La malattia ischemica intestinale è una condizione patologica caratterizzata dalla riduzione o cessazione del flusso sanguigno verso l'intestino, che porta a un danno tissutale causato dall'ipossia e da lesioni ischemiche. Questo disturbo può essere acuto o cronico e si manifesta con vari sintomi, che vanno dal dolore addominale centrale, spesso indotto dal pasto, a complicazioni più gravi come il sanguinamento gastrointestinale, l'infarto intestinale e la peritonite. La sua causa principale è la diminuzione persistente del flusso sanguigno mesenterico, che può derivare da una riduzione del contenuto di ossigeno nei globuli rossi o da stasi venosa mesenterica. La malattia ischemica intestinale è una delle complicanze più gravi che può affliggere il sistema vascolare intestinale, e la sua diagnosi tempestiva è fondamentale per prevenire danni permanenti.
L'anatomia grossolana del sistema vascolare mesenterico è fondamentale per comprendere la fisiopatologia di questa condizione. Il sistema vascolare mesenterico è composto da tre arterie principali e due vene principali. Le arterie coinvolte in questo sistema includono l'arteria celiaca, che irrora lo stomaco, il duodeno, il pancreas e la milza; l'arteria mesenterica superiore (SMA), che rifornisce il resto del duodeno, l'intero intestino tenue e il colon fino alla flessione splenica; e l'arteria mesenterica inferiore (IMA), che fornisce il resto del colon e il retto. La connessione tra queste arterie avviene tramite capillari, arterioli e venule, formando una rete di circolazione splanchnica che riceve una significativa porzione del flusso cardiaco, in particolare durante la digestione postprandiale.
La funzione autoregolatoria del flusso sanguigno intestinale è una risposta protettiva che il corpo attua per mantenere l'irrorazione sanguigna anche in condizioni di ridotto flusso. Le arterie e le venule intestinali si adattano automaticamente alle variazioni di perfusione, cercando di preservare il flusso anche durante periodi di stress, come quando il flusso sanguigno diminuisce o la domanda di ossigeno aumenta, ad esempio dopo un pasto. Questa autoregolazione è essenziale per prevenire danni permanenti ai tessuti intestinali e per consentire al sistema vascolare di rispondere efficacemente a periodi di stress.
Un aspetto importante nella malattia ischemica intestinale è la presenza di "zone di flusso intermedio", o aree di transizione tra due arterie principali, che sono particolarmente vulnerabili all'infarto non occlusivo. Queste zone comprendono il punto di Griffith, situato nella regione della flessione splenica del colon, dove l'arteria colica sinistra si anastomizza con l'arteria marginale di Drummond, e il punto di Sudeck, situato al giunzione retto-sigmoidea, dove l'ultima branca dell'IMA si congiunge con un ramo dell'arteria rettale superiore.
In caso di occlusioni dei rami principali delle arterie mesenteriche, l'organismo può attivare un sistema di circolazione collaterale, che permette di ridurre l'impatto del blocco completo. Questi canali collaterali tra le arterie mesenteriche e la circolazione sistemica sono vitali per mantenere un adeguato apporto di sangue all'intestino. Un esempio di tale sistema è l'arcata pancreatico-duodenale, che collega l'arteria celiaca (tramite le arterie pancreaticoduodenali superiori) con l'SMA (tramite le arterie pancreaticoduodenali inferiori). Un altro esempio è l'arteria marginale di Drummond, che fornisce un flusso collaterale continuo lungo l'intero colon. Inoltre, la presenza dell'arcata di Riolan, che connette la branche dell'IMA e dell'SMA, rappresenta una via di emergenza in caso di occlusione di una delle arterie principali.
Il concetto di autoregolazione nel contesto dell'ischemia intestinale è cruciale per comprendere la resilienza del sistema vascolare intestinale. Quando si verifica una riduzione del flusso sanguigno arterioso o un aumento della domanda di ossigeno, come dopo un pasto, il sistema vascolare intestinale risponde automaticamente per mantenere un adeguato flusso di sangue. Tuttavia, in casi di occlusione cronica o progressiva delle arterie mesenteriche, questo sistema può non essere sufficiente per prevenire il danno ischemico.
La malattia ischemica intestinale si sviluppa gradualmente, e sebbene i sintomi possano inizialmente sembrare lievi, un'eventuale occlusione completa di uno dei principali rami arteriosi può portare a danni irreversibili. La diagnosi precoce, combinata con un adeguato trattamento medico e chirurgico, è essenziale per prevenire esiti fatali.
In generale, la comprensione della malattia ischemica intestinale richiede una conoscenza approfondita dell'anatomia vascolare intestinale, delle risposte protettive del corpo e delle modalità di compensazione tramite collaterali e autoregolazione. La gestione clinica di questa condizione deve considerare la gravità dei sintomi, la durata dell'ischemia e l'efficacia delle risposte compensatorie.
Quali sono le principali considerazioni nella gestione delle complicanze epatiche in gravidanza?
