Il processo di elettrolisi dell'acqua è alla base della produzione di idrogeno verde, una risorsa fondamentale per la transizione energetica. Questo processo si articola in diverse fasi, che avvengono all'interno di elettrolizzatori, dispositivi progettati per separare l'acqua in idrogeno e ossigeno mediante l'uso di elettricità. La reazione chimica che avviene durante l'elettrolisi è la seguente:
Nel contesto degli elettrolizzatori a membrana a scambio protonico (PEM), il principio di funzionamento è relativamente semplice, ma estremamente sofisticato nella sua applicazione pratica. L'acqua viene introdotta nell'elettrolizzatore, dove, grazie all'applicazione di una corrente elettrica, si separa nei suoi componenti: ioni di idrogeno (H+) e ossigeno molecolare (O₂). Questo avviene al livello dell'anodo, dove si verifica la reazione di evoluzione dell'ossigeno (OER). L'ossigeno prodotto viene poi eliminato dall'uscita dell'anodo. Nel frattempo, gli ioni di idrogeno migrano attraverso la membrana del dispositivo verso il catodo, dove avviene la riduzione a idrogeno molecolare, grazie alla reazione di evoluzione dell'idrogeno (HER). Questo processo consente di ottenere idrogeno gassoso come prodotto finale.
Gli elettrolizzatori PEM si distinguono per l'utilizzo di materiali elettrodi molto specifici, come il platino (Pt) o leghe di platino, grazie alle loro eccellenti proprietà elettrocatalitiche, alta conduttività e resistenza alla corrosione. Il catodo, che è l'elettrodo negativo, utilizza catalizzatori come il platino o leghe di metalli di transizione come il nichel (Ni) o il cobalto (Co) per migliorare l'efficienza e ridurre i costi complessivi del processo.
Accanto ai materiali, un altro componente cruciale di un elettrolizzatore PEM è la fonte di alimentazione esterna, che fornisce la corrente continua (DC) necessaria per alimentare la cella. Il flusso di elettroni dall'anodo al catodo avviene tramite un circuito esterno, completando così il ciclo di produzione dell'idrogeno.
La funzione di catalizzatori come il ruthenio e l'iridio nel migliorare l'efficienza della creazione di ossigeno nell'area di evaporazione è altrettanto fondamentale. Questi materiali vengono impiegati nella regione anodo per ottimizzare la reazione di evoluzione dell'ossigeno, aumentando la velocità della reazione e riducendo i costi associati all'uso di metalli preziosi.
Esiste anche un'altra tecnologia interessante, quella degli elettrolizzatori a ossido solido (SOEC), che operano a temperature molto più elevate, tra i 500°C e i 1000°C. Questi dispositivi sfruttano un elettrolita ceramico solido, come la zirconia stabilizzata con ittria (YSZ), che consente una maggiore efficienza rispetto agli elettrolizzatori PEM in determinate condizioni. A questi elettrolizzatori è attribuita la capacità di produrre non solo idrogeno, ma anche gas di sintesi (una miscela di CO e H₂) mediante coelettrolisi di vapore acqueo e CO₂, un processo che verrà trattato più nel dettaglio in capitoli successivi.
Un'altra innovazione degna di nota è rappresentata dalle celle di elettrolisi microbica (MEC), che si basano su un processo biologico. Questi sistemi utilizzano microrganismi per ossidare materia organica e produrre idrogeno. Le MEC si alimentano principalmente di acque reflue organiche, scarti alimentari e agricoli, e altre fonti di rifiuti organici. La capacità di questi sistemi di trattare rifiuti in modo sostenibile e di generare idrogeno rende le MEC una tecnologia molto interessante per la gestione dei rifiuti e la produzione di energia. Il processo bioeletrochimico che avviene nelle MEC coinvolge batteri elettrogenici che ossidano la materia organica liberando elettroni e protoni, che vengono poi utilizzati per la produzione di idrogeno nel catodo. In questo caso, gli scarti organici non solo vengono trattati, ma diventano anche una risorsa per la generazione di energia pulita.
