L’essere umano, nel corso della sua evoluzione, ha sviluppato meccanismi cognitivi che rispondono prontamente ai segnali di pericolo. La predisposizione a credere in minacce imminenti, anche quando infondate, si inserisce in una logica funzionalista che ha favorito la sopravvivenza della specie. Tuttavia, questa credulità non è neutra: è spesso fortemente influenzata dal cosiddetto "bias negativo", una tendenza a dare maggiore attenzione e valore alle informazioni minacciose rispetto a quelle rassicuranti. Questo fenomeno non solo modella la nostra comprensione del mondo, ma alimenta anche la diffusione di miti, leggende urbane e credenze soprannaturali, amplificando così la percezione di pericolo.

Un aspetto significativo di questo processo è il cosiddetto "ciclo di feedback positivo", dove la credulità negativa porta alla maggiore circolazione di informazioni allarmistiche, alimentando una crescente percezione di pericolo. A sua volta, questa percezione rinforza la credulità negativa, creando un circolo vizioso che distorce la realtà. Con l'evoluzione delle tecnologie dell'informazione, il rischio che questi loop di feedback diventino sempre più intensi è notevolmente aumentato. I mezzi di comunicazione di massa e i social media permettono la diffusione rapida e su scala globale di informazioni, spesso prive di verifica, alimentando la paura e la sfiducia.

Oggi, eventi che accadono in luoghi lontani possono sembrare immediatamente vicini, grazie alla trasmissione in tempo reale tramite le piattaforme digitali. Le notizie allarmanti tendono a ricevere maggiore attenzione, sia per la loro capacità di evocare emozioni forti, sia perché i media spesso cercano di sfruttare il bias negativo per attrarre spettatori e lettori. Questo fenomeno è esacerbato dalla tendenza degli individui a credere più facilmente a informazioni provenienti da fonti familiari, che vengono percepite come più affidabili, e dalla possibilità di creare comunità virtuali che segregano gli utenti in gruppi omogenei, dove le idee condivise vengono rinforzate.

La nostra mente, evolutasi per la comunicazione faccia a faccia in un contesto sociale relativamente ristretto, non è preparata a fronteggiare l'ambiente complesso e frammentato dei media digitali del XXI secolo. Le distorsioni cognitive che caratterizzano il nostro approccio alle informazioni vengono amplificate dal contesto tecnologico, con effetti profondi sulla nostra visione del mondo. Le divisioni politiche e la distorsione della realtà che ne derivano sono chiare manifestazioni di questo processo. Le notizie false, le bufale e le manipolazioni informatiche sono strumenti che alimentano la polarizzazione sociale e che rischiano di compromettere il nostro senso di realtà.

È fondamentale che il lettore comprenda come la diffusione di informazioni errate e allarmistiche non sia solo un fenomeno isolato, ma faccia parte di un processo culturale più ampio. L'influenza del bias negativo non si limita alla semplice diffusione di voci infondate, ma crea un contesto in cui le credenze errate diventano persistenti, difficili da scardinare e, talvolta, pericolosamente influenti. In un mondo sempre più connesso, la distinzione tra ciò che è vero e ciò che è percepito come tale diventa sfocata.

Per contrastare questi fenomeni, è essenziale sviluppare una maggiore consapevolezza critica nei confronti delle informazioni che riceviamo e diffondiamo. La capacità di analizzare le fonti, valutare la plausibilità dei messaggi e riconoscere i meccanismi psicologici che spingono alla credulità è cruciale. Inoltre, è importante capire che il nostro cervello, sebbene progettato per rispondere velocemente alle minacce, può facilmente essere ingannato da messaggi che sfruttano le nostre paure più ancestrali.

Come le guerre dell'informazione possono influenzare la società moderna: disinformazione e fake news

La capacità moderna di produrre, duplicare, scambiare e archiviare informazioni non ha precedenti nella storia. La società contemporanea, in gran parte, si è trasformata in una società nutrita da informazioni, plasmata dai social network e costruita sull'indicizzazione dei motori di ricerca. In un tale contesto, l'informazione che non è digitalizzata perde importanza, destinata a scomparire nell'oscurità o ad essere relegata ad una ristretta élite. Se una volta l'abbondanza di informazioni era vista come una ricchezza, oggi questa stessa abbondanza ha generato una fragilità: le informazioni devono competere per l'attenzione come mai prima d'ora. La superficialità, lo stile sensazionalistico e le tecniche di clickbait – titoli provocatori, layout accattivanti e testi ottimizzati per i motori di ricerca – prevalgono spesso sulla sostanza, facendo prosperare la disinformazione.

