Nel contesto dell'elezione di Donald Trump nel 2016 e delle sue politiche, si aprono questioni cruciali per il futuro della democrazia e per le dinamiche politiche ed economiche globali. Il libro How Democracies Die di Levitsky e Ziblatt (2018) offre una riflessione fondamentale sulla vulnerabilità delle democrazie in molte nazioni occidentali, incluse quelle latino-americane, asiatiche ed europee. Un aspetto centrale che emerge è che la distruzione della democrazia non nasce tanto da forze esterne o dal collasso del supporto popolare per i principi democratici, quanto piuttosto da un attacco diretto da parte dei governi stessi, o dei presidenti che hanno spesso ottenuto il potere proprio attraverso i canali democratici. La democrazia viene minata non solo dal declino delle istituzioni politiche, ma anche dalla crescente limitazione delle libertà fondamentali, come la libertà di stampa, e dall'adozione di politiche populiste che promettono vantaggi per ampi settori della popolazione.

L'Amministrazione Trump è stata vista come una delle più prossime a comportamenti autoritari, come dimostrato da quattro indicatori presentati dagli autori: 1) il rifiuto, o l'impegno debole, nei confronti delle regole democratiche; 2) la delegittimazione degli avversari politici; 3) la tolleranza o l'incoraggiamento della violenza; 4) la disponibilità a limitare le libertà civili degli oppositori, inclusi i media. La neutralità delle principali istituzioni politiche, come le autorità fiscali o i servizi segreti, è stata minata, un comportamento che ha somiglianze con quanto accade in altri regimi autoritari come quelli di Turchia e Russia.

In parallelo, il libro di Barry Eichengreen The Populist Temptation (2018) esamina come il populismo negli Stati Uniti non sia una novità, ma abbia radici storiche profonde. L’autore sottolinea come la globalizzazione e i progressi tecnologici non siano privi di costi, evidenziando come politici storici come John F. Kennedy abbiano affrontato questi cambiamenti con politiche di supporto ai lavoratori, come la riduzione delle tariffe d'importazione, insieme a programmi di riqualificazione e aiuti per i lavoratori. Eichengreen critica la mancanza di coraggio e di visione strategica da parte dei politici contemporanei, accusandoli di non aver saputo affrontare i costi sociali della globalizzazione. Sebbene la retorica di Trump sulla protezione dei posti di lavoro e contro l’immigrazione abbia trovato terreno fertile tra ampie fasce della popolazione, le sue affermazioni in materia di politica sociale non sono supportate da evidenze, come dimostrato dalle analisi delle politiche sociali statunitensi. Il populismo, infatti, si nutre spesso di propagande ripetute fino a diventare "verità" agli occhi di molti, contribuendo a consolidare l’illusione di soluzioni facili e immediate.

Un altro contributo interessante arriva da Isabel Sawhill, autrice di The Forgotten Americans (2018), che esamina i problemi della fiducia declinante degli elettori nei confronti del governo federale e la stagnazione salariale dei lavoratori meno qualificati. Tuttavia, Sawhill non prende in considerazione l’analisi delle dinamiche globali, come l’espansione della Cina, che hanno avuto un impatto significativo sull’economia degli Stati Uniti. La digitalizzazione, la crescente interconnessione globale e la competizione internazionale richiedono una comprensione più ampia dei fenomeni che contribuiscono all’indebolimento della posizione economica di molti lavoratori americani.

Le dinamiche elettorali del 2016 mostrano come Trump sia riuscito a conquistare il supporto di ampie fasce della popolazione che si sentivano abbandonate dalle politiche tradizionali, specialmente quelle a reddito basso e medio. Mentre Hillary Clinton ha avuto difficoltà ad attrarre l'elettorato più povero, Trump ha saputo alimentare una narrazione che giustificava il suo discorso populista. L’analisi dei dati elettorali indica che una parte significativa degli elettori americani ha votato Trump nonostante le sue posizioni controverse, sperando in un cambiamento radicale rispetto alla politica tradizionale.

