Uno degli aspetti che accresce il fascino di romanzi come 1984 di Orwell e Il racconto dell'ancella di Atwood è la loro lettura come metaforiche profezie. Orwell, ad esempio, immaginava un anno preciso, non così lontano da quello in cui stava scrivendo, e la sua opera sembra quasi una previsione della vita a una o due generazioni di distanza. Sebbene gli anni Ottanta non siano stati esattamente così cupi come aveva immaginato, forse ha semplicemente sbagliato i calcoli. Forse avrebbe dovuto raddoppiare la sua previsione, fissando il suo futuro totalitario non nel 1984, ma nel 2019. In ogni caso, c’è una certa fascinazione nel confrontare come le cose si sono evolute con le ipotesi prospettate nell’universo narrativo del romanzo.

Lo stesso vale per Il racconto dell'ancella. Come osserva la giornalista Jane Mulkerrins, il suo enorme successo – sia come libro che come serie TV – è stato aiutato dal suo senso di "preveggenza". Ambientato nel cupo epilogo di una seconda guerra civile americana, dove gruppi di donne sono sessualmente sottomesse dallo Stato e costrette a partorire figli per l'élite della società, i temi trattati nel romanzo sono ritenuti da molti terribilmente attuali, soprattutto riguardo agli sviluppi politici in alcune parti del mondo a partire dalla fine degli anni Dieci del 2000.

Tuttavia, non è solo la somiglianza con alcuni aspetti della nostra realtà che alimenta la popolarità di questi romanzi. Come suggeriva Huxley nella sua lettera a Orwell, sono visti anche come manuali che ci aiutano a comprendere la natura e le implicazioni degli eventi che stiamo vivendo. Essi svelano le strategie e le tecniche dei regimi dispotici e le circostanze che creano gli ambienti che permettono che tali eventi accadano. Se Orwell o Atwood in qualche modo hanno previsto degli aspetti della realtà che ora stiamo vivendo, forse le loro opere possono fornirci indizi su come la situazione attuale si svilupperà. In un mondo che sembra così imprevedibile, la logica ben congegnata delle storie che raccontano offre una sensazione di preveggenza su ciò che potrebbe riservarci il futuro.

Atwood, infatti, ha definito il suo romanzo una "anti-predizione". Non era inteso come una previsione del futuro quando lo scrisse, poiché il futuro semplicemente non può essere predetto in modo significativo. Al contrario, il suo approccio era che "se questo futuro può essere descritto in dettaglio, forse non accadrà". Creando queste visioni infernali, gli autori speravano che l'umanità avesse la buona sorte di fare in modo che queste distopie non divenissero mai realtà.

Un caso che illustra quanto l'iconografia de Il racconto dell'ancella si sia radicata nella cultura contemporanea riguarda l'incidente di Yandy, un'azienda che vende lingerie e costumi per Halloween. Nel 2018, Yandy ha messo in vendita un costume sexy da "ancella", parte della loro nuova collezione per le feste. La pubblicità ha scatenato un'ondata di indignazione sui social media, portando l'azienda a ritirare rapidamente il prodotto e a rilasciare una dichiarazione in cui affermavano che il costume fosse stato pensato come un'espressione di "empowerment femminile". Tuttavia, riconoscevano che il costume potesse essere visto anche come un simbolo della "oppressione delle donne". Sebbene questo tentativo commerciale fosse alquanto ingenuo e mal interpretato, dimostra quanto profondamente l'immagine di Il racconto dell'ancella sia entrata nell'immaginario collettivo.

Dal 2017, anno in cui è stata trasmessa la prima serie TV, l'immagine della lunga tunica rossa e del copricapo bianco è diventata un simbolo duraturo di resistenza nelle manifestazioni politiche, ed è spesso utilizzata in meme che trattano dei diritti delle donne. Funziona in questo modo perché l'immagine semplice, ma accattivante, rappresenta una serie di temi interconnessi che sono intrecciati nella narrazione del romanzo. L’uso di storie preesistenti come base per il nostro linguaggio politico è una parte fondamentale della nostra comunicazione. Talvolta, queste allusioni diventano una parte integrante del vocabolario quotidiano.

