Nell’ambito delle teorie giuridiche e degli studi sui contratti, si distingue tradizionalmente tra due categorie principali: i contratti discreti e i contratti relazionali. Questi, tuttavia, non rappresentano entità separate, ma piuttosto si collocano lungo uno spettro che va dai contratti discreti a quelli relazionali, con quest’ultimi che tendono ad evolversi nel tempo a partire dai primi. In altre parole, l’idea di una netta separazione tra le due forme contrattuali è ormai superata, e l’approccio più appropriato è vederle come fasi di un processo dinamico e interdipendente.
I contratti discreti sono caratterizzati da una durata breve, da scambi di beni o servizi misurabili con precisione, e da interazioni personali limitate. Questi contratti, spesso definiti “contratti transazionali”, non prevedono una cooperazione continuativa tra le parti, che si considerano libere da impegni reciproci a lungo termine. L’accordo si basa su un impegno chiaro e specifico, come quello di una vendita o di una prestazione determinata, senza aspettative future di interazione. Il termine "transazionale" si adatta bene a questa categoria, poiché descrive contratti che hanno una natura unidirezionale, focalizzandosi sull'adempimento immediato e senza alcuna connessione futura tra le parti coinvolte.
D’altro canto, i contratti relazionali abbracciano una durata più lunga e si basano su un impegno che implica una cooperazione continua. Esempi di questi contratti sono quelli legati al lavoro, alle franchigie e all’esternalizzazione. In un contratto relazionale, gli oggetti dello scambio possono comprendere non solo quantità facilmente misurabili, come le ore lavorate, ma anche elementi meno tangibili, come la soddisfazione del cliente, l’engagement, l'innovazione e la flessibilità. La cooperazione futura è una componente essenziale in tali contratti, che sfociano in un legame di fiducia, reputazione, interdipendenza, e in alcuni casi, desideri altruistici che modellano e definiscono la relazione.
Questo approccio relazionale comporta l’integrazione di norme sociali che vanno oltre la pura logica di scambio economico. Le relazioni diventano vere e proprie “mini-società”, in cui le dinamiche sociali, morali e anche il desiderio di reciprocità si intrecciano, rendendo il contratto più complesso di un semplice scambio di promesse. L’idea che i contratti relazionali possano evolvere in contesti di lunga durata e di continua negoziazione implica che le parti coinvolte siano disposte a riconoscere il valore di un legame che va al di là della transazione immediata, ma che richiede un impegno costante per preservare la relazione stessa.
La teoria di Macneil sul continuum tra contratti discreti e contratti relazionali evidenziava una lacuna fondamentale nel diritto contrattuale classico, che trattava tutti i contratti come se fossero discreti e basati su scambi puramente economici. Secondo Macneil, il diritto contrattuale tradizionale non considerava la dimensione sociale e relazionale di molti accordi, che invece si sviluppano nel tempo. Sebbene la visione transazionale fosse dominante, negli ultimi decenni è emersa una crescente consapevolezza del fatto che tale approccio non fosse più sostenibile in contesti complessi e ad alto rischio. L'idea che tutti i contratti potessero essere trattati come oggetti da "commoditizzare" ha portato ad un approccio per cui l’obiettivo principale era ridurre il contratto a una mera questione di prezzo, ignorando spesso le dinamiche sociali che contribuiscono al valore a lungo termine della relazione.
Nel contesto dei contratti complessi, questa visione transazionale ha frequentemente portato a controversie e insoddisfazioni, in quanto non prendeva in considerazione il contesto sociale in cui tali relazioni si sviluppano. Quando si tratta di contratti che richiedono una cooperazione continua o che operano in ambienti complessi, l’approccio discreto rischia di ridurre le opportunità di creare valore, danneggiando le aspettative reciproche.
