Le vacanze estive a Kolhapur, per chi come me proveniva da lontano, erano un’esperienza che si caratterizzava tanto per la lentezza dei trasporti quanto per la calorosa accoglienza della famiglia. Il viaggio stesso, a bordo del Madras and Southern Maratha Railway, con i suoi treni a vapore che percorrevano lentamente la distanza tra Pune e Kolhapur, diventava un momento di condivisione e di aspettativa, pur nella sua inevitabile lentezza. Il treno, che ci avrebbe portato da Pune a Kolhapur in circa dodici ore, sembrava quasi una macchina del tempo, dove ogni chilometro guadagnato rappresentava una piccola vittoria. Anche se la qualità del viaggio non fosse paragonabile ai moderni mezzi di trasporto, l’entusiasmo per il treno era ancora forte, in parte per la bellezza di quel tipo di viaggio e in parte per le piacevoli sorprese che la strada offriva, come i frutti freschi portati dalla famiglia per il nostro viaggio.

Nonostante la lentezza del treno, spesso più lenta del previsto, con le frequenti fermate e i ritardi, il viaggio era comunque un’occasione per godersi l’atmosfera familiare. Quando il treno finalmente arrivava, di solito con qualche ora di ritardo, la stazione di Kolhapur diventava il luogo dove ci sentivamo accolti, con i parenti pronti ad accoglierci con sorrisi e abbracci. Le lunghe giornate di viaggio si concludevano con una serie di tonghe, i carri tradizionali, che ci portavano alla casa del nonno materno, nel cuore di Huzurbazar-Wada. In quell’antica casa, caratterizzata da stanze ampie e ariose, tutto sembrava fermo nel tempo, con il calore e l’affetto dei familiari che rendevano ogni momento speciale.

L’accoglienza in casa del nonno era sempre calorosa, soprattutto da parte della zia Maoshi, la nostra grande zia, che nonostante il suo ruolo di rigida disciplinante, aveva un affetto profondo per tutti i nipoti. La casa era semplice, ma comoda, e la vita quotidiana si snodava tra lunghi pisolini pomeridiani e passeggiate nel quartiere. I giochi e le risate con i cugini e gli zii erano all’ordine del giorno, ma non mancavano momenti di riflessione, soprattutto quando, a sera, i più anziani della famiglia si riunivano per conversazioni tranquille su tappeti, seduti a fianco, con i cuscini (takkyas) a supporto.

Ogni anno, le vacanze estive erano anche un'opportunità per connettersi con le tradizioni e il passato della famiglia. Il nonno materno, Bhausaheb, con la sua natura pacata e rispettata, rimaneva un punto di riferimento che, pur non interferendo con le nostre marachelle, riusciva a trasmettere una calma che infondeva rispetto. La casa di Mahadwar Road, dove si trovava la famiglia del padre, era invece un luogo di incontro più formale, dove le conversazioni erano rare e riguardavano principalmente i più anziani. Nonostante l’atmosfera più rigida, anche lì c’erano momenti di felicità, tra giochi e passeggiate con i cugini, e anche un po’ di nostalgia per le antiche tradizioni familiari che sembravano non cambiare mai.

L’osservazione dei treni che passavano alla stazione di Kolhapur era una delle nostre occupazioni preferite, non solo perché ci affascinavano, ma anche perché ogni viaggio in treno sembrava rappresentare un mondo a parte, un mondo lontano e misterioso. Alcuni treni, come quelli della famiglia reale di Kolhapur, erano ancora più affascinanti, con i loro vagoni speciali su cui sognavamo di viaggiare un giorno. Ma non solo i treni, anche le passeggiate intorno alla città, magari con una bici, diventavano occasioni per esplorare e per scoprire nuovi angoli di quella che per noi era una città di sogno.

Ogni elemento della vita quotidiana durante quelle vacanze sembrava essere legato a un tempo che non esiste più, a un'epoca in cui la semplicità dei gesti e delle abitudini quotidiane dava un senso di serenità profonda, quasi irreale. La mancanza di comfort moderni, come i bagni con lo scarico automatico, non ci disturbava, anzi, li rendeva ancora più affascinanti per la loro autenticità.

Kolhapur, con la sua lentezza e i suoi ritmi, era una città che viveva nel ricordo di un passato che si faceva presente ogni giorno. I viaggi in treno, le passeggiate nelle strade e la famiglia accogliente, sempre pronta a offrire un rifugio sicuro, erano la vera essenza di quelle vacanze estive che non dimenticherò mai.

In un contesto come quello di Kolhapur, è importante ricordare che la lentezza e la semplicità non erano soltanto tratti distintivi del paesaggio o dei mezzi di trasporto, ma facevano parte di una filosofia di vita che ancora oggi lascia il segno. La vita di provincia, con le sue abitudini radicate, l’importanza dei legami familiari e il ritardo dei moderni comfort, era fonte di una calma che ci insegnava a vedere il valore delle piccole cose e delle relazioni umane. A volte, è proprio nella lentezza che si trova la vera ricchezza.

