La regione sellare rappresenta un’area anatomica complessa, comprendente la sella turcica, una depressione ossea del basisfenoide che ospita l’ipofisi, e le strutture adiacenti come i seni cavernosi, il seno sfenoidale e la cisterna soprasellare. Questa zona è di cruciale importanza per la sua concentrazione di strutture nervose, vascolari ed endocrine: dai nervi cranici III, IV, V1, V2 e VI, al tratto cavernoso dell’arteria carotidea interna, fino al chiasma ottico, l’ipotalamo e il peduncolo ipofisario. La stretta relazione tra questi elementi determina che le lesioni sellari, sia neoplastiche che non neoplastiche, possano manifestarsi con una varietà di sintomi da compressione, deficit neurologici ed endocrini, la cui gravità dipende da dimensione, posizione e crescita del processo patologico.

Le lesioni della regione sellare rappresentano circa il 10-15% di tutti i tumori cerebrali e sono caratterizzate da un ampio spettro di eziologie. Tra queste, gli adenomi ipofisari sono le più frequenti, costituendo fino all’80% delle lesioni sellari. Essi derivano dal tessuto endocrino dell’adenohipofisi e variano in base al tipo cellulare e alla produzione ormonale, con forme come adenomi somatotropi, lattotropi, tireotropi, corticotropi e gonadotropi, oltre agli adenomi nulli. Oltre agli adenomi, vi sono entità più rare come il blastoma ipofisario e tumori della neuroipofisi (pituicitiomi, tumori a cellule granulari, oncocitomi a cellule fusate).

Accanto ai tumori neoplastici, la regione sellare può essere sede di lesioni cistiche non neoplastiche, le quali rappresentano circa il 20% dei casi. Tra queste, le più comuni sono le cisti della fessura di Rathke (Rathke’s cleft cyst, RCC), che derivano da residui epiteliali della tasca di Rathke. Le RCC consistono in una monocromia di cellule epiteliali cuboidali o colonnari e spesso presentano metaplasia squamosa che può complicare la diagnosi differenziale con i craniopharingiomi. Il loro contenuto è tipicamente costituito da materiale mucinoso e colloidale eosinofilo, privo di potenzialità neoplastica ma suscettibile di recidiva se la rimozione chirurgica è incompleta.

Dal punto di vista diagnostico, la risonanza magnetica (RM) con e senza contrasto rappresenta lo strumento di scelta per lo studio delle lesioni sellari. Le RCC tipicamente appaiono come cisti ben circoscritte, ipo- o isointense in T2 e iperintense in T1, con un caratteristico anello di enhancement. La tomografia computerizzata (TC) è utile per distinguere le RCC dai craniopharingiomi, i quali presentano calcificazioni frequenti (fino all’87% dei casi), mentre le RCC mostrano tali calcificazioni solo nel 10% circa dei pazienti. La diagnosi è inoltre supportata dall’integrazione dei dati clinici, radiologici e ormonali.

Le RCC sono spesso riscontrate incidentalmente e rimangono asintomatiche per lungo tempo; in questi casi non è indicato un trattamento chirurgico. Tuttavia, quando diventano sintomatiche, per compressione di strutture nervose o per disfunzioni endocrine come il diabete insipido, la chirurgia è indicata per decomprimere le strutture coinvolte e rimuovere la lesione. La resezione può essere eseguita generalmente tramite via transsphenoidale, che permette un accesso diretto e meno invasivo, garantendo spesso la completa asportazione.

Un approccio multidisciplinare che coinvolga neurochirurghi, endocrinologi, neuroradiologi e radioterapisti è fondamentale per la gestione ottimale delle lesioni sellari. La complessità di queste patologie richiede una valutazione accurata e personalizzata che consideri le caratteristiche biologiche della lesione, il quadro clinico e le possibilità terapeutiche, che includono anche radioterapia e terapia medica nei casi di tumori ipofisari aggressivi o recidivanti.

Oltre a quanto sopra, è essenziale considerare che la presentazione clinica delle lesioni sellari può mimare altre patologie ipofisarie, pertanto la diagnosi differenziale è cruciale. La comprensione delle caratteristiche specifiche di imaging e dei profili ormonali permette di indirizzare correttamente la diagnosi e il trattamento, evitando interventi non necessari o ritardati. La valutazione endocrina completa deve includere la misurazione degli assi ormonali ipofisari e la funzionalità degli organi bersaglio per identificare deficit parziali o completi. Infine, la prognosi e il follow-up variano significativamente a seconda del tipo di lesione e della sua evoluzione nel tempo; perciò, anche in assenza di sintomi, un monitoraggio regolare è indicato per intercettare eventuali cambiamenti clinico-radiologici.

Quali sono le opzioni terapeutiche e i risultati nel trattamento del schwannoma vestibolare?

