Mi avvicinai al cancello di ferro nero, che scricchiolava forte contro la pietra sotto i miei piedi. Il rumore si rifletteva nell'aria silenziosa mentre aprivo il varco e mi incamminavo lungo il sentiero del giardino. Un brivido di coraggio mi pervase, e, con una determinazione improvvisa, bussai con il battente a forma di testa di leone, il suono che risuonava all'interno della casa. Mi aspettavo che la porta si spalancasse e che mia madre fosse lì, pronta a ricevermi, sicuramente mi avrebbe riconosciuto all'istante. Ma restammo lì, in attesa, a guardare senza risposta. Bussai di nuovo, ma ancora nulla. "Forse dovremmo tornare più tardi," disse Richard con voce bassa, "Non credo che siano in casa, Rachel." Il mio cuore batteva forte nel petto, e una delusione palpabile mi invase. "Oh, Richard, dobbiamo davvero ricominciare da capo?" Desideravo tanto sentire una voce familiare, vedere una figura che mi abbracciasse, ma il silenzio era l'unica risposta che trovavo.
Mi avvicinai alla finestra al piano inferiore e guardai dentro, le mani premute contro il vetro. "Vuota?" chiese Richard, che si era fermato dietro di me, guardando sopra la mia spalla. "Tutto è coperto con lenzuola bianche," risposi con rassegnazione. Lentamente, cominciai a tornare lungo il sentiero, Richard mi seguiva silenziosamente. Mi sentivo triste, sconfitta, con il desiderio di tornare a casa, di rifugiarmi nel mio appartamento come un cane con la coda tra le gambe, dove avrei potuto leccarmi le ferite in solitudine. Mentre mettevo la mano sul cancello, quasi pronta a rinunciare, sentii una voce. Mi voltai di scatto.
"Salve, posso aiutarvi?" Una figura emerse tra la siepe che separava il nostro giardino da quello dei vicini. "Sono Mrs. Swinburne, cuoco e domestica per i signori Alfreton, che abitano in questa casa. Se cercate i signori Holt, sono fuori." Mi avvicinai, cercando di scrutare tra le foglie. "Non cerco i signori Holt," risposi, "Sto cercando una certa Susan Verity. Sapete se vive qui?"
"Quando è scoppiata la guerra, tutta la famiglia se n'è andata in campagna," ci spiegò la donna, "I signori Holt, la loro cameriera e il giardiniere." Si voltò verso qualcuno dietro di lei. "Come si chiamavano di nuovo? Mi dimentico sempre." Tornò a guardarmi. "Non siamo qui da molto, quindi non li conoscevamo bene." Un uomo apparve accanto a lei, vestito in modo semplice con pantaloni di corda e una camicia con le maniche arrotolate, proprio come Richard, che lavorava nei campi. "Harry era il giardiniere," disse l'uomo, "Ogni tanto chiacchierava con me. Ma la donna... bella davvero, posso dirti." "Non Harry, Larry," ribatté la donna, visibilmente irritata. "Non ricordi il nome della donna che lavorava per i signori Holt?" Poi mi guardò con attenzione, come se volesse cercare di ricordare. "Somigliava a te, capelli scuri, una bella donna." "Sì, come ho detto, una bellezza," ripeté l'uomo.
Poi, senza preavviso, la donna si girò, agitata, "Oh, basta, vai a fare il giardinaggio!" disse, scagliando un'occhiata velenosa all'uomo. Noi ci scambiammo uno sguardo divertito, ma lei non sembrava aver finito. "Non so dove siano andati, mi dispiace." "Non ricordi se si chiamava Susan Verity?" chiesi, sperando ancora. "No, non Susan," rispose scuotendo la testa. "Ma qualcosa di simile... come ti dicevo, non li conoscevamo tanto bene."
"Susie?" Provai ancora, "O Sue?"
Si fermò un momento, come se stesse facendo uno sforzo per ricordare, poi, improvvisamente, disse, "Ah no, scusami, il telefono sta squillando, devo andare. Forse è il tizio delle verdure." Si voltò rapidamente e, con un ultimo sguardo indietro, aggiunse, "Potresti essere sua figlia, chissà." Mi sorrisi amaramente e ringraziai, mentre io e Richard lasciavamo il giardino, chiudendo il cancello con un piccolo click.