Come affrontare un infortunio grave: esperienza personale e riflessioni

Dopo un grave incidente che mi ha costretto a letto per settimane, mi sono trovato a riflettere non solo sulle difficoltà fisiche, ma anche sul supporto che ho ricevuto da amici, colleghi e medici. All'inizio, quando i medici diagnosticarono la frattura e mi misero il gesso, non avevo idea della complessità che avrebbe comportato il trattamento. Si parlava di un intervento chirurgico con una piastra di acciaio, una soluzione che mi sarebbe stata imposta dopo aver tentato senza successo di risolvere il problema con il solo gesso. Il chirurgo ortopedico che avrebbe eseguito l'operazione era il celebre Mr. Butler, noto per aver operato anche un principe saudita. Il fatto che un medico così esperto fosse incaricato della mia operazione mi dava un certo sollievo, ma non potevo fare a meno di sentire una profonda inquietudine per la gravità della situazione.

L’intervento fu eseguito con successo e, sebbene inizialmente mi fosse stato detto che avrei potuto muovermi entro una settimana, la strada verso il recupero fu più lunga del previsto. Mi trasferirono in una struttura chiamata Douglas House, un’ala dell’ospedale dedicata ai pazienti che non richiedevano cure urgenti, ma avevano bisogno di essere osservati. Quello che sembrava un passo verso una guarigione rapida si rivelò invece un periodo di introspezione e, paradossalmente, di apprezzamento per il piccolo comfort che la mia nuova routine mi offriva.

Durante i giorni di ricovero, non mi mancarono le visite. La mia padrone di casa, preoccupata per il mio silenzio, mi portò una lettera dai miei genitori, che avevano saputo della mia condizione e si erano rassicurati che fossi sotto buone cure. Oltre a loro, molti amici e conoscenti vennero a trovarmi, inclusi colleghi di Fitzwilliam, il mio tutor e persino il reverendo Schneider. In quei giorni, ogni visita sembrava portarmi un piccolo sollievo, come anche il cibo e le letture che ricevevo. La lettura di "The Masters" di C.P. Snow e "The Black Cloud" di Fred Hoyle, autori che avevo già incontrato nei miei studi, mi permise di distrarmi dalle preoccupazioni fisiche e mi offrì un’ancora mentale.

Il periodo successivo all'intervento non fu solo di recupero fisico, ma anche di riflessione sul dolore, sulla pazienza e sulla natura del recupero. Quando il gesso fu rimosso e sostituito con un tipo più corto, mi resi conto di quanto fosse difficile rimanere paziente durante la convalescenza. Ma anche nelle difficoltà più grandi, ci sono sempre segni di miglioramento. Il dottor Townsend, che si occupava delle cure post-operatorie, mi fece un'ecografia che confermò che il recupero stava procedendo bene. Mi addestrò anche all’uso delle stampelle, un passaggio fondamentale per tornare alla normalità. Ogni piccolo progresso, ogni capacità ritrovata, era una conquista.

La visita della polizia, che prese nota dell'incidente, mi fece riflettere sul fatto che le circostanze non fossero attribuibili a una sola parte, ma a un errore comune. Il motociclista che mi aveva investito venne anche a scusarsi, dimostrando la sua preoccupazione per l'incidente. Nonostante il mio dolore, capii che nessuna parte doveva essere accusata in modo eccessivo, e non volli procedere con alcuna denuncia.

Quando finalmente tornai a casa, la mia vita riprese a scorrere, sebbene a un ritmo molto più lento. La mia padrona di casa, premurosa, mi aiutava a evitare di salire e scendere le scale, e Peter Schneider organizzò passeggiate all'aria aperta in campagna, portandomi in piccole località nei dintorni di Cambridge. Questi momenti, nonostante la difficoltà di muovermi, segnarono un'importante parte del mio recupero psicologico.

Nonostante l’incidente, imparai a considerare ogni esperienza, anche la più dolorosa, come un'opportunità di crescita. La sofferenza fisica passò, ma le riflessioni sulle circostanze che mi portarono a quell'incidente, sulla mia reazione alla sofferenza e sull'importanza del supporto emotivo degli altri, rimasero con me.

Infine, tornato a casa, decisi di non frequentare più le ultime lezioni del termine invernale, preferendo concentrarmi sui miei appunti e recuperare quanto perso. I miei amici e il mio tutor mi incoraggiarono a prendere una breve vacanza, proponendomi di trascorrere dieci giorni in North Devon, una regione che mi avrebbe dato tempo per recuperare e riflettere ulteriormente. Ma il viaggio si trasformò in una riscoperta della bellezza della vita, dei piccoli piaceri e della solidarietà umana.

Come una proposta matrimoniale può cambiare una vita: il caso di Mangala

Nella storia di ogni famiglia ci sono momenti che definiscono il futuro delle generazioni. Momenti che, anche se per un lungo periodo restano sospesi tra il desiderio e la realtà, finiscano per scrivere il destino. La vicenda che vi racconto è una di queste, in cui una proposta matrimoniale, nata da una semplice chiacchierata, ha cambiato il corso di due esistenze. Ma dietro questa proposta c’è una storia di educazione, sacrificio e determinazione che merita di essere raccontata.