La necessità di un cambiamento nella prospettiva contrattuale è stata ribadita da importanti teorie economiche e giuridiche, come quelle proposte da Ronald Coase e Robert Ellickson, che hanno studiato l’importanza delle norme sociali nelle risoluzioni di conflitti. Coase, nel suo celebre articolo "The Problem of Social Cost", suggeriva che in un contesto ideale, privo di costi per negoziare, le parti in conflitto avrebbero trovato autonomamente una soluzione vantaggiosa. Tuttavia, come evidenziato da Ellickson, le soluzioni a conflitti come quelli tra agricoltori o allevatori non sono necessariamente regolate dalla legge, ma piuttosto da norme sociali condivise, che facilitano una risoluzione efficiente e cooperativa. Nello studio di Ellickson, ad esempio, i rancher di Shasta County, in California, applicavano norme sociali come la lealtà e l’equità per risolvere controversie senza bisogno di un intervento legale. La norma della lealtà, in particolare, implica che ogni parte non solo tuteli i propri interessi, ma consideri anche quelli degli altri, creando un ambiente di reciproco rispetto e cooperazione.
La lealtà, come norma sociale, è cruciale per comprendere come i contratti relazionali possano evolversi. In contesti di lunga durata, come quelli che vedono coinvolti datori di lavoro e dipendenti o aziende e fornitori, le aspettative di cooperazione sono tanto più forti quanto maggiore è l’investimento reciproco nel successo della relazione. La creazione di un ambiente in cui entrambe le parti si sentano rispettate e valorizzate porta ad un miglioramento continuo delle condizioni, riducendo la probabilità di conflitti e garantendo un beneficio reciproco che si estende nel tempo. La lealtà diventa, quindi, una forma di capitalizzazione sociale che permette di ridurre i costi a lungo termine e migliorare l’efficienza del contratto stesso.
È fondamentale comprendere che la vera sostenibilità dei contratti relazionali non dipende esclusivamente dalla firma di un documento, ma dalla capacità delle parti di negoziare e collaborare in un ambiente che riconosce il valore delle norme sociali. Quando i contratti vengono trattati come strumenti di cooperazione a lungo termine, piuttosto che come semplici scambi, si creano le basi per una prosperità condivisa che va oltre l’oggetto della transazione iniziale.
Come i contratti influenzano le aspettative e la gestione dei conflitti nei rapporti commerciali a lungo termine
La trasformazione delle modalità operative negli ospedali canadesi, con l’introduzione degli hospitalist e la conseguente riduzione del coinvolgimento dei medici di comunità, ha evidenziato dinamiche tipiche delle relazioni contrattuali nelle organizzazioni complesse. La percezione di decisioni unilaterali e inattese da parte degli hospitalist ha creato una situazione di forte pressione, in cui l’incapacità di garantire un’assistenza adeguata ha portato a un fenomeno definito “shading”. Questo termine indica una forma di risposta non cooperativa, in cui una delle parti limita la propria collaborazione – nel caso specifico, rifiutandosi di accettare nuovi pazienti – per proteggersi dall’inevitabile compromissione della qualità del servizio e da dilemmi etici.
Lo shading nasce dunque da aspettative disattese, principalmente quando una parte attribuisce la responsabilità dell’inadempienza all’altra. Nel contesto contrattuale, ciò si verifica spesso quando le aspettative non sono state chiaramente comunicate e allineate. I rapporti basati su accordi informali, come “patti di stretta mano” o intese verbali, sono particolarmente vulnerabili a tali problemi, poiché l’assenza di formalizzazione genera ambiguità e rende difficile gestire le variazioni dinamiche delle condizioni operative nel tempo. Questo si traduce in frequenti percezioni di ingiustizia e comportamenti opportunistici che minano l’efficienza complessiva della collaborazione.
Una soluzione proposta dalla teoria contrattuale, in particolare nelle elaborazioni successive di Oliver Hart, è la formalizzazione attraverso contratti scritti che esplicitino e allineino le aspettative delle parti. Questi contratti non solo limitano il rischio di “hold-up”, ossia il rischio che una parte approfitti della dipendenza dell’altra, ma contribuiscono anche a ridurre lo shading, offrendo punti di riferimento chiari per valutare i risultati della collaborazione. Tuttavia, la completa eliminazione dello shading rimane irraggiungibile, poiché i contratti sono necessariamente incompleti: non è possibile prevedere tutte le situazioni future né scrivere clausole esaustive per tutte le eventualità. La natura incompleta dei contratti genera inevitabilmente spazi per comportamenti non collaborativi.