Per quanto riguarda le differenze tra i vari tipi di elettrolizzatori, è evidente che ciascuna tecnologia ha i suoi vantaggi e svantaggi. Gli elettrolizzatori PEM, pur essendo compatti e ad alta densità di corrente, sono costosi a causa dell'uso di catalizzatori nobili come il platino. Tuttavia, offrono una purezza dell'idrogeno molto alta (fino al 99,999%). Gli elettrolizzatori alcalini, pur essendo meno costosi, hanno un'efficienza inferiore e una densità di corrente più bassa, ma sono comunque molto utilizzati in impianti di produzione di idrogeno su larga scala. Gli SOEC, con la loro capacità di operare a temperature elevate e l'alta efficienza, sono particolarmente adatti per applicazioni industriali dove l'elettricità rinnovabile è abbondante e i costi di produzione devono essere minimizzati.
Le MEC, infine, sebbene siano una tecnologia emergente, offrono la possibilità di trattare rifiuti organici in modo estremamente efficiente, trasformandoli in idrogeno senza la necessità di alte temperature o materiali costosi. Tuttavia, la loro applicazione pratica è ancora in fase di sviluppo, e la necessità di ottimizzare le condizioni per la crescita dei microrganismi e la gestione delle correnti di elettroni è una sfida ancora da superare completamente.
In conclusione, la produzione di idrogeno verde tramite elettrolisi è una delle tecnologie più promettenti per la decarbonizzazione dell'energia. La scelta della tecnologia di elettrolisi più adatta dipende dalle specifiche esigenze di costo, efficienza e applicazione, con le diverse tecnologie che offrono vantaggi complementari a seconda del contesto in cui vengono utilizzate. Oltre alla scelta della tecnologia, è cruciale considerare anche l'origine dell'energia elettrica che alimenta l'elettrolizzatore: affinché l'idrogeno prodotto sia veramente "verde", deve essere utilizzata energia da fonti rinnovabili, come il solare o l'eolico, evitando che la produzione di idrogeno contribuisca indirettamente alle emissioni di gas serra.
Qual è il limite inferiore e superiore di esplosività dei gas e come influenzano la sicurezza?
La flammabilità di una miscela gassosa dipende da due valori critici: il Limite Inferiore di Esplosività (LEL) e il Limite Superiore di Esplosività (UEL). Il LEL rappresenta la concentrazione minima di un gas nella miscela che è sufficiente affinché si verifichi una combustione, mentre l'UEL è il limite massimo oltre il quale la miscela è troppo ricca per innescare una combustione a causa di una carenza di ossigeno. In altre parole, la flammabilità è confinata tra questi due limiti, che definiscono un intervallo di concentrazioni in cui un gas può esplodere se esposto a una fonte di accensione.
Le industrie che trattano sostanze infiammabili devono prestare particolare attenzione a questi parametri di sicurezza, per ridurre il rischio di esplosioni. È fondamentale comprendere questi limiti per poter effettuare una valutazione del rischio precisa, adottando misure precauzionali per evitare concentrazioni esplosive e garantire una risposta adeguata in caso di fuoriuscite o perdite di gas. Ogni gas o vapore ha i propri valori di LEL e UEL, che sono generalmente riportati nelle rispettive schede di sicurezza e devono essere sempre presi in considerazione con la massima attenzione.
Ad esempio, l'idrogeno presenta un intervallo di esplosività che dipende dalla sua concentrazione nell'aria. Se l'idrogeno viene miscelato con il metano, anche piccole quantità di idrogeno ampliano notevolmente l'intervallo di concentrazioni esplosive (l'UEL), mentre il LEL rimane relativamente stabile intorno al 4,5%. Pertanto, anche una piccola quantità di idrogeno in una miscela di gas può aumentare il rischio di esplosioni, comportando la necessità di misure più severe di sicurezza. Un metodo proposto per ridurre la flammabilità è l'aggiunta di anidride carbonica (CO2) alla miscela, in quanto la CO2 agisce da inibitore della combustione.
