Nel gennaio del 2021, la classe dirigente repubblicana si trovò davanti a un bivio storico. Dopo l’assalto al Campidoglio, la possibilità di liberarsi dall’eredità tossica di Donald Trump sembrava concreta. Le dimissioni di Betsy DeVos ed Elaine Chao, i governatori repubblicani del Nordest che chiedevano la sua resa, e le parole di Kevin McCarthy — “ho finito con questo tipo” — lasciavano intravedere una breccia morale. Ma la breccia si richiuse in pochi giorni.
Quando Liz Cheney chiese ai suoi colleghi di sostenere l’impeachment, il partito ebbe davanti a sé una via d’uscita pulita, un’occasione per disintossicarsi dal culto del leader. Cheney pronunciò parole durissime: il presidente aveva convocato la folla, l’aveva accesa, e non aveva mosso un dito per fermarla. Ma solo dieci repubblicani votarono con i democratici. Lo stesso McCarthy, che aveva dichiarato Trump “responsabile dell’attacco al Congresso”, si recò due settimane dopo a Mar-a-Lago per sorridere accanto a lui. Poco dopo, avrebbe sostenuto che il presidente “non aveva alcun coinvolgimento” nei fatti del 6 gennaio.
Mitch McConnell seguì lo stesso copione. Dopo aver votato per l’assoluzione, pronunciò un discorso infuocato in cui definì Trump “praticamente e moralmente responsabile” dell’insurrezione, colpevole di avere alimentato una valanga di falsità, teorie del complotto e retorica incendiaria. Ma appena dodici giorni dopo affermò che avrebbe “assolutamente” sostenuto Trump se fosse stato il candidato del 2024. Entrambi, McConnell e McCarthy, bloccarono la creazione di una commissione indipendente sull’assalto al Campidoglio. Il messaggio era chiaro: la sopravvivenza del partito contava più della verità.
La fedeltà al leader non era solo ideologica ma economica. Trump controllava la macchina delle donazioni, raccogliendo centinaia di milioni di dollari dopo la sconfitta elettorale, alimentando la narrativa della “vittoria rubata”. Rompere con lui avrebbe significato perdere il sostegno di milioni di elettori e rischiare la frattura definitiva della destra americana. Così, anche dopo aver incitato la violenza e minato le istituzioni, Trump rimase il centro gravitazionale del Partito Repubblicano.
Ciò che emerse non fu solo la paura politica, ma la trasformazione di un intero partito in un ecosistema di disinformazione. Per anni, Trump aveva diffuso menzogne con la costanza di un meccanismo propagandistico: il “firehose of falsehood”, un getto continuo di falsità che confonde, intrattiene, satura. Più di trentamila dichiarazioni false o fuorvianti, secondo il Washington Post: una valanga di illusioni — dall’economia “più forte della storia” alla “gestione perfetta” della pandemia, fino al colpo di grazia, la grande menzogna delle elezioni rubate.
Questa narrativa paranoica divenne il cemento del nuovo populismo repubblicano. Rudy Giuliani, Sidney Powell e una schiera di avvocati e attivisti costruirono un universo parallelo in cui hacker italiani, software venezuelani e schede di bambù cinesi avrebbero ribaltato il voto americano. Ogni teoria, per quanto assurda, trovava spazio nelle reti cospirazioniste e nei canali di comunicazione legittimati dal leader stesso. Michael Flynn, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, arrivò a invocare la legge marziale. Tutto ciò con il tacito assenso di un partito che aveva scelto la sopravvivenza politica al posto dell’onestà.
Le menzogne si fecero struttura, il consenso divenne dipendenza. Quando la Corte Suprema respinse l’ultimo ricorso, la realtà legale si scontrò con una realtà psicologica: milioni di americani non potevano più credere ai fatti, solo al loro mito. Trump, che aveva perso con sette milioni di voti di scarto, riuscì comunque a trasformare la sconfitta in un’epopea vittimaria. E il partito, incapace di sciogliere quel vincolo emotivo, preferì tacere.
Importa comprendere che la storia del Partito Repubblicano dopo Trump non è solo quella di un fallimento morale, ma di un esperimento di manipolazione collettiva. La menzogna, quando diventa abitudine, smette di apparire come un inganno e si trasforma in identità. In questo spazio di autoinganno, la democrazia perde la propria lingua. La verità non scompare d’un colpo: viene corrotta, resa fluida, negoziabile. E quando la verità diventa negoziabile, anche la libertà lo diventa.
