Molti datori di lavoro vedono nelle promozioni a posizioni manageriali una tappa quasi obbligata per gli ingegneri e i professionisti STEM, un percorso culturale che genera problemi profondi sia per gli individui sia per le organizzazioni. La norma implicita vuole che chi dimostra eccellenza tecnica venga spinto verso la gestione, ma questo spostamento spesso conduce a una sensazione di insoddisfazione e persino di fallimento personale, poiché si lascia un lavoro tecnico amato per affrontare mansioni molto diverse e meno gratificanti. Diversi ingegneri hanno raccontato di come, dopo una promozione, si siano sentiti "tristi fino alla banca", esprimendo una contraddizione emotiva tra la passione per il lavoro tecnico e la realtà della gestione.

La transizione verso il management implica l’assunzione di compiti come presentazioni, comunicazioni frequenti e leadership, aspetti che molti professionisti STEM trovano difficili e non congeniali al loro temperamento, spesso più introverso e abituato a un approccio razionale e sistematico ai problemi. L’educazione ingegneristica tende a insegnare che per ogni problema esiste una risposta giusta e sistematica, lasciando poco spazio a intelligenza emotiva o a gestire questioni ambigue o mal definite, competenze invece fondamentali nella gestione.

Questa dinamica può incidere negativamente sulle organizzazioni stesse, in quanto il principio di Peter, studiato dalla sociologia delle organizzazioni, suggerisce che le persone vengono promosse fino a raggiungere un livello in cui non sono più competenti, rimanendo in ruoli in cui non eccellono. Promuovere ingegneri o tecnici eccellenti a posizioni manageriali senza tener conto delle competenze specifiche può dunque ridurre l’efficienza complessiva. Sarebbe più sensato permettere avanzamenti di carriera che mantengano i professionisti nel loro ambito tecnico, riconoscendone e valorizzandone le competenze specialistiche con ruoli tecnici ben remunerati.

Il motivo per cui gli stipendi dei lavoratori STEM restano spesso più bassi rispetto a quelli dei manager, nonostante la supposta scarsità di competenze STEM, è radicato in processi culturali di natura istituzionale. Le aziende tendono a replicare i livelli salariali della concorrenza, seguendo la “tariffa corrente”, che diventa uno standard culturale rigido e difficile da superare. I lavoratori STEM stessi accettano questa situazione come normale, confrontandosi spesso con i salari di laureati in discipline umanistiche e sentendosi privilegiati rispetto a questi ultimi, ignorando così le diseguaglianze interne e le potenzialità di miglioramento.

Un esempio emblematico è quello di una start-up tecnologica che non alza gli stipendi dei propri designer UX nonostante la loro continua fuga verso offerte più remunerative. Il dirigente, pur riconoscendo la perdita di talenti, preferisce esternalizzare queste funzioni in paesi a basso costo piuttosto che aumentare gli stipendi, giustificando questa scelta con dati di mercato e sondaggi salariali che consolidano ulteriormente un sistema di pagamenti rigido e poco flessibile.

È importante sottolineare che, pur non sostenendo che le retribuzioni STEM siano generalmente insufficienti, i dati mostrano che in un’economia florida i salari medi annuali di questi lavoratori sono ben superiori alla media nazionale. Tuttavia, se davvero vi fosse una carenza significativa di competenze STEM e si volesse incentivare maggiormente i laureati in queste discipline a intraprendere carriere tecniche, gli stipendi dovrebbero essere ancor più competitivi e attrattivi.

Il quadro che emerge dall’analisi è quindi complesso: da un lato, la formazione STEM viene promossa e valorizzata; dall’altro, le dinamiche organizzative e culturali conducono spesso a spingere i migliori talenti fuori dai ruoli tecnici verso il management, diminuendo la loro soddisfazione e potenzialmente indebolendo il sistema dell’innovazione. La riflessione va quindi oltre la semplice questione salariale o della scarsità di competenze, toccando profondamente il modo in cui le organizzazioni strutturano le carriere e come la cultura del lavoro STEM venga interiorizzata dai suoi stessi protagonisti.

