La magnetizzazione nei materiali ferromagnetici si basa sul concetto di domini magnetici, ovvero regioni microscopiche all’interno del materiale in cui i momenti magnetici degli atomi sono allineati in una direzione comune. Questi domini sono separati da pareti di dominio, linee immaginarie lungo le quali la direzione del momento magnetico cambia gradualmente. Quando viene applicato un campo magnetico esterno (H), i momenti magnetici all’interno dei domini tendono ad allinearsi con il campo, provocando uno spostamento della parete di dominio nella direzione del campo stesso.

Il processo di magnetizzazione può avvenire in due modi principali: per crescita dei domini o per rotazione dei momenti magnetici. Nella magnetizzazione per crescita, i domini orientati favorevolmente rispetto al campo aumentano di dimensione a scapito degli altri, mentre nella magnetizzazione per rotazione, i momenti magnetici ruotano all’interno del dominio per allinearsi con il campo esterno. Questi fenomeni sono evidenziati nelle curve B–H, che descrivono la relazione tra la densità del flusso magnetico (B) e il campo magnetico applicato (H). In materiali ferromagnetici duri, come alcuni acciai, la curva non è una semplice linea retta: inizialmente la magnetizzazione cresce con il campo fino a un valore massimo, in cui tutti i momenti sono allineati.

Quando il campo magnetico viene ridotto a zero, la magnetizzazione residua, detta magnetizzazione remanente, non scompare del tutto, perché la riallineazione dei domini attraverso imperfezioni cristalline richiede un campo inverso significativo, chiamato forza coercitiva. La forza coercitiva rappresenta la resistenza del materiale alla smagnetizzazione: materiali con alta coercitività sono chiamati magneti permanenti e sono molto utili in applicazioni tecnologiche, poiché mantengono la loro magnetizzazione anche senza un campo esterno.

I magneti permanenti sono realizzati con leghe particolari di ferro, cobalto e nichel, spesso in combinazione con elementi come samario o neodimio. Questi materiali formano piccoli cristalli e contengono aree non magnetiche che ostacolano la crescita e la contrazione dei domini, aumentando così la coercitività. Il neodimio-ferro-boro è uno dei magneti più potenti e diffusi, grazie alla sua struttura tetragonale che favorisce l’allineamento magnetico lungo un asse cristallino specifico, conferendo alta coercitività e forte magnetizzazione remanente.

La schermatura magnetica è un altro aspetto pratico che si basa sulle proprietà magnetiche dei materiali. Per proteggere componenti elettronici sensibili da campi magnetici esterni o per confinare campi molto intensi, come quelli degli apparecchi per la risonanza magnetica, si utilizzano materiali magnetici “morbidi” con bassa coercitività e alta permeabilità magnetica. Questi materiali forniscono un percorso alternativo alle linee di campo magnetico, schermando così le zone da proteggere. Leghe come il mu-metal, una combinazione di nichel, ferro e molibdeno, sono ideali per questo scopo, grazie anche alla stabilità delle loro dimensioni e forma sotto campo magnetico.

Un’ulteriore distinzione importante riguarda i composti ferromagnetici e antiferromagnetici. Ad esempio, il biossido di cromo (CrO2), con struttura rutile, è un ferromagnetico con temperatura di Curie a 392 K. Questo materiale presenta una banda molto stretta di orbitali 3d che favorisce l’allineamento spontaneo dei momenti magnetici. Al contrario, molti ossidi di metalli di transizione, come MnO, FeO, CoO e NiO, sono antiferromagnetici: i momenti magnetici si allineano in modo cooperativo ma alternato, annullandosi a vicenda, causando una diminuzione della suscettività magnetica a temperature inferiori alla temperatura di Néel. Questo comportamento è spiegato dal meccanismo di super-scambio, in cui l’interazione magnetica avviene indirettamente tramite gli ioni ossigeno, favorendo l’allineamento antiparallelo degli spin su ioni metallici adiacenti.

L’osservazione sperimentale delle strutture magnetiche antiferromagnetiche si effettua tramite diffrazione di neutroni, che risponde sia alle posizioni nucleari sia ai momenti magnetici degli atomi, al contrario della diffrazione ai raggi X che considera solo la densità elettronica. Questa tecnica consente di studiare dettagliatamente l’ordine magnetico nei materiali.