Quel momento fu la definitiva realizzazione di quanto fosse difficile trovare qualcuno che sembrava tanto vicino, eppure irraggiungibile. Troppo facile, pensavo. Non ci potevo credere. L'indirizzo che avevo ottenuto mi aveva fatto sperare che sarebbe stata la fine della ricerca. Ma la verità era che stavo cercando di afferrare qualcosa che non potevo raggiungere, come un ago in un pagliaio. Non riuscivo nemmeno a concepire cosa fare dopo, dato che il volto di mia madre, la persona che avevo immaginato tanto a lungo, era ora una figura che svaniva nel nulla.
Il giorno seguente, Richard dovette partire per prendersi cura del padre, gravemente ferito. Dovevamo rinunciare ai nostri sogni di passare il Natale insieme. Mi sentivo sola, isolata, la mia mente colma di incertezze e preoccupazioni. Il telegramma che Ralph ricevette in seguito confermò la difficoltà di separarsi dalle persone che amiamo e, al contempo, di continuare a cercare coloro che ancora non abbiamo trovato. Quando la guerra separa le persone, non sono solo i confini geografici a separare, ma anche i confini dell'anima. Mi trovavo di nuovo a riflettere sul significato della ricerca, su quanto essa potesse essere estenuante, ma anche vitale per una persona che vuole trovare se stessa.
Non è solo una questione di dove si trova qualcuno, ma di come il destino può rendere una persona invisibile nonostante sia tanto vicina. Ogni passo che facciamo nella ricerca di qualcuno o di qualcosa non è mai privo di ostacoli, ma è sempre segnato dalla speranza di una connessione che ci sfugge.
Chi è Simon Verity e come il passato continua a influenzare il presente?
Sorrisi e cenni d'assenso mentre lei continuava, "Ovviamente hai visto Laurence quando sei arrivata oggi, ma devi incontrarlo come si deve. So che non vede l'ora di incontrare sua figlia finalmente." "Figliastra," la corressi. Lei rise e scosse la testa. "Laurence ha già detto che, se dovessi mai contattarmi, ti penserà sempre come sua figlia." Si fermò un attimo, guardandomi intensamente, e continuò piano, "Mi sono sentita in colpa. Come se sposarmi con qualcun altro e magari avere altri figli fosse irrispettoso nei tuoi confronti, la bambina che ho dovuto dare via." Non sapevo cosa dire, tranne che, "La mia crescita è stata molto buona. Ero felice con Eleanor e Jack." E poi aggiunsi in fretta, "Non dovevi sentirti in colpa." Ci guardammo a lungo. Mi sentivo nervosa e ansiosa su cosa avrebbe detto dopo. Mi strinse la mano e disse, "Ho avuto un bambino nel 1923. L'ho chiamato Simon." Rimasi senza fiato e dissi, "Simon Verity? Perché ci chiedevamo proprio di lui. Richard conosceva un Simon Verity in uno dei suoi corsi di formazione agricola." "Sì," annuì, "Lui ha effettivamente seguito corsi di formazione agricola, ma il suo nome completo è Simon Verity Smith. Laurence si chiama Smith e fu così gentile da permettermi di usare Simon come primo nome e Verity come secondo... in memoria di tuo padre." Ah, pensai, ecco cos'era quello che Richard stava cercando di dirmi prima al bar. "Che uomo generoso," commentai, mentre la mia mente iniziava a frullare con tutte queste informazioni. "Mio... fratellastro?" chiesi, con un sorriso tremante. "Sì, tuo fratellastro." "Posso vederlo?" Lei abbassò la testa, dicendo piano, "È partito per combattere." Mi guardò con gli occhi pieni di lacrime, "Ha solo diciassette anni. Gli ho implorato di aspettare i diciotto, ma non mi ha ascoltata. È scappato, nel cuore della notte, con un paio dei suoi amici. Tutti pensando di partire per una grande avventura." "Hai avuto notizie di lui?" "Solo una volta, poco dopo che è partito. Una lettera piena di eccitazione e spavalderia." Si asciugò gli occhi con un fazzoletto, "Da allora non ho più saputo nulla e sono distrutta dalla preoccupazione." "Tornerà," dissi, accarezzandole la mano con una convinzione che non provavo davvero, "Cerca di non preoccuparti. Tornerà." Le raccontai del mio matrimonio affrettato con Ralph, di cui mi pentivo molto, e che era dato per disperso, probabilmente ucciso. Le parlai di Ralph Senior ed Ethel, del mio appartamento in città, di Richard e delle mie speranze e paure per il futuro, per il nostro futuro insieme.
