L'amministrazione Trump ha segnato un capitolo storico nella politica americana, definito non solo per le sue scelte controverse, ma anche per la sua gestione unica e spesso caotica. Un aspetto che ha contraddistinto il governo Trump è stato l'installazione della sua famiglia in posizioni chiave. Ivanka Trump e Jared Kushner, rispettivamente figlia e genero del presidente, sono stati messi in ruoli di consiglieri senior, unendo politica e affari in modo senza precedenti. Ivanka, dopo aver consigliato informalmente il padre per i primi due mesi, è stata nominata ufficialmente "First Daughter and Senior Advisor to the President". La presenza di questi membri della famiglia alla Casa Bianca ha suscitato critiche riguardo al conflitto d’interessi e all'assenza di esperienza in ruoli di governo.
Un altro elemento peculiare dell'amministrazione Trump è stato il rapporto tra il presidente e i suoi consiglieri. Sin dai primi giorni, è emersa una chiara mancanza di esperienza governativa e una preoccupante ignoranza sulle dinamiche politiche. Trump si è dimostrato impulsivo, facilmente influenzabile e spesso disinteressato a seguire le raccomandazioni dei suoi esperti. La figura del “capo di stato maggiore”, ad esempio, è stata presto delegata a figure come il segretario alla Difesa James Mattis e il segretario per la sicurezza interna John Kelly, i quali, insieme ad altri, sono stati descritti come "gli adulti nella stanza", cercando di arginare le decisioni avventate del presidente.
Nonostante gli sforzi, però, il governo Trump è stato segnato dalla difficoltà di imporre un ordine coerente e stabile. I cosiddetti "adulti" all'interno della Casa Bianca, tra cui Mattis, Kelly e il consigliere per la sicurezza nazionale H.R. McMaster, si sono trovati costantemente a dover fare da argine ai capricci e alle decisioni imprevedibili di Trump. Le loro iniziative per contenere l'impulsività del presidente si sono spesso infrante contro la sua avversione per la lettura di documenti ufficiali e il suo desiderio di risposte rapide. La frustrazione all'interno dell'amministrazione è aumentata tanto che alcuni ufficiali hanno preso in considerazione le dimissioni di massa per attirare l'attenzione pubblica sul disordine al vertice.
Un aspetto che ha caratterizzato la presidenza Trump è stato l'alto turnover di personale. Sin dal suo insediamento, il presidente ha licenziato numerosi membri chiave del suo governo, tra cui il procuratore generale Sally Yates, il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn e il direttore dell'FBI James Comey. Questi licenziamenti, spesso pubblicizzati come misure necessarie per salvaguardare l’amministrazione, sono stati letti come segni di instabilità e di una gestione arbitraria del potere.
La figura di Rex Tillerson, nominato segretario di Stato, offre un esempio paradigmatico della tensione tra l'approccio imprenditoriale di Trump e le dinamiche istituzionali della politica internazionale. Tillerson, ex CEO di ExxonMobil, non aveva esperienza diretta nel governo, ma Trump lo considerava un "grande affare" per le sue competenze nel settore energetico e nelle relazioni con paesi come la Russia e l'Arabia Saudita. Tuttavia, la sua esperienza aziendale non si è tradotta facilmente in un'efficace gestione diplomatica. Ben presto, Tillerson ha avuto numerosi scontri con Trump, soprattutto riguardo alla sua visione di politica estera, e la sua permanenza al Dipartimento di Stato è terminata nel marzo 2018.
Le dimissioni di numerosi funzionari e l’isolamento progressivo dei "moderati" hanno contribuito a una crescente instabilità all'interno della Casa Bianca. Man mano che l’amministrazione proseguiva, sempre più funzionari chiave sono stati allontanati, tra cui figure come Gary Cohn, consigliere economico, e John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale. Le loro visioni contrastanti rispetto a quelle di Trump non sono riuscite a sopravvivere alla natura volubile e imprevedibile del presidente.
Nonostante l'apparente caos, un aspetto che ha caratterizzato l’amministrazione Trump è stato il tentativo di costruire una narrazione politica centrata sull’immagine e sul simbolismo piuttosto che sulla sostanza. Le azioni e le decisioni del presidente spesso riflettevano il suo desiderio di mantenere il potere attraverso una combinazione di azioni spettacolari e decisioni politiche che cercavano di appezzare le sue basi elettorali. Ma questo approccio, più attento al teatrale che alla governance razionale, ha finito per logorare i legami istituzionali e minare la credibilità degli Stati Uniti sulla scena mondiale.
