Nel tardo 2022, in un tentativo apparentemente di spostarsi ulteriormente a destra rispetto a Donald Trump, Ron DeSantis, un tempo sostenitore dei vaccini contro il Covid, chiese che fosse avviata un'inchiesta da parte di una giuria popolare sulla “criminalità o attività illecite in Florida” legate allo “sviluppo, promozione e distribuzione” dei vaccini. Questo capovolgimento politico avvenne mentre la diffidenza verso i vaccini cresceva negli Stati Uniti, proprio mentre una nuova ondata di contagi da Covid-19 si preparava a colpire con l'arrivo dell'inverno settentrionale. Questo sviluppo mette in evidenza la fragilità della sanità pubblica e l'incertezza politica che caratterizza la società americana, ma anche la necessità di affrontare le sfide sanitarie globali in un contesto di crescente polarizzazione.

Il futuro della democrazia americana sembra di nuovo a rischio, come lo era nel gennaio 2021, insieme al futuro della salute e del sistema sanitario degli Stati Uniti. L'elezione di un presidente repubblicano nel 2024 avrà inevitabili conseguenze anche per altri paesi, come l'Australia, specialmente se il Partito Liberale dovesse tornare al potere nello stesso periodo. Il sistema sanitario australiano, che si è sempre visto come un baluardo contro l’ulteriore “americanizzazione”, dipende ora dalla forza delle riforme del governo del lavoro in carica. Tuttavia, l’urgenza di queste riforme è poca, almeno per quanto riguarda la politica americana. L'Australia, come sottolineato dal professor Frank Bongiorno dell'Australian National University, deve affrontare una realtà che non può essere attribuita esclusivamente all'influenza di Trump o della sua politica sanitaria: i problemi sanitari del paese sono per lo più causati da fattori interni e richiedono un’azione decisiva e autonoma.

Nel giugno 2022, tre eventi fondamentali, che potremmo definire “terremoti politici”, sconvolsero la scena pubblica degli Stati Uniti. La commissione selezionata dalla Camera dei rappresentanti per indagare sull'attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021, leudendo una serie di udienze pubbliche, ha iniziato a svelare la cospirazione orchestrata da Trump per rovesciare i risultati delle elezioni presidenziali del 2020. Questi attacchi alla costituzione non si limitarono agli eventi di quella giornata tragica; si estendevano su molteplici fronti, tra cui una massiccia campagna di disinformazione volta a sostenere che Trump avesse vinto, che le elezioni fossero truccate e che i voti fossero stati rubati. La sua strategia includeva anche tentativi di nominare un fedele lealista al Ministero della Giustizia per spingere gli Stati a inviare i voti elettorali per Trump al posto di quelli di Biden. Questi piani di sovvertimento si rivelarono ben più pericolosi e sistematici dell'assalto diretto al Campidoglio da parte dei suoi sostenitori.

Le audizioni pubbliche della commissione hanno rivelato al grande pubblico, che seguiva con crescente attenzione, i dettagli della pianificazione dietro il tentativo di Trump di invalidare il processo elettorale. Si è trattato di una serie di manovre incostituzionali e pericolose per la democrazia, che hanno trovato ampio supporto nelle indagini delle autorità. Quando Liz Cheney, vicepresidente della commissione, ha dichiarato che Trump aveva coordinato un piano ben preciso per mantenere il potere, nonostante il risultato legale delle elezioni, il paese intero è stato costretto a confrontarsi con una realtà politica e istituzionale mai vista prima.

Le udienze del 2022 hanno avuto un impatto di gran lunga maggiore di quanto inizialmente previsto. Le cifre parlano chiaro: circa 20 milioni di telespettatori hanno seguito la sessione inaugurale, e un’indagine ha rivelato che il 79% degli americani credeva che Trump fosse coinvolto nel tentativo di ribaltare i risultati delle elezioni. La crescente disapprovazione per il suo ruolo nell’insurrezione è diventata tangibile: il 68% degli americani si è dichiarato fortemente contrario agli eventi del 6 gennaio, e il 41% ha attribuito una grande responsabilità a Trump nell'attacco.

