Il rischio di disfunzione renale associata è potenzialmente reversibile dopo un trapianto di fegato (LT). I dati suggeriscono che la maggior parte delle persone che si sottopongono a un LT entro 4-6 settimane dall'insorgenza dell'insufficienza renale acuta (AKI-HRS) recupererà la funzione renale e potrebbe non aver bisogno di un trapianto di rene. Tuttavia, il trapianto di rene "di sicurezza" è una possibile opzione per quei pazienti il cui HRS non si risolve o peggiora dopo il trapianto di fegato.

La morte per epatite alcolica acuta (AH) ha un tasso di mortalità superiore al 70% ed è refrattaria al trattamento medico in molti casi. I criteri diagnostici dell'AH secondo il National Institute of Health (NIH) prevedono l'insorgenza di ittero entro 60 giorni in presenza di consumo eccessivo di alcol negli ultimi 6 mesi, con evidenza di epatite nei test di laboratorio che mostrano una bilirubina totale superiore a 3 mg/dL, livelli di aspartato aminotransferasi (AST) superiori a 1,5 volte quelli dell'alanina aminotransferasi (ALT), e l'esclusione di tutte le altre eziologie note di malattia epatica. I pazienti con AH e un punteggio discriminante Maddrey superiore a 32 o MELD maggiore di 20 sono classificati come AH severa. Quando la terapia medica non è efficace, il trapianto di fegato rimane l'unica opzione salva-vita. Diversi studi hanno confermato tassi di sopravvivenza post-trapianto simili tra i pazienti con AH e quelli con cirrosi alcolica e altre indicazioni per il trapianto di fegato. I tassi di sopravvivenza a tre e cinque anni vanno dall'84% all'87%.

La selezione dei pazienti con AH per il trapianto di fegato può essere particolarmente difficile, poiché è essenziale identificare i pazienti con una prognosi sfavorevole senza trapianto ma che sono comunque probabilmente in grado di mantenere l'astinenza dall'alcol. Poiché prevedere entrambi gli aspetti è complesso, le pratiche di selezione variano ampiamente tra i centri di trapianto. I pazienti con AH non devono aver avuto un evento di scompenso precedente, e quelli che hanno già avuto una malattia epatica scompensata con ricorrente uso di alcol mostrano una scarsa consapevolezza della propria condizione. Esiste una tendenza crescente nella letteratura che suggerisce che il requisito di astinenza di sei mesi prima del LT sia una misura inadeguata per prevedere il rischio di ricadute, sebbene alcuni piani assicurativi non coprano i costi a meno che tale criterio non venga soddisfatto. Ciò penalizza i pazienti che hanno bevuto recentemente ma che hanno un basso rischio di recidiva, che potrebbero non sopravvivere aspettando il periodo completo di sei mesi. Le linee guida recenti raccomandano che i centri di trapianto si concentrino sulla valutazione psicosociale per selezionare i pazienti che hanno meno probabilità di recidivare. Sono stati sviluppati diversi punteggi nel tentativo di selezionare pazienti a basso rischio. Questi punteggi hanno alcune caratteristiche comuni: favoriscono la presenza di indicatori di integrazione sociale (ad esempio, la presenza di una famiglia di supporto, un coniuge o partner, una casa e un lavoro stabili, la consapevolezza del disturbo da uso di alcol) e penalizzano una storia di tentativi falliti di riabilitazione o disturbi psichiatrici preesistenti. Tuttavia, rimane chiaro che non esiste una misura unica che predica affidabilmente la recidiva dell'uso di alcol dopo il trapianto di fegato.