Importante è anche comprendere che queste dinamiche si intrecciano con le strategie di gestione del personale e con le pratiche istituzionali consolidate, che resistono al cambiamento. Solo una presa di coscienza collettiva, accompagnata da politiche aziendali innovative che valorizzino percorsi tecnici avanzati e remunerati, potrà invertire questa tendenza e sfruttare appieno il potenziale dei laureati STEM per il progresso tecnologico e sociale.

Perché gli Stati Uniti investono massicciamente nell’educazione STEM?

Negli Stati Uniti, l’educazione STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) è diventata un obiettivo strategico nazionale. Presidenti di differenti orientamenti politici hanno sostenuto la necessità di formare una nuova generazione di lavoratori altamente qualificati nei settori STEM per assicurare crescita economica, innovazione e competitività globale. L’impegno ha assunto proporzioni sistemiche: il Consiglio del Presidente per la Scienza e la Tecnologia ha proposto di produrre un milione di laureati in più nei settori STEM rispetto alle previsioni, per rispondere alla domanda del mercato del lavoro. Anche l’amministrazione Trump, pur con approcci differenti, ha investito 200 milioni di dollari in sovvenzioni per l’educazione STEM, con particolare attenzione all’inclusione delle donne nel settore. L’attuale politica dell’amministrazione Biden sembra continuare questa linea, puntando anch’essa sulla formazione di una forza lavoro futura orientata alla tecnologia e alla scienza.

Non si tratta soltanto di un’iniziativa federale. Tutti e cinquanta gli stati americani hanno adottato programmi per potenziare l’educazione STEM, affiancati da una rete crescente di organizzazioni nazionali, regionali e locali. Sono stati censiti oltre 180 enti a livello statale o regionale e almeno 30 organizzazioni nazionali dedicate esclusivamente allo sviluppo delle competenze STEM, in aggiunta a numerosi distretti scolastici urbani e rurali che implementano progetti indipendenti. Persino piccole città o sobborghi partecipano al fenomeno, nonostante la disparità tra aree più e meno attive sia ancora significativa.

A questo panorama si aggiungono attori non governativi, fondazioni private, organizzazioni filantropiche e il settore aziendale. Le conferenze US News/STEM Solutions, frequentate da rappresentanti di governo, aziende, enti no-profit e istituzioni educative, testimoniano la trasversalità del fenomeno. Tra i promotori si trovano nomi come 3M, Qualcomm, Cognizant, Google, Microsoft, ma anche Best Buy, Boeing e Chevron. La varietà degli investitori sottolinea l’ampiezza dell’interesse verso lo sviluppo della forza lavoro STEM, e l’idea che il futuro economico della nazione sia strettamente legato al numero e alla qualità di laureati in questi campi.

L’assunto di fondo è che investire nelle pipeline educative sia la chiave per colmare le lacune del mercato del lavoro: formare giovani studenti, spingerli verso corsi STEM e aumentare il numero di laureati è considerato essenziale. Non è possibile calcolare con precisione l’ammontare degli investimenti pubblici e privati nel settore, ma è evidente l’entità dello sforzo collettivo. Tuttavia, al di là delle cifre, ciò che colpisce è la fiducia diffusa in un principio quasi assiomatico: più laureati STEM equivale a una società migliore.

Questo slancio si basa su diverse motivazioni, ma una delle più frequenti e urgenti è quella della "carenza" di lavoratori STEM. Secondo questa logica, le imprese hanno posizioni aperte che non riescono a coprire per mancanza di candidati qualificati. L’urgenza di tale carenza ha portato a richieste di riforme nell’immigrazione, volte ad attrarre lavoratori stranieri altamente qualificati, poiché il sistema educativo interno non è sufficientemente rapido nel produrre i profili necessari. Il gruppo di pressione FWD.us, supportato da figure come Mark Zuckerberg, Eric Schmidt, Elon Musk e altri leader tecnologici, sostiene da anni che l’insufficienza di lavoratori STEM sia un ostacolo allo sviluppo e propone l’immigrazione come soluzione immediata. Secondo loro, riformare le regole per consentire agli studenti internazionali di restare negli Stati Uniti dopo la laurea genererebbe benefici economici di oltre 200 miliardi di dollari.

