Quando si esplorano le relazioni tra rischio e rendimento nei mercati finanziari, una delle sfide più affascinanti e controverse è la cosiddetta "anomalia del basso rischio". Sebbene secondo il Capital Asset Pricing Model (CAPM) i titoli a basso beta dovrebbero produrre rendimenti più bassi rispetto a quelli ad alto beta, i dati empirici mostrano un comportamento opposto: i titoli a basso beta tendono a generare rendimenti superiori rispetto a quelli con alto beta, contrariamente alle previsioni teoriche. Il vero enigma di questa anomalia non risiede tanto nel fatto che il beta non funzioni, ma nel fatto che è così difficile prevedere i futuri beta, specialmente quelli derivanti dai beta passati. La previsione dei beta futuri risulta infatti imprecisa, con notevoli errori di campionamento e una grande variabilità tra i beta osservati in periodi differenti.

Studi recenti hanno cercato di affrontare questo problema utilizzando altre fonti di informazione. Ad esempio, Buss e Vilkov (2012) utilizzano le opzioni per stimare i beta, trovando che queste misurazioni sono migliori nel predire i beta futuri rispetto ai beta calcolati utilizzando i rendimenti passati. Un altro studio interessante di Cosemans et al. (2012) impiega informazioni contabili provenienti dai bilanci aziendali per stimare i beta e rileva una relazione positiva tra beta e rendimento. Ciò suggerisce che il mistero dell'anomalia del basso-beta non risieda nella mancanza di relazione tra beta e rendimento, ma nel fatto che la previsione dei beta futuri resta estremamente difficile.

Nel tentativo di capitalizzare su questa anomalia, Frazzini e Pedersen (2010) sviluppano il fattore "Betting against Beta" (BAB), una strategia che consiste nell'acquistare titoli a basso beta e vendere allo scoperto quelli ad alto beta. Tuttavia, la costruzione di un fattore BAB non è semplice. Le differenze nei rendimenti medi tra i vari quintili di beta sono esigue, mentre ciò che risulta significativo sono le differenze nei rapporti di Sharpe. Per implementare questa strategia, è necessario scalare i portafogli a basso e alto beta in base ai loro beta. Il fattore BAB, quindi, rappresenta la differenza tra i rendimenti di un portafoglio a basso beta e un portafoglio ad alto beta, corretta per il rischio.

I risultati di Frazzini e Pedersen mostrano una relazione interessante tra i rendimenti e il rischio associato ai diversi livelli di beta. Sebbene il fattore BAB offra rendimenti superiori, non è immune a sfide statistiche. Il fattore BAB presenta un alpha di circa 0,33% al mese, il che implica un ritorno annuale di circa il 4%. Sebbene questo sia significativo, il livello di significatività statistica rimane al di sotto della soglia tradizionale del 95%. Per quanto riguarda il fattore di volatilità, la differenza tra BAB e VOL è notevole, con il fattore VOL che mostra un ritorno cumulato più alto, ma i due fattori sono perlopiù simili.

Un aspetto sorprendente emerge dal confronto tra le anomalie del beta e della volatilità: la correlazione tra i due è sorprendentemente bassa, pari a -9%. In altre parole, le anomalie del beta e della volatilità non sono perfettamente sovrapposte. Il fattore VOL tende a essere più prevalente nelle azioni di grandi dimensioni, che sono generalmente più liquide e più facili da scambiare. Al contrario, il fattore BAB si manifesta in misura maggiore nelle azioni di piccole dimensioni, che sono meno liquide ma portano con sé un potenziale di rendimento maggiore.

Quando si tratta di decidere se concentrarsi su titoli a bassa volatilità o a basso beta, la scelta non deve essere esclusiva. Anzi, combinare entrambe le strategie potrebbe portare a un approccio più robusto. Utilizzare il basso beta e la bassa volatilità insieme può infatti offrire un vantaggio competitivo significativo. Le strategie che sfruttano entrambe le anomalie sono in grado di diversificare i rischi e aumentare la probabilità di ottenere rendimenti superiori a lungo termine, sfruttando le opportunità sia nelle piccole che nelle grandi imprese.

Tuttavia, non possiamo dimenticare che le anomalie di rischio, come quella del basso beta, non sono spiegabili tramite una singola teoria. Le spiegazioni potrebbero includere una combinazione di fattori. Innanzitutto, bisogna considerare la questione della "data mining" o estrazione di dati, che può influenzare i risultati delle ricerche finanziarie. In alcuni casi, gli effetti di liquidità e la selezione dei portafogli potrebbero distorcere le evidenze. Tuttavia, la robustezza della bassa rischiosità emerge chiaramente da studi che vanno oltre i confini dei mercati azionari. Come dimostrato da Frazzini e Pedersen (2011), questo fenomeno si presenta non solo nelle azioni statunitensi, ma anche nei mercati internazionali, nelle obbligazioni del Tesoro e aziendali, nei derivati di credito, nelle materie prime e nelle valute.

Un’altra considerazione rilevante è il fatto che molti investitori sono vincolati dalla leva finanziaria, il che implica che non sempre possano aumentare il rischio in modo da sfruttare appieno le opportunità di rendimento. Questo può spiegare in parte perché i portafogli a basso beta abbiano tendenzialmente una maggiore attrattiva rispetto ai portafogli ad alto beta, soprattutto quando gli investitori non sono in grado di utilizzare la leva per amplificare i guadagni sui titoli più rischiosi.