Passando al presente, guardai intorno a me, ai mobili, che sembravano ombre sinistre nella penombra, allo specchio sulla parete che brillava d'argento. Mi alzai dal letto e mi avvicinai alla finestra, guardando attraverso le pesanti tende oscuranti. Il cielo era nero, punteggiato di stelle, mentre il terreno, gli alberi scheletrici, le siepi e i tetti erano coperti da uno strato immacolato di neve che scintillava in una miriade di colori. Anche la finestra era incrostata di motivi nevosi, intricati e sottili come merletto. "Ha nevicato?" chiese una voce mentre qualcuno si alzava e accendeva una luce da comodino, inondando la stanza di un bagliore bianco. Guardai l'orologio: erano le 3:30 del mattino, il momento di alzarsi, di prepararsi per la mungitura. Le mucche sarebbero state agitate, le mammelle piene, talmente piene che sarebbe stato difficile camminare. La mia compagna di stanza sorrise, il suo volto diverso, strano senza il caratteristico rossetto rosso. "Cosa?" dissi, "Non ne avevo idea!" "Rachel, è bello vederti. Ho cercato di restare sveglia per te ieri sera, ma ero così stanca." Si stiracchiò con piacere, alzando le braccia sopra la testa, "Mi ero dimenticata quanto faticoso fosse essere una Land Girl." "Ma in un buon modo," dissi. "Ah, e per rispondere alla tua domanda, sì, ha nevicato. Guarda." Si unì a me alla finestra, entusiasta di voler costruire un pupazzo di neve più tardi. "Potrei usare una carota per il naso e delle patate per i bottoni - oh, e sono sicura che Mr. Hope avrà un vecchio cappello da qualche parte." Si diresse al lavandino e, rompendo una sottile pellicola di ghiaccio sull'acqua, si sciacquò il viso e si asciugò con un asciugamano ruvido. La seguii a ruota, dicendo, "Conosciamo le altre ragazze? Mi aspettavo che ci fosse Cheryl." Strappandosi via i suoi pigiami, si mise in fretta i pantaloni, la camicia e un grosso maglione. "No, Cheryl non sarà qui." Si sedette sul bordo del letto, con la schiena rivolta a me, mettendosi le calze spesse. Si fermò un momento e, voltandosi, mi guardò negli occhi, "Ha perso altri due fratelli, non credo che lo sapessi, vero?" "Oh no!" Fermo nel mezzo di abbottonarmi la camicia, mi bloccai, il cuore che batteva forte. "Sì, sia il maggiore che il minore, Roger e Peter." "Come lo sai?" "Mio fratello Alec è amico del fratello di Cheryl, David," mi disse. "Oh, povera. Spero che David stia al sicuro – e Alec, naturalmente." "Sì," disse tristemente. "Ora per Cheryl ci sono solo David e Harry. E naturalmente prego ogni giorno per Alec." Mi sorrise, ma aveva lo stesso sguardo duro e luccicante che Cheryl aveva avuto quando parlava dei suoi cinque fratelli partiti per combattere. Ci scambiammo uno sguardo significativo, mentre io stendevo la mano e le davo una pacca sulla spalla.
Anche se non li conoscevo, mi sembrava di averli persi anch'io.
Come affrontare la distanza e la guerra: lettere da Richard
Luglio 1942. Richard aveva mantenuto la sua parola e, poco tempo dopo, la sua prima lettera giunse nelle mie mani. La scrisse durante il suo viaggio, il treno che lo portava via da Londra, lontano da tutto ciò che amava. Il paesaggio sfrecciava veloce: case, campi e alberi che si susseguivano come in un sogno. Ogni metro che il treno percorreva lo allontanava da ciò che considerava caro: me, suo padre, Suki, Laurence, Judith, Lily, Louisa, la fattoria, i cani e gli altri animali. Mi raccontava delle nostre conversazioni notturne, dei balli, dei momenti di risate, ma anche delle lacrime che avevamo condiviso. La nostalgia era palpabile nelle sue parole, ed era il suo cuore a pesare mentre pensava a quanto dovesse affrontare prima di tornare da me. La separazione, scriveva, è una delle cose più difficili da sopportare, ed era impossibile non avvertire l'urgenza del suo desiderio di ritrovarmi.
