Il dualismo tra forma e sostanza, sebbene utile per esplorare la relazione tra concetti differenti, porta inevitabilmente con sé insidie filosofiche. Se una forma è qualcosa di non fisico e addirittura astratto, come sostengono Millikan (2004) e altri, come può coesistere con ciò che è fisico, che esiste in particolari location spaziali e temporali? Come interagiscono il fisico e il non fisico? Questi sono i dilemmi classici con cui il dualismo si confronta.

Deacon (2007; 2008; 2012a; 2017) propone una visione negativa della forma, suggerendo che la forma è un aspetto intrinsecamente assente di qualcosa di presente. Questa visione, oltre a risolvere le difficoltà nell’interpretare il concetto di forma, consente di unire le entropie informativa e termodinamica, gettando così una solida base per comprendere la realtà fisica dell’informazione, della rappresentazione, del riferimento, del significato e, in ultima analisi, dell’intenzionalità. Questo capitolo riformula la sua visione per spiegare la fisicità dell’informazione e, per estensione, dell’intenzionalità.

Per comprendere appieno l’informazione, è fondamentale ricollegarsi al suo significato etimologico. Deacon suggerisce che la forma è l’aspetto assente di qualcosa di presente. Ciò aiuta a risolvere il lungo enigma in campo informatico riguardo alla somiglianza superficiale tra le formule di entropia nella teoria della comunicazione di Shannon e nella termodinamica. Questo approccio rivela la fisicità dell’informazione e offre un fondamento per comprendere il riferimento e l’intenzionalità.

La teoria matematica della comunicazione di Shannon è la più utilizzata nella disciplina dell’informazione, ma alla fine perde il significato originario dell’informazione. Per riportare il concetto alla sua radice, bisogna esaminarne l’etimologia. Come afferma Austin, una parola non perde mai completamente la sua origine etimologica, anche se il suo significato si amplia nel tempo. L’informazione, nella sua forma etimologica, deriva dal latino informatio, che implica l’azione di dare forma a qualcosa. Questa accezione è ancora rilevante oggi. L’informazione si fonda su tre parti: "in", "forma" e "-azione". Il prefisso “in” indica un’azione, come osservato da Capurro (2009), mentre il suffisso “-azione” rimanda all’atto di compiere qualcosa. In termini semplici, l’informazione è l’azione di dare forma a qualcosa, e questa forma ha a che fare tanto con l’ontologia quanto con la epistemologia.

Esistono due principali significati di informatio: il primo è "l’azione di dare forma a qualcosa di materiale", che rappresenta l’aspetto ontologico dell’informazione, mentre il secondo è "l’atto di comunicare conoscenza a qualcun altro", che si riferisce all’aspetto epistemologico. Questi significati sono strettamente legati. L’atto di comunicare conoscenza è in realtà l’atto di trasmettere una forma a una mente per darle una determinata struttura. Esiste anche un aspetto pedagogico di questa comunicazione, come descritto da Tertulliano (ca. 160-220 d.C.) nel concetto di Moses populi informatory, cioè colui che forma o modella gli individui giovani affinché diventino veri esseri umani.

L’uso teologico di questo termine deriva da due significati distinti: uno legato alla creazione, cioè l’azione di Dio nel dare forme alla natura, e l’altro alla conoscenza che Dio dona agli esseri umani. Tali utilizzi del termine informatio hanno radici nell'ontologia, e come suggerito da Capurro e Hjøland (2003), derivano da due esperienze comuni della Grecia antica: la lavorazione della ceramica e la percezione. Nel caso della ceramica, l’artigiano plasma l’argilla in base a un concetto mentale della forma desiderata, come ad esempio la forma di una ciotola. Nel caso della percezione, invece, percepiamo un oggetto non nel suo aspetto sostanziale, ma attraverso la sua forma. La forma è data per modellare la nostra mente, e attraverso questo processo acquisiamo conoscenza.

L'atto di dare forma a qualcosa implica due dimensioni: l’atto stesso e il suo compimento. Nella ceramica, questo processo implica almeno tre passaggi: (1) un progetto della forma desiderata, che può essere concettualizzato mentalmente o rappresentato fisicamente; (2) l’atto di modellare l’argilla; e (3) il completamento dell’oggetto finale. Solo quando la ciotola è finita si può dire che l’artigiano abbia trasferito con successo la forma nell’argilla. Questo concetto etimologico di informazione si allinea con l’idea di Peirce, secondo cui l’informazione è la comunicazione di forma. Nei processi semiotici, ciò che viene trasmesso da un oggetto attraverso un segno è la sua forma.