Per esempio, quando il Washington Post crea una "Classifica Pinocchio" per i politici, sappiamo perfettamente di cosa si tratta, poiché il personaggio di Pinocchio nel romanzo di Collodi è ormai diventato una metafora convenzionale per la menzogna compulsiva. Pinocchio è diventato uno dei miti moderni della società occidentale, e le allusioni a questi miti lavorano come scorciatoie linguistiche per concetti più complessi. Non è necessario che queste allusioni siano così consolidate, però. Ci sono vari altri modi in cui attingiamo a storie preesistenti per esprimere un punto politico.

Un altro esempio che dimostra l'uso di storie preesistenti in politica riguarda la morte dell'attrice Carrie Fisher nel 2016, che ha portato all'uso del personaggio di Leia di Star Wars come simbolo di resistenza. La morte di Fisher avvenne pochi mesi dopo l'elezione di Donald Trump e poche settimane prima della sua inaugurazione. Il giorno successivo alla sua cerimonia di insediamento, centinaia di migliaia di persone parteciparono alla Women's March in diverse città, protestando contro i valori e le politiche che Trump rappresentava. Le immagini di Leia furono uno dei simboli più visibili durante queste manifestazioni. Come ha commentato la designer Hayley Gilmore, “Il personaggio di Leia in Star Wars risuona con molte donne perché è una figura feroce, intelligente, affascinante e potente … Ha senso che le manifestanti si siano rivolte a Leia, soprattutto dopo la morte di Carrie.”

Questa fusione di elementi culturali e politici non è un fenomeno nuovo, ma rappresenta una modalità potente e immediata di esprimere e sostenere ideali di resistenza. L’immagine di un personaggio come Leia, simbolo di forza e indipendenza, e quella di un'ancella, emblema di sottomissione e oppressione, riflettono tensioni profonde all'interno della società e delle sue strutture politiche. L’uso di queste icone in manifestazioni politiche non solo rinforza i messaggi di protesta, ma aiuta anche a mantenere viva la memoria collettiva riguardo le lotte passate e le sfide future.

La parola "post-verità" e l'evoluzione linguistica nel contesto politico contemporaneo

Il termine “post-verità” ha segnato il 2016, divenendo il termine dell’anno scelto dai dizionari Oxford. Questo concetto, che indica una realtà dove le emozioni e le credenze personali sembrano prevalere sui fatti oggettivi, è emerso con prepotenza nel discorso pubblico, legandosi strettamente a eventi politici decisivi come la Brexit e l’elezione di Donald Trump. La sua ascesa non è casuale: rappresenta un cambiamento profondo nel modo in cui la verità viene percepita e utilizzata nei dibattiti politici e sociali, un fenomeno che non si limita a una semplice manipolazione dei fatti, ma coinvolge un’intera trasformazione delle dinamiche comunicative e delle narrazioni politiche.

Lungi dall’essere un’invenzione recente, il termine trova radici più profonde nella storia della politica moderna, dove la verità è sempre stata negoziata e reinterpretata. Tuttavia, l’anno 2016, con la crescente polarizzazione politica e l'esplosione dei social media, ha visto l’emergere di un contesto in cui le narrative ideologiche e le opinioni personali sono state promosse come verità alternative. Questo fenomeno ha visto l’escalation della diffusione di false informazioni, delle cosiddette “fake news”, che sono diventate protagoniste nei dibattiti politici, specialmente attraverso i canali online e le piattaforme sociali.

In un contesto globale dove le certezze politiche sembrano sfumare, la parola “post-verità” è diventata simbolo di una crisi della fiducia nelle istituzioni e nei media tradizionali. Secondo alcune interpretazioni, questa condizione rappresenta una minaccia diretta alla democrazia sociale, poiché il distacco dalla verità oggettiva mina la capacità di formare opinioni informate e consapevoli. D’altro canto, altri ritengono che il termine stesso, e la retorica che lo accompagna, possieda una natura polemica, più legata alla delusione politica e alla difficoltà di accettare cambiamenti rapidi e radicali nel panorama globale. L’idea che il termine “post-verità” venga utilizzato come un’arma per spinare una frustrazione politica è un’analisi che non può essere ignorata.