Nel lungo viaggio, si trovava circondato da una compagnia di uomini che, come lui, avevano risposto alla chiamata, alcuni giovani recluti e altri già segnati dalla fatica della guerra. Nonostante le differenze tra di loro, avevano un'unica cosa in comune: il rimpianto di non essere a casa, lontani dalle persone che amavano. Quella compagnia divenne la sua seconda famiglia, e lui trovò conforto nelle loro storie e nei momenti di svago, come le serate musicali organizzate per distogliere la mente dalla durezza del cammino. Pete, proveniente dal Lancashire, suonava l'armonica, mentre Davey, il gallese, intonava melodie che parevano angeliche. Richard mi raccontava di Victor, un giovane che, come molti altri, aveva trovato il suo rifugio nella musica, cantando canzoni di Vera Lynn, la regina delle canzoni patriottiche, il cui poster adornava il suo letto. Ma, soprattutto, Richard mi chiedeva una fotografia: il volto amato che avrebbe voluto avere davanti ogni sera prima di dormire, come molti altri soldati che portavano con sé le immagini delle persone care. Non bastavano le lettere; voleva vedere il mio volto, anche se solo in fotografia.
Una domanda sembrava sempre sfiorarlo, come una lacerante contraddizione. Se mi amava tanto, perché era partito? Lui stesso si era chiesto questa cosa, ma sapeva di aver preso la decisione giusta. Aveva scelto di combattere per il suo paese, nonostante le incertezze iniziali. La guerra, per lui, non era solo una questione di difesa, ma di futuro, di speranza per le generazioni a venire. Si rendeva conto, come me, che ogni uomo che partiva lasciava dietro di sé un pezzo del proprio cuore, ma in quel sacrificio c'era anche una forma di protezione, una promessa di salvezza per le persone amate.
Nel dicembre del 1944, il clima cambiava. La guerra non aveva solo separato i cuori, ma aveva anche modificato le abitudini quotidiane. A casa, la vita proseguiva nonostante tutto. Frederick, il vicino di casa, si lamentava per l'assenza del gatto che una volta si occupava dei topi nei granai. Lucy, il nostro gatto, ormai anziana, preferiva sonnecchiare al caldo del cuscino piuttosto che inseguire i roditori. Ma la guerra si sentiva anche in questi piccoli dettagli: i topi, simbolo di un mondo che continuava a mutare, ma che sembrava sempre uguale. Le conversazioni in cucina erano sempre più spesso intrise di tristezza, ma anche di una forza che, in fondo, non cessava mai di risplendere. Quando si parlava del cibo, della scarsità di risorse, dell'incertezza del domani, si sentiva l'impegno di andare avanti. La guerra si era impadronita della vita, non solo sul fronte, ma anche nel cuore delle case.
Le parole di Richard, ormai un lontano ricordo, si mescolavano alle preoccupazioni quotidiane, come una melodia lontana che non poteva essere cancellata. Mi mancava profondamente, ma nonostante il dolore, sentivo che ogni sua lettera, ogni suo pensiero, contribuiva a mantenere vivo quel legame che la guerra non aveva distrutto. Eppure, l'incertezza regnava sovrana: da tre mesi non avevo ricevuto sue notizie. La guerra, in tutta la sua crudezza, ci aveva separati, ma io sapevo che sarebbe tornato. Forse non più lo stesso, ma il nostro amore, quello, nessun conflitto avrebbe potuto cambiarlo.
In quei giorni di Natale, mentre la cucina profumava di dolci e di bruciature, mentre si parlava della guerra in maniera quasi distaccata, il mio cuore rimaneva sempre lì, a Londra, al fianco di Richard, nei suoi pensieri, nei suoi desideri, e nelle sue sofferenze. La guerra, che per alcuni era vista come un'opportunità, per me era solo un lungo, interminabile periodo di separazione. Eppure, in ogni angolo di quella guerra, in ogni passo verso l'ignoto, trovavo tracce di quella promessa di ritorno, che ci teneva vivi, che ci teneva insieme, nonostante tutto.
Che cosa significa veramente la guerra per chi resta a casa?
La guerra è un’esperienza che travolge ogni aspetto della vita, dal più intimo al più pubblico. Non si tratta solo di battaglie lontane, ma anche di ciò che accade a chi resta a casa, costretto a fare i conti con il dolore, la paura e la speranza, che si intrecciano quotidianamente con la routine della vita domestica. Le persone che non combattono direttamente sul campo, ma che sono comunque coinvolte nel conflitto, devono affrontare le sue conseguenze in modo molto diverso, pur senza poterlo evitare. In questo scenario, la vita quotidiana diventa un atto di resistenza, dove ogni gesto, anche il più insignificante, sembra acquistare un significato nuovo.
