La verità, nei tempi moderni, sembra perdere sempre più significato. Non importa quante prove tangibili vengano presentate, quanti fatti possano essere esposti: molte persone, pur di non confrontarsi con una realtà che non rispecchia la loro visione, rifiutano di accettarli. È questo il cuore del fenomeno delle "notizie false" che ha preso piede nell'era dei social media e nella crescente sfiducia verso i tradizionali mezzi di comunicazione. L'impressione che il giornalista Max Read ha messo in luce in un articolo per New York Magazine è che la vera perdita non sia tanto della verità, quanto della fiducia: la convinzione che ciò che vediamo e sentiamo sia effettivamente ciò che ci viene presentato. Tuttavia, il problema si è rivelato essere più profondo di quanto sembrasse inizialmente. Non si tratta solo di cinismo collettivo, ma di un'idea sempre più diffusa che la realtà superficiale sia una pura messa in scena.

L'idea che la realtà sia un'invenzione dei poteri forti per mascherare le vere motivazioni della politica moderna si è radicata in molte persone. Le narrazioni distorte, alimentate da una miscela di populismo e propaganda, hanno costruito un mondo dove le informazioni non sono più semplicemente false, ma sono diventate un'arte del racconto politico. La realtà, come la conoscevamo, è ora vista come un intricato teatro, un palcoscenico in cui ogni azione, ogni parola, è parte di una sceneggiatura meticolosamente progettata per nascondere la verità.

Un esempio emblematico di questa tendenza si è verificato dopo il massacro alla scuola di Sandy Hook, Connecticut, dove venti bambini e sei adulti furono uccisi da un giovane di nome Adam Lanza. Nonostante il carattere drammatico dell'evento, il cui impatto è stato amplificato dalla giovanissima età delle vittime, una parte della popolazione ha iniziato a diffondere teorie cospirative, sostenendo che l'intero episodio fosse stato inscenato dal governo, con l'obiettivo di promuovere l'agenda del controllo delle armi. Un video pubblicato su YouTube, che sosteneva di rivelare la "verità" sul massacro, ha ricevuto milioni di visualizzazioni in pochi giorni, diffondendo la convinzione che fosse un'operazione sotto falsa bandiera orchestrata da élite globali.

Questa narrazione ha trovato terreno fertile in un periodo in cui le divisioni politiche e ideologiche hanno iniziato a scivolare verso una frattura più profonda: quella tra la realtà visibile e quella "nascosta", tra la verità che viene "mostrata" dai media e quella che essi sono tendenziosi nel nascondere. Il concetto di una "realtà costruita", che rappresenta solo un velo dietro cui si cela la verità, è stato teorizzato da filosofi come Paul Ricoeur, che ha parlato di "ermeneutica della sospizione", un approccio interpretativo volto a svelare i significati nascosti che modellano la nostra esperienza quotidiana.

Le narrazioni costruite intorno agli eventi come quello di Sandy Hook seguono una logica simile a quella di un'operazione sotto falsa bandiera, un termine preso dal mondo della pirateria che indicava l'usanza di sollevare una bandiera falsa per mascherare l'identità di un attacco. In questi racconti, la tragedia viene presentata come un'azione deliberata del governo, finalizzata a ottenere il supporto popolare per leggi più severe sul controllo delle armi o sulla sorveglianza. I "crisis actors", ovvero gli attori di crisi, diventano i protagonisti di questi racconti, in cui le famiglie delle vittime, insieme ai residenti locali, sono visti come comparse pagate dal governo per recitare una parte in un gioco ben orchestrato.

Questo tipo di pensiero, che vede una separazione netta tra ciò che ci viene detto e ciò che realmente accade, è parte di una corrente di pensiero che affonda le sue radici nei filosofi del XX secolo, ma che è stata travisata nella sua applicazione politica. Freud, Marx e Nietzsche, ognuno a modo suo, hanno suggerito che l'esperienza quotidiana è ingannevole e che la vera realtà ci sfugge. Per comprendere la verità nascosta dietro le apparenze, è necessario rivedere le basi della percezione, della moralità e delle strutture politiche ed economiche che determinano il nostro modo di vivere.