Questa nozione si ritrova anche in Bateson, che nel suo lavoro Form, Substance, and Difference afferma che l'elemento fondamentale dell'informazione è una differenza che fa la differenza. Secondo Bateson, ciò che rende utile una mappa non è la rappresentazione esatta del territorio, ma le differenze che questa mappa cattura. Così come una mappa non è il territorio che rappresenta, ma le differenze tra i vari aspetti del territorio, anche l'informazione è una distinzione che genera un cambiamento.

Tuttavia, questa concezione di differenza porta con sé un problema concettuale. Se la differenza è astratta, come può esistere nel mondo fisico, che è per definizione legato allo spazio e al tempo? E se la differenza non esiste concretamente, come può essere utile nella comprensione del mondo fisico?

In sintesi, comprendere l’informazione significa riconoscere che essa è intrinsecamente legata alla forma, che a sua volta non è altro che una differenza che si manifesta nel mondo fisico. Ma l’informazione, seppur fisica, non deve essere confusa con la sua concretizzazione. La sua essenza risiede nella trasmissione della forma, nella sua capacità di influenzare e modellare la realtà, ma senza ridursi a un mero fenomeno fisico.

Come Interpretare l'Informazione Genetica: Meccanismi, Codici e Semiosi

Secondo il principio del dogma centrale della biologia molecolare, l'informazione sequenziale è inizialmente codificata dalla struttura sequenziale del DNA. Durante la replicazione, questa informazione viene trascritta e codificata dall'RNA messaggero (mRNA) attraverso un processo di abbinamento al modello (trascrizione). L'mRNA, che trasporta l'informazione genetica, si lega quindi ai ribosomi e all'RNA di trasporto (tRNA), fungendo da modello per la sintesi proteica. Questo processo garantisce che le proteine si ripiegano nelle strutture corrette sulla base delle informazioni genetiche rappresentate dall'mRNA.

Sebbene esistano trasmissioni di informazione genetica che vanno al di fuori dell'ambito del dogma centrale, quest'ultimo conserva una notevole importanza nella biologia molecolare. Tuttavia, ciò che qui si vuole esplorare non è tanto se il dogma possa essere sostenuto, quanto se possa essere considerato un fenomeno puramente meccanico. Infatti, come possiamo osservare, vari concetti con connotazioni teleologiche evidenti, come codice, informazione, trascrizione, traduzione e correttezza, sono parte integrante di questo processo. Come possono questi concetti essere conciliati con una spiegazione meccanicistica?

Una risposta comune a questo dilemma è che tali concetti siano spesso utilizzati in senso metaforico, con la convinzione che possano essere eventualmente spiegati in termini fisici. Ad esempio, i biologi utilizzano i termini "codice" e "informazione" in un senso altamente ristretto, a differenza delle ricche e più semantiche nozioni che normalmente implicano. Godfrey-Smith (2000) e Griffiths (2001) hanno sottolineato che esiste una proprietà informazionale o semantica che i geni, e solo i geni, possiedono: quella di codificare per le sequenze di amminoacidi delle molecole proteiche. Ma questa relazione si estende solo fino alla sequenza di amminoacidi. Non giustifica l'idea che i geni codifichino per i fenotipi di un organismo nel suo complesso, né tanto meno fornisce una base per l'uso massiccio di linguaggio informazionale o semantico in biologia.

Inoltre, alcuni sostengono che il codice genetico mostri caratteristiche arbitrarie, poiché molte altre mappature possibili tra triplette di basi del DNA e amminoacidi sono biologicamente plausibili. Tuttavia, l'apparente arbitrarietà del codice genetico è superficiale, derivante da lacune nella nostra comprensione delle connessioni complesse tra triplette di basi del DNA e amminoacidi. Come suggeriscono Godfrey-Smith e Sterelny (2016), la stessa nozione di arbitrarietà in questo contesto risulta sfuggente.

Nel loro lavoro pionieristico, Hoffmeyer ed Emmeche (1991) sostengono che il flusso di informazione genetica nella sintesi proteica debba essere compreso come atti interpretativi, ovvero semiosi. Propongono che il concetto di informazione debba essere ridefinito attraverso la semiotica pierciana. Se l'informazione genetica viene compresa semplicemente come la determinazione della sequenza, essa diventa indistinguibile da altre forme di organizzazione presente in natura. Ciò che distingue l'informazione genetica dalle altre informazioni biologiche durante lo sviluppo ontogenetico è la sua natura semiotica: essa funziona come segni che rappresentano qualcosa all'interno di sistemi interpretanti. Sebbene le sequenze genetiche siano relativamente indipendenti e stabili all'interno delle cellule, esse non devono essere comprese in isolamento. Al contrario, l'informazione sequenziale deve essere considerata nel contesto più ampio dello sviluppo ontogenetico e della riproduzione, all'interno dei quali viene interpretata.

