui i "fatti" vengono selezionati e presentati.

Il concetto di "verità" nell'era dei media visivi è quindi relativo, fluido e facilmente influenzabile. In un mondo in cui le immagini e i video sono diffusi con una rapidità senza precedenti, è più importante che mai che il pubblico sviluppi una consapevolezza critica rispetto alla natura delle immagini che consumano. La distorsione della realtà, che può essere una scelta consapevole o una semplice necessità di narrazione, è una pratica che, sebbene presente fin dagli inizi del giornalismo visivo, è oggi più che mai pervasiva. Il lettore deve essere consapevole che ogni immagine, ogni scena filmica, porta con sé un mondo di significati non sempre evidenti a prima vista.

Come la psicologia sperimentale ha modellato la comprensione dell'aggressività infantile

Il famoso esperimento condotto da Albert Bandura nel 1961, noto come lo studio sul "Bobo Doll", è diventato un pilastro nella psicologia comportamentale, illustrando come i bambini possano imitare comportamenti violenti osservati in altri. Nella stanza dell'esperimento, erano presenti vari giocattoli, tra cui una bambola Bobo di circa un metro e mezzo, progettata per essere colpita. I bambini, divisi in gruppi aggressivi e non aggressivi, hanno riprodotto comportamenti fisici e verbali aggressivi simili a quelli degli adulti che avevano visto interagire con la bambola. Il gruppo non aggressivo, al contrario, non ha mostrato segni di aggressività imitativa.

Tuttavia, questo esperimento, pur dimostrando che i bambini tendono a imitare comportamenti violenti osservati, solleva anche dubbi metodologici significativi. Nonostante la sua apparente semplicità, la ripetizione dell'esperimento ha prodotto risultati differenti, suggerendo che variabili come la familiarità pregressa con i giocattoli possano influenzare notevolmente il comportamento dei partecipanti. Bandura, infatti, ha condotto questo esperimento in un contesto estraneo, con bambini che erano perlopiù figli di accademici di Stanford, e con modelli che non erano parte dell’ambiente naturale dei bambini. Inoltre, l'oggetto della violenza era un giocattolo progettato per essere colpito, il che potrebbe aver alterato le risposte dei bambini rispetto a una situazione in cui fossero stati esposti a violenza diretta o a un ambiente meno artificiale.

Questi dettagli ci ricordano i limiti e i pericoli della metodologia sperimentale, in particolare quando si tenta di fare generalizzazioni su fenomeni complessi come il comportamento umano. Gli esperimenti comportamentisti, pur essendo illuminanti, sono spesso lontani dalla "realtà" in cui i comportamenti si sviluppano. La stessa teoria del comportamento imitativo, che sembrava così ovvia negli anni '60, è stata interpretata erroneamente per decenni come una prova della pericolosità dei media violenti, come la televisione. Il caso del "Bobo Doll", infatti, è stato erroneamente associato all'effetto della violenza sui bambini, con un panico morale che dura da decenni. La realtà, però, è che il contesto di osservazione e l'artificialità dell'esperimento non permettono di trarre conclusioni definitive sui reali effetti della violenza sui bambini.

Inoltre, la psicologia come scienza dura, in particolare la sua versione positivista, ha ricevuto critiche da figure come Thomas Kuhn, che ha argomentato che la psicologia si trovasse ancora in uno "stadio pre-paradigma", incapace di considerarsi una scienza maturo e definita come la fisica o la biologia. L’esempio di Bandura, che ha dimostrato chiaramente come i bambini possano imitare comportamenti violenti, non deve far dimenticare che la comprensione umana è complessa e che il comportamento non può essere ridotto a una semplice reazione agli stimoli.

La scienza comportamentista, che sottolinea la riproduzione di comportamenti osservati, è solo una parte della storia. Quando si analizzano i comportamenti umani, è essenziale non ridurre tutto a stimoli e risposte. Come osservato anche in altre discipline, come il giornalismo investigativo, che utilizza tecniche interventistiche per rivelare corruzione o ingiustizie, i metodi scientifici non sempre possono essere applicati in modo lineare alla vita reale. L'oggettività tanto rivendicata dalla scienza comportamentale è difficile da mantenere, soprattutto quando si trattano variabili umane ed esperienziali che sfuggono alla rigida classificazione dei dati.

Infine, pur nell’ambito della psicologia, è fondamentale non dimenticare l’importanza della soggettività. Anche se l’approccio comportamentale fornisce risposte concrete e misurabili, l’interpretazione della psiche umana non può limitarsi a questa. Per comprendere veramente l’aggressività, per esempio, è necessario considerare non solo l’aspetto comportamentale, ma anche quello emotivo, sociale e culturale. La psicologia, infatti, non è solo la scienza che misura le risposte a stimoli, ma anche quella che cerca di comprendere i significati profondi dietro il comportamento umano, un obiettivo che solo un approccio più "morbido" può raggiungere.