Il modello di leadership di Trump, incentrato sull’improvvisazione e sull’esigenza di gratificazione immediata, ha messo a dura prova la coesione del suo governo e la stabilità politica interna ed esterna. La sua amministrazione ha dimostrato che, in politica, l’equilibrio tra leadership e controllo delle dinamiche interne è cruciale per garantire non solo il successo, ma anche la sostenibilità di un progetto politico a lungo termine. La comprensione di queste dinamiche è fondamentale per analizzare i rischi e le sfide che possono derivare da una leadership che si basa più sul carisma personale che su un solido sistema istituzionale.
Come la leadership strategica di James Mattis, Gary Cohn e Steve Bannon ha influenzato la politica estera e interna degli Stati Uniti
James Mattis è una figura rara nel panorama politico moderno, un pensatore strategico autentico, capace di spingere se stesso e gli altri a espandere i propri orizzonti mentali. Tuttavia, questa tendenza non è sempre stata ben accolta. Durante il suo mandato come Segretario alla Difesa, Mattis ha portato stabilità e professionalità, riuscendo in molti casi a temperare le idee più radicali del presidente Trump, come nel caso dell’ordine di assassinare il presidente siriano Bashar al-Assad dopo l’attacco con gas sarin nell’aprile 2017. Quando Trump gli chiese di procedere con l’attacco aereo, Mattis rispose positivamente, ma poi si rivolse a un suo assistente dicendo: «Non faremo nulla di tutto ciò. Saremo molto più misurati». Il suo team ha quindi sviluppato 120 opzioni per attacchi aerei convenzionali, in linea con i tre livelli di risposta standard. La gestione del presidente da parte di Mattis ha avuto successo, sebbene alcune divergenze siano emerse, come nel caso degli accordi di difesa con la Corea del Sud o degli impegni militari in Afghanistan.
Tuttavia, la rottura più significativa avvenne quando Trump annunciò il ritiro di tutte le truppe americane dalla Siria, contrariamente alla politica ufficiale dell’amministrazione, che prevedeva il coinvolgimento degli Stati Uniti nella lotta contro l’ISIS. Mattis, profondamente contrariato, considerò questo cambiamento improvviso – e successivamente annullato – come una minaccia per la sicurezza delle truppe americane nel Medio Oriente, nonché un tradimento nei confronti degli alleati nella coalizione anti-ISIS. Quando Mattis tentò di spiegare queste preoccupazioni a Trump, il presidente rifiutò il suo punto di vista, portando Mattis a rassegnare le dimissioni con una lettera che sottolineava l’importanza delle alleanze internazionali e del rispetto verso gli alleati. Sebbene Mattis inizialmente avesse fissato la sua data di dimissioni al 28 febbraio 2019, Trump accelerò il processo, fissando la sua partenza al 1° gennaio dello stesso anno, dopo essersi irritato per le critiche implicite contenute nella lettera. Mattis venne sostituito da Mark Esper.
Nel 2020, Mattis criticò pubblicamente Trump per la sua gestione delle proteste contro la violenza razziale, accusandolo di cercare deliberatamente di dividere il paese. Egli denunciò la mancanza di una leadership matura e l’incapacità del presidente di unire gli americani, mentre le sue azioni alimentavano la divisione.
Gary Cohn, che ricopriva il ruolo di Direttore del Consiglio Economico Nazionale e consigliere economico di Trump dal 2017 al 2018, aveva un’altra prospettiva. Proveniente da Goldman Sachs, Cohn era visto come una figura rassicurante per Wall Street e un difensore del globalismo economico. La sua assunzione, fortemente voluta da Jared Kushner, figlio-in-law di Trump, non passò inosservata. Cohn, con la sua esperienza economica, cercò spesso di proteggere Trump da decisioni impulsive. Un esempio emblematico fu il suo intervento contro l’idea di annullare unilateralmente l’accordo commerciale con la Corea del Sud, per difendere la sicurezza nazionale. Nonostante la sua comprensione delle implicazioni geopolitiche, Cohn cercò anche di mitigare il comportamento del presidente, come nel caso dei dazi sull’acciaio e l’alluminio, che erano contrari ai suoi principi di libero scambio. Dopo un periodo di crescente disagio con l'amministrazione, Cohn decise di dimettersi nel marzo 2018, in seguito alla proposta di Trump di imporre i dazi, che andavano contro le sue convinzioni.