Il fenomeno ha trovato una forte espressione nei cambiamenti linguistici registrati dai dizionari. Oxford, per esempio, ha optato per il termine “post-truth” come parola dell’anno, mentre altri dizionari, come Cambridge, hanno visto aumentare le ricerche relative alla parola “paranoia”, un segno evidente di come la crescente sfiducia e l’incertezza stessero permeando il sentimento popolare. Allo stesso modo, in altri paesi, si è assistito a un aumento di termini legati a fenomeni simili: in Francia, la parola dell’anno è stata "réfugiés" (rifugiati), mentre in Germania è emerso un concetto di “fake news” e “alternative facts”, che ha alimentato la crescente paura del populismo e dei regimi autoritari.

Questa tendenza ha portato alla nascita di nuovi termini e neologismi, molti dei quali sono direttamente legati agli sviluppi politici. Parole come “Bremain” e “Brexit” sono diventate parte del vocabolario quotidiano, simboli di un divario crescente tra la politica tradizionale e le nuove forze populiste. In Australia, il termine “Ausexit” – che descrive un possibile distacco del paese dalla monarchia britannica – ha trovato posto tra i candidati come parola dell’anno, anche se alla fine è stato scelto il più ludico “democracy sausage”, che descrive la tradizione di mangiare salsicce durante le elezioni.

In questo scenario, la lingua e il suo uso diventano specchi di una realtà politica complessa e in rapido cambiamento. La lingua non è più solo uno strumento di comunicazione, ma diventa essa stessa il campo di battaglia dove le ideologie si confrontano. La popolarità dei meme, degli hashtag e delle abbreviazioni sui social media ha accelerato la creazione e diffusione di nuovi termini, che non sono solo un riflesso della società, ma anche il mezzo attraverso cui vengono strutturati i discorsi politici. I dizionari, come il celebre Oxford English Dictionary, non sono più semplicemente archivi neutrali della lingua, ma partecipano attivamente nel documentare e commentare i cambiamenti sociopolitici attraverso la registrazione di questi nuovi fenomeni verbali.

Un altro esempio significativo di come la lingua si intrecci con la politica è il fenomeno del “linguaggio di Twitter” e delle sue ricadute nel linguaggio ufficiale. Il modo in cui i leader politici, come Donald Trump, hanno usato Twitter per comunicare direttamente con i loro elettori ha ridotto la distanza tra la politica e il pubblico, ma allo stesso tempo ha generato una serie di nuovi stili comunicativi, spesso semplificati o carichi di emozioni. L’uso di hashtag come #MakeAmericaGreatAgain è un chiaro esempio di come un messaggio politico possa essere codificato e diffuso in modo virale, ma anche di come il linguaggio stesso possa diventare il terreno di una nuova forma di manipolazione.

Nel contesto di questo mutamento linguistico, la riflessione sulla lingua e sulle sue evoluzioni è fondamentale. La relazione tra linguaggio e politica è indissolubile: il linguaggio non solo riflette la realtà, ma la plasma, la definisce e la interpreta. Il cambiamento di una parola o l’introduzione di un nuovo termine può segnare l’inizio di un cambiamento più ampio, che riguarda il modo in cui una società vede se stessa e si relaziona con le sfide contemporanee. L’esempio di “post-verità” è emblematico, perché non solo descrive un fenomeno sociale, ma funge da indicatore di una mutazione profonda nelle percezioni collettive e nelle priorità politiche.

Infine, è essenziale comprendere che il linguaggio e le parole non sono neutri. Ogni scelta lessicale ha un peso, un significato, e spesso una valenza politica. Nel contesto della post-verità, dove le verità alternative sembrano prevalere sulla realtà, è fondamentale saper distinguere tra il linguaggio manipolatorio e quello che permette una riflessione autentica e critica. La consapevolezza di come le parole vengono usate e come evolvono può aiutare a navigare attraverso un panorama politico sempre più frammentato e ambiguo, dove il significato delle parole è sempre più fluido e incerto.