Il Digital Markets Act (DMA) introduce una serie di obblighi destinati a regolamentare le pratiche delle cosiddette "gatekeeper" nell'ambito dei mercati digitali. Questi gatekeeper, cioè le grandi piattaforme digitali che occupano una posizione dominante, sono soggetti a regole specifiche che mirano a preservare la concorrenza e garantire l'equità per gli utenti. Tra le disposizioni principali, vi sono le seguenti: l’obbligo per i gatekeeper di non imporre l’utilizzo di servizi aggiuntivi come condizione per l’accesso ai servizi fondamentali delle piattaforme (Articoli 5(7) e 8), la necessità di informare la Commissione Europea su eventuali fusioni o acquisizioni nel settore digitale (Articolo 14) e l'obbligo di garantire condizioni di accesso eque, ragionevoli e non discriminatorie per gli utenti d'affari, in particolare nelle piattaforme di applicazioni software, nei motori di ricerca online e nelle reti sociali online (Articolo 6(12)).
Al di là della protezione della concorrenza, uno degli obiettivi fondamentali del DMA è la trasparenza. L'articolo 15 impone ai gatekeeper di fornire informazioni dettagliate riguardo alla profilazione dei consumatori, migliorando così la comprensione del loro comportamento attraverso diversi servizi. L’intento è quello di prevenire comportamenti monopolistici che potrebbero ostacolare l’ingresso di nuovi attori nel mercato e limitare la concorrenza.
Il DMA, quindi, si inserisce in un contesto normativo più ampio che cerca di rispondere alle sfide poste dalle tecnologie emergenti, come l'intelligenza artificiale generativa. Le piattaforme dominanti possono infatti sfruttare enormi quantità di dati provenienti dai loro utenti per potenziare i propri algoritmi e offrire servizi sempre più avanzati, rafforzando ulteriormente la loro posizione nel mercato. Questo fenomeno, noto come "data leverage", è uno degli aspetti chiave del DMA, che mira a contrastare la concentrazione del mercato e a garantire che le risorse siano distribuite in modo più equo tra gli attori del settore.
In parallelo al DMA, l’Unione Europea ha introdotto il Data Act, che è entrato in vigore il 11 gennaio 2024 e diventerà operativo nel settembre 2025. Il Data Act regola l’accesso e l’uso dei dati in modo da favorire l'innovazione e la concorrenza, prevenendo la creazione di monopoli nei mercati dei dati. Questo atto si propone di garantire che i dati generati dagli utenti di dispositivi connessi possano essere liberamente condivisi, sia tra aziende che tra enti pubblici, nel rispetto delle normative sulla protezione dei dati personali (in particolare, il GDPR). È essenziale, infatti, che le informazioni raccolte da dispositivi come gli assistenti virtuali, o da altri prodotti IoT, possano essere messe a disposizione di terzi senza ostacoli che possano limitare la ricerca e lo sviluppo.
Il Data Act stabilisce anche delle regole precise per la condivisione dei dati tra le imprese, imponendo che essa avvenga in maniera equa, ragionevole e non discriminatoria. Le aziende sono tenute a condividere i dati, ma solo a condizioni che rispettino la buona fede e le pratiche commerciali corrette. Inoltre, le piccole e medie imprese (PMI) e le organizzazioni di ricerca non profit possono beneficiare di costi ridotti per l'accesso ai dati. La legislazione mira anche a rimuovere gli ostacoli alla portabilità dei dati, ad esempio le elevate tariffe di uscita dai servizi cloud, e garantire che i dati possano essere trasferiti senza problemi da un fornitore all'altro, rafforzando così la competizione.
Una delle principali implicazioni di entrambe le normative è la necessità di proteggere i diritti degli utenti senza penalizzare l'innovazione. La regola di base che emerge è che la libertà di accesso e la protezione dei dati personali devono andare di pari passo con la promozione di un mercato competitivo. A tal fine, il Data Act offre soluzioni concrete per stimolare la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, enfatizzando l'importanza dell'interoperabilità e degli standard comuni all'interno degli spazi dati europei.
