Le politiche relative ai diritti e all'accesso ai servizi per i giovani senza documenti negli Stati Uniti sono complesse e variano enormemente da stato a stato. Sebbene la legislazione federale rimanga ambigua in molte aree, alcuni stati hanno adottato politiche inclusive, riconoscendo i benefici economici e sociali derivanti dall'integrazione di giovani immigrati nel tessuto produttivo e sociale del paese.

Nel 2014, il procuratore generale della Virginia, Mark Herring, sottolineava l’importanza di accogliere i giovani immigrati privi di documenti, evidenziando il loro potenziale come risorsa per l'economia e la società: “Dovremmo accogliere questi giovani, intelligenti e laboriosi nella nostra economia, piuttosto che fermarli al termine del 12° anno di scuola” (Vozzella e Constable, 2014). Questa riflessione si è concretizzata nel 2020, quando il governatore della Virginia ha firmato una legge che garantisce la possibilità di accedere alle tariffe universitarie statali anche agli studenti senza documenti che si sono diplomati nelle scuole superiori della Virginia, ampliando così le opportunità educative per una parte significativa della popolazione giovane non documentata (Price e Mowry-Mora, 2020).

Al di là delle politiche sull’accesso all’istruzione, dieci stati e il Distretto di Columbia permettono agli studenti senza documenti di accedere ai finanziamenti pubblici per gli studi. È importante notare, tuttavia, che il supporto federale tramite la FAFSA rimane inaccessibile a questi giovani, sia che abbiano o meno il DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals). Alcuni stati, come Illinois e Utah, offrono borse di studio private per studenti senza documenti, mentre altri, come la California e il Maryland, hanno ampliato ulteriormente i benefici economici con l’introduzione di leggi a favore di questa categoria, come la California Dream Act del 2011, che garantisce fondi statali per studenti privi di documenti che siano stati ammessi a università pubbliche o college comunitari.

Un altro importante ambito in cui sono state adottate politiche inclusive riguarda l'accesso alle licenze di guida per gli immigrati senza documenti. Dal 2005, con lo Utah, fino al 2013, otto stati e il Distretto di Columbia hanno permesso agli immigrati senza documenti di richiedere una patente di guida, una misura che non solo garantisce maggiore sicurezza sulle strade, ma favorisce anche l'accesso a un’assicurazione auto, che altrimenti sarebbe fuori dalla portata per molti immigrati. Questa apertura è stata estesa in molti casi ai destinatari del DACA, che, grazie all'assegnazione del numero di previdenza sociale, possono richiedere una patente di guida in tutti e 50 gli stati, con l’eccezione di alcuni stati che, pur avendo politiche inclusive in altre aree, non offrono questa possibilità.

Al contrario, la situazione in alcuni stati come il Texas rimane fortemente restrittiva. Nonostante il Texas ospiti una delle popolazioni di destinatari di DACA più numerose del paese e fornisca la possibilità di accedere alle tariffe universitarie statali, non consente l'accesso alle licenze di guida per gli immigrati senza documenti, creando così un’ulteriore barriera alla mobilità e alla piena integrazione di queste persone nella società.

Questa disparità nelle politiche e nella protezione dei diritti tra gli stati, spesso per motivi politici, crea una situazione di precarietà oscillante, in cui l’appartenenza a un determinato stato può determinare in modo significativo la qualità della vita di un giovane senza documenti. La mobilità sociale ed economica di questi giovani è intrinsecamente legata alle politiche specifiche di ciascuno stato e all’atteggiamento della comunità locale nei confronti degli immigrati.

Infatti, le politiche locali, come quelle attuate da alcune città e contee, possono anche fare una grande differenza per gli immigrati senza documenti. Molti di questi luoghi hanno preso provvedimenti per proteggere i diritti degli immigrati, soprattutto attraverso iniziative come le carte d'identità municipali, che offrono a chi non ha documenti la possibilità di accedere ai servizi locali e di interagire con le forze dell'ordine senza temere il rischio di deportazione. Alcune città, come New York, Washington D.C., e San Francisco, hanno introdotto queste carte d'identità municipali, che sono diventate strumenti vitali per l'inclusione e la protezione sociale.