Eppure, questa narrativa della carenza non è nuova né immune da critiche. Già alla fine degli anni Ottanta, la National Science Foundation lanciava allarmi su futuri “deficit” di scienziati e ingegneri che poi si rivelarono infondati. Michael Teitelbaum, demografo ed esperto di politiche scientifiche, ha descritto questo fenomeno come un ciclo ricorrente di “assenze annunciate”, evidenziando come la retorica dell’urgenza venga spesso riutilizzata senza solide basi empiriche. Le argomentazioni sulla carenza tendono a fondersi con quelle sulla competitività globale: la paura di essere superati da altre nazioni spinge a investire in formazione scientifica senza interrogarsi abbastanza sulla reale domanda del mercato.

Ciò che va compreso è che l’espansione dell’educazione STEM non si limita a una risposta pragmatica alla domanda di lavoro. Essa riflette un’ideologia profonda, dove la scienza e la tecnologia sono viste come motore universale del progresso economico, sociale e geopolitico. Ma una politica educativa fondata unicamente sulla quantità rischia di ignorare aspetti qualitativi fondamentali: non tutti i laureati STEM trovano occupazione coerente con il proprio titolo; molti finiscono per svolgere lavori non scientifici o tecnologici; e l’attenzione esclusiva verso la quantità può compromettere la qualità dell’insegnamento, la preparazione degli studenti, e soprattutto, il senso critico nei confronti dell’intero sistema.

Inoltre, mentre si moltiplicano gli investimenti per attrarre i giovani verso le discipline STEM, poco si discute delle condizioni lavorative effettive in questi settori, della loro sostenibilità, delle disuguaglianze di accesso e permanenza, delle implicazioni etiche e sociali di un’educazione finalizzata unicamente al mercato. Se il pro

Cosa significa "talento" nell'industria dell'innovazione? Un'analisi delle politiche salariali e delle opportunità di carriera

Il concetto di "talento" è sempre stato centrale nell'economia dell'innovazione. Negli ultimi decenni, l'industria tecnologica ha creato un mercato altamente competitivo per attrarre e trattenere i migliori talenti. Le dinamiche salariali in questo campo sono state oggetto di numerosi studi, dimostrando che i salari elevati non solo sono comuni per i manager, ma sono anche in crescita, anche durante periodi di riduzione del personale aziendale. Questo fenomeno è stato descritto come una "risurrezione" del managerialismo, un concetto che implica l'ascesa di una nuova élite manageriale che guida le aziende tecnologiche. Tuttavia, non è solo la remunerazione ad essere rilevante: anche le politiche di gestione del personale e le opportunità di crescita all'interno dell'azienda giocano un ruolo cruciale nella competizione per il talento.

I manager e i dirigenti aziendali, infatti, sono spesso coloro che beneficiano di salari significativamente più alti rispetto ad altri lavoratori. L'idea di fondo è che il successo di un'impresa innovativa dipenda fortemente dalla leadership e dalla capacità di fare scelte strategiche. Di conseguenza, le aziende tecnologiche sono pronte a investire grandi risorse nella formazione e nella remunerazione di queste figure di spicco. La retorica dominante suggerisce che gli stipendi elevati per i manager possano tradursi in maggiore produttività per l'impresa, ma questo non è sempre il caso. In alcuni settori, i salari più alti non sono necessariamente legati a una maggiore efficienza operativa, ma sono piuttosto una risposta alla concorrenza interna ed esterna nel reclutamento di talenti di alto livello.