Quello che accade oggi, con la proliferazione delle fake news e delle teorie complottiste, non è altro che un'applicazione distorta di queste idee. Se in passato la critica alla "realtà" si concentrava sull'individuo e le sue motivazioni psicologiche o sociopolitiche, oggi essa si è tradotta in una visione collettiva che separa la verità dalla narrazione ufficiale, alimentando la convinzione che tutto ciò che ci viene detto non sia altro che un inganno. Questo modo di pensare rischia di minare le basi della democrazia e della fiducia sociale, sostituendo il dialogo con la disinformazione e il sospetto.

A ciò si aggiunge un'altra sfida: la crescente difficoltà di discernere tra verità e menzogna. L'influenza dei media, dei social e delle piattaforme digitali ha creato un ambiente in cui le narrazioni manipolate non sono più l'eccezione, ma la norma. L'abilità di alcuni gruppi di spingere teorie cospirative, incutendo dubbi sul sistema e sui suoi rappresentanti, ha il potere di destabilizzare l'intero sistema di informazione. La verità, in questo contesto, non è solo una questione di fatti, ma di percezioni e di credenze condivise che si costruiscono giorno dopo giorno.

La verità e la menzogna nella narrazione politica: la manipolazione e il potere della fiction

La relazione tra narrazione e politica è complessa e articolata, e spesso si intreccia con la verità, la menzogna e la fabbricazione. La narrazione politica non è solo un mezzo per raccontare eventi reali, ma anche uno strumento attraverso il quale la realtà viene modellata, interpretata e talvolta deformata. Il mondo della politica, da sempre, è permeato da storie, racconti e costruzioni narrative che non solo influenzano l'opinione pubblica, ma anche la stessa natura degli eventi storici. La narrazione diventa una realtà distorta, capace di mutare la percezione del pubblico, creando una nuova "verità" che risponde agli interessi di chi controlla il racconto.

Un esempio evidente di come la narrazione possa alterare la percezione della realtà è rappresentato dal romanzo Il racconto dell'ancella di Margaret Atwood. Questo libro, pur essendo un'opera di fiction, trae ispirazione da comportamenti e politiche che esistono nella realtà, in diverse parti del mondo. Atwood, come sottolineato nella sua opera, si è assicurata che nessun evento nel libro fosse completamente estraneo alla storia umana o alla tecnologia già esistente. Ogni comportamento repressivo del regime totalitario descritto nel libro ha un precedente storico nelle dittature reali, e la fiction stessa è stata in grado di influenzare la realtà. Il simbolismo del romanzo, in particolare il velo rosso delle ancelle, è diventato un potente strumento di protesta per i diritti delle donne, trasformandosi da pura invenzione in simbolo di battaglia politica nel mondo contemporaneo.

Un altro esempio emblematico è V for Vendetta, il fumetto di Alan Moore e David Lloyd. La maschera indossata dal protagonista, ispirata a Guy Fawkes, ha assunto nel tempo una rilevanza storica e politica tale da divenire il simbolo di numerose manifestazioni contro i regimi capitalistici e autoritari. La maschera, inizialmente un elemento narrativo, è diventata un potente emblema di resistenza e lotta contro le ingiustizie politiche e sociali. In questo caso, la fiction ha fornito un linguaggio simbolico per una realtà che ha continuato a plasmarsi attraverso le narrazioni di chi si oppone al sistema.

In questo contesto, il concetto di "menzogna" assume una dimensione particolare. La politica, da sempre, si è alimentata di racconti che, pur non essendo veri nel senso stretto del termine, sono considerati verità funzionali alla costruzione di un consenso. Il concetto di "verità" in politica è, infatti, fortemente legato alla manipolazione del pubblico e alla costruzione di una narrativa che risponda agli scopi di chi la racconta. I politici, spesso accusati di essere "fabulatori" o di mentire per raggiungere il potere, non fanno altro che applicare le tecniche narrative in modo strategico per costruire la loro versione della realtà.