Nel febbraio del 1965, quando la notizia della mia presunta fidanzata si diffuse tra amici e conoscenti, la mia famiglia, ignara di ciò che stava accadendo, rimase perplessa. Un semplice pettegolezzo, una voce che girava, ma che aveva già trovato terreno fertile nelle menti di chi, con una visione tradizionale, stava cercando la "persona giusta" per me. E così, un gesto tanto innocente quanto determinato come una proposta matrimoniale, prese forma nella mente di chi credeva che fosse ora di unire le famiglie.

Mangala, una giovane donna dalla forte personalità e un'incredibile determinazione, venne a far parte dei pensieri della mia famiglia. Ma prima di ogni passo ufficiale, prima che un incontro fosse fissato, fui invitato a riflettere su una proposta che mi veniva sottoposta non tanto da lei, ma dal suo contesto familiare. Mangala, purtroppo, aveva vissuto una tragedia familiare all'età di pochi mesi, quando il padre, uno stimato intellettuale, morì prematuramente di cancro. Questo evento segnò profondamente la sua vita e quella della madre, Nirmala Rajwade, una donna di grande carattere, che con coraggio affrontò la perdita e la difficile decisione di non risposarsi. Scelse di dedicarsi alla sua formazione come medico e medico ayurvedico, unendo così due mondi distinti. Mangala e suo fratello Anil furono cresciuti sotto l'affetto della famiglia materna, che si impegnò con tutto il cuore a supportare la madre nei suoi studi.

La mia famiglia, intanto, aveva già cominciato a prepararsi per un incontro formale, che avvenne nella città di Ajmer. Mangala arrivò con suo zio, R.G. Rajwade, e la prima impressione fu positiva. Nonostante le circostanze non facessero di certo giustizia a un incontro formale, per la stanchezza del lungo viaggio, qualcosa nei suoi modi di fare mi colpì subito. Il pomeriggio successivo, dopo una breve passeggiata intorno al lago Foysagar, Mangala si rivelò essere una giovane donna tranquilla, ma determinata. Parlò delle sue passioni per la matematica, delle sue aspettative per la vita, ma soprattutto di come riuscisse a non compromettere i suoi principi, il che, in un contesto tradizionale come il nostro, non era cosa da poco.

Il rapporto con il suo zio, un uomo che aveva attraversato esperienze di vita straordinarie, dalla sua carriera nella polizia britannica fino al suo lavoro nell'industria, aggiungeva un altro livello di profondità alla famiglia Rajwade. Il suo percorso, ricco di alti e bassi, non fece che aumentare la stima che cominciavo a provare per questa famiglia, che, nonostante le difficoltà, era riuscita a mantenere un equilibrio tra tradizione e modernità.

Il giorno successivo, il mio viaggio a Mumbai segnò un altro punto di svolta. Mangala e il suo zio mi accolsero con grande calore, e insieme passammo un pranzo tranquillo nella loro casa di Dadar. Nel pomeriggio, prima della mia partenza, decisi di scrivere una lettera di proposta matrimoniale a Mangala. Una lettera lunga, un atto che per me era tanto significativo quanto delicato. In un contesto come il nostro, dove la scelta della sposa era spesso una decisione che ricadeva sulle spalle della famiglia, lasciare che fosse Mangala a decidere, senza pressioni esterne, sembrava essere il passo giusto.

Mangala lesse la mia lettera con attenzione, e la sua risposta fu immediata: non solo accettò la proposta, ma mi confessò che, in cuor suo, aveva già dato il suo assenso a quella unione, senza rendere esplicita la sua decisione, per rispetto alla famiglia. La gioia che provai in quel momento fu indescrivibile, un’emozione che paragonai a quella di una vittoria, sebbene questa fosse ben più duratura e profonda di qualsiasi altro traguardo.

La proposta, pur essendo accettata, non venne subito pubblicamente annunciata. Mangala, lo zio e la sua famiglia mantennero il segreto, come accade spesso in contesti familiari dove l'onore e la discrezione sono fondamentali. L'attesa di un incontro con i miei genitori e di una discussione formale divenne il passo successivo, mentre le emozioni restavano sospese, come un filo che si tendeva ma non si rompeva mai.

Quando si parla di matrimonio, soprattutto in contesti tradizionali come il nostro, è importante capire che non si tratta solo di una questione di due persone che si uniscono. È un incontro di storie, di sacrifici, di esperienze che si mescolano e che danno vita a un futuro condiviso. Ogni proposta matrimoniale, anche se può sembrare il risultato di una decisione individuale, è il frutto di una lunga storia di valori familiari, di educazione, di sacrifici fatti da chi ci ha preceduto. In un certo senso, la proposta di matrimonio è come una testimonianza che viene tramandata e che, di generazione in generazione, assume sempre più valore.