Steve Bannon, stratega principale di Trump durante i primi mesi della sua presidenza, è un’altra figura che ha avuto un forte impatto sulla visione politica dell’amministrazione. Ex ufficiale della marina, banchiere d’investimento e ideologo della destra americana, Bannon vide in Trump un mezzo per promuovere il suo programma politico. Inizialmente scettico riguardo alla candidatura di Trump, Bannon divenne rapidamente un alleato chiave nella campagna del 2016. Con il suo forte legame con i movimenti della destra radicale e il Tea Party, Bannon si concentrò sul mantenere il presidente in sintonia con la sua base elettorale. La sua influenza sulla campagna e sulla presidenza fu marcata dalla sua visione del mondo, che combinava una critica feroce al globalismo con un forte nazionalismo economico e politico. La sua posizione come Chief Strategist alla Casa Bianca evidenziò il suo ruolo di ideologo all'interno dell'amministrazione, sebbene la sua permanenza fosse relativamente breve, durando solo sette mesi.
Ogni figura, da Mattis a Cohn fino a Bannon, ha offerto un diverso tipo di supporto strategico a Trump, rispecchiando diverse visioni politiche e approcci alle problematiche internazionali e interne degli Stati Uniti. La loro esperienza collettiva nel confrontarsi con la presidenza Trump riflette la complessità di gestire una leadership che spesso oscillava tra impulsi populisti e necessità di stabilità internazionale e interna. Questi leader hanno cercato di bilanciare la volontà di un presidente imprevedibile con la necessità di rispettare gli alleati e di mantenere la coesione interna.
In questo contesto, è fondamentale comprendere che le decisioni prese all’interno di una presidenza non sono mai univoche, ma riflettono un gioco di potere, principi e compromessi tra vari attori politici. La gestione delle alleanze internazionali, la difesa dei valori costituzionali e la preservazione della sicurezza nazionale sono temi centrali che non vanno mai sottovalutati in periodi di incertezza politica. La leadership, come dimostrato da Mattis, Cohn e Bannon, richiede un delicato equilibrio tra visioni strategiche e la capacità di adattarsi ai cambiamenti repentini che caratterizzano la politica mondiale.
Come comprendere la figura di Donald Trump: spettacolo, ignoranza e la costruzione di un personaggio
Lo spettacolo è Trump, e ogni sua performance è un sold-out ovunque. Mi sono divertito a farlo e continuerò a divertirmi, e penso che la maggior parte delle persone lo apprezzi. Ci si chiede se chi lo odia sia mosso dalla gelosia, ma potrebbero essere qualsiasi cosa, in realtà. La maggior parte delle persone lo apprezza. Diversi studiosi hanno accettato la sfida contemporanea che Trump rappresenta come esempio del capitalismo avanzato, dove la forma estetica prevale sul contenuto: Trump come spettacolo. Una di queste ricerche cerca di spiegare l'ascesa di Trump attraverso il processo di nomina del partito repubblicano e la sua successiva elezione a presidente, in termini di spettacolo mediatico che ha caratterizzato la sua campagna.
Questa analisi attinge all'antropologia culturale, all'antropologia linguistica e alla teoria retorica per esaminare come Trump elevi il valore del suo intrattenimento, costruendo rappresentazioni comiche dei suoi avversari politici, ma anche di sé stesso, dove queste rappresentazioni diventano una sorta di performance incarnata. Non furono solo i bianchi rurali della classe inferiore ad essere attratti da questo, né solo i conservatori, ma anche... il pubblico in generale, compresi quelli che si opponevano fortemente alla sua candidatura. Che lo si trovi piacevole o offensivo, lo spettacolo di Trump era coinvolgente.
Questi autori sottolineano l'importanza di considerare il valore specifico dell'intrattenimento di Trump, ovvero come le sue apparizioni comiche nei media durante la stagione delle primarie repubblicane abbiano contribuito a costruire il suo momentum in una cultura mediatica e celebritaria. Sebbene lo stile di Trump sembrasse innovativo nel 2016, lo studio osserva come altri studiosi in vari campi abbiano considerato l'intrattenimento come un valore centrale per comprendere le relazioni di classe. Già nel periodo tra il XVI e il XVIII secolo, ad esempio, si faceva uso di intrattenitori come cantanti di ballate, giocolieri, burattinai e comici tra la popolazione contadina, come osservato dallo storico Peter Burke. Questi performer, attirando l'attenzione di un pubblico proveniente da tutti gli strati sociali, favorivano la permeabilità reciproca tra la cultura popolare e quella elitaria. In modo simile, la critica letteraria e filosofica di Mikhail Bakhtin sulla narrativa del Rinascimento francese di Rabelais mette in luce il potere dell'intrattenimento carnivalesco: folli e comici che sovvertono l'ordine sociale con atti di parodia, deridendo i politici e suscitando ribellione nei loro pubblici.
