Le passeggiate quotidiane durante il nostro soggiorno a Kolhapur, nel settore ferroviario tra Pune e Lonavala, ci offrivano spunti di riflessione e occasioni di svago. Alcuni di noi amavano avventurarsi fino alla cima del colle Temblai, dove si godeva di una vista panoramica della città e dei binari che si snodavano lungo il paesaggio. Un ricordo particolare di una delle nostre passeggiate ci porta a una sosta in un ristorante locale, specializzato nella preparazione dell’Amboli, una versione speciale del dosai, un piatto che apprezzavamo particolarmente.
Le nostre esplorazioni ci conducevano anche al Khas Baug, un tempo scenario di combattimenti tra elefanti per il divertimento della corte reale. Le strutture in pietra e cemento erano destinate a proteggere i combattenti, l’equivalente indiano del matador spagnolo, qualora l’elefante divenisse troppo aggressivo. Un altro punto di interesse era il lago Rankala, che oggi è diventato una popolare attrazione turistica, nei cui dintorni si trovavano il palazzo Shalini e l’antico Juna Rajwada, utilizzato per ospitare il Rajaram College. Il palazzo Nava Rajwada, invece, si trovava fuori città e costituiva la residenza privata della famiglia reale.
L’Old Palace era un luogo affascinante per me da bambino, non solo per la sua storicità, ma anche per la presenza di due elefanti, che attiravano la mia curiosità ogni volta che li vedevo. Un episodio che mi ricordo con tenerezza accadde quando visitai il Nuovo Palazzo indossando una giacca che sembrava fatta di pelle di tigre. La principessa, allora una bambina, rimase talmente colpita dal mio abbigliamento che sembrò desiderare una giacca simile. A quei tempi, il cinema era uno dei passatempi preferiti, e tra i film che ricordo con affetto vi sono “Doctor Kotnis ki Amar Kahani” di V. Shantaram e “The Princess and the Pirate” di Bob Hope, pellicole che avevamo visto più volte.
In una delle nostre gite a Kolhapur, il gioco si intrecciava con l'apprendimento. Un anno, i miei genitori ci iscrissero a un corso di dattilografia. Non raggiungemmo velocità straordinarie, ma riuscimmo a imparare a digitare senza guardare la tastiera. Un altro "progetto" fu l'apprendimento del nuoto. Ogni mattina all’alba, ci recavamo al ghat del fiume Panchaganga per le lezioni. Nonostante le nostre difficoltà iniziali, il nostro insegnante, Ram Aundhkar, con pazienza ci guidava fino a quando, alla fine della stagione, riuscimmo a nuotare su una distanza di circa dieci metri. Tuttavia, nonostante questo, il nuoto non divenne mai una passione per me.
I monsoni, che arrivavano precocemente rispetto al nord dell’India, segnavano la fine della nostra vacanza a Kolhapur, e l’inizio di un altro capitolo. La visita in città terminava con una partenza carica di nostalgia. I nostri parenti e amici accorrevano per salutarci alla stazione, ma già con l’arrivo della metà del soggiorno, il nostro ritorno si faceva sempre più vicino, e l’interesse per la nostra presenza cominciava a scemare. Non mancavano mai occasioni per incontri familiari, durante i quali si organizzavano pranzi festivi in stile tradizionale. In questi momenti, la tavola veniva preparata con grande cura, e il cibo, servito su piatti decorati con rangoli, rappresentava un simbolo di comunità e di condivisione.
Anche la socializzazione, purtroppo, era limitata per noi bambini. La maggior parte delle conversazioni era riservata agli adulti e a noi restava poco da comprendere. L'unico momento di coinvolgimento diretto era quando ci veniva chiesto di recitare qualche shloka, una preghiera o un verso. Questi momenti ci facevano sentire parte di una tradizione più ampia, ma spesso le nostre conversazioni si limitavano al gioco e al semplice osservare.