Il concetto di “contratti come punti di riferimento” si basa sulla psicologia cognitiva, in particolare sulle ricerche di Kahneman e Tversky, che dimostrano come gli esseri umani valutino gli esiti in relazione a un punto di riferimento piuttosto che in termini assoluti. Questo principio applicato ai contratti significa che ogni deviazione negativa rispetto alle aspettative stabilite dal contratto è percepita come ingiusta, generando delusione e comportamenti di shading.
La scelta tra contratti rigidi e flessibili presenta un compromesso significativo. I contratti rigidi offrono chiarezza e riducono i conflitti interpretativi, ma sono meno adattabili ai cambiamenti. Al contrario, i contratti flessibili permettono una maggiore adattabilità ma aumentano le possibilità di disaccordo, poiché le parti tenderanno a interpretare a proprio favore le clausole vaghe o incomplete. Esperimenti condotti da Hart e altri studiosi hanno confermato questo trade-off, evidenziando la necessità per i professionisti del contracting di bilanciare attenzione e flessibilità.
Ulteriori studi hanno mostrato come la libertà di comunicazione e la possibilità di chiarimenti durante l’esecuzione del contratto migliorino notevolmente i risultati, rafforzando la fiducia reciproca e la cooperazione. Da qui deriva l’importanza di includere nei contratti elementi relazionali formali, come visioni condivise, principi guida e processi di gestione delle relazioni, come suggerito da Hart, Frydlinger e Vitasek. Questi “contratti relazionali” mitigano sia il problema dello shading sia quello dell’hold-up, poiché riducono l’opportunismo attraverso un impegno reciproco che va oltre il semplice testo scritto.
È fondamentale comprendere che la formalizzazione contrattuale non è una panacea. La gestione efficace dei rapporti commerciali a lungo termine richiede un approccio olistico, che riconosca la natura umana e comportamentale delle parti coinvolte, i limiti della prevedibilità e l’importanza di un dialogo continuo. Il valore di un contratto non risiede solo nelle clausole specifiche ma nella capacità di creare un contesto condiviso di aspettative e responsabilità, dove la fiducia e la trasparenza diventano pilastri imprescindibili per la sostenibilità del rapporto.
Perché sono scritti i contratti? Una riflessione sulla necessità di formalizzare gli accordi
I contratti sono scritti per motivi pratici, non teorici. Ogni giorno, miliardi di persone in tutto il mondo sono coinvolte in transazioni regolate da contratti. La somma di denaro che cambia mano sotto un contratto è colossale e, come conseguenza, anche le implicazioni derivanti dal successo o dal fallimento degli eventi anticipati nei contratti sono enormi. I contratti svolgono un ruolo fondamentale nel consentire a persone e organizzazioni di perseguire i propri obiettivi commerciali e quotidiani.
In molte definizioni, un contratto è visto come una promessa o un insieme di promesse giuridicamente vincolanti che, se violate, permettono alla parte danneggiata di accedere a rimedi legali. Questo è il concetto classico di contratto, dove l'elemento cruciale è la sua enforceability, ossia la possibilità di far rispettare gli obblighi stabiliti. Se una delle parti non adempie, si può ricorrere a un tribunale per chiedere il risarcimento o l'esecuzione della prestazione. Questo aspetto dell'enforceability è una delle risposte alla domanda sul motivo per cui i contratti sono necessari.
Immaginiamo, ad esempio, un contratto tra due organizzazioni per un grande affare. Le due parti potrebbero accordarsi su un insieme di servizi e su un prezzo. Ma cosa succederebbe se il fornitore cercasse di massimizzare i propri profitti fornendo servizi di scarsa qualità, con personale poco qualificato e attrezzature obsolete? Senza un contratto che specifichi degli standard qualitativi, è molto probabile che il fornitore agisca in questo modo quando arriva il momento di prestare il servizio. E se l'acquirente si pentisse della scelta e volesse spendere il denaro per qualcos'altro? Senza un contratto che definisca il prezzo e le modalità di pagamento, l'acquirente potrebbe scegliere di non pagare affatto. Questo scenario evidenzia il triste fatto che gli esseri umani tendono a essere opportunistici: cercare di massimizzare il proprio interesse a discapito degli altri. I contratti sono quindi utilizzati come uno strumento per proteggersi dalle scelte opportunistiche delle altre parti.