Il contesto in cui si sviluppano queste guerre dell'informazione è quello di una battaglia incessante per il pubblico. Messaggi, fotografie, slogan e video brevi sono gli strumenti utilizzati in questo scontro digitale, progettati per soddisfare le aspettative di un pubblico costantemente connesso a Internet e ai dispositivi mobili. Le elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 2016 sono un esempio emblematico di come la disinformazione possa prevalere sull'informazione stessa. Facebook ha riconosciuto che circa 146 milioni di utenti sono stati esposti a fake news prima e dopo le elezioni, mentre YouTube ha ammesso di aver trasmesso oltre 1.100 video sospetti legati alla Russia. Twitter, preoccupata per l'uso di account falsi per influenzare il voto, ha notificato a circa 1,4 milioni di persone che erano state collegate a questi account. Sebbene sia incerto se queste manipolazioni abbiano determinato la vittoria di Trump, è ormai chiaro che tutte le elezioni democratiche future saranno analizzate alla ricerca di possibili campagne di disinformazione.

Questo fenomeno di manipolazione digitale si estende ben oltre i confini delle elezioni politiche. Un altro esempio di come la disinformazione possa danneggiare un intero processo democratico si è verificato con il referendum Brexit del 2016. Il governo britannico ha accusato la Russia di interferire nella campagna, suggerendo che le tecniche di disinformazione fossero state utilizzate per influenzare l'esito del voto. Le prove dirette di tale interferenza, tuttavia, sono scarse, e questo solleva dubbi sulla possibilità di tracciare con certezza le origini di certi contenuti.

Le minacce non si limitano ai singoli eventi elettorali. L'integrità stessa dei sistemi di voto è stata messa in discussione, in particolare negli Stati Uniti, dove si sono sollevati dubbi sulla sicurezza delle macchine da voto in alcuni stati. La combinazione tempestiva di disinformazione e hacking può amplificare reciprocamente i propri effetti, inquinando il dibattito, instillando dubbi sull'affidabilità dei risultati e distorcendo il processo democratico. Questo scenario rappresenta una seria minaccia anche per i sistemi democratici più solidi.

Un altro ambito in cui la diffusione di informazioni digitali è diventata una componente cruciale è il terrorismo internazionale. Gruppi come l'ISIS hanno utilizzato piattaforme digitali per reclutare nuovi membri, diffondere ideologie estremiste e promuovere i loro successi. I sostenitori dell'ISIS hanno sfruttato YouTube, Twitter, Facebook e siti web temporanei per diffondere il loro messaggio e raggiungere individui geograficamente distanti ma accomunati dagli stessi ideali estremisti. La facilità di accesso e la possibilità di creare account senza limitazioni ha reso Internet uno strumento potente per questi gruppi, che sono diventati molto abili nell'aggirare i sistemi di monitoraggio delle piattaforme social.

Nel mezzo di questa battaglia digitale, le piattaforme stesse – come Facebook, Twitter e YouTube – sono diventate un elemento centrale. Queste piattaforme, pur dichiarandosi semplici ospitanti di dati, giocano un ruolo che le avvicina sempre più a quello di editori, grazie alla sofisticatezza dei loro algoritmi e alla capacità di distribuire contenuti a un pubblico vasto. Questo solleva interrogativi sulla responsabilità di tali piattaforme nella gestione delle informazioni false, e se dovrebbero essere trattate alla stregua di editori, con le relative responsabilità legali.

Alcuni stati hanno cercato di combattere la disinformazione con misure legislative. In Francia, ad esempio, il governo ha introdotto leggi che sanzionano la pubblicazione di informazioni false durante le elezioni. L'esperienza del presidente Emmanuel Macron, che ha visto il suo team di campagna vittima di un attacco informatico durante le elezioni del 2017, ha reso evidente l'importanza di regolamentare questo fenomeno. Le leggi francesi, infatti, cercano di prevenire e combattere la diffusione di false informazioni durante i periodi elettorali, cercando di arginare le minacce alla stabilità democratica causate dalla disinformazione.

In questo scenario, è fondamentale che i cittadini siano consapevoli del potere che le informazioni possono avere nel plasmare le opinioni pubbliche e influenzare le decisioni politiche. Le persone devono sviluppare una capacità critica per distinguere tra informazioni verificate e contenuti manipolati. Questo richiede una maggiore educazione digitale, una migliore comprensione dei meccanismi che regolano la diffusione dell'informazione sui social media e un impegno collettivo per limitare l'impatto delle fake news.