L’adozione di tali misure regolatorie rappresenta un passo significativo verso un ambiente digitale più aperto e competitivo, dove i consumatori non siano ostaggi delle decisioni di pochi attori dominanti, ma possano beneficiare di un panorama variegato e innovativo. In particolare, le politiche per garantire la portabilità dei dati e la loro condivisione tra imprese sono destinate a modificare il modo in cui le aziende operano, promuovendo una concorrenza più sana e incentivando l'innovazione.
È fondamentale comprendere che la sfida posta dalla digitalizzazione non riguarda solo la protezione dei dati, ma anche come questi possano essere utilizzati per stimolare la crescita economica in un contesto di mercato più equo. Le imprese, specialmente quelle che operano nel settore dell'AI e dei dati, dovranno adattarsi a un quadro normativo che premia la trasparenza, l’interoperabilità e la condivisione responsabile delle informazioni, creando nuove opportunità per innovatori e ricercatori, mentre proteggono al contempo i diritti degli utenti.
Quali sono i pericoli e le responsabilità legali delle interazioni con l'Intelligenza Artificiale Generativa?
L’intelligenza artificiale generativa (IAG) ha introdotto una nuova era di potenzialità tecniche, ma anche di gravi rischi legati alla sua gestione e utilizzo. Le preoccupazioni principali riguardano non solo i danni causati dalla sua applicazione, ma anche la difficoltà nell'attribuire responsabilità a chi sviluppa, distribuisce e utilizza questi sistemi. Le implicazioni legali, in particolare, si intrecciano con il delicato tema della responsabilità penale e del rischio di utilizzo improprio o emergente dei modelli IA.
Secondo un rapporto di Europol, i modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM), come quelli alimentati da IAG, possono essere sfruttati da attori malintenzionati per perfezionare attività criminali, come l’effrazione domestica, il crimine informatico e persino l’abuso sessuale su minori. In particolare, il rischio è elevato per la lotta al terrorismo, poiché questi modelli possono essere utilizzati per raccogliere informazioni che facilitano attività terroristiche, come il finanziamento del terrorismo o la condivisione anonima di file. Qui, la responsabilità penale è relativamente chiara: chi progetta intenzionalmente un sistema per compiere attività criminose o lo utilizza con tale scopo è ritenuto penalmente responsabile. Tuttavia, alcuni ambiti restano controversi, come nel caso in cui vengano sviluppate piattaforme di IAG che permettano la realizzazione di attività illegali (ad esempio, la creazione di "deep nudes" non consensuali). In tali scenari, sebbene la creazione di queste piattaforme non sia criminalizzata in sé, i fornitori di tali piattaforme potrebbero essere considerati complici nei crimini commessi dai loro utenti.
Tuttavia, la situazione si complica quando si analizzano le interazioni tra gli attori coinvolti nel ciclo di vita di un sistema di IAG, che opera legalmente sul mercato. L’operatore di un sistema di IA, come definito nel Regolamento europeo sull’Intelligenza Artificiale (AIA), comprende diverse categorie: i “fornitori” (coloro che sviluppano, mettono sul mercato e attivano il sistema di IA), i “distributori” (coloro che partecipano alla sua distribuzione) e i “distributori” (attori che mettono il sistema a disposizione degli utenti). Quando si considera l’impatto di tali attori, i danni derivanti da interazioni con l’IA generativa sono spesso non intenzionali, ma vengono descritti come "pericolosi". Ciò significa che le interazioni con l’IA generativa comportano un rischio tangibile di danni, senza che questi provengano necessariamente da un’azione malintenzionata.