Un altro terremoto politico fu l'annullamento della sentenza Roe v. Wade, un evento che ha scosso profondamente le istituzioni americane e avuto ripercussioni globali. La decisione della Corte Suprema, che ha revocato il diritto all’aborto sancito cinquant’anni prima, ha generato un drammatico abbassamento della fiducia nel sistema giudiziario. Non solo per la portata storica di questa sentenza, ma anche per la modalità con cui è stata attuata, con una grande perdita di legittimità per la Corte. Il fatto che la decisione fosse stata anticipata da un parere trapelato solo pochi mesi prima ha aggiunto ulteriore dramma a un processo già delicato, contribuendo a far calare il sostegno pubblico per l’istituzione.

Le reazioni popolari non sono state da meno: nei seguenti mesi, anche in Stati conservatori come il Kansas, i cittadini hanno scelto di mantenere il diritto all'aborto attraverso referendum. Questo scenario ha evidenziato quanto il sistema legale e costituzionale degli Stati Uniti stia affrontando una serie di sfide mai viste prima. Infatti, quello che molti hanno definito un passo indietro nell’evoluzione dei diritti civili americani ha riacceso un dibattito globale sulla libertà individuale e sui diritti delle donne.

Il 2022, quindi, non solo ha marcato un punto di rottura nella politica americana, ma ha anche messo in discussione la resilienza delle istituzioni democratiche di fronte a una politica sempre più polarizzata e ideologicamente radicalizzata. La possibilità che le istituzioni possano ancora funzionare come baluardi della democrazia, al di là delle turbolenze politiche, è ora più incerta che mai.

Resta fondamentale, per ogni lettore, comprendere che la sfida per la democrazia non riguarda solo gli Stati Uniti, ma si riflette su scala globale. Le dinamiche politiche americane influenzano direttamente paesi come l’Australia, la cui sanità e politiche sociali potrebbero risentire delle scelte ideologiche che dominano la scena politica negli USA. L’Europa e altri paesi hanno il compito di osservare, riflettere e rispondere a questo fenomeno in modo autonomo, cercando di evitare i pericoli di un’assimilazione passiva delle politiche americane. In questo contesto, il ruolo delle democrazie nel mantenere l’autonomia e i diritti civili fondamentali è più che mai cruciale.

Come il Potere dei Media e le Istituzioni Politiche Hanno Sfidato la Legge: Le Lezioni dal Caso Watergate e l'Ascesa di Trump

Il caso Watergate rappresenta uno dei momenti più critici e affascinanti nella storia politica americana, non solo per la portata dello scandalo, ma soprattutto per il modo in cui le istituzioni si sono adattate per difendere i principi fondamentali della legge. Quando il presidente Richard Nixon cercò di minare la verità e nascondere le sue malefatte, ciò che ne seguì non fu solo una serie di inchieste governative, ma un vero e proprio banco di prova per l’integrità del sistema politico statunitense. L’indagine sullo scandalo Watergate, condotta dal procuratore speciale Archibald Cox, mise in evidenza l'importanza dell'indipendenza giudiziaria. Quando Cox fu licenziato, altri alti funzionari del Dipartimento di Giustizia si opposero alla decisione, dando vita a una serie di dimissioni e licenziamenti che scuoteranno le fondamenta della Casa Bianca.

Quello che era in gioco, tuttavia, non era solo la carriera politica di Nixon, ma la credibilità di un sistema democratico che si regge su leggi e principi ben definiti. Quando la notizia che Nixon aveva registrato le sue conversazioni alla Casa Bianca divenne di dominio pubblico, la comunità politica e mediatica fu scossa. Le prove contenute nelle registrazioni si rivelarono cruciali, rivelando l'entità della manipolazione politica e delle cospirazioni ai più alti livelli del governo. La Corte Suprema, con la sua storica decisione, pose fine a qualsiasi pretesa di “privilegio esecutivo” che avrebbe potuto proteggere il presidente, dimostrando che anche i leader più potenti erano soggetti alla legge.

Le indagini, trasmesse in diretta televisiva, tennero gli americani incollati agli schermi. Il paese si fermò per seguire i procedimenti legali. La visibilità e la trasparenza del processo giudiziario divennero un’ulteriore lezione di civismo per tutti. Quando alla fine Nixon, travolto dal peso delle prove e dalla pressione politica, si dimise, non fu solo la fine della sua carriera, ma anche una vittoria per la democrazia. L'ordine che ne seguì, con la nomina di Gerald Ford a presidente, ribadì con fermezza un concetto fondamentale: "Il nostro governo è un governo di leggi, non di uomini".