Tuttavia, la domanda più ampia che si pone è se il fenomeno Trump sia una manifestazione transitoria del populismo statunitense o un segnale di un cambiamento più profondo e strutturale. L'aumento delle disuguaglianze negli Stati Uniti, unito alla crescente paura della globalizzazione e all’emergere di sfide geopolitiche come la Cina, suggerisce che il populismo potrebbe non essere facilmente superabile. Sebbene Trump possa perdere nelle future elezioni, il Trumpismo potrebbe continuare a influenzare la politica americana e mondiale per molti anni. Le politiche contraddittorie di Trump in materia economica e ambientale, la sua continua negazione delle evidenze scientifiche, e la sua spinta verso un’autoritarismo politico, pongono una sfida fondamentale alla stabilità della democrazia e alla credibilità delle istituzioni politiche.

Anche se Trump dovesse perdere il potere, la sua eredità potrebbe persistere come una forma di populismo strutturale che richiede una riflessione più profonda sulle sfide economiche e politiche che gli Stati Uniti e il mondo devono affrontare. La crescente polarizzazione politica e la sfiducia nelle istituzioni potrebbero segnare una fase di transizione, ma non necessariamente una fine del populismo. L’incapacità di affrontare le disuguaglianze economiche e le paure legate alla globalizzazione potrebbe essere una condizione permanente per molti sistemi democratici.

Il Ruolo della Cina nell'Aumento delle Disuguaglianze Economiche Globali: Il Caso degli Stati Uniti e dell'Europa Occidentale

L'ascesa economica della Cina ha avuto un impatto profondo sulle economie globali, in particolare negli Stati Uniti e nell'Unione Europea. La rapida espansione delle esportazioni cinesi in settori chiave ha determinato un abbassamento dei prezzi relativi in numerosi comparti industriali. Questa dinamica ha avuto un effetto diretto sulla competitività dei settori produttivi tradizionali dei paesi OCSE, con conseguenze rilevanti per le disuguaglianze salariali e per il cambiamento strutturale delle economie più sviluppate.

Nei paesi dell'Europa occidentale, in particolare quelli con una forte base di capitale umano e programmi di riqualificazione professionale, come la Germania, le imprese hanno potuto rispondere alla crescente concorrenza cinese con innovazioni di prodotto. Questo approccio ha consentito loro di preservare quote di mercato e valori delle esportazioni nonostante il calo dei prezzi. Tuttavia, negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove la spesa per la riqualificazione professionale per persona disoccupata è tradizionalmente bassa, le aziende hanno trovato più difficile adattarsi a questa nuova realtà. La Germania, al contrario, ha beneficiato enormemente dell'espansione economica cinese, grazie alla crescita delle esportazioni di macchinari e attrezzature.

L'evoluzione delle disuguaglianze negli Stati Uniti è particolarmente preoccupante. Se si osserva la distribuzione del reddito, la metà inferiore degli Stati Uniti ha visto una diminuzione della propria quota di reddito nazionale dal 20% nel 1981 al 13% nel 2015. Questo calo è stato accompagnato da un declino della densità sindacale e da un abbassamento dei salari minimi reali nel corso del tempo, fenomeni che hanno contribuito ad alimentare le disuguaglianze e la frustrazione sociale. La crescente disparità di reddito negli Stati Uniti è legata anche alla combinazione di digitalizzazione, aumento degli investimenti diretti esteri e alle esportazioni globali della Cina, che hanno determinato un aumento delle disuguaglianze interne.

Mentre la maggior parte dei cittadini americani riconosce il problema delle disuguaglianze, la soluzione che molti preferiscono non implica un intervento diretto del governo. La convinzione diffusa è che dovrebbero essere le grandi imprese a risolvere il problema, aumentando i salari dei lavoratori meno qualificati e riducendo quelli dei top manager. Questa visione, però, è illusoria: nel modello economico degli Stati Uniti, basato su una forte economia azionaria, è improbabile che le imprese, spingendo verso il massimo profitto, rinuncino a una parte significativa della remunerazione dei dirigenti o aumentino sensibilmente i salari di chi occupa posizioni a bassa qualifica.

