Consideriamo una barra poggiata su una superficie orizzontale e soggetta a una forza gravitazionale applicata superiormente. In condizioni di equilibrio statico, si genera una reazione opposta e di uguale intensità alla base della barra. Questo stato iniziale, indicato come configurazione C1, rappresenta una condizione di carico conservativa. Quando l’intero sistema — la barra e la superficie terrestre — subisce una rotazione rigida di un angolo θᵣ, la barra si muove coerentemente in una nuova configurazione, C2. La linea d’azione della forza applicata ruota con il corpo, ma l’intensità della forza rimane invariata. In questo modo, l’equilibrio statico del sistema è conservato nella nuova configurazione.

Questo comportamento rigido costituisce la condizione limite fondamentale che ogni solido dovrebbe essere in grado di soddisfare quando è soggetto a forze conservative, come la forza gravitazionale diretta verso il centro della terra. Sebbene il solido possa ulteriormente deformarsi se soggetto ad altri carichi, ogni teoria o modello a elementi finiti deve quantomeno riuscire a simulare con precisione questo caso limite di rotazione rigida del corpo. Un modello che fallisce nel rappresentare correttamente tale comportamento non può essere considerato affidabile in un contesto non lineare.

In pratica, se un elemento finito è inizialmente caricato e in equilibrio nella configurazione C1, deve essere capace di traslare e ruotare rigidamente verso la configurazione C2, conservando l’equilibrio interno e ruotando i vettori di forza insieme al corpo, senza modificarne l’intensità. Questo principio costituisce la base concettuale del Rigid Body Motion Test introdotto da Yang e Chiou nel 1987 come criterio minimo per valutare la correttezza degli elementi finiti in analisi non lineare. A differenza del patch test, che riguarda elementi non sollecitati sotto spostamenti rigidi, il Rigid Body Motion Test considera esplicitamente la presenza di carichi iniziali e ne verifica la coerenza durante un movimento rigido.

Dal punto di vista computazionale, questo test assume una forma incrementale. All’inizio di un passo incrementale in un’analisi non lineare, una trave o un telaio piano rappresentati da un elemento finito devono essere in grado di passare da C1 a C2 seguendo la rotazione rigida, mantenendo la coerenza delle forze nodali. In questo contesto, la validazione si esegue verificando che le forze iniziali, già in equilibrio in C1, ruotino coerentemente con il corpo verso C2 senza variare di modulo, garantendo il mantenimento dell’equilibrio globale.

L’analisi prosegue considerando il comportamento delle equazioni di rigidezza derivanti dal principio dei lavori virtuali. Le equazioni formulate numericamente sono un’approssimazione delle equazioni differenziali che governano la meccanica del sistema, nonché delle condizioni al contorno naturali. Ogni deviazione tra il modello numerico e il comportamento reale si manifesta come un errore di formulazione. Perciò, il superamento del Rigid Body Motion Test non è solo auspicabile, ma necessario per assicurare che le condizioni al contorno naturali siano valide anche in presenza di movimenti rigidi del corpo.

Per una trave soggetta a forze nodali iniziali, come Fx, Fy, Mz agli estremi A e B, la validità delle condizioni al contorno naturali è verificata imponendo uno spostamento rigido composto da traslazioni ur, vr e una piccola rotazione θᵣ. Sostituendo questi spostamenti rigidi nelle equazioni delle condizioni al contorno si ottengono espressioni che descrivono l’evoluzione delle forze nodali dopo la rotazione. Ad esempio, si dimostra che:

2Fxb = 1Fxb − 1Fybθᵣ
2Fyb = 1Fyb + 1Fxbθᵣ
2Mzb = 1Mza

Il significato di questi risultati è che le forze iniziali si sono semplicemente ruotate seguendo la deformazione rigida, senza alterazioni della loro intensità, confermando il superamento del test.