In modo simile, l'ascesa politica di Donald Trump e la sua campagna presidenziale del 2016 rappresentano una nuova svolta nel panorama politico statunitense. Trump, con il suo approccio provocatorio e i suoi messaggi estremi, ha sfruttato al massimo le dinamiche mediatiche, dominando le prime pagine dei giornali e le trasmissioni televisive. La sua ascesa, alimentata anche dalla sua continua presenza sui social media e dalla sua abilità nel manipolare i mass media, ha dimostrato quanto potere abbiano i media nel plasmare l'opinione pubblica e nel determinare il destino politico di un candidato.

Le sue dichiarazioni, anche quelle più scandalose, spesso lo mettevano sotto i riflettori. Quando accusò gli immigrati messicani di essere “criminali e stupratori”, suscitò reazioni furibonde, ma contemporaneamente consolidò la sua base elettorale. Nonostante il suo comportamento provocatorio, che sembrava sfidare le convenzioni politiche, Trump riuscì a costruire un legame con i suoi sostenitori, una fascia di elettori che si sentiva emarginata dal sistema politico tradizionale.

Il modo in cui Trump ha affrontato le critiche, non solo dai suoi avversari politici, ma anche da leader religiosi come Papa Francesco, dimostra come il suo stile politico fosse totalmente improntato all'attacco diretto, senza mai mostrare segni di cedimento. Anche quando sembrava che le sue affermazioni più radicali potessero compromettere la sua candidatura, il suo messaggio di sfida alle élite politiche e mediatiche lo rendeva sempre più popolare tra una parte dell’elettorato repubblicano.

Ciò che emerge chiaramente da queste due storie, Watergate e Trump, è la centralità dei media e del sistema legale nel plasmare l’equilibrio del potere. Se nel caso di Nixon le istituzioni legali hanno prevalso, assicurando che la legge fosse più forte di qualsiasi uomo al potere, nel caso di Trump è stato il suo controllo sulla narrazione mediatica a determinare la sua ascesa. Le sue capacità di manipolare l'opinione pubblica e di restare costantemente al centro dell'attenzione hanno sfidato la tradizionale logica politica, creando un nuovo paradigma che ha avuto profonde ripercussioni su come i politici interagiscono con i media e su come l’opinione pubblica viene influenzata.

In entrambi i casi, l'elemento cruciale che ha determinato l'esito degli eventi è stato il rapporto tra il potere politico, la legge e i media. Mentre nel caso di Nixon la legge ha dimostrato di essere l'ancora di salvezza per la democrazia, nel caso di Trump è stato il dominio dei media a giocare un ruolo decisivo, rivelando come l'informazione possa essere tanto un'arma quanto una difesa.

Infine, ciò che è fondamentale per comprendere questi eventi è che, pur con le sue imperfezioni e contraddizioni, il sistema democratico statunitense è stato in grado di sopravvivere e persino di adattarsi agli sviluppi storici, dalle indagini su Nixon alla forza mediatica di Trump. Le istituzioni hanno mostrato di sapersi rispondere agli attacchi, ma la vera domanda resta: quanto è fragile questa resilienza quando i media e le dinamiche politiche sfuggono al controllo?

DeSantis e Trump: Due Volti di un Partito Diviso

Ron DeSantis, il governatore della Florida, rappresenta una nuova versione del partito repubblicano, un partito che sembra voler fare a meno di Donald Trump, ma senza rinunciare ai suoi principi fondamentali. In un'epoca in cui il Partito Repubblicano è sempre più polarizzato, DeSantis offre una visione che unisce la forza di Trump senza gli aspetti più divisivi e spesso incoerenti della sua leadership. Se Trump ha caratterizzato la scena politica americana con la sua retorica dirompente, la sua personalità esuberante e le sue tendenze spesso autolesionistiche, DeSantis sembra incarnare l'essenza della politica trumpiana con una mente più lucida e un approccio meno impulsivo.

In molti vedono in DeSantis un leader che può rappresentare il futuro del partito. Le sue vittorie elettorali, culminate nella sua riconferma come governatore della Florida nel 2022, lo hanno consacrato come una figura in grado di contrastare efficacemente l'influenza democratica, conquistando anche l'elettorato latino e minoritario. Il suo successo è stato paragonato a quello di un "Trump con un cervello", in quanto, pur mantenendo intatte le politiche conservatrici, ha saputo evitare alcuni degli errori strategici e della gestione disordinata che hanno segnato il mandato del suo predecessore.

