La guerra navale di Filippo V di Macedonia nel 202 a.C. si inserisce in un contesto politico e militare segnato da alleanze instabili, ambizioni espansionistiche e la volontà di intervenire in una regione cruciale del Mediterraneo orientale. La seconda campagna navale del re macedone, pur non riuscendo a consolidare tutte le sue promesse, ha avuto conseguenze fondamentali per l’equilibrio geopolitico dell'area.

Dopo la morte del re Ptolemaio IV d'Egitto nel 205 a.C., la Macedonia e la Siria si trovarono a dover affrontare una delicata fase di transizione politica. Il figlio del defunto faraone, Ptolemaio V, era ancora un bambino, e la vacanza del potere nel regno egiziano offriva l'opportunità di estendere le proprie influenze. Filippo, che già da tempo mirava a guadagnare terreno nella regione, vedendo un'occasione propizia, strinse un'alleanza con il re seleucide Antioco III, con l’intento di spartirsi i territori egiziani.

Filippo, noto per le sue ambizioni di potenza marittima, intendeva estendere il controllo sui percorsi navali cruciali per l’economia mediterranea, in particolare sul Mare Egeo e sul Mar di Marmara, aree chiave per il commercio e la navigazione. La sua flotta, pur non sempre numerosa, rappresentava un fattore determinante in un momento in cui il dominio delle rotte marittime garantiva alle potenze regionali un controllo fondamentale sulle risorse e sulle alleanze strategiche.

Le azioni immediate di Filippo si concentrarono su città come Kios, Perinthos, Kalchedon e Lysimacheia. Tuttavia, oltre alla sua espansione navale, Filippo non esitò a ricorrere anche al saccheggio e alla coercizione, considerandoli strumenti necessari per finanziare e alimentare la sua macchina bellica. Questo approccio, però, gli alienò numerosi alleati: l'Aetolia, la città di Rodi e persino Prusia, che inizialmente lo sostenevano, iniziarono a guardare con sospetto le sue manovre politiche.

L’attacco alle città costiere del Mar Egeo e la subversione dell’alleanza tra le città di Kalchedon e Bisanzio, che Filippo aveva creato per contrastare la crescente influenza di Rodi, segnarono un'importante fase della campagna. Filippo consolidò il suo potere nella regione della Propontide, strappando alleanze alle città che fino ad allora avevano costituito una sorta di barriera contro le sue mire espansionistiche.

Un ulteriore elemento che influenzò la sua campagna fu la mancata realizzazione di alcune promesse fatte ad Antioco III. Sebbene i due sovrani avessero raggiunto un accordo, in cui si impegnavano a sostenersi a vicenda in caso di attacco, in particolare contro Egitto e Cipro, i risultati furono al di sotto delle aspettative. Antioco, pur avendo il controllo di vaste aree terrestri, non riuscì mai a soddisfare pienamente le necessità di Filippo in ambito logistico, e Filippo, pur avendo una flotta ben equipaggiata, non riuscì ad assicurare un valido supporto navale per le ambizioni terrestri di Antioco.

Le tensioni tra i due sovrani, alimentate da una reciproca diffidenza, portarono a una graduale disillusione e alla frustrazione di entrambe le parti. Sebbene i due regni condividessero interessi comuni, come la divisione dei territori egiziani, entrambi erano consapevoli della fragilità dell'alleanza e delle possibili ripercussioni sul piano interno.

Il conflitto con la potente Rodi, che tra l’altro stava consolidando una propria potenza navale, divenne una delle questioni principali nel quadro delle guerre del Mediterraneo orientale. La lotta per il dominio delle rotte commerciali e il controllo di città chiave come Myrina e Thasos rappresentarono un banco di prova non solo per Filippo, ma per tutta la strategia marittima dei sovrani coinvolti.

A questo si aggiunse la questione del controllo delle isole dell'Egeo. Queste isole, pur sotto la protezione nominale di Ptolemaios, erano infatti oggetto delle mire di molte potenze, tra cui la Macedonia. L'occupazione delle isole cicladiche da parte di Filippo, sebbene non sempre coronata dal successo, evidenziò la centralità della guerra navale in questo periodo di instabilità. Nonostante le difficoltà e i fallimenti parziali, il re macedone continuò a perseguire i suoi obiettivi, convinto che la flotta rappresentasse la chiave per il predominio nella regione.

La seconda campagna navale di Filippo V, dunque, segnò una tappa fondamentale nella sua politica espansionistica, che, sebbene non coronata da successi determinanti, gettò le basi per l'ingerenza macedone nel Mediterraneo orientale e il coinvolgimento della Macedonia in conflitti che avrebbero definito il destino della regione.