Nel caso specifico del telaio piano, l’equazione incrementale di rigidezza dell’elemento include sia la matrice di rigidezza elastica [ke] sia quella geometrica [kg], e il vettore delle forze iniziali. La capacità dell’elemento di superare il test di moto rigido dipende dalla correttezza con cui questa equazione è soddisfatta durante la rotazione rigida. In particolare, la presenza delle forze iniziali nella matrice [kg] e nel vettore {1f} implica che l’intero schema computazionale debba essere coerente rispetto alla fisica del problema, anche in un contesto altamente non lineare.

Questo porta alla comprensione che la rotazione rigida di un solido sottoposto a carichi conservativi non è solo un caso limite teorico, ma anche una verifica critica per la qualità dell’implementazione numerica. Se un elemento fallisce questo test, ogni successiva simulazione — anche se apparentemente corretta sotto carichi più complessi — resta fondamentalmente compromessa, perché la base stessa del suo comportamento meccanico non è valida.

È importante comprendere che il test di moto rigido non serve solo a convalidare la coerenza matematica della formulazione. Serve soprattutto a garantire che le strutture modellate rispondano in maniera fisicamente corretta alle trasformazioni fondamentali dello spazio, assicurando che i principi di equilibrio e di invarianza siano rispettati nel passaggio da un sistema di riferimento a un altro. Inoltre, poiché le analisi non lineari sono inevitabilmente condotte passo per passo, il fatto che il test venga effettuato in forma incrementale sottolinea la necessità di un’elevata precisione numerica a ogni singolo passo. Il minimo errore può accumularsi e compromettere l’affidabilità del risultato finale.

Come si descrive il comportamento non lineare degli elementi trave nella meccanica strutturale?

Nell’analisi non lineare degli elementi trave, la configurazione C2 rappresenta la posizione deformata finale dell’elemento, mentre la configurazione C1 è un passo intermedio, dove la deformazione è già presente ma il trave è ancora considerato matematicamente come una linea retta. Questo approccio è fondamentale per semplificare la trattazione del problema, poiché partire da un elemento trave già curvo comporterebbe la necessità di abbandonare la teoria classica delle travi dritte per adottare una teoria delle travi curve, assai più complessa dal punto di vista matematico e quindi poco pratica per le applicazioni ingegneristiche.

Nella pratica, le deformazioni e le rotazioni tra due configurazioni incrementali sono generalmente piccole. Questo consente di applicare il concetto di coordinate convettive, dove il trave è trattato come un elemento rettilineo nella configurazione C1, e si associa a questa linea un sistema di coordinate ortogonali per descrivere il comportamento meccanico. Tale metodo facilita notevolmente l’analisi incrementale, mantenendo un quadro lineare semplificato per ogni passo di calcolo, senza perdere la capacità di descrivere il comportamento non lineare complessivo.

La formulazione UL (Updated Lagrangian) permette di esprimere il lavoro virtuale incrementale di un trave tridimensionale in modo linearizzato rispetto alla configurazione C1, introducendo componenti lineari e non lineari delle deformazioni, oltre a tenere conto degli sforzi di Cauchy esistenti. In questo contesto, la deformazione tangenziale è considerata simmetrica, con le corrispondenti componenti di variazione rappresentate in maniera rigorosa tramite derivate spaziali dei campi di spostamento.

L’ipotesi di Bernoulli-Euler, che assume che le sezioni trasversali rimangano piane e normali all’asse centrale della trave anche dopo deformazione, consente di relazionare gli spostamenti generici di un punto della sezione con quelli del centroide e le rotazioni attorno all’asse longitudinale. Questo è cruciale per mantenere coerenza nella descrizione delle deformazioni e per garantire una corretta interpretazione dei risultati, specialmente in analisi incrementalmente non lineari.

Un elemento trave spaziale di lunghezza L ha 12 gradi di libertà, con tre spostamenti e tre rotazioni in ciascuno dei due nodi. Le forze nodali, sia nella configurazione C1 che C2, devono essere interpretate come risultanti di sforzi di taglio, torsione e flessione distribuiti sulla sezione trasversale, e la loro corretta definizione è essenziale per l’equilibrio e la precisione della simulazione.