Il passare del tempo, come è naturale, porta a un cambiamento nei legami e nelle percezioni. Le persone che avevamo conosciuto anni prima non erano più presenti, e nuovi volti si aggiungevano ogni volta. Anche per i miei genitori, che non tornavano a Kolhapur dagli anni ’30, l'incontro con vecchie conoscenze non era più lo stesso. Le vecchie amicizie si dissolvono e se ne formano di nuove, ma il legame con il luogo rimane invariato. È interessante come la percezione di un posto cambi con il tempo: che si tratti di Kolhapur, Banaras o Cambridge, le città rimangono uguali, ma noi, attraverso gli occhi di chi siamo, vediamo sempre qualcosa di diverso.
Un altro aspetto significativo che meritava attenzione durante il nostro soggiorno a Kolhapur era il senso di appartenenza alle tradizioni familiari. Quando ci trovavamo a Huzurbazar Wada per una grande festa, l’atmosfera era carica di ritualità. Non c’erano tavoli e sedie come oggi, ma i commensali si accomodavano su "paat", piattaforme tradizionali, e il cibo veniva servito in un’armonia di colori e profumi, il tutto adornato da bellissimi rangoli. La preparazione e la condivisione del cibo erano momenti sacri, testimoni di un passato che si faceva ancora sentire nelle piccole cose.
La partenza verso la fine di giugno segnava sempre un momento triste. Non solo perché il periodo di vacanza stava volgendo al termine, ma anche perché ci si staccava dai luoghi e dalle persone che avevamo imparato a conoscere. L'attesa della scuola e il ritorno alla routine erano ormai vicini.
Tutto ciò ci insegnava una lezione profonda sul tempo, sulle persone e sul cambiamento. La vita, come il viaggio, è fatta di momenti che sembrano eterni e allo stesso tempo sfuggenti. In ogni viaggio, in ogni ritorno, c'è una parte di noi che cambia, che cresce, che evolve.
Come affrontare il ritorno in patria dopo un lungo periodo all'estero
Il ritorno in patria dopo un lungo periodo trascorso all’estero è sempre un’esperienza carica di emozioni contrastanti. Da un lato, c'è l'euforia dell'incontro con la famiglia, gli amici e il paese d'origine, dall'altro, la consapevolezza del cambiamento che si è verificato durante il periodo di lontananza. Quella che inizialmente sembrava una realtà familiare e confortevole, alla luce delle esperienze vissute all'estero, appare spesso diversa e quasi irriconoscibile.
Nel caso di un viaggio a lunga distanza, come quello che mi portò in India dopo aver studiato a Cambridge, il ritorno divenne una riflessione sulla propria identità e sul rapporto che si aveva con il proprio paese natale. La partenza da Londra e l’arrivo a Bombay, dopo quasi tre anni di distanza, mi resero consapevole della distanza non solo fisica, ma anche psicologica, che si era creato tra me e la mia terra d'origine.
Nonostante la lunga e faticosa traversata aerea, i momenti di ansia per l’arrivo a Bombay erano accompagnati dalla nostalgia e dall’emozione di riabbracciare i miei familiari. Il calore umido che mi colpì appena uscito dall’aereo mi ricordò immediatamente l’intensità del clima tropicale che avevo quasi dimenticato. Questo clima, diverso da quello britannico, mi fece rendere conto che ogni paese ha il suo “sentire”, e che anche un semplice aspetto fisico, come il calore, può segnare il nostro rapporto con il luogo.
Una delle cose più interessanti del ritorno è il contrasto tra il ricordo che si ha di un posto e la realtà che si trova al ritorno. Bombay, che anni prima mi appariva come una metropoli vivace e moderna, ora mi sembrava più piccola e meno curata. Le strade anguste, non paragonabili ai grandi viali e alle moderne infrastrutture di Londra, mi facevano riflettere su quanto il mio punto di vista fosse cambiato nel tempo. Era come se la città che avevo lasciato non fosse più la stessa, o forse ero io a non essere più la persona che l'aveva vista per la prima volta.