Il trattamento del schwannoma vestibolare, o neurinoma dell’acustico, rappresenta una sfida complessa che richiede un’attenta valutazione delle diverse strategie terapeutiche, ciascuna con vantaggi, limiti e implicazioni cliniche specifiche. Gli approcci chirurgici principali includono la via retrosigmoidea, la via della fossa media e la via translabirintica, ognuno scelto in base alla dimensione del tumore, alla funzione uditiva residua e all’esperienza del centro. La via retrosigmoidea offre un accesso più ampio e una migliore possibilità di preservare il nervo facciale, ma può essere associata a complicanze come il rischio di danni cerebellari o di disfunzioni del nervo vestibolare. La via della fossa media è indicata principalmente per tumori di piccole dimensioni con funzione uditiva ancora conservata, e consente potenzialmente la conservazione dell’udito, sebbene richieda un alto grado di precisione chirurgica. La via translabirintica, spesso riservata a tumori grandi o con perdita uditiva completa, consente un accesso diretto ma implica la perdita totale dell’udito sul lato interessato.

L’evoluzione delle tecniche chirurgiche ha portato a un miglioramento nella preservazione dei nervi cranici e nella riduzione delle complicanze postoperatorie, ma resta fondamentale un bilancio individualizzato tra controllo tumorale e qualità di vita. Parallelamente, la radioterapia stereotassica, in particolare la Gamma Knife e il CyberKnife, si è affermata come valida alternativa, soprattutto per tumori piccoli o medi, o in pazienti non candidabili alla chirurgia. Studi di lungo termine confermano che queste tecniche garantiscono un’efficace stabilizzazione della crescita tumorale con un basso tasso di complicanze, pur mantenendo la funzione uditiva in un’alta percentuale di casi.

Tuttavia, la radiosurgery non è esente da limitazioni. Si osservano fenomeni di espansione tumorale transitoria post-trattamento, che richiedono monitoraggio accurato per evitare interventi chirurgici intempestivi. In alcuni casi, la progressione o la recidiva dopo radioterapia può rendere necessaria una chirurgia di salvataggio, più complessa e con maggiori rischi.

Un aspetto spesso sottovalutato è il decorso a lungo termine della funzione uditiva e del nervo cocleare dopo trattamento. La stabilità e la possibile rigenerazione di queste strutture nervose dipendono non solo dalla tecnica utilizzata, ma anche dal tempo di intervento e dalla dimensione del tumore. La qualità della vita post-trattamento deve considerare anche l’equilibrio, la funzione del nervo facciale e la gestione delle complicanze associate, aspetti che richiedono un approccio multidisciplinare.

Inoltre, la gestione del schwannoma vestibolare non può prescindere dall’analisi delle caratteristiche individuali del paziente, dal monitoraggio clinico e radiologico periodico, e da un dialogo costante con il paziente stesso riguardo ai rischi, ai benefici e alle alternative terapeutiche. La personalizzazione del trattamento diventa così il cardine della strategia terapeutica, capace di integrare le evidenze scientifiche più recenti con le specificità cliniche e le preferenze del paziente.

È importante inoltre comprendere che, nonostante i progressi, il rischio di trasformazione maligna o di recidive rimane un elemento che necessita di sorveglianza costante, soprattutto in pazienti sottoposti a radiosurgery o trattamenti ripetuti. La valutazione multidisciplinare e la scelta di centri specializzati possono migliorare significativamente gli esiti a lungo termine, minimizzando il rischio di complicanze gravi.

Qual è l'importanza della valutazione pre-operatoria nel paziente neurochirurgico?

La valutazione pre-operatoria del paziente neurochirurgico è un passo fondamentale per garantire la sicurezza durante l'intervento e migliorare gli esiti post-operatori. Essa comprende una serie di esami e indagini mediche che permettono di raccogliere informazioni cruciali sulle condizioni generali del paziente, in particolare in relazione a patologie cardiovascolari, respiratorie e neurologiche. La corretta gestione di queste condizioni, associata a una preparazione mirata, è essenziale per ridurre al minimo i rischi durante l'anestesia e il recupero post-operatorio.

Il punteggio ASA (American Society of Anesthesiologists) è uno degli strumenti principali nella classificazione del rischio anestesiologico. Questo punteggio va da 1 (paziente sano) a 6 (paziente in stato di morte cerebrale), e fornisce un'indicazione cruciale per il possibile esito post-operatorio. Tuttavia, è fondamentale che la valutazione pre-operatoria prenda in considerazione una storia clinica approfondita del paziente, con particolare attenzione ai fattori di rischio cardiovascolare come l'ipertensione, il diabete e il fumo. L'anestesista deve ottenere informazioni dettagliate su eventi cardiaci precedenti, eventuali interventi chirurgici passati e farmaci in uso, poiché sintomi come affaticamento, difficoltà respiratoria, palpitazioni o dolore toracico possono essere segni di patologie cardiache che richiedono ulteriori indagini.