È essenziale comprendere che il comportamento magnetico dei materiali non è determinato esclusivamente dalla struttura elettronica locale, ma anche dall’interazione tra elettroni su siti diversi del cristallo, mediata dalla natura chimica e geometrica del reticolo. La complessità dei fenomeni magnetici nei solidi dipende quindi dalla combinazione tra struttura cristallina, composizione chimica e dinamiche degli elettroni.

Oltre alle proprietà intrinseche del materiale, la microstruttura gioca un ruolo cruciale nella magnetizzazione e nelle caratteristiche dei magneti permanenti e delle schermature magnetiche. Difetti cristallini, dimensione e orientamento dei grani, tensioni interne e presenza di fasi non magnetiche influenzano fortemente l’andamento della curva di isteresi e, di conseguenza, le prestazioni magnetiche complessive. Un controllo accurato di questi fattori è fondamentale nelle applicazioni tecnologiche più avanzate, dal design di motori elettrici efficienti alle apparecchiature mediche di precisione.

La relazione tra magnetismo e struttura elettronica si estende anche alla distinzione tra materiali metallici, semiconduttori e isolanti, dove la localizzazione o delocalizzazione degli elettroni 3d determina il tipo di ordine magnetico e le proprietà elettriche. Queste correlazioni sono alla base dello sviluppo di nuovi materiali funzionali per spintronica e altre tecnologie emergenti.

Qual è la geometria delle strutture cristalline dei solidi e come influisce sulle loro proprietà?

La geometria degli atomi di nichel in un composto come il NiAs è ottaedrica, mentre gli atomi di arsenico sono disposti in una coordinazione trigonal-prismatica, con ogni atomo di arsenico situato al centro di un prisma trigonal formato da sei atomi di nichel. In questa struttura, il nichel occupa posizioni che si intersecano tra loro in un reticolo che permette un’interazione specifica con l’arsenico, creando un equilibrio dinamico tra le forze di legame e la disposizione spaziale degli atomi. Questi legami sono fondamentali per la stabilità della struttura e influiscono su proprietà come la conducibilità e la durezza dei materiali.

Nel caso della fluorite, il suo reticolo cristallino, tipico del CaF2, è costituito da un reticolo cubico centrato sulle facce (fcc) con gli ioni di calcio disposti a formare una rete, mentre gli ioni di fluoro occupano tutti i buchi tetraedrici di questo reticolo. Sebbene questa disposizione descriva correttamente la posizione relativa degli ioni, vi è un aspetto fondamentale da comprendere: gli ioni di calcio, essendo più piccoli rispetto agli ioni di fluoro, non potrebbero fisicamente occupare tali buchi in un’interpretazione strettamente geometrica. Tuttavia, il concetto di "coordinazione tetraedrica" per il fluoro risulta molto utile per comprendere le interazioni tra gli ioni e le loro proprietà chimiche. La struttura della fluorite, con una coordinazione di tipo 8:4, è tra quelle in cui si può osservare una particolare disposizione dei cationi e anioni, con una struttura che favorisce il movimento degli ioni in presenza di difetti strutturali, come spiegato nella sezione 7.2.

Nel caso dell’antifluorite, la disposizione degli ioni viene invertita rispetto alla fluorite, con i cationi che occupano i buchi tetraedrici in un reticolo di anioni. In un composto come il tellururo di litio (Li2Te), l'anione di tellurio si dispone in una struttura quasi compatta, anche se legata covalentemente. Sebbene il descrivere la struttura in termini di buchi tetraedrici tra gli anioni sembri appropriato, la configurazione effettiva degli ioni non è completamente compatta e ciò evidenzia la natura non completamente ionica di alcune di queste strutture.

Altri esempi includono il cloruro di cadmio (CdCl2) e l'ioduro di cadmio (CdI2), che presentano una struttura basata sull’impacchettamento ravvicinato degli anioni, con i cationi che occupano metà dei buchi ottaedrici, con una coordinazione 6:3. Questo ordinamento particolare degli ioni è cruciale per determinare la natura dei legami chimici e il comportamento dei composti in condizioni variabili, come quelle che si incontrano nella conduzione ionica.