Un aspetto fondamentale in questo contesto è la prevenzione dei danni non intenzionali. La funzione preventiva del diritto penale non si limita a punire chi ha causato un danno, ma si estende alla creazione di strumenti che evitano che tale danno si verifichi. Tuttavia, questo approccio è instabile: l'introduzione di misure punitive può entrare in conflitto con i principi fondamentali del diritto penale moderno, che tende a evitare l'eccessivo ricorso alla punizione. L'equilibrio tra la necessità di prevenire danni e la protezione dei diritti individuali diventa quindi una questione centrale.
I danni legati all’uso di sistemi di IA generativa possono essere suddivisi in tre principali categorie: (1) i rischi legati a un uso improprio da parte degli utenti; (2) i rischi legati all’emergere di comportamenti imprevedibili dell'IA; (3) i rischi derivanti dall’affidamento eccessivo sull'IA, in particolare quando la tecnologia viene utilizzata in processi decisionali. L'uso improprio può includere attività maliziose da parte degli utenti, come il ricorso all’IA per compiere atti illegali. Tuttavia, i comportamenti emergenti, in cui l'IA sviluppa azioni non previste dai suoi programmatori, rappresentano una delle sfide legali più complesse. Ad esempio, i modelli linguistici possono generare contenuti dannosi in modo autonomo, come nel caso delle "allucinazioni" in cui l’IA inventa affermazioni false che danneggiano una persona o diffonde linguaggio offensivo da input apparentemente innocui.
Un'altra preoccupazione emergente riguarda i rischi legati all’affidamento eccessivo sull’IA. L'uso di IA generativa come strumento nelle decisioni umane può avere effetti devastanti se l'IA fornisce informazioni manipolative o errate. In questi casi, gli utenti, ignari dei rischi associati all'affidamento su tali sistemi, potrebbero agire in base a contenuti distorti, il che potrebbe portare a danni fisici, psicologici o sociali. Ad esempio, se un sistema di IA fornisce informazioni sbagliate durante una decisione medica o finanziaria, la conseguenza potrebbe essere fatale.
Il tema della responsabilità penale per danni non intenzionali legati all’IA generativa rimane complesso. La crescita della tecnologia e le sue applicazioni in ambienti imprevedibili rendono difficile stabilire chi, tra i vari attori coinvolti nella creazione e distribuzione della tecnologia, dovrebbe essere ritenuto responsabile. Anche se un danno non è stato causato intenzionalmente, l’esistenza di un rischio significativo implica che le misure preventive siano fondamentali. L’approccio basato sul rischio, come definito dall’AIA, cerca di bilanciare la probabilità di danno con la gravità dello stesso, fornendo una base per la regolamentazione dell’IA generativa e per la responsabilizzazione di coloro che la sviluppano e la distribuiscono.
È essenziale che i legislatori, gli sviluppatori di IA e la società nel suo complesso comprendano appieno il potenziale dannoso di queste tecnologie e le modalità con cui potrebbero emergere rischi imprevisti. È altrettanto fondamentale che si sviluppino sistemi di responsabilità più chiari per affrontare le lacune esistenti nella legge e prevenire danni significativi.
Come l'Intelligenza Artificiale e l'Elaborazione del Linguaggio Naturale Possono Rivelare Clausole Ingiuste nei Contratti Online
L'avanzamento dell'Intelligenza Artificiale (IA) e delle sue applicazioni nei contesti giuridici ha aperto nuove possibilità per migliorare la trasparenza e l'accessibilità delle informazioni legali, in particolare quando si tratta di contratti online e politiche sulla privacy. Uno degli ambiti di maggiore interesse riguarda l'uso dell'elaborazione del linguaggio naturale (NLP) per analizzare e rilevare clausole potenzialmente ingiuste o illegali all'interno di documenti legali, come le Condizioni di Servizio (ToS) e le politiche sulla privacy.
