Il corpo umano, in risposta a particolari condizioni metaboliche, può adattarsi modificando l'utilizzo delle sue risorse energetiche. In condizioni di digiuno prolungato, ad esempio, i corpi chetonici, come il β-idrossibutirrato (βOHB), diventano una fonte primaria di energia per il cervello, mentre in situazioni normali il glucosio è il combustibile preferito. La produzione di corpi chetonici avviene principalmente a partire dal succinil-CoA attraverso l'azione di una serie di enzimi, tra cui l'OXCT1, che converte acido 3-ossocarbossilico in acetil-CoA. Quest'ultimo si trasforma in acetoacetil-CoA, che a sua volta si separa in due molecole di acetil-CoA per essere utilizzato nel ciclo dell'acido citrico (TCA) per la produzione di ATP. Tuttavia, non è solo la funzione energetica dei corpi chetonici a riscuotere attenzione, ma anche il loro ruolo come molecole di segnalazione e come fattori di trascrizione.

L'interazione di βOHB con specifici recettori accoppiati alle proteine G (HCAR2 e FFAR3) sulla superficie cellulare rivela un complesso meccanismo di regolazione biologica. Il recettore HCAR2, ad esempio, è attivato dal legame con βOHB e inibisce la scomposizione dei grassi nelle cellule adipose. D'altro canto, FFAR3, espresso nelle fibre nervose simpatiche, media un aumento della tensione vascolare che può essere ridotto dal legame di βOHB, con effetti sul consumo energetico individuale. Questo dimostra come i corpi chetonici possano influenzare l'attività metabolica, modulando non solo il metabolismo dei lipidi, ma anche il sistema nervoso autonomo e il bilancio energetico del corpo.

A livello neuronale, i corpi chetonici giocano un ruolo cruciale nel supporto alla funzione cerebrale. In particolare, i neuroni e le cellule gliali (astrociti) del cervello sono in grado di utilizzare non solo il glucosio come fonte di energia, ma anche il lattato prodotto dai gliali stessi. Questo meccanismo, noto come "shuttle astrocyte-neuron lactate," regola l'attività elettrica neuronale e sembra essere essenziale per la neuroprotezione, specialmente in condizioni di stress metabolico come nel caso dell'epilessia refrattaria. Recenti studi suggeriscono che l'inibizione della lattato deidrogenasi (LDH), un enzima che promuove il trasporto del lattato, possa ridurre la neurodegenerazione e potenziare gli effetti antiepilettici della dieta chetogenica.

Gli effetti neuroprotettivi e il miglioramento delle funzioni cognitive osservati negli studi sui modelli murini e umani con la dieta chetogenica non sono limitati alla prevenzione dell'epilessia. Ricerche recenti hanno documentato miglioramenti nei pazienti affetti da Alzheimer, in particolare nei soggetti ApoE4-negativi, suggerendo che la dieta chetogenica potrebbe favorire la protezione neuronale attraverso la riduzione dei livelli di glucosio nelle cellule gliali e l'aumento dell'utilizzo dei corpi chetonici da parte dei neuroni. Inoltre, è stato osservato che questo regime alimentare potrebbe migliorare la memoria e ridurre la mortalità nei topi anziani.

La relazione tra dieta chetogenica e invecchiamento è ancora oggetto di studio. Sebbene ci siano prove consistenti sull'efficacia della restrizione calorica nell'estensione della durata della vita in modelli animali, gli effetti della dieta chetogenica sull'invecchiamento umano rimangono incerti. Alcuni studi suggeriscono che una dieta chetogenica a basso contenuto di carboidrati possa ridurre i segni dell'invecchiamento, migliorare la funzione cognitiva e rallentare malattie legate all'età come il cancro, ma le evidenze sono più deboli rispetto alla restrizione calorica.