Oltre ai dettagli di questa campagna, è importante notare che le sue azioni non solo riflettevano le ambizioni di potere, ma anche un tentativo di stabilire un nuovo ordine regionale che si scontrava con le aspirazioni di altre potenze. Le scelte di Filippo non furono mai disinteressate: il suo controllo delle rotte marittime e delle città chiave non solo rispondeva a necessità di dominio territoriale, ma anche alla necessità di finanziamento delle sue forze armate, che spesso si facevano mantenere con il saccheggio e l'imposizione di alleanze forzate.

Come le Campagne Navali alleate nei Balcani Influirono sulle Guerre del III Secolo a.C.

Galba, giunto tardi nell'anno in Epiro con il suo generale Nikanor, inviò una flotta e un esercito (P.16.27.1, 1.31.14.10) per essere accolto dagli ambasciatori ateniesi, i quali, sotto la guida di Filocle, gli chiesero di sollevare l'assedio sulla loro città. Immediatamente, Galba inviò venti navi con mille soldati ad Atene, una forza esigua, considerando che il re Ptolemaico non stava conducendo personalmente l'assedio, ma in quel preciso momento stava affrontando Abydos, dopo aver già tentato di affrontare in battaglia navale i Rodi e Attalo senza successo. Nonostante ciò, il morale di Galba era alto, alimentato dalla sua natura bellicosa e dall'alleanza con Antiochos. Successivamente, Livio (31.14.11) racconta come Attalo e i Rodi si fossero spinti fino a Egina, mentre Filippo, dopo essere sfuggito a Bargylia, si dirigeva verso casa, inseguito dalle forze alleate.

Le operazioni navali alleate cominciarono ufficialmente nel 199 a.C., quando la flotta romana, sotto il legato Apustio, salpò da Corcira. Con l'aiuto delle informazioni ottenute da alcuni rifugiati di Calcide, Apustio decise di attaccare la città, approdando a Chalcis, ma fu costretto a ritirarsi dopo averla razziata, poiché non aveva forze sufficienti per mantenerla. La città rappresentava un'importante rotta commerciale e una base navale strategica, e la sua perdita avrebbe messo in difficoltà Filippo. La flotta romana, unita a quella di Attalo e dei Rodi, prese poi di mira le altre città costiere della Grecia, ma gli attacchi navali non sempre ebbero successo. L'assalto a Cithnos, ad esempio, fu abbandonato per mancanza di risorse e forze adeguate.

Nel frattempo, Filippo, che aveva appena lasciato Demetrias, aveva disposto la sua flotta a Peparethos e Skiathos per ostacolare l'operazione alleata. Nonostante l'abilità di Filippo nel gestire la flotta e la difesa della sua costa, la pressione costante delle forze alleate cominciò a farsi sentire. Il re macedone si vide costretto a rispondere ai vari attacchi: la flotta di Attalo e Apustio, rinforzata dalla presenza di venti navi dei Rodi, agì da una posizione di superiorità navale, mettendo in difficoltà le difese di Filippo.

Un altro episodio significativo fu l'alleanza navale tra i Romani e i Rodi, che arrivò a costituire una forza determinante contro la Macedonia. L'azione congiunta di questi alleati nell'attacco a Oreos sull'Eubea rappresentò un momento di grande successo. Nonostante un'iniziale sconfitta in battaglia di cavalleria a Ottolobos, Sulpicio, il comandante romano, non si arrese. Con l'aiuto delle navi romane e delle forze alleate, riuscì a penetrare nel cuore del territorio macedone, indebolendo ulteriormente la posizione strategica di Filippo.

La preparazione di Filippo per un nuovo conflitto, sia terrestre che navale, divenne evidente con l'assemblaggio delle sue forze a Demetrias, e la sua decisione di inviare una flotta per contrastare quella alleata. Ma nonostante gli sforzi, l'assalto alleato al Macedone non si fermò, e la strategia navale divenne uno degli aspetti decisivi nel conflitto.

Il contesto geopolitico del 199 a.C. ci mostra una lotta intestina tra diverse fazioni di alleati e nemici, che lottano per il controllo delle principali vie di comunicazione e delle città chiave. Le navi e i porti costieri rappresentano non solo risorse militari fondamentali, ma anche il centro della strategia di guerra. In effetti, il controllo delle rotte marittime si rivelò cruciale nel determinare la superiorità o inferiorità di una parte rispetto all’altra.