Il legame tra le forze interne e le tensioni nella sezione si esplicita attraverso integrali delle componenti delle tensioni di Cauchy o dei tensori di secondo Piola-Kirchhoff, riferiti alle configurazioni rispettive. In particolare, le componenti di momento risultanti da tali integrali includono termini che tengono conto della posizione e dell’orientamento degli assi della sezione deformata, riflettendo la complessità delle interazioni meccaniche tridimensionali.

Un aspetto delicato riguarda la definizione delle forze conservative e dei momenti generati da coppie di forze. Se le prime sono indipendenti dal percorso seguito, i momenti possono presentare caratteristiche più complesse, come momenti quasitangenziali o semitangenziali indotti da rotazioni nello spazio tridimensionale. Questo evidenzia la necessità di un trattamento rigoroso e dettagliato delle grandezze rotazionali e delle loro interazioni con le forze interne nella formulazione della meccanica del continuo.

Per assicurare la corretta descrizione della deformazione incrementale, le coordinate del punto generico N nella configurazione deformata C2 sono espresse in funzione degli angoli di rotazione e degli spostamenti, rispettando la relazione con le derivate spaziali degli stessi. Questo è essenziale per mantenere la coerenza geometrica del modello e per garantire che l’analisi catturi con precisione gli effetti della torsione, flessione e altre modalità di deformazione complesse.

È importante comprendere che l’analisi incrementale basata sulle configurazioni C1 e C2 non è solo un espediente matematico, ma riflette la natura reale della deformazione progressiva degli elementi strutturali sotto carichi variabili. Il corretto uso delle coordinate convettive e della formulazione UL consente di modellare accuratamente il comportamento non lineare pur mantenendo una struttura computazionale gestibile.

La profondità dell’approccio risiede nell’attenzione ai dettagli sia geometrici che fisici: dalla rappresentazione delle deformazioni e rotazioni fino all’integrazione degli sforzi interni distribuiti e ai risultati nodali, ogni passaggio richiede precisione per evitare errori cumulativi nelle simulazioni.

Nel complesso, questo modello consente agli ingegneri di prevedere con buona approssimazione il comportamento strutturale in condizioni realistiche di carico, superando i limiti delle analisi lineari classiche e affrontando la complessità intrinseca delle strutture tridimensionali.

Per una comprensione più completa, è fondamentale riconoscere l’importanza delle ipotesi semplificative adottate e le loro implicazioni sul campo di applicazione della teoria, oltre alla necessità di validare i risultati con dati sperimentali o metodi di calcolo più dettagliati quando possibile. Il ruolo dei momenti indotti e delle coppie di forze conservative nel contesto tridimensionale è cruciale e può influenzare significativamente la risposta strutturale, soprattutto in regime di grandi rotazioni.

Come si aggiorna la geometria di un elemento di struttura spaziale con rotazioni finite?

L’aggiornamento della geometria di un elemento spaziale soggetto a rotazioni finite richiede una definizione rigorosa dei vettori di deformazione naturale e delle rotazioni associate a ogni nodo. Partendo dalla configurazione iniziale C0C_0 e analizzando le configurazioni incrementali C1C_1 e C2C_2, si possono trasformare i vettori direzionali degli assi della sezione, definiti rispetto al sistema globale, in vettori riferiti agli assi locali dell’elemento stesso. Questa trasformazione, espressa tramite matrici di rotazione trasposte, consente di descrivere le deformazioni naturali come variazioni degli assi di sezione nel passaggio da una configurazione all’altra.

L’aspetto cruciale è il calcolo della rotazione finita φa\varphi_a e dell’asse di rotazione na\mathbf{n}_a associati al nodo A durante lo spostamento da C1C_1 a C2C_2. Tale rotazione può essere determinata usando la formula di rotazione di Rodrigues, che collega i vettori iniziali degli assi di sezione alla loro nuova posizione dopo rotazione. Si definiscono quindi le componenti del vettore asse di rotazione tramite relazioni che coinvolgono le differenze tra i componenti dei vettori ruotati e quelli originari, soggette alla condizione di normalizzazione dell’asse. L’angolo di rotazione si ricava da un’espressione inversa del seno, che dipende dalla norma di un opportuno vettore λ\lambda, funzione delle componenti degli assi ruotati.