Dal punto di vista economico, un contratto è visto come un meccanismo per tutelare gli investimenti di tempo, lavoro, denaro, ecc. In altre parole, il contratto è uno strumento per la gestione del rischio. La possibilità di agire legalmente in caso di violazione del contratto costituisce il meccanismo di enforcement. Tuttavia, è fondamentale comprendere che la stessa azione di contrattazione comporta dei rischi, come il rischio di "hold-up" e "shading", concetti formulati dal premio Nobel Oliver Hart.
Il problema dell'“hold-up” si verifica quando una delle parti utilizza il proprio potere per ottenere vantaggi a spese dell'altra, modificando unilateralmente condizioni come i prezzi, le date di consegna o altre condizioni più onerose. La paura di essere oggetto di un "hold-up" è una delle ragioni principali per cui le organizzazioni ricorrono ai contratti, cercando di evitare che una parte sfrutti la propria posizione a scapito dell'altra. Inoltre, la maggior parte dei contratti contiene lacune, omissioni e ambiguità che, nonostante gli sforzi per prevedere ogni scenario, aggravano il problema degli "hold-up". Le pratiche contrattuali possono includere diverse tecniche per evitare questo tipo di comportamento opportunistico, come ad esempio l'accordo con più fornitori, la stipula di contratti a prezzo fisso o l'utilizzo di clausole che consentano la risoluzione del contratto per comodità.
Le prime ricerche di Hart prevedevano che, di fronte a questi problemi, le organizzazioni tendessero a fare investimenti distorti che portano a risultati insoddisfacenti. Ad esempio, utilizzare più fornitori anziché uno solo aumenta i costi, così come gestire un fornitore in modo eccessivamente controllato in caso di sfiducia. Tali investimenti “morti” non sono mai ideali, ma come afferma Steven M. R. Covey, Jr., sono i costi invisibili, derivanti dalla mancanza di fiducia in una relazione produttiva, che spesso sono i più onerosi. Covey identifica sette “tasse” che derivano dalla sfiducia:
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Redundanza: duplicazione inutile, derivante dalla mentalità che le persone non possano essere fidate se non monitorate costantemente.
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Burocrazia: eccessivo numero di regole e regolamenti, o troppe persone che devono "approvare" una decisione.
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Politica: uso di strategie non allineate per ottenere potere, che porta a spendere troppo tempo cercando di interpretare le motivazioni altrui.
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Disimpegno: quando le persone continuano a essere pagate anche se non contribuiscono più realmente, mettendo il minimo sforzo necessario per ottenere lo stipendio.
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Turnover: quando i migliori dipendenti lasciano l'organizzazione per cercare ambienti di lavoro in cui si sentono valorizzati e fidati.
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Churn: lo sforzo e i costi legati alla necessità costante di trovare nuovi clienti, fornitori, distributori e investitori a causa della mancanza di lealtà.
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Frode: disonestà manifesta, che diventa un circolo vizioso in cui il tentativo di prevenire la frode porta inevitabilmente ad aumentare le altre "tasse".
Le clausole contrattuali stesse possono generare costi “morti”, soprattutto quando una clausola non è adatta a una partnership strategica e crea incentivi perversi. Un esempio comune è la clausola di “terminazione per comodità”, che consente a una delle parti di terminare il contratto dopo un periodo stabilito. Questa clausola, pensata per proteggere la parte più forte da un eventuale intrappolamento in una relazione poco vantaggiosa, può infatti creare un'illusione di sicurezza. La relazione tra Dell e FedEx nel 2005, ad esempio, mostra come una clausola di terminazione possa generare una relazione insoddisfacente, dove né Dell né FedEx volevano continuare, ma entrambi non potevano permettersi di chiudere il contratto a causa dei costi di uscita troppo elevati.
Un contratto è un tentativo di protezione contro comportamenti opportunistici, ma, quando non ben progettato, può finire per produrre effetti controproducenti.
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