Il viaggio da Santa Cruz all’abitazione della famiglia Puranik, sebbene breve, mi portò a un’altra consapevolezza: il contrasto tra il mio passato e il presente, tra ciò che conoscevo e ciò che stavo per scoprire. Le strade di Bombay, purtroppo meno curate rispetto alle realtà che avevo visto in Europa, mi fecero ripensare alla fatica e alle sfide quotidiane che tanti abitanti della città affrontano. Mi resi conto che il ritorno non era solo un incontro con le persone che amavo, ma anche un confronto tra il mio mondo nuovo e quello che avevo lasciato indietro.
Quando finalmente arrivai a destinazione, la sensazione di "essere a casa" mi riempì il cuore. Tuttavia, ero consapevole che la mia identità non era più legata solo a questo posto. La mia esperienza in Inghilterra mi aveva trasformato, così come il mondo che avevo visto aveva arricchito la mia visione della vita. La rielaborazione dei legami familiari e sociali divenne un elemento centrale della mia esperienza di ritorno, anche se la sensazione di appartenenza alla vecchia casa era ancora forte. A un certo punto, mi trovai a riflettere sul fatto che ciò che un tempo era certo – il legame con Banaras e il pensiero che mio padre vi si sarebbe ritirato – stava per cambiare. Questo cambiamento era simbolico non solo per la mia famiglia, ma per me stesso.
Anche il ritorno in India, che inizialmente sembrava una semplice occasione di visita, divenne un momento di riflessione su come il passato e il presente coesistano, spesso con dissonanze che ci costringono a rivedere la nostra percezione del mondo e di noi stessi.
Per affrontare questo ritorno in modo consapevole, è fondamentale comprendere che ogni viaggio, sia fisico che emotivo, lascia tracce indelebili che alterano il nostro punto di vista. Le cose che un tempo sembravano familiari possono sembrare estranee, e ciò che ci sembrava distante diventa improvvisamente vicino. Le transizioni di vita, come il cambiamento delle nostre radici familiari e professionali, ci mettono di fronte a nuove realtà che, seppur impegnative, possono arricchire la nostra visione del mondo.
Un aspetto fondamentale da considerare è che, pur mantenendo legami con il passato, è necessario accogliere i cambiamenti con apertura. Il ritorno non è solo un ritorno a casa, ma un'opportunità per costruire un ponte tra il passato e il futuro. Il viaggio di ritorno non è mai semplice, ma è attraverso di esso che possiamo veramente capire quanto abbiamo cambiato noi stessi e come possiamo evolvere nella nostra relazione con il mondo.
Come affrontare i cambiamenti e l'addio a un passato familiare
Il trasferimento e la separazione da luoghi che ci sono familiari rappresentano momenti di riflessione profonda e di adattamento. Per molti, queste situazioni sono un'opportunità per staccarsi dal passato, ma anche per affrontare la difficoltà di fare i conti con la propria storia e gli oggetti che, nel tempo, si sono caricati di significati. Questo è il caso della mia famiglia, che si trovava ad affrontare la necessità di lasciare Banaras e iniziare una nuova fase di vita a Ajmer. Nonostante il cambiamento fosse inevitabile, ogni passo, ogni decisione su cosa portare e cosa lasciare, portava con sé un carico emotivo difficile da gestire.
Quando il mio padre lasciò Banaras per dirigersi verso Delhi, la sua partenza fu accompagnata dal saluto di colleghi e amici, una cerimonia di addio che testimoniava l'affetto e la stima che aveva guadagnato in tutti quegli anni di lavoro. Nonostante fosse un cambiamento pianificato, il momento del distacco non fu mai facile. Mio padre, pur avendo ormai preso una decisione definitiva, lasciava dietro di sé una serie di ricordi e oggetti che, a prima vista, sembravano di poco valore ma che per lui e per la nostra famiglia erano carichi di significato.