Il progetto CLAUDETTE, un'iniziativa che mira a automatizzare il rilevamento delle clausole ingiuste nei contratti online, ha fatto significativi progressi in questo settore. La metodologia impiegata si basa sull'apprendimento supervisionato, in cui il sistema viene addestrato su un set di dati che include sia clausole legali che ingiuste, per imparare a distinguere tra le due. Per raggiungere questo obiettivo, è stato creato un corpus iniziale di 50 documenti, che è stato successivamente espanso a 150 documenti con il supporto di esperti legali. La ricerca si concentra sul trattamento delle frasi come unità indipendenti, utilizzando tecniche di machine learning come le macchine a vettori di supporto (SVM), le reti neurali convoluzionali (CNN) e le reti LSTM (Long Short-Term Memory).
La struttura del sistema prevede diverse fasi, tra cui la segmentazione del testo, la tokenizzazione e l'analisi sintattica, in modo da estrarre le caratteristiche semantiche e grammaticali dei testi. Ad esempio, il modello "bag-of-words" (BoW) è stato utilizzato per rappresentare il contenuto di un documento basato sulla frequenza delle parole, mentre il modello di alberi sintattici (tree kernels, TK) calcola la somiglianza strutturale tra le frasi, prendendo in considerazione le relazioni grammaticali e le sottostrutture comuni. Questi approcci hanno permesso di insegnare al sistema a classificare correttamente le clausole in categorie specifiche, come giurisdizione o limitazione di responsabilità, e a valutare la loro equità o legalità.
Un esempio pratico di clausola ingiusta potrebbe essere quella trovata nelle Condizioni di Servizio di Amazon, che afferma che le licenze concesse terminano in caso di mancato rispetto dei termini da parte dell'utente: "Le licenze concesse da Amazon terminano se non rispetti questi Termini di utilizzo o qualsiasi altro termine del servizio". Tale clausola, che consente la rescissione unilaterale da parte del fornitore, è stata ritenuta ingiusta per il consumatore. Il sistema CLAUDETTE ha mostrato un'efficace capacità di identificare clausole ingiuste con un tasso di precisione che supera l'80%, variando a seconda della categoria delle clausole, con una percentuale più alta (89,7%) per le clausole relative alla giurisdizione.
Nonostante i progressi nel rilevamento delle clausole ingiuste, il progetto ha anche dovuto affrontare sfide significative, in particolare con le politiche sulla privacy. Questi documenti, spesso complessi, incompleti e vaghi, rappresentano una difficoltà maggiore per i modelli di IA. La difficoltà principale risiede nella varietà e nell'imprecisione dei linguaggi giuridici e nella mancanza di chiarezza in molti documenti, che impedisce al sistema di applicare facilmente le tecniche di NLP. I risultati ottenuti nell'analizzare la conformità delle politiche sulla privacy al Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) sono stati meno conclusivi, in parte a causa della complessità intrinseca e dell'ambiguità di tali documenti.
Inoltre, l'uso di queste tecnologie potrebbe avere un impatto significativo in altre aree legali, come il settore finanziario o quello dell'occupazione, dove l'analisi automatica dei dati potrebbe aiutare a identificare pratiche discriminatorie. L'intelligenza artificiale potrebbe anche essere utilizzata per esaminare i contratti in modo più equo, contribuendo a ridurre le pratiche ingiuste nei contratti digitali e a proteggere i consumatori da clausole predatoriali.
L'introduzione di sistemi automatizzati per l'analisi dei contratti ha il potenziale di cambiare il panorama legale, rendendo più trasparenti e comprensibili i termini di servizio e le politiche sulla privacy, specialmente in un contesto in cui i consumatori raramente leggono questi documenti in dettaglio. L'uso di IA per analizzare e validare i contenuti di documenti legali potrebbe quindi rappresentare un passo fondamentale verso una maggiore giustizia e protezione per i consumatori.
In definitiva, l'evoluzione di questi strumenti pone anche questioni etiche e legali: come garantire che le tecnologie siano applicate in modo equo? Come prevenire che gli algoritmi stessi diventino strumenti di discriminazione o di iniquità? L'efficacia di questi modelli dipende in gran parte dalla qualità dei dati di addestramento e dalla capacità di adattarsi alle specificità legali e linguistiche di ogni giurisdizione.
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