L'integrazione di CO2 è particolarmente utile nelle industrie che producono biogas, dove il CO2 è facilmente disponibile. Tuttavia, l'aumento della percentuale di idrogeno in una miscela con metano implica un incremento non lineare dell'intervallo di esplosività, aumentando ulteriormente i rischi associati alla manipolazione di queste miscele.
La comprensione del principio di Le Chatelier, applicato ai sistemi in equilibrio, fornisce un'utile analogia per capire come la composizione di una miscela gassosa influenzi la sua flammabilità e i limiti di esplosività. In pratica, attraverso regole empiriche, come l'equazione di Burgess-Wheeler, è possibile stimare il LEL di miscele di gas. Tale equazione è utile per calcolare la concentrazione minima necessaria affinché una miscela esplosiva possa accendersi in presenza di una fonte di ignizione.
Un altro aspetto importante riguarda i rischi associati all'uso dell'idrogeno, che possono essere suddivisi in rischi fisiologici, fisici e chimici. I rischi fisiologici includono asfissia, ustioni da calore o da contatto con idrogeno liquido (frostbite), e ipotermia causata dall'esposizione al vapore o al liquido idrogeno. L'asfissia si verifica quando la concentrazione di idrogeno nell'aria è così alta che l'ossigeno diventa insufficiente per la respirazione. Ustioni da freddo e danni ai tessuti si verificano quando l'idrogeno liquido entra in contatto con la pelle o con gli occhi, mentre l'ipotermia può insorgere quando il gas o il liquido provoca un abbassamento significativo della temperatura corporea.
A livello fisico, l'idrogeno può causare danni ai materiali metallici con il fenomeno noto come fragilità da idrogeno (HE), che rende i metalli più suscettibili a fratture quando l'idrogeno permea nelle strutture metalliche. I rischi chimici sono legati alla flammabilità dell'idrogeno e alla sua capacità di esplodere se esposto a una fonte di accensione. La combustione dell'idrogeno richiede una quantità sufficiente di ossigeno e una temperatura adeguata, e quando questi fattori si combinano, si verificano fenomeni esplosivi che dipendono dalla velocità di aumento della pressione e dalla durata dell'esplosione, con conseguenti danni potenzialmente gravi.
Le misure per ridurre questi rischi comprendono la gestione corretta della concentrazione di idrogeno nell'aria, la progettazione di impianti di stoccaggio e trasporto sicuri e l'adozione di procedure di prevenzione degli incidenti. La gestione della sicurezza nell'uso dell'idrogeno richiede una conoscenza approfondita dei suoi limiti esplosivi e delle modalità di interazione con l'ambiente circostante, al fine di proteggere le persone e le strutture.
Per quanto riguarda la sicurezza nello stoccaggio, le principali problematiche legate all’idrogeno riguardano il suo stoccaggio sotto pressione o in forma liquida. L’idrogeno gassoso (GH2) può essere immagazzinato a bassa pressione, ma ciò comporta il rischio di assorbimento da parte dei metalli, con la conseguente formazione di idruro metallico. L’idrogeno liquido (LH2) è tre volte più denso energeticamente rispetto alla benzina, ma presenta una densità volumetrica inferiore. Entrambe le forme sono altamente infiammabili e possono causare pericoli criogenici o aumenti di pressione pericolosi. Inoltre, la gestione sicura del trasporto dell’idrogeno, che viene spesso stoccato e trasportato in forma liquida, comporta rischi aggiuntivi legati all’aumento delle pressioni e alla gestione dei rischi associati alla criogenia.

Deutsch
Francais
Nederlands
Svenska
Norsk
Dansk
Suomi
Espanol
Italiano
Portugues
Magyar
Polski
Cestina
Русский