Inoltre, la crescente pressione delle comunità locali ha portato molte amministrazioni a unirsi a coalizioni come "Cities for Action", che spingono per riforme politiche a favore degli immigrati a livello federale. Queste coalizioni rappresentano un fronte comune di città e comunità che vedono nei giovani immigrati un'opportunità per stimolare la crescita demografica ed economica, in particolare nelle aree urbane in declino.

Nonostante queste iniziative a livello statale e locale, la situazione rimane incerta e estremamente precaria per i giovani senza documenti negli Stati Uniti. La continua instabilità legislativa e le differenze tra le politiche dei vari stati pongono questi individui in una posizione vulnerabile, dove i diritti e le opportunità possono cambiare in modo improvviso e imprevedibile, lasciandoli senza certezze e spesso senza protezioni adeguate. L’unico modo per garantire una maggiore giustizia e inclusività per questa popolazione è adottare politiche che non solo offrano protezione legale, ma che promuovano anche un vero e proprio riconoscimento della loro dignità e del loro contributo alla società.

Come la politica estera di Trump ha alterato l'ordine globale: una visione critica

La politica estera dell'amministrazione Trump è stata segnata da un approccio che ha messo in discussione e in gran parte demolito la tradizionale leadership internazionale degli Stati Uniti. Con una serie di mosse strategiche che si sono spesso rivelate contraddittorie e isolate, Trump ha cercato di perseguire una visione di politica estera incentrata sul protezionismo e sull'isolazionismo, senza un piano coerente a lungo termine. Ciò ha portato gli Stati Uniti a isolarsi dalle alleanze tradizionali, a minare gli accordi multilaterali e a favorire una diplomazia caratterizzata da scontri diretti piuttosto che da un dialogo costruttivo.

Un esempio emblematico di questo approccio è la guerra commerciale con la Cina. L'imposizione di dazi sulle importazioni cinesi, in particolare sulla soia, ha avuto gravi ripercussioni per i produttori agricoli americani. Per tamponare i danni economici, Trump ha deciso di erogare un pacchetto di sussidi da 12 miliardi di dollari, ma le sue politiche non hanno portato a un accordo commerciale duraturo. La retorica bellicosa di Trump, che in numerose occasioni ha minacciato di ritirarsi dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), ha ulteriormente destabilizzato i rapporti commerciali globali.

La gestione della crisi nordcoreana è stata altrettanto controversa. Dopo aver definito Kim Jong Un un "piccolo uomo razzo" e aver minacciato di "portare fuoco e furia" sulla Corea del Nord, Trump ha sorpreso il mondo intero incontrando il leader nordcoreano a Singapore e dichiarando che si erano "innamorati". Nonostante le rassicurazioni, i progressi reali nel disarmo nucleare sono stati limitati e il pericolo di un conflitto nucleare non è mai stato realmente superato. Questo approccio irrazionale e incoerente ha contribuito a minare la credibilità degli Stati Uniti come attore internazionale stabile.

La ritirata dall'Accordo di Parigi sul cambiamento climatico è stata un'altra decisione controversa, che ha isolato ulteriormente gli Stati Uniti da molti alleati globali. Trump ha anche preso decisioni unilaterali su questioni cruciali come la riconversione della capitale israeliana da Tel Aviv a Gerusalemme, senza tenere conto delle complesse dinamiche regionali, aggravando così le tensioni nel Medio Oriente. L'allontanamento dall'accordo nucleare con l'Iran, un altro trattato negoziato sotto l'amministrazione Obama, ha avuto effetti destabilizzanti sul già fragile equilibrio geopolitico.

Sul fronte interno, la politica di Trump è stata caratterizzata da un atteggiamento cinico verso le accuse di corruzione e abuso di potere. Nel 2019, la Camera dei Rappresentanti ha avviato un procedimento di impeachment nei suoi confronti per abuso di potere e ostruzione alla giustizia, accusandolo di aver cercato di coinvolgere il presidente ucraino Zelensky in una campagna diffamatoria contro Joe Biden. Nonostante la gravità delle accuse, Trump è stato assolto dal Senato, il che ha dimostrato la profonda divisione politica interna degli Stati Uniti.