L'influenza delle operazioni di disinformazione e spionaggio nella guerra ibrida: La risposta di Taiwan alla minaccia della Cina

La crescente interferenza della Cina nella sfera digitale e politica globale ha preso forme sempre più sofisticate, sia attraverso attacchi diretti alla sicurezza informatica che tramite l'utilizzo di strategie di disinformazione mirate. Gli esempi di queste operazioni mostrano una chiara volontà da parte della Repubblica Popolare Cinese (RPC) di esercitare il suo potere su Taiwan e su altre regioni tramite operazioni non convenzionali. Tra le tattiche più rilevanti, emergono il fenomeno delle "fattorie di contenuti" e il cosiddetto "Internet water army", che si pongono come strumenti fondamentali nell'ambito della guerra dell'informazione.

Le "fattorie di contenuti" si riferiscono a una rete di creatori di contenuti pagati, impegnati a generare enormi quantità di materiale destinato a manipolare i risultati dei motori di ricerca online, spesso con l’intento di distorcere la percezione pubblica su eventi rilevanti. Questi attacchi, benché difficili da provare, sono stati associati a gruppi noti come il "50c Party", un collettivo di commentatori Internet che, dietro il velo di normali cittadini, intervengono sui social media per rafforzare la propaganda del Partito Comunista Cinese (PCC). Un altro strumento utilizzato per manipolare l'opinione pubblica è l'“astroturfing”, che simula supporto popolare per determinati temi o figure, creando l'illusione di un consenso ampio e spontaneo che, in realtà, è frutto di un'operazione orchestrata.

In uno dei casi più noti, il 2016 ha visto un attacco massiccio sui social media contro la presidente taiwanese Tsai Ing-wen, colpendo la sua pagina Facebook e le sezioni commenti di importanti testate giornalistiche locali, in reazione alla sua elezione e alla sua posizione indipendentista. Sebbene questo tipo di attacchi venga attribuito alla partecipazione di utenti cinesi, la loro attività è stata, in alcuni casi, facilitata da una rete di VPN (Virtual Private Network) che ha eluso il Great Firewall della Cina, consentendo l'accesso a piattaforme proibite come Facebook. L'uso di queste tecnologie implica un paradosso, dato che l'uso di VPN in Cina può essere considerato un crimine, sollevando interrogativi sulle implicazioni politiche e sul grado di approvazione da parte delle autorità cinesi.

Oltre alle operazioni dirette sui social media, l'influenza della Cina si estende attraverso iniziative politiche come quelle gestite dal United Front Work Department (UFWD), una struttura del PCC che si occupa di raccogliere informazioni, influenzare le élite non comuniste e rafforzare le relazioni con i gruppi pro-Cina all'estero. In Taiwan, l’UFWD ha cercato di esercitare la sua influenza attraverso il coinvolgimento di imprenditori e politici locali, ma anche inducendo giovani taiwanesi a trasferirsi in Cina per motivi professionali, causando un fenomeno di "fuga dei cervelli" che mina l'economia e la competitività del paese.

La risposta di Taiwan a queste minacce è diventata una delle sfide più delicate del contesto geopolitico odierno. Se da un lato il paese si trova ad affrontare una minaccia militare diretta dalla Cina, dall’altro deve anche confrontarsi con rischi interni legati alla sorveglianza, allo spionaggio e alla manipolazione dell’opinione pubblica. Le autorità taiwanesi devono bilanciare la protezione della sicurezza nazionale con il rispetto dei valori democratici, attraverso un’educazione civica che promuova la solidarietà nazionale, la difesa delle proprie istituzioni e l’impegno attivo dei cittadini contro le forze destabilizzanti provenienti dall'esterno. La guerra dell'informazione, in questo caso, diventa parte integrante di una strategia più ampia, che si inserisce nel concetto di "Allegiance Warfare", ossia una guerra che non mira alla violenza fisica, ma alla creazione di una mentalità unitaria e resiliente.

Tuttavia, l'approccio di Taiwan non si limita alla difesa; il paese ha anche avviato una serie di contromisure per rafforzare la propria posizione diplomatica e strategica. Il rafforzamento delle capacità cibernetiche, l’uso di piattaforme digitali per sensibilizzare e la formazione di un’armata informatica dedicata sono alcune delle risposte alle operazioni di disinformazione. Questo impegno non riguarda solo la difesa contro la propaganda cinese, ma anche l'espansione dell'influenza taiwanese oltre i suoi confini, mirando a sensibilizzare la comunità internazionale sulla gravità delle minacce provenienti dalla Cina.

L'importanza di questa dinamica non si limita alla sola sfera delle operazioni informatiche. È fondamentale che Taiwan, nel proteggere la propria integrità democratica, continui a rafforzare la consapevolezza tra la sua popolazione riguardo alle tattiche di disinformazione e alla protezione della propria libertà d'informazione. Non solo il contrasto alla propaganda esterna, ma anche la promozione di una cultura della verità e della trasparenza all'interno della società è cruciale per mantenere la stabilità e la fiducia nelle istituzioni democratiche.