Un altro aspetto importante da sottolineare è la natura globale del fenomeno delle disuguaglianze. Le esportazioni cinesi non sono il problema principale per i settori tradabili statunitensi, ma piuttosto l’aumento delle esportazioni globali dalla Cina e la conseguente diminuzione dei prezzi mondiali. Le politiche protezionistiche, come quelle messe in atto durante l'amministrazione Trump, non hanno avuto l'effetto di incrementare i prezzi dei beni importati dalla Cina, ma piuttosto li hanno ridotti ulteriormente.

Questa contraddizione tra il riconoscimento di un problema di disuguaglianza e l'incapacità di estendere politiche di redistribuzione e protezione sociale è una delle cause principali del malcontento crescente tra le classi sociali più povere. Le promesse populiste, che mirano a migliorare le condizioni di vita degli "uomini e delle donne dimenticati", rischiano di essere un fenomeno di lunga durata negli Stati Uniti. Questo tipo di retorica potrebbe portare a politiche internazionali più protezionistiche, più nazionalistiche e a un declino generale della cooperazione globale. Il supporto di Trump per il Brexit ne è un esempio emblematico: la sua visione di un "America First" ha alimentato l'antiglobalismo e ha contribuito a destabilizzare l'ordine internazionale.

L'incapacità del populismo di mantenere le promesse è un fenomeno che si è già manifestato in passato in Europa, soprattutto negli anni ’20 e ’30 del XX secolo. Le fasi iniziali del populismo sono caratterizzate da grandi promesse e da un forte accento su ideologie nazionalistiche e patriottiche, ma questa fase iniziale spesso sfocia in contraddizioni interne e conflitti, sia a livello nazionale che internazionale. Se l'amministrazione Trump non è riuscita a mantenere una politica commerciale coerente, è anche a causa di una carenza di esperti nei dipartimenti chiave, come il Dipartimento del Commercio.

Le difficoltà della politica commerciale statunitense, l’incapacità di affrontare le disuguaglianze interne e l'incertezza economica globale contribuiscono a una crescente instabilità economica e politica, che si traduce in frustrazione tra i cittadini e in un terreno fertile per il populismo. È importante, quindi, che si considerino le radici strutturali di questi cambiamenti, che non riguardano solo l’azione di singoli paesi ma sono parte di una tendenza globale che vede l'emergere di potenze economiche come la Cina, in grado di alterare gli equilibri mondiali.

Quali sono gli effetti del protezionismo sul commercio globale e sull'economia?

Il commercio internazionale ha rappresentato una pietra angolare della Rivoluzione Industriale e del benessere economico moderno. Nel contesto della crescita globale del commercio, l'intensificarsi delle politiche protezionistiche, come quelle adottate negli Stati Uniti o nel Regno Unito (con la Brexit, che può essere vista come una forma di protezionismo), ha avuto, e continua ad avere, un impatto significativo sulle economie industrializzate. In particolare, il protezionismo negli Stati Uniti, che include l'aumento delle tariffe doganali, ha ripercussioni dirette non solo sulla loro economia, ma anche su quella di altri paesi industrializzati.

Il protezionismo innesca una serie di effetti negativi sui paesi che adottano queste politiche, ma anche su quelli che interagiscono con essi. Per esempio, le esportazioni cinesi, pur non essendo così tecnologicamente avanzate come quelle dei paesi OCSE, sono sempre più una parte cruciale delle catene di valore globali. I paesi industrializzati, grazie alla produzione cinese di beni intermedi, possono concentrarsi sulla produzione di beni tecnologicamente avanzati, favorendo così l'efficienza globale.