Un esempio di questo è l’atmosfera che si respira in casa, dove la preparazione dei pasti e la decorazione dell’albero di Natale diventano momenti di rifugio da una realtà che incombe. Nonostante la guerra, c’è un attimo di pace. La casa, con il suo odore di dolci e frutta, diventa un luogo sicuro, un rifugio dalla paura che avanza, un angolo di serenità, anche se temporaneo. In questa realtà, i dettagli quotidiani come il suono della porta che scricchiola o la vista di un cielo stellato in una notte gelida sembrano piccoli frammenti di normalità che, paradossalmente, diventano ancora più preziosi quando tutto intorno appare instabile.
In mezzo a questa quiete apparente, però, la guerra si fa sentire: le persone che si amano sono lontane, spesso senza notizie. La speranza e l’attesa di una lettera o di un telegramma sono momenti di vita sospesa, dove ogni parola scritta porta con sé l’ansia di sapere come sta chi è lontano. La paura di un telegramma che annunci una perdita è sempre presente, come una spada di Damocle sopra la testa di chi resta, in attesa di un segno che faccia luce su chi è ancora in vita, lontano da casa.
Le persone che restano, però, continuano a vivere, ognuna a modo suo. Cheryl, che ha perso i suoi genitori in un bombardamento, arriva come un fulmine a ciel sereno, portando con sé il dolore e la tragedia di chi ha perso tutto. Ma anche lei, come gli altri, cerca di continuare a vivere, affrontando il futuro con un misto di speranza e rassegnazione. Ogni incontro, ogni gesto, diventa una possibilità di ricostruire una parte della vita che la guerra ha distrutto. Le persone cercano di mantenere la loro umanità, di non farsi schiacciare dalla brutalità della guerra, anche quando sembrano non esserci più molte ragioni per farlo.
In questa condizione, il legame con gli animali, come con i gatti che devono cacciare i topi o con i nuovi cuccioli che diventano parte della famiglia, assume una rilevanza particolare. Gli animali, pur non comprendendo la grandezza del conflitto, diventano simboli di resistenza alla desolazione, e spesso forniscono un conforto inaspettato.
Tuttavia, la guerra non riguarda solo le perdite e la sofferenza, ma anche l'attesa di una fine che pare non arrivare mai. Quando finalmente giunge la notizia della morte di Hitler e della resa della Germania, c'è un urlo di gioia, un'esplosione di liberazione che però è anche segnata dalla consapevolezza che troppi hanno perso troppo durante questo conflitto. La vittoria è dolce, ma il prezzo pagato è troppo alto, e non c’è gioia senza una parte di tristezza. Cheryl, che ha perso i suoi genitori, guarda il trionfo della fine della guerra con occhi diversi, consapevole che ciò che è stato vinto non riporterà indietro ciò che è stato perso.
Il silenzio che segue è quasi più eloquente del clamore. La guerra, per chi resta a casa, è una ferita che non si rimargina facilmente. Eppure, nonostante la devastazione, la vita continua. La ricostruzione non è solo fisica, ma anche emotiva. La guerra segna chiunque, ma è la capacità di trovare piccoli momenti di felicità, di speranza e di calore umano che permette di andare avanti, giorno dopo giorno.
In tutto ciò, è fondamentale ricordare che la guerra non colpisce solo chi combatte sul campo, ma trasforma anche chi resta a casa. La sua portata si fa sentire in ogni angolo, in ogni relazione, in ogni casa. Eppure, tra le rovine, la vita trova il modo di resistere e di ricominciare, pur con le cicatrici lasciate dal conflitto.
Cosa rende speciale il ritorno a casa dopo la guerra?
Il suono dei miei scarponi bianchi che picchiettano sul pavimento, Cheryl che mi segue dietro, splendida in un'altra delle sue creazioni, un abito verde che la rende, ai miei occhi, la damigella d'onore più incantevole che si sia mai vista. Le cicatrici sui polsi di Cheryl, inflitte dalle mani di Ralph, ora sono sbiadite, anche se so che lei a volte ci pensa, chiedendosi cosa sarebbe successo se Richard non fosse tornato a casa nel momento giusto. Il volto devastato di Ralph affiorava nella mia mente, ma lo scacciavo velocemente, voltandomi verso Cheryl. Le sorrisi, il suo sorriso era contagioso come sempre, nonostante la perdita dei suoi genitori e di tre dei suoi cinque fratelli in quella terribile guerra che avevamo appena superato.