Questa metodologia consente di rappresentare con precisione la rotazione naturale dell’elemento anche per rotazioni di ampiezza finita, superando quindi le limitazioni delle formulazioni infinitesimali. La rotazione naturale calcolata può essere quindi espressa come un vettore tridimensionale Θx,Θy,Θz\langle \Theta_x, \Theta_y, \Theta_z \rangle, utile per la descrizione accurata dello stato deformativo durante il passo incrementale.

Parallelamente, il calcolo delle forze nodali agisce su configurazioni aggiornate e fa uso di una formulazione lagrangiana aggiornata. La relazione di equilibrio tra le configurazioni C1C_1 e C2C_2 coinvolge la matrice di rigidezza tangente [k][k], i vettori di spostamento incrementale u\mathbf{u} e le forze nodali riferite a ciascuna configurazione. La matrice di rigidezza si compone tipicamente di contributi elastici, geometrici e di momento indotto, questi ultimi fondamentali per cogliere correttamente gli effetti rotazionali e garantire il superamento del test del corpo rigido. Nel caso di strutture piane, il modello si semplifica eliminando la componente legata alle rotazioni fuori dal piano.

Lo spostamento incrementale totale si scompone in uno spostamento rigido ur\mathbf{u}_r e in una deformazione naturale un\mathbf{u}_n. La componente rigida ruota tutte le forze iniziali agendo come una rotazione rigida, mentre l’incremento di forza dovuto alle deformazioni naturali è calcolato come il prodotto tra la matrice di rigidezza e la deformazione naturale. La somma di questi effetti fornisce la forza totale aggiornata nel sistema deformato.

Il procedimento, sviluppato per elementi spaziali tridimensionali, si riduce agevolmente al caso bidimensionale per telai piani, ponendo l’elemento sul piano xyx-y e orientandolo lungo l’asse xx. In tale scenario, si può calcolare l’allungamento assiale come parametro di deformazione naturale, integrando così le relazioni sviluppate per le rotazioni finite anche in situazioni di analisi più semplici ma ugualmente significative.

Questa trattazione rivela la complessità e la precisione richieste nella modellazione numerica di strutture spaziali soggette a grandi rotazioni, garantendo una rappresentazione accurata degli stati deformativi e delle forze interne durante il processo incrementale di aggiornamento geometrico.

Oltre a quanto esposto, è importante comprendere che l’aggiornamento geometrico con rotazioni finite non riguarda solo l’accuratezza numerica, ma anche la stabilità del modello computazionale. Le formulazioni devono preservare la coerenza fisica del sistema, specialmente in presenza di grandi deformazioni, evitando instabilità o errori di accumulo. Inoltre, l’interpretazione fisica delle rotazioni e delle deformazioni deve essere chiara per collegare i risultati numerici al comportamento reale della struttura. L’uso di sistemi di coordinate locali aggiornati continuamente consente una descrizione più naturale del comportamento dell’elemento e facilita l’implementazione di leggi costitutive non lineari, che sono fondamentali in analisi avanzate di strutture complesse.

Qual è la corretta formulazione per l'analisi non lineare delle strutture?

La formulazione Lagrangiana è quella generalmente adottata per descrivere il movimento dei corpi solidi, e rappresenta la scelta ideale per l’analisi non lineare dei solidi, in cui si esamina la deformazione di ogni punto del corpo durante il processo di carico. In contrasto, la formulazione Euleriana è stata più comunemente utilizzata nell’analisi dei problemi di meccanica dei fluidi, poiché focalizza l’attenzione sul movimento del fluido attraverso un volume specifico, ma non è adatta per l’analisi di deformazioni solide.