Ciò che rende difficile valutare i benefici anti-invecchiamento della dieta chetogenica negli esseri umani sono la difficoltà di mantenere un regime alimentare rigoroso e la necessità di studi a lungo termine per confermare l'efficacia. Alcuni studi suggeriscono che i benefici della dieta chetogenica potrebbero essere in parte attribuiti alla perdita di peso e alla riduzione dell'obesità, fattori che da soli potrebbero contribuire a migliorare la salute generale e prevenire le malattie croniche legate all'età.

A livello molecolare, è importante considerare che la dieta chetogenica non solo agisce attraverso i corpi chetonici come molecole di segnalazione, ma anche influenzando i meccanismi epigenetici. La deacetilazione degli istoni mediata dalla β-idrossibutirrato, ad esempio, può ridurre lo stress ossidativo e migliorare la funzione cellulare, comportando una protezione contro il danno alle cellule e un rallentamento dei processi di invecchiamento a livello molecolare.

Infine, è importante osservare che le diete chetogeniche, purtroppo, non sono facili da seguire a lungo termine. La riduzione drammatica dei carboidrati può comportare effetti collaterali come la "chetosi", con sintomi che vanno dalla fatica alla nausea, rendendo la dieta difficile da mantenere in modo continuativo. Inoltre, la dieta chetogenica non è adatta a tutti e deve essere attentamente monitorata da un professionista della salute.

Il Ruolo degli Intermediari Metabolici del NAD+ nel Controllo dell'Invecchiamento e nelle Malattie Correlate

Il NAD+ (nicotinamide adenine dinucleotide) è una molecola coenzimatica fondamentale per una varietà di reazioni redox cellulari ed è stato scoperto nel 1906 dal biochimico britannico Arthur Harden. Da allora, il NAD+ ha attratto l'attenzione per il suo ruolo cruciale nei processi metabolici, nelle funzioni mitocondriali e nella regolazione dell'invecchiamento. In particolare, il NAD+ è coinvolto nella mediazione degli effetti anti-invecchiamento della restrizione calorica e nel controllo della durata della vita, grazie all'attività delle sirtuine, un gruppo di enzimi che deacetilano e deacilano i substrati in modo dipendente dal NAD+. Tra le sirtuine più studiate, vi sono SIRT1, SIRT6 e SIRT3, che giocano un ruolo essenziale nel mantenimento della salute mitocondriale, nella biogenesi mitocondriale e nel controllo della produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS).

La scoperta del ruolo del NAD+ nella regolazione dell'invecchiamento ha portato a un significativo avanzamento della ricerca, con l'identificazione di intermediari metabolici come il nicotinamide mononucleotide (NMN) e il nicotinamide riboside (NR). Questi composti sono ora considerati tra le principali risorse terapeutiche nel campo della medicina anti-invecchiamento, in quanto sono in grado di ripristinare i livelli di NAD+ nelle cellule, migliorando così la funzione mitocondriale e potenzialmente estendendo la durata della vita. Studi su modelli animali hanno dimostrato che la somministrazione di NMN e NR può contribuire a ripristinare le funzioni mitocondriali in organismi invecchiati, ridurre l'infiammazione e migliorare il metabolismo, con implicazioni potenzialmente terapeutiche per malattie come il diabete di tipo 2, la sindrome metabolica, la resistenza all'insulina e le malattie neurodegenerative.

La via di sintesi salvavita del NAD+ gioca un ruolo fondamentale in questo contesto. In essa, il nicotinamide (NAM) viene convertito in NMN dalla nicotinamide fosforibosiltransferasi (NAMPT), un enzima limitante della sintesi del NAD+. Successivamente, NMN viene trasformato in NAD+ dalla nicotinamide/nicotinico acido mononucleotide adenylyltransferasi (NMNAT). Attraverso questa via, la cellula è in grado di mantenere livelli adeguati di NAD+, il che è essenziale per il corretto funzionamento degli enzimi dipendenti dal NAD+, come le sirtuine, l'ADP ribosio polimerasi (PARP), e il CD38, tutti coinvolti in importanti processi biologici quali il metabolismo e la risposta infiammatoria.