Il ruolo delle strategie di portafoglio e della gestione del rischio nell'evoluzione dei mercati finanziari

La teoria del portafoglio, così come l'analisi delle dinamiche dei mercati finanziari, è un campo vasto e complesso, che esplora il comportamento degli investitori e la loro interazione con i mercati attraverso l'ottimizzazione del rischio e del rendimento. La gestione del rischio, infatti, è sempre stata una delle sfide principali per gli investitori, a causa delle incertezze che caratterizzano l'evoluzione dei tassi di interesse, dei cambiamenti nei mercati globali e dei periodi di crisi economica che minano la stabilità degli investimenti.

Nel contesto dell'analisi dei mercati finanziari, la teoria del portafoglio si è sviluppata seguendo approcci che combinano l'incertezza e l'avversione al rischio. La questione di come distribuire gli investimenti per massimizzare i rendimenti, pur mantenendo una gestione del rischio accettabile, è stata al centro delle discussioni tra economisti come Markowitz, Fama, e altri pionieri della finanza moderna. Le loro teorie sono state fondamentali per la creazione di modelli che cercano di spiegare e predire il comportamento dei mercati azionari, nonché per l'approccio al rischio e al rendimento che ancora oggi influenza le strategie di investimento.

Ad esempio, la teoria della diversificazione di Markowitz ha introdotto l'idea che non solo il rischio individuale di ogni asset deve essere considerato, ma anche le correlazioni tra i vari asset di un portafoglio. L'ottimizzazione di un portafoglio è, quindi, una questione di bilanciamento tra il rischio e il rendimento, basandosi su un'analisi quantitativa delle distribuzioni probabilistiche dei rendimenti e della volatilità degli strumenti finanziari. Tuttavia, nonostante la teoria di Markowitz abbia dato vita a molti strumenti di gestione del portafoglio, non si può ignorare la realtà delle imperfezioni dei mercati, delle informazioni incomplete e dell'avversione al rischio che spingono gli investitori a cercare una maggiore protezione contro eventi imprevisti.

All'interno di questa cornice, il ruolo degli intermediari e dei gestori di fondi è diventato cruciale, soprattutto in un'epoca di crescente globalizzazione e accesso a mercati sempre più complessi. L'intermediazione finanziaria, che ha sempre avuto una funzione di mediazione tra risparmiatori e investitori professionisti, è stata oggetto di molte discussioni, anche in relazione ai conflitti di interesse e alle commissioni applicate ai fondi. La trasparenza e la buona governance sono diventate temi centrali, in particolare quando si considera l'impatto delle decisioni di gestione sulle performance del portafoglio.

Anche l'analisi delle performance dei fondi d'investimento ha suscitato ampio dibattito. La distinzione tra competenza e fortuna, in particolare nelle performance a lungo termine, è un aspetto di grande rilevanza. La critica alla teoria dell'efficienza dei mercati, sostenuta da economisti come Fama, ha trovato nuovi sviluppi con la crescente attenzione ai fattori di rischio sistemico e alla capacità degli investitori di proteggere i propri portafogli in un contesto di incertezze globali. Le ricerche sulla diversificazione internazionale e sull'importanza di strategie di asset allocation più dinamiche, che rispondano ai cambiamenti nelle condizioni macroeconomiche, sono diventate un'area di studio sempre più centrale.

In aggiunta, l'evoluzione dei mercati finanziari ha portato all'introduzione di nuovi strumenti finanziari, come i derivati, che sono stati utilizzati per la gestione del rischio e per la speculazione. L'approfondimento della teoria delle opzioni, e lo studio dei modelli di prezzo come quelli di Black-Scholes, ha fornito strumenti utili per valutare il rischio e il rendimento di questi strumenti complessi. Tuttavia, non bisogna dimenticare che l'uso di strumenti finanziari avanzati richiede una conoscenza approfondita dei mercati e delle dinamiche economiche globali, poiché l'esposizione ai rischi può aumentare in modo esponenziale in scenari di instabilità economica o crisi sistemiche.

A lungo termine, l'analisi delle dinamiche dei tassi d'interesse e delle strategie di gestione del debito pubblico ha rivelato come le politiche monetarie influenzino direttamente i mercati finanziari, sia a livello nazionale che internazionale. La gestione del rischio associato ai tassi di interesse e alle fluttuazioni valutarie diventa, quindi, una priorità per gli investitori e i governi, soprattutto in un mondo sempre più interconnesso, dove le decisioni prese in un'area geografica possono avere impatti devastanti su altre.

Infine, un aspetto che non può essere trascurato riguarda la gestione del rischio in un contesto di continua evoluzione economica. La ricerca sulla teoria del rischio, come quella di Epstein e Zin, ha fornito nuovi modelli di valutazione delle preferenze individuali degli investitori, che vanno oltre i tradizionali approcci di avversione al rischio, includendo anche la capacità di proteggere il tenore di vita da perdite significative. La ricerca in questo campo è fondamentale per comprendere come gli investitori si adattano alle diverse condizioni economiche e come le politiche di investimento possono evolversi per rispondere a nuovi rischi e opportunità.

In definitiva, l'approfondimento di questi temi è essenziale non solo per chi lavora nel settore della finanza, ma anche per chi desidera comprendere meglio le dinamiche economiche globali e prendere decisioni informate riguardo ai propri investimenti. L'interconnessione dei mercati finanziari e la continua evoluzione dei rischi richiedono una comprensione solida delle teorie economiche e finanziarie, ma anche una capacità di adattamento alle nuove sfide che emergono con il cambiamento delle condizioni globali.