Orson Welles, nel suo film F for Fake, esplora l'idea che tutte le storie siano, in fondo, delle "bugie" in qualche modo. Ogni racconto, anche se radicato nella realtà, è una distorsione della stessa. La "menzogna" diventa, in questo caso, un mezzo per rivelare una verità più profonda, spesso più significativa di quella letterale. Questa visione della narrazione come strumento di verità attraverso la finzione è antica quanto la filosofia. Platone, ad esempio, criticava i poeti per aver creato mondi immaginari che allontanano dall'essenza della realtà. Tuttavia, autori come Philip Sidney hanno ribattuto a questa visione, sostenendo che il poeta non mente mai, in quanto non afferma mai una "verità" come tale, ma offre una visione che può essere tanto valida quanto quella della realtà stessa.

Il rapporto tra verità e menzogna è ulteriormente complicato dal contesto in cui una storia viene raccontata. La verità in medicina, in diritto e in politica non è la stessa. Ciascun campo stabilisce delle proprie "verità" in base a criteri che sono specifici per ogni ambito. Questo è evidente, ad esempio, nel caso del medico che ha diagnosticato al-b Megrahi, il quale è stato rilasciato dalla prigione per motivi di salute, nonostante fosse stato dato per morente. La medicina offre solo un'opinione statistica sulla probabilità di vita, ma questo non è visto come un giudizio definitivo dalla legge, che si aspetta certezze assolute. La stessa storia, quindi, viene raccontata e interpretata in modi diversi a seconda del contesto, e ciò che è considerato "vero" in un ambito può essere rifiutato in un altro.

Questa distorsione della realtà, questa continua ridefinizione della verità attraverso il filtro della narrazione, è una delle caratteristiche più potenti della politica contemporanea. I politici, consapevoli del potere della narrazione, costruiscono le loro storie non solo per comunicare, ma per manipolare la percezione collettiva della realtà. L'arte della narrazione politica, quindi, non è solo un modo per rappresentare la verità, ma anche un mezzo per plasmarla, modificarla e utilizzarla come strumento di potere.

In un contesto come quello attuale, dominato dalla proliferazione delle "fake news" e dalla crescente sfiducia nelle istituzioni, è fondamentale riconoscere che la verità politica non è mai un fatto semplice e obiettivo. È sempre una costruzione, un racconto che si intreccia con la realtà, ma che può essere distorto, ingigantito e manipolato a piacimento. La verità, quindi, diventa una merce che può essere acquistata, venduta e riscritta, a seconda delle necessità politiche del momento. La narrazione non è solo una riflessione della realtà, ma anche una forza che può cambiare la realtà stessa.

Come i "Fatti" sono diventati il cuore del dibattito politico: il ruolo della verità nell'era post-verità

Negli ultimi anni, la visione tradizionale dei "fatti" come verità incontrovertibile sembra aver perso terreno nel dibattito pubblico. Un cambiamento profondo che ha implicazioni non solo per la politica, ma per la nostra comprensione della realtà stessa. Cos'è un fatto, in definitiva? E perché la verità sembra essere diventata un concetto così malleabile e soggetto a interpretazioni, persino a distorsioni strategiche?

In un'analisi sulla politica contemporanea, il politologo Lee McIntyre sottolinea come nel contesto della "post-verità", la realtà non sia più un dato oggettivo ma un concetto relativo, plasmato dalla visione soggettiva di chi lo espone. In questo scenario, i fatti non sono solo meno importanti, ma sono anche "subordinati" a valori politici che li distorcono e li interpretano per sostenere una narrativa particolare. Come ha scritto Tom Nichols, si è arrivati al punto in cui l'ignoranza, specialmente quella legata alla politica pubblica, è considerata una virtù in alcune parti della società. Un passo oltre, questa tendenza porta a un crescente scetticismo nei confronti dei fact-checker, visti non come custodi della verità, ma come soggetti da disprezzare o addirittura ostacolare.