L'esame cardiovascolare completo è indispensabile per identificare suoni cardiaci anomali, soffi, aritmie, e segni di insufficienza cardiaca. Un elettrocardiogramma (ECG) di base è spesso richiesto per valutare eventuali anomalie cardiache preesistenti, come le aritmie o i cambiamenti ischemici. In base alla storia clinica e all'esame fisico, potrebbero essere necessari ulteriori accertamenti come ecocardiografie o test da sforzo.

Inoltre, la valutazione pre-operatoria varia a seconda della specificità della chirurgia neurochirurgica. Non esiste un set predefinito di test valido per tutti i tipi di intervento neurochirurgico, ma gli esami da ordinare dipendono dalla tipologia dell'intervento e dalle comorbidità del paziente. Ad esempio, nel caso di ipertensione non controllata, è fondamentale gestirla prima dell'intervento per evitare che essa causi danni al sistema cerebrale, riducendo la capacità del cervello di autoregolare il flusso sanguigno. Allo stesso modo, le disritmie e i disturbi di conduzione devono essere indagati per determinarne l'urgenza e la necessità di trattamento.

La funzionalità polmonare deve essere ottimizzata prima dell'intervento per garantire una corretta ossigenazione e ventilazione. I pazienti con patologie polmonari acute, come infezioni o esacerbazioni dell'asma, potrebbero necessitare di trattamenti prima dell'intervento, a meno che il rinvio non comporti rischi per la salute. L'abitudine al fumo deve essere interrotta almeno quattro settimane prima dell'intervento per ridurre i rischi di complicazioni polmonari post-operatorie, come la polmonite da aspirazione e l'edema polmonare neurogenico.

L'approccio pre-operatorio deve considerare anche il sistema neurologico. Per ogni paziente sottoposto a chirurgia intracranica, è essenziale raccogliere informazioni dettagliate sulla localizzazione e il tipo di lesione, nonché sui farmaci assunti per trattare la malattia. La valutazione neurologica include il controllo del livello di coscienza, l’esame neurologico fisico (sensibilità, forza, coordinazione, postura e deambulazione) e una valutazione dello stato mentale. È importante anche monitorare i segni di pressione intracranica elevata, come nausea, vomito, confusione e mal di testa, che potrebbero influire sul risultato dell'intervento.

L'anestesista deve anche verificare la presenza di deficit neurologici preesistenti come attacchi ischemici transitori (TIA) o ictus, che possono complicare il decorso post-operatorio. In aggiunta, la valutazione dell’ossigenazione pre-operatoria è cruciale, in quanto un'ossigenazione arteriosa bassa è un fattore di rischio indipendente per un aumento della mortalità a 30 giorni dopo un intervento neurochirurgico. La Scala del Coma di Glasgow (GCS) è un altro strumento utile per monitorare il livello di coscienza del paziente.

Le condizioni endocrine ed elettrolitiche meritano particolare attenzione. Patologie come l’acromegalia e la malattia di Cushing, che derivano da disfunzioni delle ghiandole endocrine, richiedono una gestione adeguata per evitare complicazioni durante l’anestesia. L'acromegalia può causare alterazioni delle vie aeree superiori, mentre la malattia di Cushing può portare a disturbi cardiovascolari e metabolismo alterato. La panipopituitarismo, caratterizzata da una carenza grave di ormoni ipofisari, può comportare rischi letali, come una crisi surrenalica.

La gestione dei farmaci antitrombotici è un altro aspetto cruciale della valutazione pre-operatoria. I farmaci antiaggreganti, come l’aspirina, inibiscono l’attività della COX-1 e la sintesi del trombossano A2, influenzando la funzione piastrinica per circa 7-10 giorni. È generalmente sicuro sospendere questi farmaci 5-7 giorni prima dell’intervento per consentire la rigenerazione delle piastrine. Allo stesso modo, il warfarin, che interferisce con la coagulazione sanguigna, deve essere interrotto 5 giorni prima dell’intervento, monitorando il tempo di protrombina (PT) e l’indice internazionale normalizzato (INR). Un valore INR inferiore a 1,3 è considerato sicuro per la chirurgia neurochirurgica.

Il paziente neurochirurgico presenta rischi particolari che richiedono una valutazione dettagliata delle sue condizioni generali. La preparazione pre-operatoria deve essere mirata a ridurre i rischi legati alle comorbidità, alle disfunzioni organiche e alla risposta al trattamento anestesiologico. Una gestione attenta e personalizzata di queste variabili può fare la differenza nell'esito dell'intervento e nella sua riuscita.