Trump, sebbene abbia ancora una base solida di supporto tra i repubblicani, sembra affrontare una resistenza crescente. Le sue politiche, pur riscontrando ancora ampio consenso, non sono più sufficienti a mantenere un monopolio sulla leadership del partito. Le sue ossessioni per la sconfitta del 2020, le indagini legali e la sua retorica divisiva hanno indebolito la sua posizione, tanto da suscitare l’idea che DeSantis possa rappresentare una versione più "pulita" di Trump. DeSantis ha saputo capitalizzare questa situazione, senza doversi agganciare al passato, evitando la trappola di ripetere le stesse battaglie politiche che hanno definito l'era Trumpiana. Per molti, questo lo rende il candidato ideale per un partito che vuole voltare pagina senza tradire le proprie radici conservatrici.

Nonostante i suoi successi, DeSantis non è esente da critiche. Molti lo descrivono come una figura politica distante, difficile da avvicinare e talvolta incapace di creare un legame emotivo con il suo pubblico. A differenza di Trump, che ha un naturale carisma e sa coinvolgere le persone con la sua personalità irriverente, DeSantis appare come un politico più freddo, metodico e meno incline a costruire una connessione personale con gli elettori. Questo atteggiamento lo rende meno empatico, ma allo stesso tempo gli conferisce un’immagine di competenza e determinazione.

Questa distanza, tuttavia, non sembra compromettere la sua efficacia. La sua attenzione maniacale ai dettagli e la sua intelligenza strategica lo rendono un avversario formidabile per chiunque, compreso lo stesso Trump. La sua capacità di comunicare in modo chiaro e deciso, pur mantenendo un tono serio e professionale, lo rende un candidato attraente per una parte significativa dell’elettorato repubblicano, particolarmente per quelli che sono stanchi delle controversie che circondano Trump e delle sue continue distrazioni.

La sfida principale per DeSantis, se dovesse candidarsi alla presidenza, sarà quella di dimostrare di essere il vero erede della visione di Trump senza scivolare nei suoi stessi errori. Sarà cruciale per lui affrontare Trump stesso in una battaglia interna al partito, dove entrambi dovranno confrontarsi non solo sulle politiche ma anche sulla narrativa che plasmerà il futuro del Partito Repubblicano. Il conflitto tra i due sarà emblematico non solo per la lotta per la presidenza, ma per la definizione di quale strada percorrerà il partito: continuare sulla via tracciata da Trump o intraprendere una nuova direzione sotto la guida di DeSantis.

Per il Partito Repubblicano, questo confronto potrebbe rappresentare una biforcazione fondamentale. Mentre Trump è l'incarnazione del passato e delle battaglie culturali che hanno definito la sua presidenza, DeSantis potrebbe essere la chiave per il futuro del partito. Egli offre la promessa di un movimento che può consolidare il potere repubblicano senza gli strascichi di disorganizzazione e le polemiche che hanno caratterizzato il periodo Trump.

Per i lettori e gli osservatori, è fondamentale comprendere che la lotta tra Trump e DeSantis non è solo una sfida elettorale, ma anche una riflessione sullo stato e sul futuro della politica americana. Trump ha inaugurato un’era di politica basata sulla personalizzazione del potere e sull'escalation della divisione culturale, mentre DeSantis potrebbe rappresentare una via di mezzo, un equilibrio tra conservatorismo e pragmatismo. Ma, al di là delle personalità coinvolte, ciò che emerge è una domanda più ampia sul tipo di leadership che gli elettori americani desiderano per il prossimo capitolo della storia politica del paese.

Qual è il futuro della democrazia australiana e della sua politica estera con il ritorno di Trump?

Nel contesto delle elezioni federali australiane del 2022, uno dei temi emersi con forza è la questione della trasparenza e della divulgazione delle donazioni politiche. Sebbene non vi sia obbligo di rivelare donazioni inferiori ai 14.500 dollari australiani, il quadro generale solleva interrogativi cruciali sulla gestione delle campagne elettorali e sull'influenza di gruppi esterni nel processo decisionale. Durante le elezioni federali del 2022, infatti, dieci candidati indipendenti, tra cui molte donne Teal che sono riuscite a farsi eleggere, hanno speso 12,2 milioni di dollari, con quasi 5 milioni provenienti da Climate 200, un gruppo di advocacy ambientale guidato da Simon Holmes à Court. Questa cifra e la provenienza delle donazioni sono rimaste sconosciute fino a mesi dopo le elezioni, sollevando preoccupazioni su un sistema che potrebbe consentire influenze oscure sugli elettori, senza che questi ne siano consapevoli.