L’imaging è indicato per escludere infarti o ematomi, mentre lo stato funzionale fetale deve essere accuratamente valutato, poiché l’esito dipende principalmente dall’età gestazionale. Superate le 34 settimane con evidenza di maturità polmonare fetale, il parto è la terapia raccomandata. Se i polmoni sono immaturi, il parto può essere posticipato di 48 ore dopo la somministrazione di due dosi di corticosteroidi per favorire la maturazione polmonare. In presenza di segni di sofferenza fetale o materna, il parto va eseguito immediatamente. Nei casi di rottura di ematoma subcapsulare è indispensabile un intervento chirurgico urgente associato a trasfusioni massive. Se la chirurgia non è praticabile e si manifestano segni di insufficienza epatica acuta, si deve considerare il trapianto di fegato, che viene eseguito con priorità massima (“status 1”), garantendo ottimi risultati sia per il ricevente che per il trapianto stesso.
La sindrome HELLP può recidivare in gravidanze successive, con un rischio riportato tra il 3,4% e il 25%. Differenziare la sindrome di insufficienza epatica gravidica acuta (AFLP) dalla sindrome HELLP può risultare complesso al momento della presentazione. L’ipertensione è solitamente presente nella HELLP, ma non in tutti i casi. La HELLP si caratterizza per una lieve iperbilirubinemia prevalentemente indiretta, dovuta a emolisi, e una grave trombocitopenia, senza segni evidenti di insufficienza epatica. Al contrario, l’AFLP presenta anomalie di laboratorio molto più gravi: coagulopatia con PT prolungato, ipoglicemia marcata, basso fibrinogeno, elevati livelli di ammoniaca e manifestazioni di insufficienza epatica sintetica. L’esame istologico mostra microsteatosi principalmente nella zona centrale del lobulo epatico nell’AFLP, mentre nella HELLP si osservano depositi di fibrina periportali, necrosi ed emorragia.
Dal 15% al 20% delle gravidanze complicate da AFLP e meno del 2% di quelle complicate da HELLP sono associate a carenza fetale di LCHAD (long-chain 3-hydroxyacyl-CoA dehydrogenase). Pertanto, tutti i neonati nati da gravidanze complicate da AFLP devono essere sottoposti a screening molecolare alla nascita per individuare la mutazione Glu474Gln. In presenza di questa mutazione, è necessario evitare digiuni prolungati e sostituire gli acidi grassi a catena lunga con quelli a catena media nella dieta. I genitori e i medici devono essere istruiti sul rischio di crisi metaboliche e morte improvvisa, e sull’importanza di interventi precoci con glucosio endovenoso in caso di vomito, letargia o anche infezioni lievi. Nel caso della sindrome HELLP, non è raccomandato uno screening neonatale routinario, ma è opportuno effettuare test molecolari in donne con HELLP ricorrente in gravidanze multiple.
La gestione delle pazienti con malattia epatica preesistente richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga specialisti in medicina materno-fetale, perinatologia ed epatologia. Queste pazienti presentano un rischio elevato di complicanze materne, perdita fetale e prematurità. È consigliabile mantenere la terapia che ha precedentemente controllato la malattia epatica e ripristinato la fertilità. Per esempio, le donne con epatite autoimmune devono continuare corticosteroidi e, se necessario, azatioprina, che non è teratogena a dosi standard; le pazienti con malattia di Wilson devono mantenere la terapia anticopper.
Nelle pazienti con ipertensione portale, è fondamentale eseguire una gastroscopia di base per valutare la presenza di varici, poiché varici medio-grandi aumentano il rischio di emorragie durante la gravidanza. La profilassi primaria con beta-bloccanti non selettivi o isosorbide mononitrato è raccomandata, tenendo presente che i beta-bloccanti possono causare bradicardia fetale o ritardo di crescita. L’emorragia da varici può essere gestita efficacemente con legatura o scleroterapia; l’uso di octreotide è considerato sicuro. Interventi chirurgici come shunt portacavali o la splenectomia possono essere necessari in casi selezionati.
La gravidanza nelle donne con ipertensione portale comporta una morbilità significativa, con un’incidenza di encefalopatia epatica, peritonite batterica spontanea e insufficienza epatica progressiva. L’emorragia da varici è più frequente nel secondo trimestre e durante il travaglio, con un tasso di mortalità associata che varia dal 4% al 18%, a seconda della presenza di cirrosi. Il rischio di aborto spontaneo nelle pazienti con cirrosi è del 15-20%, prevalentemente nel primo trimestre, mentre le gravidanze in pazienti con ipertensione portale extraepatica o con cirrosi ben compensata che hanno subito uno shunt chirurgico mostrano tassi di aborto simili alla popolazione generale. La mortalità perinatale è elevata se la madre necessita di un intervento chirurgico d’urgenza per emorragia da varici.
Per le donne trapiantate di fegato, è consigliato attendere almeno un anno prima di tentare una gravidanza attiva, per ridurre i rischi materni e fetali. La contraccezione dovrebbe essere implementata prima della ripresa delle attività sessuali, preferibilmente con metodi a barriera. Le gravidanze dopo trapianto sono possibili, ma richiedono un attento monitoraggio multidisciplinare.
È importante ricordare che la gestione delle patologie epatiche in gravidanza è complessa e richiede un equilibrio delicato tra la protezione della salute materna e quella fetale. L’approccio tempestivo alle complicanze, la valutazione continua dello stato funzionale epatico e fetale, e l’impiego appropriato delle terapie disponibili sono fondamentali per ottimizzare gli esiti. Inoltre, la conoscenza delle differenze tra sindromi simili come AFLP e HELLP è cruciale per evitare errori diagnostici e gestionali. La prevenzione, la diagnosi precoce e l’educazione della paziente sono elementi essenziali in questo contesto.

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