Strutture come quella del rutilo (TiO2) presentano un caso interessante di coordinazione 6:3, dove ogni atomo di titanio è circondato da sei atomi di ossigeno disposti ai vertici di un ottaedro, ma la struttura non è compatta. Questo tipo di struttura è tipico dei materiali con un alto indice di rifrazione, come nel caso dei pigmenti bianchi utilizzati nell'industria della pittura e della plastica. La formazione di catene di ottaedri TiO6 legate agli angoli fornisce una visione più chiara della disposizione atomica e delle potenziali applicazioni dei materiali con questa struttura.

Nel caso della β-cristobalite, un'altra forma di silice (SiO2), gli atomi di silicio sono legati tra loro da atomi di ossigeno, con una coordinazione tetraedrica che riflette la direzionalità dei legami covalenti. In questo caso, la struttura non è ionica, ma covalente, un aspetto che deve essere tenuto presente per comprendere le proprietà fisiche e chimiche di tali materiali. Un altro esempio che adotta una struttura simile è il berillio fluoruro (BeF2), dove il berillio è coordinato tetraedricamente dagli atomi di fluoro.

Con l’aumentare della valenza del metallo, i legami nei solidi binari diventano sempre più covalenti. Le strutture cristalline ad alta simmetria che caratterizzano i composti ionici divengono via via meno comuni, con strutture molecolari e a strati che guadagnano prevalenza. La comprensione della geometria di queste strutture è essenziale per valutare le loro proprietà fisiche e chimiche, come la resistenza alla deformazione, la conduzione termica ed elettrica, e le reazioni chimiche che possono subire.

Inoltre, è fondamentale riconoscere che la geometria cristallina non è solo una questione di posizione degli atomi nel reticolo, ma che la disposizione spaziale influisce anche sulla reattività chimica dei materiali. La simmetria e la coordinazione degli ioni determinano non solo la stabilità strutturale ma anche le possibilità di movimento degli ioni all'interno della matrice, un aspetto cruciale nei materiali ad alta conducibilità ionica, come quelli usati nelle batterie e nei superconduttori. La comprensione delle diverse strutture cristalline è quindi essenziale per lo sviluppo di nuovi materiali con proprietà avanzate e specifiche.

Qual è il ruolo dei difetti cristallini e delle proprietà elettroniche nei materiali avanzati?

I difetti nei cristalli costituiscono una componente essenziale per comprendere le proprietà fisiche e chimiche dei materiali avanzati, influenzando fenomeni che vanno dalla conduzione elettrica alla reattività catalitica. Esistono difetti intrinseci come le vacanze e le interstiziali di Frenkel, oltre a difetti estrinseci che si manifestano con l’introduzione di impurità o drogaggio controllato. La presenza di questi difetti modifica la distribuzione elettronica e la struttura energetica, condizionando il comportamento elettrico, ottico e magnetico dei materiali.

L’interazione tra elettroni e difetti si riflette nell’esistenza di livelli energetici localizzati all’interno del gap di banda, modificando l’assorbimento di luce e i meccanismi di conduzione. Ad esempio, i centri di colore, che rappresentano difetti elettronici in materiali come la fluorite o il calcite, alterano la trasparenza e conferiscono proprietà fotocromatiche. Le proprietà magnetiche, quali la coercitività e il ferromagnetismo, sono fortemente influenzate dalla presenza di difetti, come avviene nei metalli ferromagnetici e nei materiali a colossal magnetoresistance (CMR), dove la mobilità degli elettroni è legata alla struttura spin.

I processi di diffusione ionica e elettronica, fondamentali in dispositivi come le celle a combustibile o i semiconduttori, sono anch’essi strettamente correlati alla struttura difettosa. Il controllo della dopatura, tramite tecniche come la crescita epitassiale o la deposizione chimica da vapore (CVD), permette di modulare la densità di portatori di carica e, di conseguenza, la conduttività elettrica e le proprietà ottiche. Nei semiconduttori come il GaAs o il GaN, la presenza di difetti può agire da centri di ricombinazione non radiativa, influenzando l’efficienza di dispositivi optoelettronici quali LED e laser.