L’impatto della superiorità navale alleata non si limitò a minare la difesa di Filippo; essa modificò l’andamento stesso delle guerre greco-romane, imponendo nuove alleanze e rivelando l'importanza crescente del potere marittimo. Nonostante la stanchezza delle forze alleate, la lotta navale rimase uno dei temi principali. Attalo, Sulpicio e Apustio, pur con difficoltà e occasionali fallimenti, raggiunsero una crescente affermazione nelle operazioni contro la Macedonia, testimoniando come, nella guerra antica, anche un piccolo vantaggio marittimo potesse cambiare le sorti di intere campagne.

Come si svilupparono le navi da guerra fenicie e corinzie nel VIII secolo a.C.?

Nel contesto della storia navale antica, i progressi tecnologici delle navi da guerra sono fondamentali per comprendere le dinamiche di potere marittimo e le strategie militari. In particolare, la transizione dalle navi a un solo livello di remi a quelle a più livelli segna un punto cruciale nell'evoluzione delle flotte antiche, come dimostrato dai dettagli delle navi fenicie e corinzie del VIII secolo a.C. Analizzando i rilievi di Ninive e i frammenti di vasi geometrici, possiamo dedurre le caratteristiche di queste imbarcazioni, i loro sistemi di remi e le ragioni per cui questi cambiamenti sono stati necessari.

Le navi fenicie, come rappresentato in un rilievo di Ninive, erano dotate di un sistema di remi a due livelli, ma con un importante cambiamento rispetto ad altri tipi di imbarcazioni. Queste navi, progettate principalmente per la guerra, avevano una prua e una poppa curvate verso l'alto. Inoltre, il ponte di coperta era dotato di una struttura che permetteva di ospitare rematori a più livelli, anche se questo comportava una perdita di capacità di carico. La disposizione delle stazioni dei rematori variava, e talvolta era visibile una sezione vuota sotto il parapetto, segnalando la presenza di rematori che operavano a livelli superiori, forse per motivi tattici.

Un altro tipo di nave rappresentato in questi rilievi mostra un sistema di remi più complesso, con sedici remi disposti su due livelli. La prua era fortemente appuntita e armata con un rostro in bronzo, caratteristica distintiva delle navi da guerra. Questa imbarcazione si distingueva per la sua altezza rispetto alla linea di galleggiamento, un tratto che era anche visibile nelle navi fenicie. L'altezza sopra la linea di galleggiamento, che appariva come una serie di spazi aperti alternati a aree coperte da scudi, suggeriva una differenza significativa tra navi ausiliarie e navi da combattimento.

Questa complessità nelle strutture e nel design delle navi rifletteva non solo l'evoluzione della guerra navale, ma anche le esigenze specifiche di velocità e manovrabilità nelle operazioni marittime. La presenza di rematori non sempre allineati a livello superiore, con spazi vuoti sopra di loro, implica che le navi fenicie potessero aver avuto difficoltà nel reperire un numero sufficiente di rematori, motivo per cui le navi venivano progettate in modo da ridurre al minimo l'impiego del livello superiore dei remi durante le operazioni a lungo raggio.

Le navi corinzie, sebbene non completamente documentate nei rilievi di Ninive, mostrano una chiara influenza delle tecniche fenicie, ma con un'evoluzione significativa nelle loro caratteristiche. L'adozione di un sistema di remi a tre livelli, che si sviluppò parallelamente in Fenicia e Corinto, rappresenta un esempio di innovazione tecnica, necessaria per far fronte alla crescente competizione tra potenze marittime. Questo sistema a tre livelli consentiva una maggiore velocità e capacità di manovra, rendendo le navi corinzie più adatte per la guerra navale in acque aperte e per attacchi rapidi.

Le navi corinzie erano progettate con una forma più slanciata e una prua più pronunciata, spesso decorata con il volto di un cinghiale, come indicato da alcune monete di Zankle-Messana. La presenza di un sistema a più livelli di remi e la progettazione della prua con una "testa di cinghiale" suggeriscono che queste imbarcazioni non solo erano più adatte per la guerra, ma anche per manovre rapide, capacità di carico e l'adozione di una struttura progettata per resistere a sfide navali dirette.

Con l'evoluzione del design navale e l'adozione di sistemi a più livelli, le navi diventavano simboli di potere, ma anche di necessità economiche e strategiche. Le differenze tra le imbarcazioni fenicie e corinzie riflettono le distinte priorità e capacità dei due popoli, e, sebbene simili, i modelli di sviluppo erano in parte indipendenti, rispondendo a pressioni politiche e commerciali specifiche.