Un altro aspetto interessante riguarda la connessione tra NAD+ e la funzione mitocondriale. Le sirtuine, in particolare SIRT1, deacetilano e attivano PGC1A in modo dipendente da NAD+, e questo processo è fondamentale per il controllo della biogenesi mitocondriale e per l'ottimizzazione della produzione di energia nelle cellule. L'attivazione di PGC1A promuove la formazione di nuovi mitocondri e il miglioramento dell'efficienza del metabolismo ossidativo. È anche noto che l'invecchiamento è associato a una diminuzione della funzione mitocondriale, e che la riduzione dei livelli di NAD+ è strettamente correlata a disfunzioni mitocondriali che contribuiscono a molte malattie legate all'età, tra cui malattie neurodegenerative, disfunzioni cardiovascolari e diabete.

La restrizione calorica, che è stata identificata come uno dei più potenti interventi per estendere la durata della vita negli organismi, è in grado di aumentare i livelli di NAD+ in vari organi, attivando così le sirtuine e migliorando la salute mitocondriale. In effetti, studi su topi con sovraespressione di SIRT1 e SIRT6 hanno mostrato una maggiore longevità, suggerendo che l'attivazione delle sirtuine tramite il ripristino del NAD+ possa essere un meccanismo cruciale nel rallentare l'invecchiamento.

Nonostante i risultati promettenti ottenuti in modelli animali, la ricerca sugli effetti degli intermediari metabolici del NAD+ nella durata della vita degli esseri umani è ancora in una fase preliminare. Tuttavia, l'interesse scientifico continua a crescere, con un focus particolare sulla potenziale applicazione terapeutica degli intermediari del NAD+ per il trattamento delle malattie legate all'età. Questi composti non solo migliorano la funzione mitocondriale, ma potrebbero anche essere utilizzati per contrastare il deterioramento delle funzioni fisiologiche associate all'invecchiamento, come la resistenza all'insulina, l'infiammazione e la perdita di massa muscolare.

In sintesi, gli intermediari metabolici del NAD+ come NMN e NR rappresentano una frontiera promettente nella ricerca sul rallentamento dell'invecchiamento e nella medicina anti-invecchiamento. Tuttavia, è necessario proseguire con studi approfonditi per comprendere appieno come questi composti possano influenzare la longevità e per determinare la loro efficacia negli esseri umani. Sarà fondamentale esplorare ulteriormente le interazioni tra NAD+, le sirtuine e la funzione mitocondriale per ottimizzare il trattamento delle malattie legate all'invecchiamento e promuovere un invecchiamento sano.

Qual è il legame tra restrizione calorica e longevità?

Gli effetti anti-invecchiamento della restrizione calorica rappresentano uno degli assi portanti nella comprensione moderna della longevità. Questa pratica, che consiste nella riduzione dell’apporto alimentare quotidiano di circa il 30% senza causare malnutrizione, ha mostrato benefici evidenti su una vasta gamma di organismi: dai nematodi e drosophile, fino ai roditori e primati. L’osservazione empirica della sua efficacia ha spinto la comunità scientifica a esplorare i meccanismi molecolari e neuronali coinvolti, identificando nel nucleo arcuato dell’ipotalamo una regione chiave per la mediazione di tali effetti.

Uno degli elementi centrali nel controllo dell’invecchiamento indotto dalla restrizione calorica è il neuropeptide Y (NPY), prodotto da specifici neuroni del nucleo arcuato. Il NPY regola il comportamento alimentare stimolando l’appetito e riducendo il consumo energetico, meccanismi che, evolutivamente, permettono di preservare energia e garantire la sopravvivenza durante i periodi di carenza nutritiva. In condizioni di restrizione calorica, si osservano livelli plasmatici ridotti di insulina e leptina, con un aumento di grelina, ormoni che modulano negativamente (insulina e leptina) o positivamente (grelina) l’espressione di NPY. L’assenza di NPY nei modelli murini knock-out elimina completamente i benefici della restrizione calorica sull’aspettativa di vita, sottolineando il suo ruolo insostituibile nel processo.