Un altro aspetto da considerare riguarda la mobilità professionale. Il concetto di "talento" è strettamente legato alla capacità di un individuo di progredire nella propria carriera. La possibilità di crescita professionale è uno dei fattori principali che spinge i lavoratori a cambiare posto di lavoro. Secondo alcune ricerche, una parte significativa dei lavoratori che desiderano cambiare lavoro cita la mancanza di opportunità di avanzamento come una delle principali motivazioni. Questo dato evidenzia come le aziende siano chiamate a creare percorsi di carriera significativi, capaci di offrire agli impiegati non solo un buon stipendio, ma anche opportunità reali di crescita professionale. Le organizzazioni che non sono in grado di soddisfare queste esigenze rischiano di perdere i propri talenti a favore di concorrenti più agili e attenti alle dinamiche interne di sviluppo professionale.

Per quanto riguarda il settore STEM (Science, Technology, Engineering, and Mathematics), la carenza di competenze tecniche non è l'unico problema. Molti lavoratori in questo campo, seppur altamente qualificati, lamentano la mancanza di competenze trasversali come la comunicazione e la gestione. Questi aspetti sono fondamentali per garantire che l'innovazione non sia solo una questione di pura capacità tecnica, ma anche di saper collaborare e gestire risorse umane in modo efficace. Alcuni studi hanno rivelato che i manager del settore ingegneristico si sentono frustrati dalla carenza di tali competenze nei propri dipendenti, nonostante la crescente domanda di laureati in STEM. A questo proposito, le iniziative per integrare competenze non tecniche nei percorsi formativi STEM, come i programmi di "Professional Science Master's", possono rappresentare una risposta adeguata a questo gap formativo.

All'interno delle aziende tecnologiche, emerge un altro problema legato alla competizione per il talento: i cosiddetti "contratti di non concorrenza". Questi contratti, seppur legalmente discussi, sono utilizzati da molte imprese per prevenire che i propri dipendenti trasferiscano competenze ad aziende concorrenti. Sebbene possano sembrare una misura necessaria per proteggere l'innovazione aziendale, questi contratti possono limitare la libertà professionale dei lavoratori e ridurre la fluidità del mercato del lavoro. La recente controversia legale tra Google e Apple sulla restrizione della concorrenza tra i dipendenti ha messo in luce come tali pratiche possano avere un impatto negativo sulla carriera dei singoli e sulla competitività complessiva del mercato.

Un ulteriore elemento critico riguarda il trattamento dei lavoratori e l'equità salariale. In un mondo sempre più globalizzato, le disuguaglianze salariali tra i diversi settori e le diverse professioni continuano ad essere un tema caldo. Le aziende che riescono a offrire un trattamento equo e trasparente, con politiche salariali che riflettono realmente il valore dei dipendenti, tendono ad attrarre e mantenere i migliori talenti. Questo non riguarda solo le alte sfere aziendali, ma anche le posizioni tecniche e creative, che richiedono una continua valorizzazione.

Il concetto di "lavoro ideale" cambia rapidamente e le aziende sono chiamate a rispondere a questo cambiamento non solo attraverso politiche salariali adeguate, ma anche creando ambienti di lavoro che rispondano alle esigenze di crescita e soddisfazione professionale. Le carriere in tecnologia, per esempio, non sono più viste solo come percorsi lineari, ma come opportunità per esplorare nuove aree, sviluppare nuove competenze e, soprattutto, per essere parte di un cambiamento significativo e dinamico.

La discriminazione per età nell'industria tecnologica: un fenomeno crescente

Il fenomeno della discriminazione per età nell'industria tecnologica è un tema che negli ultimi anni ha suscitato crescente preoccupazione. Silicon Valley, cuore pulsante della tecnologia mondiale, è spesso vista come un luogo dove i giovani talenti dominano, eppure questo stesso contesto sta emergendo come un terreno fertile per una forma di esclusione che coinvolge, in particolare, i lavoratori più anziani.

Nonostante l’industria tecnologica sia una delle più dinamiche e in rapida crescita, essa presenta una crescente problematica leg