L’analisi dei difetti avviene tramite metodi avanzati come la diffrazione di raggi X, la spettroscopia di perdita di energia elettronica (EELS) e l’analisi di struttura fine di assorbimento (EXAFS). Questi strumenti forniscono informazioni dettagliate sulla distribuzione spaziale e energetica degli atomi, permettendo di correlare la microstruttura con le proprietà macroscopiche del materiale. Importanti sono anche i modelli teorici basati sulla teoria del funzionale della densità (DFT), che simulano l’effetto dei difetti e guidano la progettazione di materiali con caratteristiche su misura.

Un ulteriore elemento di rilievo è l’interfaccia tra materiali differenti, dove la costanza degli angoli interfaciali e le proprietà di carica accumulata creano fenomeni peculiari, fondamentali per la realizzazione di dispositivi a semiconduttore e per le tecnologie di cattura e sequestro del carbonio. L’effetto combinato di difetti, interfacce e configurazioni elettroniche determina la funzionalità di sistemi complessi come i nanomateriali, i polimeri conduttori e i materiali superconduttori.

È importante considerare che la stabilità termodinamica e cinetica dei difetti influenza la durabilità e la performance di materiali sottoposti a sollecitazioni ambientali o operative. La comprensione approfondita di questi aspetti è cruciale per lo sviluppo di materiali innovativi, capaci di rispondere a esigenze energetiche, ambientali e tecnologiche contemporanee, quali la conversione solare, la catalisi selettiva e la memorizzazione elettronica.

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Come funzionano i raggi X da sincrotrone e perché sono fondamentali per la ricerca scientifica?

Nel mondo della ricerca scientifica, soprattutto in chimica dello stato solido e scienze dei materiali, la precisione e la qualità dei dati raccolti sono fondamentali per avanzare nella comprensione delle strutture atomicche e molecolari. Un'importante tecnologia che ha rivoluzionato la raccolta di dati su strutture cristalline complesse è il sincrotrone, una sorgente di radiazioni X ad alta intensità che consente di ottenere immagini e spettri estremamente dettagliati.

Il programma CHECKCIF, utilizzato per il controllo dei dati strutturali prima della pubblicazione o dell'archiviazione, verifica la coerenza della geometria della cella unitaria, la simmetria del gruppo spaziale e le coordinate atomiche. Questo sistema assicura che le distanze di legame e la geometria di coordinazione siano all'interno degli intervalli di valori già pubblicati, contribuendo alla qualità dei dati che vengono condivisi con la comunità scientifica. Tuttavia, ci sono casi in cui la tecnologia da laboratorio non è sufficiente a risolvere determinate problematiche, come la necessità di una risoluzione maggiore o di raggi X più intensi, in particolare quando si studiano campioni di dimensioni molto ridotte o strutture particolarmente complesse. È in questi casi che i sincrotroni entrano in gioco, offrendo un aiuto insostituibile.

I raggi X prodotti in un sincrotrone sono molto più intensi rispetto a quelli generati da diffrattometri da laboratorio. La radiazione è emessa in un'ampia gamma di lunghezze d'onda, consentendo l'analisi di strutture più complesse e di campioni di dimensioni ridotte. Oltre alla diffrazione, i sincrotroni permettono anche di eseguire esperimenti di spettroscopia e di imaging con raggi X, tecniche che approfondiremo ulteriormente in capitoli successivi.

Il sincrotrone può essere descritto, in termini semplici, come un acceleratore di particelle, ma a differenza degli acceleratori tradizionali, non si tratta di particelle che si scontrano tra loro. In un sincrotrone, gli elettroni vengono accelerati fino a velocità prossime a quelle della luce e, mentre viaggiano attorno a un anello di grandi dimensioni, campi magnetici vengono utilizzati per curvare la loro traiettoria. Quando gli elettroni cambiano direzione, emettono radiazione elettromagnetica, generalmente nella regione dei raggi X, che può essere utilizzata per una serie di tecniche sperimentali.