La stessa riflessione sul valore degli oggetti e dei ricordi si rifletteva nelle decisioni quotidiane della mia famiglia. Mentre mio padre era impegnato a sistemare gli ultimi dettagli del trasferimento e del nuovo lavoro, la mia madre Tai, pur essendo determinata a seguire i suoi principi di distacco, si trovò inaspettatamente attaccata agli oggetti che rappresentavano il nostro passato. Lei aveva sempre sostenuto che "bisogna vivere in casa propria come se si fosse ospiti", un insegnamento che rimandava alla filosofia della non attaccamento. Eppure, quando si trattò di decidere cosa tenere e cosa lasciare, fu proprio lei a voler conservare più cose di chiunque altro, un paradosso che tutti noi conosciamo bene. Non è raro, infatti, che l'attaccamento a ciò che è familiare prevalga, anche quando si sa razionalmente che tali oggetti non avranno più un ruolo nella nuova fase della vita.
La partenza da Banaras non fu solo fisica ma anche psicologica. La casa che avevamo abitato, il B.H.U., e tutto ciò che ci circondava, divennero ricordi indelebili, pezzi di un passato che sarebbe rimasto intatto nella memoria, anche se il nostro corpo stava lasciando quel luogo. La vita a Banaras, con le sue consuetudini e le sue abitudini, si stava trasformando in un capitolo chiuso, e anche Anant, che da bambino si era molto affezionato a quel posto, non poteva fare a meno di sentirsi malinconico.
Il viaggio verso Delhi, sebbene fosse solo una tappa intermedia prima di raggiungere Ajmer, fu per noi un'esperienza che ci permise di fare i conti con la transizione in corso. La città, con la sua storia e le sue contraddizioni, ci accolse come un riflesso della nostra stessa confusione e del nostro desiderio di abbracciare il cambiamento. Seppur non avessimo avuto il tempo di esplorare a fondo Delhi, il breve passaggio ci fece comprendere quanto fosse inevitabile lasciarsi alle spalle il vecchio e abbracciare il nuovo.
Il soggiorno ad Ajmer fu un nuovo inizio, sebbene inizialmente dovessimo adattarci a un ambiente più piccolo e meno sviluppato rispetto a Banaras. La città, con il suo paesaggio montagnoso e i laghi, aveva una bellezza che contrastava con la frenesia di Banaras. La tranquillità che ci offriva il nuovo ambiente fu un balsamo per le nostre anime, anche se le piccole difficoltà, come il servizio igienico antiquato del Circuit House, ci ricordavano che ogni cambiamento porta con sé delle sfide.
In questo periodo, mio padre, purtroppo separato dalla sua routine di lavoro a Banaras, doveva abituarsi alla nuova vita in Ajmer, dove il Rajasthan Public Service Commission (RPSC) era un'entità importante per la gestione delle risorse umane statali. Sebbene avesse ottenuto un incarico di rilievo, il cambiamento non fu mai semplice. Ogni giorno rappresentava una nuova sfida nel mantenere l'integrità del processo decisionale, evitando interferenze politiche. Il suo impegno nella trasparenza e nell’imparzialità gli conferì una reputazione che lo fece rispettare e ammirare anche fuori dall'ambito lavorativo.
L'auto che il governo gli aveva promesso era finalmente arrivata, simbolo della nuova fase della nostra vita. Un’auto che, pur essendo uno strumento utilitario, divenne un altro simbolo del cambiamento, poiché ci permetteva di esplorare il paesaggio circostante. I lunghi viaggi in macchina, da Ajmer a Pushkar e a Shrinagar, furono momenti di relax e di riflessione per la nostra famiglia. Le lunghe distese di strada, i prati e i paesaggi mozzafiato divennero metafore di un nuovo percorso che avremmo intrapreso, fatto di nuove scoperte e, soprattutto, di un lento adattamento alla vita che ci attendeva.
I cambiamenti, anche quelli meno desiderati, sono inevitabili. Ma attraverso l’adattamento, la capacità di lasciar andare e di accogliere il nuovo, riusciamo a fare i conti con le nostre radici senza essere schiavi del passato. Ogni fase della vita porta con sé il suo carico di sfide, ma anche di opportunità. Saper riconoscere quando è il momento di lasciare andare è tanto importante quanto sapere quando è il momento di abbracciare ciò che viene.
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