A livello sistemico, la restrizione calorica agisce anche attraverso la soppressione del segnale GH/IGF-1/insulina, regolatori chiave del metabolismo del glucosio, della sintesi proteica e dell’accumulo lipidico. Il GH, secreto dalla ghiandola pituitaria anteriore, attiva il recettore GHR e la cascata JAK2, inducendo l’espressione e la secrezione di IGF-1. Questo, insieme all’insulina, stimola segnali intracellulari in tessuti periferici, come fegato e tessuto adiposo, promuovendo crescita e accumulo energetico. Tuttavia, in stato di restrizione calorica, l’attività di questa via si riduce, favorendo una maggiore sensibilità all’insulina, una diminuzione della sintesi proteica e l’attivazione di meccanismi citoprotettivi, tra cui l’autofagia.

Un nodo cruciale in questa rete di segnalazione è rappresentato da mTOR (mammalian Target of Rapamycin), una chinasi che integra segnali nutrienti, ormonali ed energetici per controllare la crescita cellulare, la proliferazione e l’autofagia. L’inibizione della via mTOR in condizioni di restrizione calorica è associata all’aumento della longevità in molte specie. È stato dimostrato che mutazioni genetiche che compromettono la funzione di mTOR o delle sue componenti (come IRS1, IRS2 o JAK2) prolungano significativamente la durata della vita. Questo ha reso tali molecole obiettivi di grande interesse farmacologico.

Sostanze come la rapamicina, la metformina e il nicotinamide mononucleotide (NMN) sono attualmente studiate per la loro capacità di mimare i benefici della restrizione calorica agendo su queste vie molecolari. In particolare, la rapamicina, inibitore diretto di mTOR, ha mostrato prolungamenti della vita in modelli murini anche quando somministrata in età adulta. La metformina, già utilizzata per il trattamento del diabete di tipo 2, esercita i suoi effetti anche tramite l’attivazione dell’AMPK, antagonista di mTOR. Il NMN, precursore del NAD⁺, agisce invece su sirtuine e processi di riparazione cellulare.

È importante sottolineare che il beneficio della restrizione calorica non risiede unicamente nella riduzione calorica in sé, ma nella risposta biologica ad essa indotta, attraverso la rilevazione dello stato nutrizionale da parte dell’organismo. La restrizione alimentare, quindi, si configura come una condizione che attiva risposte adattative di sopravvivenza a livello metabolico, endocrino e cellulare, promuovendo la longevità e la resistenza allo stress ossidativo e alle malattie legate all’invecchiamento.

Oltre ai meccanismi biochimici, è essenziale considerare anche l’impatto neurocomportamentale della restrizione calorica. L’attivazione dei neuroni NPY nel nucleo arcuato non solo modula l’omeostasi energetica, ma è coinvolta anche nella regolazione dell’umore e della resilienza allo stress, implicando che una restrizione calorica moderata possa avere effetti positivi anche sulla salute mentale e sulla funzione cognitiva nel lungo termine.

Infine, è fondamentale riconoscere che l’efficacia della restrizione calorica dipende da una rete complessa di segnali nutrizionali e ormonali, integrati a livello centrale e periferico. La manipolazione farmacologica di queste vie, ispirata alla fisiologia della restrizione calorica, apre scenari promettenti nella medicina anti-invecchiamento, ma richiede una profonda comprensione dei suoi effetti sistemici, dei rischi associati e delle differenze individuali nella risposta metabolica. La sfida futura sarà quella di sviluppare interventi personalizzati che imitino i benefici della restrizione calorica senza compromettere la qualità della vita o l’equilibrio nutrizionale.