Max Weber ([1930] 1994) offre uno dei punti di vista più significativi sulla connessione tra religione ed economia, mettendo in evidenza come per i calvinisti europei l'acquisizione di ricchezza fosse considerata una virtù, un dovere religioso e un segno di pietà personale. Questa visione, che lega la religione all'economia, si traduce in un conservatorismo economico che supporta il libero mercato e uno stato sociale limitato, visti come conseguenze naturali di una simile concezione religiosa. Il punto centrale della riflessione weberiana riguarda l'importanza della razionalità, dell'individualismo e della perfezionabilità dell'essere umano, ideali che nacquero durante l'Illuminismo e che sfidarono l'ordine feudale, basato su un destino terrestre predeterminato fin dalla nascita.

Il calvinismo, con la sua dottrina radicale della predestinazione, suggerisce che gli individui sono in grado di determinare il proprio destino terreno. Sebbene la salvezza non possa essere guadagnata attraverso le buone opere, i calvinisti credevano di poter dimostrare il loro status di eletti attraverso la prudenza, il duro lavoro e l'accumulo di ricchezze materiali. In questo contesto, lo Stato ha il compito di "garantire la libertà per l'azione individuale", a meno che la moralità tradizionale non venga compromessa (Leege 1993, 11). La dottrina del protestantesimo, enfatizzando il lavoro duro, l'iniziativa individuale e la responsabilità personale, pone la pietà personale e la santità individuale al di sopra di un'etica sociale cristiana più ampia, che esorta i poveri a provvedere a se stessi.

In contrasto, la tradizione del "vangelo sociale" promuove l'idea che il cristianesimo imponga ai suoi seguaci di riformare le strutture sociali legate alla povertà, al razzismo e alla degradazione, dando priorità alla cura degli altri piuttosto che alla pietà personale. Questo approccio esorta a un'azione concreta, come sottolineato da Clarke E. Cochran e David Carroll Cochran, che pongono una domanda retorica ma significativa: "Credi davvero che qualcuno di noi possa arrivare in paradiso senza aver dato da mangiare agli affamati, vestito gli ignudi, visitato gli ammalati, e assistito gli imprigionati?" (2003, 1). Questa visione si riflette nell'approccio liberale all'economia, che implica interventi di mercato e un robusto stato del benessere.

Tuttavia, non tutti i cristiani si allineano a questa visione. Seppur il cristianesimo evanglico tenda a enfatizzare la pietà personale e l'individualismo, il suo approccio economico è spesso conservatore, favorendo politiche economiche che riducono l'intervento statale. Anche se il vangelo sociale ha una lunga tradizione nel cristianesimo, questo è meno comune tra gli evangelici bianchi (Kenski e Lockwood 1991; Pyle 1993; Wilson 1999, 2009), ma non tutti gli evangelici si abbandonano completamente al conservatorismo economico. Al contrario, alcuni studi mostrano che gli evangelici non sono uniformemente conservatori anche in ambito economico. Un'analisi di Angela Farizo McCarthy e colleghi (2016) non rileva una connessione significativa tra l'affiliazione religiosa e le preferenze politiche economiche. Anche se gli evangelici bianchi tendono ad adottare posizioni economiche conservatrici riguardo a tasse e spese per le infrastrutture (Deckman et al. 2017), altri studi indicano che gli evangelici sono in realtà una delle tradizioni più liberali riguardo alle politiche economiche, superati solo dai protestanti neri e dai cattolici, ma comunque più favorevoli a politiche economiche liberali rispetto ad altri gruppi religiosi come gli ebrei o i protestanti mainline.

L'orientamento economico conservatore si riscontra anche nella variabilità del comportamento religioso. Un esempio interessante lo fornisce il Pew Research Center (2015), secondo il quale il 66% degli evangelici americani prega quotidianamente, ma una parte significativa prega settimanalmente o mensilmente, mentre una minoranza non prega affatto. Queste differenze, osservate anche in relazione alle convinzioni su Dio, si traducono in divergenze politiche. I membri più devoti e osservanti tendono ad essere anche i più conservatori, il che si riflette nella preferenza per politiche economiche che privilegiano l'iniziativa privata rispetto all'intervento statale.

In generale, la relazione tra comportamento religioso e attitudini economiche è complessa e non sempre lineare. Ad esempio, tra i poveri religiosi e i poveri non religiosi, le opinioni economiche tendono a divergere: i poveri religiosi sono più conservatori rispetto ai poveri laici, mentre i ricchi religiosi tendono ad avere opinioni economiche meno conservatrici rispetto ai ricchi non religiosi. Questi dati suggeriscono che, mentre il comportamento religioso può influenzare le opinioni politiche ed economiche, l'effetto non è sempre prevedibile, dipendendo da molteplici fattori, tra cui la posizione economica.

In relazione alla fede ortodossa, studi come quelli di Ralph Pyle (1993) e Timothy T. Clydesdale (1999) hanno dimostrato che la fede biblica letterale è associata a un maggiore sostegno per gli interventi governativi a favore dei poveri. Sebbene l'impegno religioso generalmente tenda a favorire politiche conservatrici, l'ortodossia religiosa sembra orientare in senso opposto quando si tratta di supporto per i più poveri. È come se i credenti ortodossi, in quanto più vicini alla condizione dei poveri, avessero una maggiore inclinazione a sostenere politiche economiche liberali, pur rimanendo conservatori su altre questioni culturali.