"Oh, Rachel," disse, porgendomi un piccolo mazzo di campanule, il profumo mi ricordava le lunghe e calde estati dei nostri giorni da ragazze di campagna, toccando il mio cuore. "Non è proprio splendido?"
Nel frattempo, Richard ed io ci muovevamo leggeri sulla pista da ballo della sala sociale del villaggio, le sue braccia attorno al mio collo, la sua mano sulla parte bassa della mia schiena. La sua pelle odorava di pulito, di limone e sapone. La melodia della nostra canzone risuonava nell'aria, e io, tra un passo e l'altro, sentivo le voci di chi ci osservava, la coppia felice. Il mio sguardo si sollevò verso mia madre, con un fazzoletto al viso, piangendo, come tutte le madri fanno al matrimonio di una figlia. Laurence la teneva stretta, confortandola, o forse si confortavano a vicenda, aspettando ogni giorno un segno di mio fratello Simon, sperando che la sua figura stanca di guerra si presentasse alla porta. Sarebbe stato oggi? Lo vedevo nei loro occhi ogni mattina, pronti e speranzosi.
Cheryl volava leggera come una farfalla nel suo abito verde, e notai qualcuno che la guardava, un uomo che riconobbi essere William, l'amico di Richard, presente con noi durante il mio ventunesimo compleanno. Quanto tempo è passato da allora! Prima che leggessi la lettera di mia madre, prima che lei e Laurence entrassero nella mia vita. Come avevo fatto senza di loro?
Mentre guardavo Cheryl al bar, mi accorsi che William si era avvicinato e l'aveva toccata sulla spalla. Cheryl si girò con un sorriso radioso e forse, proprio in quel momento, la storia che li riguardava stava cominciando.
"Che cosa stai pensando, Rachel?" chiese Richard, fermandosi mentre mi guardava. "Non hai rimpianti?" Gli sorrisi. "No, certamente no. Nemmeno per tutto il tempo che ti ho aspettato. Sei stato via quasi tre anni, e ho aspettato pazientemente tutto quel tempo."
"ImpaZientemente, direi io."
"Oh, tu!" risposi, dandogli una leggera gomitata, "Se proprio vuoi saperlo, stavo guardando Cheryl e William."
"Stai sperando in un'altra storia d'amore, eh?"
"Esattamente," risposi, "Anche se, non una storia d'amore grande come la nostra."
"Ma certo," disse, "come potrebbe esserlo?" E poi, con un sorriso furbo e un bacio sulla guancia, "Andiamo, ti prendo da bere. Il nostro primo ballo da sposati è finito."
La sala era decorata con catene di carta appese dal soffitto, enormi lenzuola bianche con la scritta "Richard e Rachel si sono appena sposati" e palloncini colorati che fluttuavano nell'aria. La band iniziò una melodia vivace e Lily, Louisa e Judith con un bel ragazzo che non avevo mai visto prima, si scatenarono nella danza, ridendo e girando senza pensieri. In quel momento, il pensiero di come quel giovane uomo avesse sopravvissuto alla guerra mi sfiorò, ma cercai di scacciarlo.
Frederick chiese silenzio, battendo un cucchiaio contro un bicchiere per attirare l'attenzione. "Tutti in ordine, per favore," disse, mentre tutti si fermavano a guardarlo. "Alzate i vostri bicchieri!" Un mormorio di consenso riempì la sala mentre ognuno si preparava a brindare. Frederick sollevò il suo bicchiere in alto. "A mio figlio Richard e alla sua splendida moglie Rachel. Felicità sempre in questo nuovo mondo senza guerra."
Tutti sollevarono i bicchieri e urlarono: "A Richard e Rachel, felicità per sempre in questo nuovo mondo senza guerra." Il resto della serata trascorse in un turbinio di musica, balli e risate. Richard ed io non ci lasciavamo mai, attratti l'uno dall'altra come magneti, e ogni volta che i nostri occhi si incrociavano, un calore dolce e sicuro si diffondeva dentro di me. Finalmente, dopo tutto quel tempo di attese, il mio amore era tornato a casa.
L'importanza di quel ritorno non stava solo nel ritrovare l'amore, ma nel comprendere come ogni persona, pur nel dolore e nelle perdite, avesse trovato una sua forma di speranza. L'incertezza del futuro lasciava spazio ad un presente che, pur segnato dalla guerra, poteva ancora regalare nuovi inizi.
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