Nel contesto di una teoria incrementale per l'analisi non lineare, il percorso di carico del solido viene suddiviso in una serie di configurazioni di equilibrio. Queste configurazioni sono definite come C0, la configurazione iniziale non deformata; C1, la configurazione finale conosciuta; e C2, la configurazione corrente e sconosciuta. Si assume che tutte le variabili di stato, come le tensioni, le deformazioni e gli spostamenti, siano conosciute fino alla configurazione C1, e il problema consiste nel determinare le variabili di stato del solido nella configurazione deformata C2, a partire dall’ulteriore incremento delle forze esterne agendo sul solido tra C1 e C2.

La teoria incrementale si distingue per l'assunzione che, pur se le deformazioni tra C1 e C2 sono generalmente piccole, le deformazioni accumulate tra C0 e C2 possono essere arbitrariamente grandi. Pertanto, in relazione al riferimento per stabilire le equazioni di equilibrio, due tipi di formulazioni Lagrangiane possono essere distinti: la formulazione UL (dove la configurazione di riferimento è C1) e la formulazione TL (dove la configurazione di riferimento è C0). Nel nostro caso, si è scelto di adottare principalmente la formulazione UL per la sua maggiore efficienza nell’affrontare le strutture tipo trave, con una richiesta computazionale inferiore rispetto alla formulazione TL.

La notazione e la nomenclatura usate in questo testo sono basate in gran parte sul lavoro di Bathe et al. (1975), con alcune modifiche utili per la formulazione di teorie incrementali per problemi non lineari. Inoltre, viene utilizzata la sommatoria di Einstein per ogni termine tensoriale con un indice fittizio ripetuto. Questo significa che ogni volta che un indice appare due volte in un termine matematico, l’indice assume tutti i valori possibili e i risultati vengono sommati.

Per descrivere il movimento di un solido attraverso le configurazioni C0, C1 e C2, si assume che il cambiamento sia continuo, nel senso che i vicini di un punto materiale vengono modificati in modo continuo da una configurazione all’altra. La notazione per le coordinate e gli spostamenti di un punto materiale P all’interno del solido, nelle configurazioni C0, C1 e C2, è definita rispettivamente come (0x1, 0x2, 0x3), (1x1, 1x2, 1x3) e (2x1, 2x2, 2x3), dove gli indici di destra si riferiscono agli assi delle coordinate. Gli spostamenti possono essere espressi in modo analogo, come ad esempio (1u1, 1u2, 1u3) e (2u1, 2u2, 2u3), che denotano gli spostamenti totali del punto P nelle configurazioni C1 e C2, rispettivamente.

Con la notazione sopra, possiamo ora riassumere alcuni dei più utili tensori di deformazione e tensione per l'analisi incrementale non lineare che verranno trattati nei capitoli successivi. I nuovi simboli verranno definiti non appena appaiono nel testo.

Nel contesto dell’analisi non lineare, si utilizzano combinazioni specifiche di deformazioni e tensioni, come i tensori di deformazione di Green–Lagrange e i tensori di tensione di Piola-Kirchhoff e Cauchy. Questi tensori sono i più adatti per formulazioni Lagrangiane e sono scelti in base alla loro convenienza nel formulare l'analisi per problemi geometricamente non lineari nei solidi e nelle strutture. In particolare, i tensori di deformazione di Green–Lagrange sono fondamentali quando si vogliono descrivere deformazioni grandi e non infinitesimali. La scelta di tali combinazioni permette di costruire metodi efficaci per l'analisi tramite elementi finiti, in grado di gestire con precisione le deformazioni e le sollecitazioni in strutture non lineari.

In sintesi, per un’analisi non lineare dei solidi, è cruciale adottare una formulazione Lagrangiana che tenga conto delle deformazioni incrementali. Questo approccio è essenziale per la comprensione di come i corpi solidi rispondano a forze esterne e per la determinazione precisa delle variabili di stato durante il processo di carico. La formulazione incrementale, supportata dalla corretta notazione e dalla comprensione dei tensori di deformazione e tensione, è alla base di un’analisi strutturale affidabile e precisa.