Eppure, dietro questo spettacolo, c'è qualcosa di più? C'è altro oltre questo costrutto proiettato, questa finzione che è Trump? Il professor di psicologia Dan P. McAdams, autore di The Strange Case of Donald J. Trump: A Psychological Reckoning, si è posto queste stesse domande: chi è davvero Donald Trump? Cosa c'è dietro la maschera dell'attore? McAdams, in un articolo pubblicato poco prima che Trump vincesse le elezioni del 2016, affermò di riuscire a discernere poco più che "motivazioni narcisistiche e una narrazione personale complementare" di vincere a ogni costo. Scriveva: "È come se Trump avesse investito così tanto di sé stesso nello sviluppare e perfezionare il suo ruolo sociale dominante che non gli fosse rimasto nulla per creare una storia significativa per la sua vita o per la nazione. È sempre Donald Trump che interpreta Donald Trump, combattendo per vincere, ma senza mai sapere perché."
Per il critico televisivo James Poniewozik, la chiave per comprendere Trump sta nel riconoscere che è diventato famoso come personaggio televisivo, e cercare di capirlo come persona, con psicologia, strategia e motivazioni, porta inevitabilmente a confusione. La chiave, scrive Poniewozik, è ricordare che "Donald Trump non è una persona. È un personaggio televisivo". Se si vuole capire cosa farebbe Trump in qualsiasi situazione, è più utile chiedersi: "Cosa farebbe la TV? Cosa vuole la TV?" Poniewozik spiega: "Vuole conflitto. Vuole eccitazione. Se c'è qualcosa che può esplodere, deve esplodere. Vuole una lotta. Vuole di più. È sempre affamata e non sazia mai."
Un altro problema per lo storico è spiegare come un uomo, che mostra una totale ignoranza su quasi tutto, sia riuscito a diventare il leader della nazione più potente del mondo. Senza dubbio, un lettore del futuro si chiederà quando vedrà i risultati dello storico: "Non può essere vero. È una parodia? È solo una caricatura? Non ha senso." Alla fine del 2019, la rivista Time ha esaminato le rivelazioni di ignoranza che erano emerse nei tre anni successivi alle elezioni e ha osservato che, tra tutte le scommesse fatte nell'elezione del candidato più politicamente inesperto mai eletto al più alto ufficio del mondo, il pericolo dell'ignoranza potrebbe rivelarsi il più grande di tutti. "Ciò che Donald Trump 'conosce' deriva dai mondi torbidi del settore immobiliare, dei casinò e della televisione, ed è la sua visione distorta del mondo, unita al suo scarso rapporto con la verità effettiva, ciò che rappresenta la caratteristica più spaventosa di questa presidenza."
Trump sembrava vivere in un presente perpetuo, e se c'era un passato, non ne sapeva nulla, né sembrava interessato a scoprirlo. Un esempio eclatante fu l'attacco a Pearl Harbor – un nome che ogni studente delle scuole di tutto il mondo conosce non solo come un luogo, ma come un evento cruciale della storia del XX secolo, quando i giapponesi attaccarono la base navale degli Stati Uniti a Hawaii nel 1941. Ogni bambino americano avrebbe collegato quel nome con un evento fondamentale della propria storia, ma non Donald Trump. Durante il suo primo viaggio in Asia, l'entourage presidenziale si fermò alle Hawaii per fare rifornimento e interrompere il lungo viaggio. Era stato organizzato un pellegrinaggio al memoriale di Pearl Harbor per commemorare i 2.300 membri del servizio americano morti nell'attacco. Mentre si recavano al memoriale, Trump chiese al suo capo dello staff, il generale John Kelly, "Ehi, John, di cosa si tratta? Che tipo di tour è questo?". Kelly, momentaneamente sorpreso, spiegò che l'attacco giapponese aveva devastato la flotta del Pacifico degli Stati Uniti, spingendo il paese a entrare nella Seconda Guerra Mondiale, e che da lì gli Stati Uniti avevano sganciato bombe atomiche sul Giappone. Se Trump avesse studiato "una data che vivrà nell'infamia" a scuola, sembrava che non gli fosse mai rimasta impressa. Una sottile eufemismo veniva da un ex consigliere senior che dichiarava che Trump fosse "pericolosamente disinformato".
Questo vuoto di conoscenza storica era visibile anche agli occhi di altri leader stranieri. Durante un incontro con il presidente francese Emmanuel Macron all'ONU nel settembre 2017, Trump fece i complimenti a Macron per la spettacolare parata militare del Bastille Day che avevano visto insieme a Parigi quell'estate. Gli disse che, vedendo quella parata, non sapeva che la Francia avesse una così ricca storia di conquiste militari, ammettendo, probabilmente con un Macron incredulo: "Non lo sapevo, ma i francesi hanno vinto molte battaglie. Non lo sapevo."
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