Il periodo di transizione che ha portato all'era della "post-verità" si manifesta con forza attraverso l'esempio delle cosiddette "fatti alternativi", una definizione resa celebre da Kellyanne Conway, portavoce della Casa Bianca, che nel 2017 cercò di giustificare le dichiarazioni false riguardo alla grandezza della folla durante l'inaugurazione di Donald Trump. La sua difesa era che Spicer, il segretario stampa, stesse solo presentando "fatti alternativi" alla narrazione dei media. In un contesto in cui la verità sembrava fluida, quest'idea divenne il simbolo di un nuovo linguaggio politico, dove i fatti venivano manipolati e reinterpretati per sostenere una visione politica, a prescindere dalla realtà dei numeri o delle immagini.

Questa confusione sulla natura dei fatti non riguarda solo la politica. Anche nel campo della scienza, i fatti sono spesso selezionati, interpretati e presentati in modi che riflettono le ideologie o gli interessi di chi li diffonde. La ricerca scientifica, come suggerito dagli antropologi linguistici Nick Enfield e altri, non è mai un processo puramente oggettivo. I risultati scientifici sono il frutto di interpretazioni complesse e di un lavoro di persuasione che coinvolge non solo i colleghi, ma anche i finanziatori e il pubblico. La scienza, dunque, diventa un racconto, un processo narrativo che presenta i fatti in un determinato modo per raggiungere una comprensione condivisa.

Questo stesso principio è visibile anche in politica, dove i numeri e le statistiche vengono presentati come "fatti" per giustificare politiche e decisioni. Ad esempio, un'affermazione come "8 su 10 dentisti consigliano questo prodotto", che sembra un dato scientifico, si rivela essere un'interpretazione selettiva, quando si scopre che il campione di dentisti intervistati era di soli dieci individui. Così, i fatti sono spesso manipolati per costruire una narrativa persuasiva, tanto nel marketing quanto nella politica.

Il fenomeno della post-verità implica, quindi, una disconnessione tra i fatti e le loro implicazioni reali. I fatti diventano strumenti per costruire storie, anziché per scoprire una verità universale e incontestabile. Il significato dei fatti dipende dal contesto in cui vengono presentati e dall'interpretazione che se ne dà. Eppure, in questo marasma di narrazioni alternative, la sfida per il futuro rimane: come possiamo ancora riconoscere la verità in un mondo in cui i fatti sono continuamente manipolati per sostenere visioni politiche o ideologiche?

In un contesto del genere, il ruolo dei fact-checker diventa cruciale, ma non senza difficoltà. L'accuratezza dei dati non è più vista come una virtù universale, ma come una minaccia a un ordine politico che prospera nella distorsione della realtà. Laddove un tempo la ricerca della verità era considerata una funzione fondamentale della democrazia, oggi sembra che sia proprio la ricerca della verità a essere diventata una pratica pericolosa, accusata di influenzare in modo unilaterale le opinioni e le percezioni della società.

È importante capire che il problema non è la mancanza di fatti, ma il modo in cui vengono utilizzati. I fatti, nel loro significato più profondo, non sono mai neutri, e il loro impatto dipende sempre dal modo in cui vengono presentati e dal contesto in cui sono inseriti. In un'epoca in cui la verità è continuamente messa in discussione, il lettore deve essere consapevole che ogni dato o statistica che incontra deve essere scrutinato non solo per la sua veridicità, ma anche per il suo scopo e la sua provenienza. La "morte della verità" non è una fine, ma un invito a riflettere sul nostro rapporto con i fatti e la loro interpretazione.

Il concetto di "fatti alternativi": manipolazione linguistica e verità soggettiva

Il termine "fatto alternativo" è un ossimoro che, fin dall’inizio, ha suscitato grande dibattito, poiché sfida la concezione stessa di cosa rappresenti un "fatto". La sua definizione si è scontrata con la tradizionale idea che un fatto sia qualcosa di oggettivo, un'informazione verificabile e incontestabile. Quando Kellyanne Conway, un’importante consigliera di Donald Trump, utilizzò questa espressione nel contesto di un'intervista, sembrò quasi voler confondere ulteriormente i confini della realtà. Merriam-Webster, il celebre dizionario, rispose rapidamente, ribadendo la definizione di "fatto" come "un'informazione presentata come avente una realtà oggettiva", sottolineando ironicamente che il termine è generalmente inteso come qualcosa che ha una “esistenza effettiva”. Se applicato a fenomeni che non sono mai realmente accaduti, tale uso risulta errato.