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Come la Moneta Sidoniana Rifletteva le Innovazioni Navali del IV Secolo a.C.

Nel corso del IV secolo a.C., un periodo di transizione nelle raffigurazioni di navi da guerra, la moneta sidoniana ha giocato un ruolo fondamentale nell'illustrare le innovazioni e i cambiamenti nella progettazione delle navi da guerra fenicie. La moneta, pur non essendo una fonte storica diretta come altre testimonianze archeologiche, è diventata uno strumento potente per comprendere l'evoluzione delle pratiche navali e le influenze che queste modifiche avevano sulla cultura marittima del Mediterraneo orientale.

A partire dalla seconda metà del V secolo a.C., quando le navi sidoniane non superavano generalmente le dimensioni di un trireme, le monete cominciano a mostrare navi senza remi, caratterizzate da un ponte decorato con una fila di scudi e da una vela triangolare non spiegata. Questi simboli sembrano racchiudere in modo conciso l'essenza di un vascello di tipo "tre", probabilmente dotato di una struttura di supporto come un napef,ezpeaia. In altre parole, la rappresentazione sulla moneta diventa un breve ma denso simbolo di un vascello militare, privo di remi visibili ma con una struttura particolarmente enfatizzata nella parte superiore della nave.

Con il proseguire del secolo, i cambiamenti nelle monete diventano ancora più evidenti. Le navi sono ora rappresentate con remi, sebbene in modo stilizzato. Piuttosto che emergere realisticamente dal fianco della nave, i remi vengono posti sotto la chiglia, un design che sembra più simbolico che realistico. Questo è particolarmente evidente nelle monete di Ba'alshallim II, che mostrano navi con remi "a livello" sotto la chiglia, una tecnica che suggerisce l'idea di una nave con tre file di remi. La figura stilizzata della nave e l'assenza di dettagli precisi suggeriscono una maggiore enfasi sulla forma e sul simbolismo, piuttosto che sulla rappresentazione realistica della nave.

Anche nella moneta di Abd'astart II, che risale al 342/341-340/339 a.C., le navi continuano a essere rappresentate con orecchie irrealistiche e con una serie di remi disposti in modo non ortodosso. Questi disegni, seppur indicativi delle innovazioni tecniche, riflettono anche una fase di declino nella qualità dell'esecuzione artistica delle monete. Dettagli come gli scudi e la disposizione dei remi sembrano perdere la loro definizione e precisione, indicando forse una certa stanchezza nelle capacità artistiche o una mancanza di orgoglio nell'immaginare queste navi come simboli di potere.

Nel periodo successivo, sotto il regno di Tennes (357-348 a.C.), quando Sidone era direttamente sotto la dominazione persiana, il design delle monete subisce un ulteriore cambiamento. I remi vengono spesso rappresentati come una fila singola, senza livelli distinti, suggerendo una diminuzione del numero di remi sulle navi da guerra. Le immagini delle navi non hanno più la stessa solennità e la stessa attenzione ai dettagli che avevano nelle monete precedenti, quando le navi erano presentate con una grande cura nella loro forma e simbolismo.

Le immagini di navi nelle monete sidoniane non riflettono solo il declino della qualità artistica, ma anche i cambiamenti nelle pratiche navali e nella percezione della guerra da parte della civiltà fenicia. Le rappresentazioni sempre più stilizzate delle navi indicano una possibile mancanza di risorse o di interesse nel preservare la memoria della potenza marittima della città. Questo declino si riflette anche nelle testimonianze storiche, come quelle di Diodoro Siculo, che descrivono la flotta sidoniana durante l'invasione di Alessandro Magno nel 332 a.C. Quando Sidone venne scelta come base navale per l'assedio di Tiro, la flotta sidoniana era composta esclusivamente da triremi, che però non avevano più lo stesso valore simbolico di potenza che avevano avuto in passato.

L'evoluzione delle monete sidoniane, quindi, non è solo una questione di arte, ma anche di cambiamenti nella realtà politica e militare della città. La progressiva stilizzazione e il ridotto dettaglio nella rappresentazione delle navi sembrano testimoniare non solo una difficoltà tecnica, ma anche un cambiamento nell'approccio alla guerra navale. Le monete, una volta veicolo di rappresentazione della potenza e della superiorità navale, diventano un riflesso di una civiltà che stava entrando in un periodo di declino. Tuttavia, queste stesse monete offrono anche uno spunto interessante su come le civiltà antiche utilizzassero l'arte e la numismatica per raccontare non solo le proprie vittorie, ma anche i segni di una perdita di influenza e di un cambiamento nell'ordine geopolitico.