La pandemia di COVID-19 ha rappresentato uno dei momenti più critici della presidenza Trump. La gestione della crisi sanitaria è stata segnata da una serie di dichiarazioni fuorvianti e dalla negazione della gravità della situazione. Trump ha minimizzato la diffusione del virus, etichettandolo come una "bufala" politica e rifiutandosi di indossare una maschera. Le sue parole contraddittorie e il rifiuto di fornire una guida unitaria agli Stati ha causato una risposta frammentata e inefficace, aggravando ulteriormente le conseguenze della pandemia.

Importante è sottolineare che, sebbene le politiche di Trump abbiano avuto un impatto devastante sulle relazioni internazionali, c'è anche la questione della sua crescente alleanza con figure autoritarie. Trump ha mostrato una sorprendente ammirazione per leader come Vladimir Putin, Recep Tayyip Erdoğan e, in alcuni casi, Kim Jong Un, mettendo in discussione i valori democratici e i diritti umani che avevano da lungo tempo definito la politica estera degli Stati Uniti. Questo ha minato ulteriormente la posizione morale degli Stati Uniti sulla scena mondiale.

In assenza di una leadership chiara e coesa, la Cina ha approfittato del vuoto lasciato dalla ritirata degli Stati Uniti, promuovendo una politica estera più assertiva e cercando di consolidare il suo ruolo di potenza globale. Nonostante la retorica di Trump sull'America First, la sua politica ha facilitato, in modo paradossale, l'ascesa di un nuovo ordine mondiale, in cui la leadership americana è stata messa in discussione.

La lezione che emerge da questa analisi è che la politica estera di Trump ha rappresentato un periodo di profonde incertezze, non solo per gli Stati Uniti, ma per l'intero sistema internazionale. L'abbandono delle alleanze tradizionali e l'approccio conflittuale e unilaterale hanno portato a un'erosione della posizione degli Stati Uniti come leader globale. Mentre alcuni ritengono che la fine dell'egemonia americana non sia da piangere, la realtà è che il vuoto lasciato dalla ritirata statunitense potrebbe avere conseguenze più ampie e imprevedibili, con potenziali alleanze e sviluppi che potrebbero minacciare la stabilità globale a lungo termine.

Quali sono le implicazioni geopolitiche ed economiche del processo di pace sulla penisola coreana?

Nel giugno del 2018, Singapore ha ospitato il primo incontro bilaterale tra un presidente degli Stati Uniti in carica e il leader della Corea del Nord. Il 12 giugno, Donald Trump e Kim Jong-Un si sono incontrati privatamente, per poi proseguire con una discussione più ampia, volta a trovare un accordo su vari temi cruciali che riguardavano le relazioni tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord, i legami tra la Corea del Nord e la Corea del Sud, e, più rilevante dal punto di vista degli Stati Uniti, il programma nucleare e di missili balistici della Corea del Nord. Sebbene i funzionari sudcoreani non fossero ufficialmente parte dell’incontro, la Corea del Sud ha giocato un ruolo fondamentale nell’organizzazione del summit, agendo come mediatrice e consegnando un invito alla Casa Bianca poche settimane prima. Durante il summit, Trump e Kim hanno firmato una dichiarazione congiunta "per costruire un regime di pace stabile e duraturo sulla penisola coreana … [e] per lavorare verso la completa denuclearizzazione della penisola coreana" (White House, 2018). Il giorno successivo, Trump ha proclamato che il summit era stato un successo, affermando su Twitter che "non c'è più una minaccia nucleare dalla Corea del Nord" (Sullivan, 2018). Tuttavia, le affermazioni di Trump sulla denuclearizzazione sono state successivamente contraddette da altri funzionari governativi statunitensi, e un secondo summit a Hanoi nel febbraio 2019 non ha portato a nuovi accordi sulla denuclearizzazione.