L'analisi del commercio internazionale deve quindi considerare anche gli investimenti diretti esteri, che svolgono un ruolo chiave nel trasferimento di conoscenze e tecnologie. Questo tipo di commercio, in particolare il trasferimento tecnologico all'interno delle multinazionali, contribuisce in modo determinante alla produzione delle imprese e all'economia in generale. In questo contesto, le politiche protezionistiche come quelle attuate sotto l'amministrazione Trump, che mirano ad aumentare le tariffe doganali, non solo hanno un impatto diretto sul commercio, ma anche sulle decisioni di investimento delle imprese straniere negli Stati Uniti.

Le conseguenze di tali misure possono essere molteplici. In primo luogo, la varietà di beni di consumo potrebbe diminuire, il che rappresenta una sorta di stagnazione nell'innovazione dei prodotti. Ciò porta a un effetto negativo sul benessere dei consumatori, che vedranno un abbassamento della qualità dei beni disponibili, riducendo il valore marginale e medio della loro utilità. Inoltre, se i beni intermedi provenienti dall'estero diventano meno accessibili a causa del protezionismo, i costi di produzione aumenteranno. Questo si tradurrà in una riduzione della quantità di beni prodotti nei mercati, portando a una minore domanda di lavoro e a una diminuzione dei salari reali. Il livello dei prezzi aumenterà, e il reddito reale dei consumatori diminuirà.

Anche la disponibilità di beni capitali, come macchinari e attrezzature specializzate, risentirà negativamente delle politiche protezionistiche. Poiché questi beni sono fondamentali per la formazione del capitale e l'aumento della produttività del lavoro, la loro scarsità ridurrà la capacità produttiva e rallenterà il progresso tecnologico, con effetti negativi sul reddito reale e sui salari.

Inoltre, se il protezionismo si diffonde in paesi di grandi dimensioni come gli Stati Uniti, si avrà una catena di effetti negativi che coinvolgeranno anche altri paesi. Ad esempio, se le politiche protezionistiche degli Stati Uniti riducono la produzione e il reddito reale in Cina, le importazioni cinesi diminuiranno, influenzando negativamente le esportazioni degli Stati Uniti e dell'Unione Europea verso la Cina. Se il partner commerciale degli Stati Uniti reagisce con tariffe ritorsive, il risultato sarà una contrazione del reddito reale sia negli Stati Uniti che in altri paesi coinvolti.

Un aspetto cruciale delle politiche protezionistiche è il loro impatto sulle economie dei paesi a basso reddito. La World Bank ha sottolineato che l'aumento delle tariffe sui beni capitali colpirà soprattutto i paesi poveri, che dipendono fortemente da questi beni per sostenere la crescita economica e migliorare le infrastrutture.

Se guardiamo al passato, durante la Grande Depressione degli anni Trenta, il commercio mondiale subì una contrazione drammatica, con una riduzione di quasi due terzi. Ciò fu accompagnato da una caduta del reddito reale nei paesi occidentali, che si tradusse in una riduzione dell'occupazione e in una recessione profonda. Sebbene gran parte della diminuzione del reddito possa essere attribuita alla riduzione degli investimenti e all'aumento della disoccupazione, il calo del commercio internazionale giocò un ruolo cruciale in questa dinamica negativa.

Oggi, i rischi di una crescente protezione da parte delle economie sviluppate potrebbero avere effetti simili. Se i paesi adottano tariffe più elevate e politiche più restrittive, le previsioni indicano una possibile riduzione del reddito mondiale e una diminuzione del commercio globale di circa il 9%, ovvero oltre 2,6 trilioni di dollari, rispetto agli scenari di base. Sebbene questi calcoli si basino su stime conservative, l'effetto globale potrebbe essere molto peggiore se si considerassero anche gli effetti dinamici come quelli legati ai tassi di cambio, agli investimenti diretti esteri e all'innovazione.

Un aspetto determinante da considerare è che il protezionismo ha un impatto regressive: colpisce maggiormente le fasce più basse della popolazione, ossia quelle persone e famiglie con redditi modesti. Il prezzo più alto dei beni di consumo e la diminuzione delle opportunità di lavoro riducono ulteriormente la capacità di acquisto delle famiglie a basso reddito, accentuando le disuguaglianze economiche.