Hoffmeyer ed Emmeche descrivono la semiosi a livello dell'organismo come segue: "Nel processo epigenetico, il DNA, cioè il genoma, può essere visto come un frammento di un flusso evolutivo di segni trasmessi attraverso le generazioni. L'interpretante che seleziona tali segni tra le innumerevoli differenze citoplasmatiche interne è l'uovo fecondato, lo zigote. Lo zigote, il vero 'soggetto' della biologia, è in grado di decifrare il messaggio elaborato contenuto nel DNA, utilizzandolo per padroneggiare il processo epigenetico, cioè la costruzione del fenotipo, l'organismo effettivo." (Hoffmeyer e Emmeche 1991)

In questa semiosi, "[s]till, it is the zygote which is the subject in the process: it initiates the deciphering of the DNA-message and becomes gradually changed to the embryo in response to the interpretation" (Hoffmeyer e Emmeche 1991, 144). A differenza della biologia molecolare, che interpreta lo sviluppo ontogenetico come processi biochimici guidati dall'informazione genetica, la biosemiotica lo vede come una forma di semiosi. Questo punto di vista sottolinea che il processo può avvenire solo all'interno di un sistema interpretante, come lo zigote. Poiché lo zigote funge da sistema interpretante, la normatività del codice genetico (informazione) non è più un mistero. Tuttavia, come accade in altre teorie che fanno appello all'interpretazione, è ancora necessaria una spiegazione dell'interpretazione che possa essere utilizzata per comprendere la semiosi di base come l'informazione genetica. È necessario comprendere in che senso questi processi sono interpretativi.

Hoffmeyer ed Emmeche (1991) utilizzano il concetto di dualità del codice per chiarire come funzioni la semiosi nella sintesi proteica. La dualità del codice si riferisce alla trasmissione ricorsiva dell'informazione attraverso le interazioni tra codici digitali e analogici. I codici digitali sono quelli in cui i componenti sono simboli discreti connessi da relazioni arbitrarie, mentre i codici analogici si basano su somiglianze in continuità spaziotemporale, part-to-whole o causale. I codici digitali sono utilizzati per l'archiviazione della memoria, mentre i codici analogici facilitano il decodificare e l'istruzione per la realizzazione fisica. Secondo il concetto di dualità del codice, i codici genetici funzionano come codici digitali, mentre i processi di trascrizione e traduzione operano come codici analogici.

Similmente, l'interpretazione (semiosi) all'interno degli autogeni funziona attraverso la dualità del codice, sebbene in modo distinto. A differenza della dualità del codice osservata nella sintesi proteica, gli autogeni non mostrano differenziazione fisica. Come discusso in precedenza, i due processi di auto-organizzazione negli autogeni si forniscono reciprocamente condizioni di limite cruciali. Queste condizioni di limite servono come vincoli, limitando le possibili realizzazioni dei due processi e garantendo l'autogeno nel suo complesso. Attraverso l'auto-mantenimento e l'auto-riproduzione, l'autogeno preserva questi vincoli. "Questa preservazione dei vincoli fornisce sia un record che una fonte di istruzione per organizzare il lavoro necessario per preservare questa stessa capacità" (Deacon 2021). Questo significa che i vincoli incarnati nell'interazione tra questi due processi accoppiati svolgono un doppio ruolo, simile ai codici digitali e analogici.

I vincoli negli autogeni sono digitali perché arbitrari. Se la catalisi reciproca e l'auto-assemblaggio fossero separati, ognuno potrebbe procedere in numerosi altri modi. Tuttavia, quando sono accoppiati, si vincolano reciprocamente per operare

Qual è la relazione tra simboli, segnali e significato nella comunicazione?

La struttura semiotica che sta alla base della lingua va oltre una semplice corrispondenza tra segni e oggetti. Non si tratta di una mappatura semantica diretta, ma di una rete complessa di relazioni che implicano la connessione di simboli tra di loro e con il mondo esterno. Secondo il modello triadico di Peirce, l'interpretazione simbolica è costruita su un'infrastruttura semiotica ricca e stratificata. In questo sistema, l'interpretazione simbolica non è autonoma, ma dipende in modo asimmetrico da interpretazioni indiciche, le quali a loro volta dipendono da quelle iconiche. Questo approccio aiuta a spiegare fenomeni linguistici complessi come descrizioni indefinite, metafore, concetti astratti e anche linguaggi fittizi.