Come la “guerra spirituale” trasformò la politica americana: strategie occulte, paura e potere
Negli anni a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, la destra cristiana statunitense non fu soltanto un blocco elettorale compatto, ma una vera e propria macchina strategica, capace di operare con metodi da guerriglia. La logica era chiara: non esporre mai apertamente il proprio gioco, ma colpire in modo mirato e silenzioso. La “sneakiness”, l’arte di muoversi nell’ombra, non era percepita come un difetto morale, ma come una forma di intelligenza politica. In questa prospettiva, la campagna di Pat Robertson e della Christian Coalition rappresentò un punto di svolta: non solo una crociata religiosa, ma un progetto sistematico per ridisegnare l’equilibrio del potere politico americano.
Durante una delle più aspre battaglie elettorali, in North Carolina, il senatore repubblicano Jesse Helms rischiava di perdere il seggio contro Harvey Gantt, primo sindaco nero di Charlotte. Robertson ordinò di “passare all’azione” e in pochi giorni la Christian Coalition distribuì nelle chiese 750.000 guide per gli elettori, presentate come neutre ma pesantemente orientate a favore delle posizioni social-conservatrici su aborto, preghiera a scuola e diritti degli omosessuali. Telefonate mirate, pubblicità aggressive e milioni di volantini in diversi stati: una campagna parallela che sfuggì ai media tradizionali e che si rivelò decisiva. Helms vinse per poco più di centomila voti. La coalizione dimostrò che un’organizzazione religiosa, agendo sotto il radar, poteva spostare l’esito delle elezioni.
Questo nuovo potere non passò inosservato. Il Partito Repubblicano, pur diffidente verso l’irruzione dei “guerriglieri” social-conservatori, iniziò a considerarli un alleato indispensabile. Donazioni ufficiali arrivarono persino dal National Republican Senatorial Committee, mentre figure storiche della destra religiosa — da Phyllis Schlafly a Gary Bauer — partecipavano alle conferenze della Coalition. Robertson, parlando a Virginia Beach, definì apertamente l’obiettivo: entro il 1996 ottenere “una maggioranza operativa nelle mani dei cristiani pro-family”. Due settimane prima, la stessa strategia furtiva aveva portato i conservatori a trionfare nelle elezioni legislative della Virginia, sorprendendo persino i quadri del partito.
Ma dietro la tattica elettorale si celava un orizzonte teologico-politico più inquietante. Robertson non descriveva lo scontro come una semplice battaglia tra programmi politici, bensì come una “guerra spirituale” contro élite accademiche, finanziarie e governative che, a suo dire, avevano tradito la società americana. Non si trattava soltanto di battere avversari umani alle urne, ma di affrontare “forze sataniche”. I nemici politici erano presentati come strumenti inconsapevoli del diavolo. Da qui derivava un immaginario apocalittico in cui il “nuovo ordine mondiale” era il progetto ultimo: moneta unica, esercito unico, tribunale unico sotto il controllo delle Nazioni Unite e delle élite internazionali.
Questa narrazione trovò espressione piena nel libro di Robertson, The New World Order, un mosaico di teorie cospirative che fondeva Illuminati, Massoni, comunisti, banchieri europei e famiglie come i Rothschild in un’unica trama secolare per instaurare una dittatura collettivista e senza Dio. Secondo il predicatore, persino presidenti come Wilson, Carter e Bush avrebbero inconsapevolmente eseguito la missione di questa cabala luciferina. La guerra del Golfo del 1991, interpretata attraverso il prisma dell’Apocalisse, diventava segno imminente di un orrore mondiale capace di sterminare miliardi di persone.
Come Iniziare a Disegnare: Tecniche Fondamentali per Artisti
Il ruolo delle rivelazioni pubbliche: quanto veramente cambia la storia?
Come si stima il numero di soluzioni di sistemi di equazioni indeterminate modulari?
PROTOCOLLO DI DISACCORDO N° _ al Contratto N° _ del gg.mm.aaaa (di seguito "Contratto")
25 anni di ricordi: una festa indimenticabile per la Scuola №2 di Makarev
Modulo consigliato per la domanda di acquisto di azioni ordinarie della PAO «Aeroflot» per persone giuridiche ed enti pubblici registrati nel registro azionisti
Pianificazione delle lezioni di chimica per la classe 8B/M

Deutsch
Francais
Nederlands
Svenska
Norsk
Dansk
Suomi
Espanol
Italiano
Portugues
Magyar
Polski
Cestina
Русский