Eppure, il summit di Singapore ha rappresentato un evento significativo per diverse ragioni. In primo luogo, non si era mai svolto un incontro simile in quasi 70 anni di storia del coinvolgimento degli Stati Uniti nella politica coreana. In secondo luogo, solo sette mesi prima, la Corea del Nord aveva lanciato con successo un nuovo missile balistico, in grado di colpire la costa occidentale degli Stati Uniti e gran parte dell’Europa. Durante quel periodo, Trump aveva intrapreso una serie straordinaria di minacce nei confronti di Kim, arrivando a dichiarare che avrebbe "lanciato fuoco e furia" sulla Corea del Nord, deridendo Kim come "Little Rocket Man" e affermando che i leader nordcoreani "non sarebbero rimasti a lungo" in una serie di dichiarazioni nel 2017 (Keneally, 2018). In breve, gli interessi degli Stati Uniti e della Corea del Nord sembravano completamente incompatibili alla fine del 2017, ma solo pochi mesi dopo l’amministrazione Trump ha ottenuto il suo primo, e forse unico, successo in politica estera.

Nonostante l'attenzione mediatica riservata alla politica estera dell'amministrazione Trump nei confronti della Corea del Nord, l'impegno accademico nelle specifiche relazioni tra gli Stati Uniti e la Corea del Sud sotto Trump è stato limitato. Quando gli studiosi hanno trattato l’argomento, lo hanno fatto in gran parte concentrandosi sulle relazioni bilaterali tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord, trascurando il ruolo della Corea del Sud in questo processo. Per colmare questa lacuna, il nostro studio esplora come i temi legati al summit di Singapore e al più ampio processo di pace inter-coreano siano stati rappresentati nei media sudcoreani. L'analisi, condotta dalla prospettiva della geopolitica critica, esamina i discorsi politici popolari che circolavano nei media sudcoreani riguardo agli Stati Uniti, a Trump, ai summit e alle relazioni tra Sud e Nord. Abbiamo scoperto che i tradizionali discorsi geopolitici, incentrati sulla sicurezza territoriale della Corea del Sud, si sono confrontati con discorsi alternativi che vedevano nella cooperazione economica con il Nord un'opportunità di crescita e prosperità.

Questa dicotomia tra sicurezza territoriale e opportunità economiche ha avuto rilevanza in particolare quando si è trattato di discutere il futuro delle relazioni inter-coreane e del processo di pace. I dibattiti nei media sudcoreani hanno spesso visto una contrapposizione tra le forze politiche che temevano che il dialogo con la Corea del Nord potesse minacciare la sicurezza nazionale e quelle che ritenevano che un miglioramento delle relazioni avrebbe potuto aprire la strada a un'integrazione economica vantaggiosa per entrambe le Coree. È interessante notare come, sebbene il governo sudcoreano, sotto la leadership di Moon Jae-in, abbia cercato di spingere per una maggiore cooperazione, una parte significativa della popolazione e delle forze politiche continuava a vedere nella Corea del Nord un nemico potenziale, rafforzando la tensione geopolitica che definisce la penisola. La questione non si limita quindi alla denuclearizzazione, ma coinvolge anche una riflessione più profonda sul modello politico ed economico da perseguire, con una chiara divisione tra coloro che difendono l'ordine liberale-capitalista e coloro che preferirebbero un cambiamento più radicale nel sistema di alleanze internazionali.

Il conflitto di visioni sul futuro della penisola coreana non è solo una questione interna alla Corea del Sud, ma riflette anche le tensioni globali, in particolare il ruolo che gli Stati Uniti e la Cina giocano in questo contesto. La Cina, che ha storicamente mantenuto un ruolo dominante nella regione, è particolarmente attenta all'evolversi delle dinamiche politiche e alle potenziali implicazioni economiche derivanti da un cambiamento nei legami tra le due Coree. La stabilizzazione della penisola, quindi, non solo influenzerà la sicurezza regionale, ma avrà anche un impatto significativo sulle economie di tutto il continente asiatico, in particolare sui mercati emergenti e sulla dinamica del commercio inter-coreano.

In conclusione, è fondamentale comprendere che il processo di pace nella penisola coreana non riguarda soltanto la denuclearizzazione, ma anche un complesso intreccio di considerazioni geopolitiche ed economiche che coinvolgono attori regionali e globali. La sfida maggiore non risiede solamente nel raggiungere un accordo tra le due Coree, ma nel trovare un equilibrio tra le diverse visioni politiche e gli interessi economici in gioco, con la consapevolezza che ogni passo verso la pace avrà conseguenze durature per l'intero sistema di alleanze e per le dinamiche geopolitiche in Asia orientale.