Il modello tradizionale naturalistico, che vede la rappresentazione come una mappatura semantica diretta, non riesce a spiegare adeguatamente la varietà dei fenomeni linguistici. Questo modello è soggetto a quella che viene chiamata la "fallacia del codice", che rende difficile comprendere le dinamiche più sottili e le complessità della comunicazione. La semiotica peirciana offre invece una visione alternativa, più ricca, che ci permette di comprendere come il linguaggio non funzioni semplicemente come un codice di corrispondenze, ma come un sistema in cui i simboli sono intrecciati in una rete complessa di riferimenti reciproci.

La relazione tra il linguaggio e il mondo non è univoca. I simboli non puntano esclusivamente agli oggetti a cui fanno riferimento, ma anche ad altri simboli all'interno del sistema linguistico. Questo tipo di relazione permette una maggiore flessibilità del linguaggio, consentendo la creazione di significati più complessi, come quelli astratti o ipotetici. In altre parole, la lingua non si limita a "mappare" il mondo, ma lo reinquadra attraverso una rete di connessioni simboliche che rendono possibile la rappresentazione di concetti che non hanno un oggetto fisico diretto, come nel caso di metafore, allegorie o descrizioni ipotetiche.

Un altro aspetto fondamentale da comprendere riguarda la convenzionalità del linguaggio. Le parole non hanno una connessione intrinseca con gli oggetti a cui si riferiscono. Ad esempio, la parola "cane" non ha nulla di naturale che la colleghi all'animale che rappresenta, e lo stesso vale per "gatto". La relazione tra parola e oggetto è arbitraria, ed è la convenzione sociale che stabilisce quale parola rappresenta quale oggetto. Questo principio di convenzionalità, che è alla base del linguaggio umano, è presente anche nei sistemi di comunicazione animale. Ad esempio, le scimmie vervet utilizzano chiamate di allarme per segnalare la presenza di predatori specifici, ma non c'è alcuna connessione intrinseca tra la lunghezza o il tono del suono e il tipo di predatore. La comunicazione animale, quindi, può essere vista come un sistema che funziona sulla base di convenzioni arbitrarie, simile al linguaggio umano.

La questione della convenzionalità, tuttavia, presenta una difficoltà logica: come possono nascere le convenzioni se non esiste un sistema di segni preesistente? Questa domanda è stata sollevata da W.V. Quine, il quale riteneva che per spiegare la nascita delle convenzioni, dovremmo essere in grado di spiegare come nascano i sistemi di segni stessi. La risposta a questo dilemma è stata cercata da David Lewis, che ha proposto che le convenzioni emergano attraverso interazioni sociali tra agenti. Nel suo approccio, chiamato "giochi di segnalazione", le convenzioni si sviluppano come equilibri di Nash in cui gli agenti si coordinano senza bisogno di un accordo esplicito. Brian Skyrms, successivamente, ha esteso questo modello adottando un approccio evolutivo che non necessita di agenti razionali, ma considera l'emergere di segnali come un fenomeno dinamico che si sviluppa nel tempo attraverso interazioni tra inviante e ricevente.

Le simulazioni al computer hanno permesso di analizzare questi giochi di segnalazione in modo più profondo, evidenziando come i segnali si evolvono in modo naturale e spontaneo senza la necessità di conoscenza comune o di salienza. L'approccio di Skyrms ha reso i giochi di segnalazione un potente strumento teorico, utile non solo per studiare la comunicazione umana, ma anche per comprendere i segnali tra e dentro gli organismi non umani. Questo approccio dinamico ha aperto nuove vie per comprendere il significato in termini naturalistici, applicando modelli di teoria dei giochi e teoria dell'informazione.

L'approfondimento di questi modelli ha implicazioni per la comprensione della nascita del linguaggio, della logica e della verità. La riflessione su come i segnali emergano spontaneamente nelle interazioni tra agenti ci aiuta a comprendere meglio la natura del significato e della comunicazione, non solo nei contesti umani, ma anche nel mondo animale e nelle forme di vita più semplici. Il linguaggio e la comunicazione non sono semplicemente costruiti su convenzioni, ma si sviluppano e si evolvono come sistemi dinamici, interdipendenti e in continua trasformazione.