Come la disinformazione è diventata uno strumento di manipolazione sociale e politica

La disinformazione, un fenomeno che affonda le radici nella storia dei mezzi di comunicazione, ha assunto un ruolo centrale nella nostra epoca, diventando una delle principali armi di manipolazione sociale e politica. Con l'avvento dei media digitali, e in particolare di internet, la diffusione di informazioni errate o distorte è diventata non solo più facile, ma anche più difficile da tracciare, con un impatto diretto su come percepiamo il mondo che ci circonda.

Nel corso dei secoli, la disinformazione è stata utilizzata come strumento di potere. I giornali, fin dai primi giorni della stampa, sono stati il mezzo privilegiato per diffondere informazioni, ma anche per manipolare l'opinione pubblica. I "corantos" del XVII secolo, i primi fogli di notizie, erano spesso manipolati per riflettere le opinioni di chi li controllava. La stampa non solo informava, ma costruiva anche una narrazione che serviva agli interessi di pochi. Con l'evoluzione dei media, la disinformazione ha continuato a fare parte di questo processo, modificando la realtà percepita da milioni di persone.

Nel contesto moderno, la disinformazione si manifesta in molteplici forme. Tra le più rilevanti ci sono le cosiddette "fake news", notizie volutamente false create per ingannare l'opinione pubblica, e la manipolazione dell'informazione digitale. Le tecnologie emergenti, come l'editing delle immagini e la creazione di video manipolati, amplificano questo fenomeno. Il bombardamento di notizie false ha raggiunto livelli senza precedenti grazie alla facilità con cui le informazioni si diffondono attraverso i social media. A volte si tratta di storie inventate, altre volte si tratta di verità parziali o presentate fuori contesto, ma sempre con l'intento di manipolare la percezione collettiva.

La crescente influenza delle piattaforme come Facebook, Twitter e Google ha creato nuovi "gatekeepers" dell'informazione. In passato, chi controllava i mezzi di comunicazione era un gruppo ristretto di editori e proprietari di giornali. Oggi, questi gatekeepers sono algoritmi che determinano quale contenuto viene mostrato agli utenti e quale no, con un impatto diretto sul flusso delle informazioni. Se da un lato questa democratizzazione dei mezzi di comunicazione ha dato a molti la possibilità di esprimersi, dall'altro ha creato un ambiente dove le notizie false possono viaggiare velocemente, raggiungendo milioni di persone in poche ore.

Un altro aspetto da considerare è il "confirmation bias", ovvero la tendenza delle persone a cercare e credere solo in quelle informazioni che confermano le loro convinzioni preesistenti. Questo fenomeno è amplificato dai social media, dove gli algoritmi personalizzano i contenuti in base ai nostri interessi, rinforzando così le nostre opinioni senza darci la possibilità di metterle in discussione. Ciò crea delle bolle informative, dove le persone sono esposte solo a un tipo di contenuto e non sono in grado di sviluppare una visione più equilibrata e critica del mondo.

Il fenomeno della disinformazione non è solo un problema di informazione errata, ma è strettamente legato alla politica. Le campagne elettorali moderne, come quella presidenziale negli Stati Uniti nel 2016, sono state pesantemente influenzate da tecniche di manipolazione dei dati e dalla diffusione di notizie false. Cambridge Analytica, una società di consulenza politica, è diventata famosa per aver raccolto enormi quantità di dati personali da Facebook per influenzare il voto degli elettori. Questo esempio dimostra come la disinformazione possa essere utilizzata per scopi politici, minando la fiducia nelle istituzioni democratiche.

Oltre alle sue implicazioni politiche, la disinformazione ha anche un impatto sulla nostra vita quotidiana. Essa influenza la nostra percezione della realtà, la nostra comprensione degli eventi storici e la nostra capacità di prendere decisioni informate. Le notizie false sulla salute, come quelle relative ai vaccini, hanno contribuito a creare paure irrazionali e a mettere a rischio la salute pubblica. Le fake news sulla scienza e sull'ambiente hanno ostacolato gli sforzi per affrontare crisi globali come il cambiamento climatico. La disinformazione mina la nostra capacità di fare scelte consapevoli e di vivere in una società informata e razionale.

Il ruolo dei media tradizionali, come la televisione e i giornali, continua ad essere fondamentale. Tuttavia, con la crescente dipendenza dai social media per l'informazione, la responsabilità di garantire un'informazione corretta e verificata è più che mai nelle mani di tutti noi. Non basta più fidarsi di un titolo o di una notizia che ci arriva sul nostro smartphone. È essenziale imparare a distinguere tra fonti affidabili e quelle che invece alimentano la disinformazione. Questo richiede una nuova alfabetizzazione mediatica, che non si limita solo a saper leggere o scrivere, ma anche a comprendere come le informazioni vengono prodotte, distribuite e manipolate.

La responsabilità di fermare la disinformazione non spetta solo ai giornalisti e ai governi. Ogni cittadino deve diventare più consapevole delle sue abitudini di consumo dell'informazione e sviluppare un pensiero critico. Dobbiamo imparare a mettere in discussione ciò che leggiamo e sentiamo, verificando le fonti e cercando conferme. In un mondo dove le notizie false e la manipolazione delle informazioni sono sempre più diffuse, la nostra capacità di discernere la verità è la chiave per proteggere la democrazia e la nostra stessa libertà.