L'analisi di questi fenomeni dimostra che il legame tra religione e economia è tanto profondo quanto variabile, e richiede una comprensione sfumata delle diverse interpretazioni che le diverse tradizioni religiose danno alla questione dell'intervento dello Stato nell'economia. La religione, infatti, non è una forza uniforme in ambito economico, e le diverse espressioni della fede possono portare a conclusioni politiche ed economiche diametralmente opposte.

Come la religione e la politica interagiscono nei moderni sistemi democratici?

Le intersezioni tra religione e politica hanno sempre esercitato un'influenza profonda sulle dinamiche sociali e politiche, soprattutto in società democratiche dove la pluralità di credenze è una caratteristica distintiva. In questo contesto, la religione non solo modella il comportamento individuale, ma influisce anche sulle decisioni politiche e sulle politiche pubbliche. Questo fenomeno si riflette nei vari contributi di studiosi di scienze politiche che hanno esaminato come i gruppi religiosi e le loro credenze influenzino la politica, la partecipazione elettorale e la formazione dell'opinione pubblica. Il caso degli Stati Uniti è un esempio paradigmatico di come la religione si intrecci con le scelte politiche, a volte alimentando conflitti, altre volte favorendo l'inclusione di minoranze politiche e sociali.

Un aspetto significativo di questo legame è come la religione modella la partecipazione politica dei cittadini, influenzando non solo il comportamento degli elettori, ma anche le posizioni politiche dei gruppi religiosi. Ad esempio, le chiese e le organizzazioni religiose hanno un impatto notevole nella formazione delle opinioni politiche, soprattutto nelle elezioni presidenziali, dove la religione gioca un ruolo cruciale nel determinare il voto di ampie fette della popolazione. Molti studiosi hanno esplorato questo fenomeno, come ad esempio Ryan L. Claassen, il quale analizza l'interazione tra religione e politica nelle dinamiche elettorali, mostrando come i partiti politici negli Stati Uniti cerchino attivamente di attrarre elettori religiosi attraverso messaggi mirati.

Allo stesso modo, è fondamentale comprendere come la politica religiosa influenzi la legislazione e il comportamento dei legislatori. Gli studi sull'influenza della "Christian Right" e della "Religious Left" nei processi di lobbying e advocacy mostrano come i gruppi religiosi possano intervenire direttamente nelle decisioni politiche, cercando di promuovere o contrastare leggi su temi cruciali come l'aborto, i diritti civili e la libertà religiosa. Il lavoro di studiosi come Kimberly H. Conger sottolinea come l'attivismo religioso possa ridurre le disuguaglianze politiche e stimolare un maggiore coinvolgimento civico, soprattutto in contesti dove le voci religiose erano in precedenza marginalizzate.

Inoltre, la religione e la politica non sono solo un fenomeno statico, ma si evolvono in risposta a cambiamenti sociali e culturali. L'ascesa di movimenti come il conservatorismo religioso e il crescente pluralismo religioso hanno cambiato la configurazione del panorama politico, con effetti tangibili sul comportamento elettorale e sulle politiche pubbliche. Un esempio lampante di ciò è l'emergere di partiti politici che rivendicano un’identità religiosa forte, come nel caso della "Religious Right" americana, che ha influenzato il partito repubblicano in modo decisivo, soprattutto negli anni '80 e '90.

Un’altra dimensione importante è l'effetto della religione sulle disuguaglianze politiche, soprattutto per le minoranze. Ricerche come quelle di Sarah Allen Gershon e Adrian D. Pantoja dimostrano come le minoranze etniche e religiose, tra cui le donne e le comunità latino-americane, possano affrontare barriere nell'accesso alla politica, nonostante il loro impegno civico. La religione, in questo caso, può sia aiutare che ostacolare l'integrazione di questi gruppi nel sistema politico, creando dinamiche complesse di inclusione ed esclusione.

Infine, è essenziale non dimenticare che la religione, anche se per molti versi potente nella politica, può essere anche una forza di mediazione, che promuove il dialogo tra le diverse visioni politiche. Daniel A. Cox, ad esempio, ha studiato come la polarizzazione religiosa, pur essendo un fenomeno visibile, possa anche essere mitigata dalla volontà di promuovere valori comuni, come la giustizia sociale e la cura degli altri, che trascendono le divisioni politiche.

Il lettore deve quindi considerare che la relazione tra religione e politica non è mai univoca. Essa si modella attraverso un continuo gioco di interazioni, influenze reciproche e cambiamenti culturali e sociali. La politica religiosa può essere sia un fattore di divisione che di unione, e il suo impatto dipende fortemente dal contesto storico e dalla specificità dei gruppi in gioco. La comprensione di queste dinamiche è fondamentale per comprendere la politica moderna, dove la religione non è solo un aspetto privato della vita, ma un potente motore di cambiamento e conflitto nella sfera pubblica.