Un episodio significativo risale al 2016, quando fu rivelato che il Primo Ministro Malcolm Turnbull aveva donato un milione di dollari alla campagna elettorale del suo partito. Solo nel 2017, Turnbull ha confermato l'importo totale di 1,75 milioni di dollari. Queste situazioni pongono la domanda fondamentale: perché gli elettori non dovrebbero sapere, prima di andare alle urne, chi finanzia i candidati? Una maggiore trasparenza sulle donazioni permetterebbe agli elettori di compiere scelte più informate e ridurrebbe la possibilità che interessi nascosti possano manipolare il risultato delle elezioni.

Due semplici riforme potrebbero avere un impatto enorme nell'eliminare il "denaro oscuro" dalla politica australiana: abbassare la soglia di divulgazione delle donazioni a 1.000 dollari, adeguandola all'inflazione, e obbligare alla pubblicazione immediata delle donazioni, entro ventiquattro ore dal loro ricevimento. È incredibile pensare che, sebbene ogni cittadino australiano possa accedere online ai propri estratti conto bancari in pochi minuti, le donazioni politiche non vengano rese pubbliche nel medesimo lasso di tempo. Questa trasparenza sarebbe fondamentale per mantenere intatta l'integrità del sistema elettorale.

Il tema delle donazioni politiche e della trasparenza assume una dimensione ancora più critica quando si pensa al futuro delle relazioni internazionali dell'Australia, specialmente in un contesto globale instabile, segnato dalle politiche dell'ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Se Trump dovesse tornare alla Casa Bianca, la sua politica estera protezionista e isolazionista potrebbe mettere a rischio la sicurezza e la prosperità dell'Australia. In particolare, il suo approccio verso i regimi autoritari e la sua inclinazione a ridurre l'influenza degli Stati Uniti nelle alleanze globali potrebbero indebolire l'architettura di sicurezza che oggi garantisce la stabilità nella regione dell'Indo-Pacifico.

Per rispondere a queste sfide, l'Australia ha intrapreso una politica estera attiva e articolata sotto il governo Albanese, puntando su una diplomazia strategica che rafforzi la sua presenza e i legami commerciali nell'Indo-Pacifico. Il governo ha saputo stabilizzare le relazioni con le Isole Salomone, partecipando a summit regionali e intensificando gli sforzi in ambito climatico. L'Australia, infatti, ha compreso l'urgenza di contrapporsi alla crescente influenza della Cina nella regione, seguendo le indicazioni di esperti come Peter Varghese, che consiglia di costruire un "equilibrio strategico" che limiti le ambizioni espansionistiche di Pechino.

Un punto fondamentale in questo contesto è l'alleanza con gli Stati Uniti, che continua a essere cruciale per la difesa dell'Australia. Tuttavia, il ritorno di Trump potrebbe alterare radicalmente questa dinamica, specialmente se la sua politica estera di disimpegno e isolamento dovesse prevalere. In tal caso, l'Australia potrebbe trovarsi a dover rafforzare ulteriormente i propri legami regionali, cercando alleanze più solide con paesi come il Giappone e l'Indonesia, ma anche con altri membri del Quad, come l'India.

In questa fase cruciale, è essenziale che l'Australia non solo mantenga il suo impegno nei confronti della sicurezza regionale, ma che continui anche a promuovere la cooperazione in settori vitali come la lotta al cambiamento climatico e la crescita economica sostenibile. La sfida sarà mantenere un equilibrio tra l'influenza globale degli Stati Uniti e l'autonomia strategica necessaria per affrontare un mondo sempre più polarizzato.

Le riforme politiche proposte, in combinazione con un rinnovato impegno diplomatico regionale, sono passi fondamentali per preservare l'integrità del sistema politico e la sicurezza dell'Australia, specialmente se il panorama geopolitico mondiale dovesse subire nuove turbolenze a causa del ritorno di leader come Trump.