La risposta del dizionario è solo un esempio di come il linguaggio, e in particolare il significato delle parole, possa essere manipolato per servire interessi politici. In questo caso, il dizionario stava svolgendo il ruolo di "guardiano" dell'accuratezza linguistica, un compito che, sebbene sembri una difesa della verità, si scontra con una realtà più complessa: la lingua è un'entità in continua evoluzione e non esiste un solo significato "corretto" di ogni parola.

A prescindere dalle intenzioni politiche, è evidente che la manipolazione del linguaggio ha sempre avuto un ruolo centrale nella politica. La linguistica, infatti, è lo specchio di un dibattito ideologico che non riguarda solo i significati dei singoli termini, ma l'intero apparato che forma la nostra comprensione della realtà. Quando si parla di verità, non si tratta di un concetto universale e immutabile, ma di un campo in cui ogni parola, ogni definizione, può essere oggetto di contestazione.

Il dizionario, che normalmente viene visto come una fonte definitiva, non è l’ultima parola sull'uso delle parole. Esistono diversi dizionari, ciascuno con sfumature diverse nelle definizioni e con un approccio differente alla registrazione dei significati. Questi strumenti non sono immutabili, ma riflettono l'uso corrente e, nel caso di dizionari storici come l’Oxford English Dictionary, documentano anche l’evoluzione della lingua nel tempo. Per esempio, il termine “nice” ha visto una trasformazione significativa nel corso dei secoli. Nell'inglese medio significava "stupido" o "ignorante", ma nel tempo è diventato sinonimo di "raffinato" e infine "piacevole", attraversando un arco temporale di secoli e cambiamenti.

Anche la percezione di parole specifiche può variare a seconda dei gruppi sociali. Un buon esempio è dato dalla parola "teoria", che nel contesto scientifico può essere intesa come una descrizione generalizzata di fenomeni naturali, ma che per altri può sembrare solo una congettura, una supposizione priva di fondamento. Questo fenomeno di discordanza interpretativa si fa ancora più evidente nel mondo moderno, dove Internet e le piattaforme online offrono spazi per definizioni soggettive e pluralistiche. Un esempio significativo è l'Urban Dictionary, che raccoglie definizioni di parole aggiornate in tempo reale da una vasta comunità, spesso influenzata da visioni politiche e sociali differenti.

Nel caso di termini come "Obamacare", l'Urban Dictionary offre voci contrastanti che riflettono opinioni politiche diametralmente opposte, mettendo in evidenza quanto il linguaggio possa essere un’arena di conflitto ideologico. Questi esempi dimostrano come il significato delle parole possa essere forgiato e deformato in base alle necessità di chi le usa, dando origine a "verità contraddittorie" che sono spesso il risultato di interpretazioni opposte di un singolo concetto.

La questione dei "fatti alternativi" non riguarda semplicemente un gioco di parole o un fraintendimento linguistico, ma apre una riflessione più ampia sulla natura della verità e della percezione. Ogni fatto è, in un certo senso, sempre interpretato attraverso una lente che può distorcere la realtà a seconda di chi la osserva e dei contesti in cui tale osservazione avviene. Il tentativo di Conway di giustificare l'esistenza di fatti alternativi si basa su un principio che esiste da secoli nella politica e nella comunicazione: ogni narratore di eventi ha il potere di manipolare i fatti per adattarli alla propria visione del mondo.

Se consideriamo che la lingua è in costante cambiamento e che le parole possono avere significati variabili a seconda del contesto, diventa chiaro che la nozione di verità è molto meno fissa di quanto sembri. La chiave sta nel riconoscere che le parole non sono mai semplicemente univoche, ma sono sempre cariche di interpretazioni personali, politiche e culturali. Pertanto, un fatto, lungi dall’essere una verità incontestabile, è spesso solo un punto di vista tra molti, che può essere plasmato, contestato e riformulato secondo le necessità del momento.