Il primo sincrotrone costruito nel 1947 da un team di scienziati della General Electric negli Stati Uniti generava radiazioni principalmente nella regione visibile dello spettro. Successivamente, la costruzione di sincrotroni più grandi e potenti ha consentito di ottenere radiazioni a energie maggiori. Nel 1956, all'Università di Cornell, negli Stati Uniti, è stato eseguito il primo esperimento di spettroscopia dei raggi X utilizzando un sincrotrone da 320 MeV. Prima degli anni '80, i sincrotroni erano principalmente utilizzati per esperimenti di fisica delle particelle. Nel 1981, è stato inaugurato il primo sincrotrone al mondo dedicato alla ricerca scientifica aperta, il Synchrotron Radiation Source (SRS) presso il Daresbury Laboratory nel Regno Unito, un'installazione che ha avuto un enorme successo fino alla sua chiusura nel 2008.

Oggi, ci sono oltre 50 sincrotroni in tutto il mondo, come il Diamond Light Source (DLS) situato nell'Oxfordshire, Regno Unito, che rappresenta un esempio di terza generazione. Questi sincrotroni di nuova generazione, con circonferenze superiori ai 500 m, sono in grado di generare una luce 10 miliardi di volte più brillante del sole. Per confrontare le diverse strutture dei sincrotroni, si utilizzano termini come "flux" e "brilliance". Il flux è definito come il numero di fotoni per secondo per unità di banda passante attraverso una determinata area, mentre la brilliance indica come questo flux sia distribuito nello spazio.

In generale, gli utenti dei sincrotroni non hanno bisogno di una conoscenza approfondita della fisica alla base della generazione dei raggi X, ma una comprensione di base aiuta a selezionare la sorgente e la linea di fascio più appropriate per gli esperimenti. I raggi X da sincrotrone vengono prodotti accelerando gli elettroni a velocità prossime a quella della luce e utilizzando una serie di magneti per alterarne la traiettoria. Quando gli elettroni cambiano direzione, viene emessa radiazione elettromagnetica, che si traduce in raggi X.

Un sincrotrone è costituito da cinque componenti principali. La fonte di elettroni, generata tramite emissione termionica da un filamento caldo in una pistola elettronica, è il primo passo del processo. Gli elettroni vengono poi accelerati in un acceleratore lineare (LINAC), raggiungendo un'energia di circa 100 MeV. Successivamente, gli elettroni vengono iniettati in un anello di accumulo, dove vengono mantenuti su una traiettoria chiusa da un array di magneti, che comprende magneti dipolari (o magneti di curvatura) che modificano la traiettoria degli elettroni, magneti quadrupoli per focalizzare il fascio e magneti esapolari per correggere le aberrazioni cromatiche.

Il cuore dell'esperimento in un sincrotrone si svolge lungo le linee di fascio, che si trovano in posizioni specifiche attorno all'anello di accumulo. Ogni linea di fascio è composta da tre sezioni: la "optics hutch", dove la radiazione viene filtrata e, se necessario, selezionata tramite monocromatori, la "experimental hutch", dove si svolgono gli esperimenti, e la "control cabin", dove gli utenti possono monitorare e gestire l'esperimento in corso. In molti sincrotroni moderni, i robot vengono utilizzati per cambiare rapidamente i campioni, riducendo i tempi di inattività e aumentando l'efficienza complessiva.

I magneti di curvatura, con una tipica forza di campo di circa 1 Tesla, hanno il compito principale di far circolare il fascio di elettroni all'interno dell'anello di accumulo. Quando vengono utilizzati come dispositivi di inserzione, producono raggi X morbidi, utili soprattutto per le linee di spettroscopia.

Un sincrotrone è dunque una macchina straordinaria che sfrutta la potenza degli elettroni accelerati per generare radiazioni X ad alta intensità, le quali sono fondamentali per una vasta gamma di esperimenti scientifici, dalla diffrattometria alla spettroscopia e all'imaging. La comprensione di come funzionano questi impianti e delle tecniche disponibili può aprire nuovi orizzonti nella ricerca, permettendo di esplorare e analizzare materiali con un dettaglio senza precedenti.