I fattori clinici pre-trapianto, come la classe di Child-Pugh e il punteggio MELD, non sono buoni predittori di sopravvivenza post-operatoria. Nonostante i miglioramenti degli esiti post-operatori a breve termine negli ultimi 30 anni, i tassi di sopravvivenza a lungo termine sono rimasti stabili. Prima dell'introduzione degli agenti antivirali diretti contro l'HCV, la recidiva dell'epatite C nel trapianto era quasi universale e progrediva a causa dell'immunosoppressione post-operatoria. I pazienti con cirrosi avanzata legata alla sindrome metabolica e con un cattivo stato nutrizionale pre-trapianto sono a rischio di sviluppare la steatosi epatica non alcolica (NASH) dopo il trapianto di fegato. Esiste una forte associazione tra sindrome metabolica e esiti cardiovascolari negativi, che rappresentano oltre il 10% della mortalità tardiva dopo il trapianto. Inoltre, si osserva un aumento del 15-30% della prevalenza del diabete dopo il trapianto di fegato. Il consumo di tabacco dopo il trapianto rappresenta un importante fattore di rischio modificabile. La recidiva della colangite sclerosante primitiva (PSC) può verificarsi nel 10-30% dei pazienti ed è relativamente insensibile ai cambiamenti nell'immunosoppressione, senza che sia stato trovato un intervento specifico per rallentarne la progressione. La recidiva dell'epatite autoimmune (AIH) si osserva nel 10% circa dei pazienti, con un tempo medio post-trapianto di 2 anni. A differenza della PSC, l'AIH risponde a un'intensificazione dell'immunosoppressione e alla reintroduzione degli steroidi. L'età avanzata è anche un fattore prognostico indipendente nella sopravvivenza post-trapianto. Negli Stati Uniti, la proporzione di pazienti in lista per trapianto di fegato sopra i 60 anni è aumentata dal 19% nel 2002 al 41% nel 2014, probabilmente a causa di un aumento della percentuale di NASH e/o HCC come indicazione per il trapianto.

I farmaci immunosoppressori utilizzati nel trapianto di fegato hanno meccanismi d'azione e effetti collaterali distinti. I più comuni includono i farmaci inibitori della calcineurina come tacrolimus e ciclosporina, che bloccano la proliferazione delle cellule T e possono causare nefrotossicità, epatotossicità, linfomi, ipertensione e dislipidemia. Gli inibitori dell'mTOR come sirolimus e everolimus agiscono sulla transduzione del segnale mediata dall'IL-2, ma possono provocare infezioni, trombocitopenia, leucopenia, e problemi gastrointestinali. Il micofenolato e l'azatioprina, che inibiscono la sintesi di purine, riducono la proliferazione delle cellule T e B, ma sono associati a infezioni e leucopenia. I corticosteroidi, sebbene utili per la soppressione del sistema immunitario, hanno numerosi effetti collaterali tra cui l'osteoporosi, l'iperglicemia, e la sindrome di Cushing.

È essenziale che i centri di trapianto prendano in considerazione non solo i fattori clinici oggettivi, ma anche gli aspetti psicologici e sociali del paziente, al fine di ottimizzare i risultati a lungo termine e ridurre il rischio di complicazioni post-operatorie.

Qual è la gestione più efficace della colite ulcerosa moderata-severa?

La colite ulcerosa (UC) è una malattia infiammatoria cronica dell'intestino che, se non trattata adeguatamente, può evolvere in forme più gravi e debilitanti. La gestione della UC moderata-severa, in particolare nei pazienti ambulatoriali adulti, richiede l'uso di farmaci biologici e immunosoppressori che hanno dimostrato di migliorare la qualità della vita e ridurre il rischio di complicanze a lungo termine. Tuttavia, le raccomandazioni per il trattamento variano a seconda dello stadio della malattia, delle risposte ai trattamenti precedenti e delle preferenze individuali del paziente.

Nel caso di pazienti con UC moderata-severa, le linee guida dell'American Gastroenterological Association (AGA) raccomandano l'uso di farmaci biologici come infliximab, adalimumab, golimumab, vedolizumab, tofacitinib e ustekinumab, come trattamento preferenziale per l'induzione della remissione. La scelta tra questi farmaci dipende principalmente dal tipo di malattia e dalla risposta ai trattamenti precedenti. Ad esempio, nei pazienti che non hanno mai utilizzato farmaci biologici, si consiglia di iniziare con infliximab o vedolizumab, con una preferenza per il primo nei casi di induzione di remissione. Tuttavia, la scelta di adalimumab può essere presa in considerazione per pazienti con malattia meno grave che danno priorità alla praticità dell'iniezione sottocutanea e non si preoccupano troppo dell'efficacia relativa dei farmaci.

Per i pazienti che hanno già avuto esperienze precedenti con farmaci biologici, in particolare quelli che non hanno risposto a infliximab, l'AGA suggerisce di considerare ustekinumab o tofacitinib come alternative, piuttosto che vedolizumab o adalimumab. Queste opzioni sono ritenute più efficaci in caso di non risposta primaria a infliximab, una delle situazioni più comuni in cui si rende necessario un cambio terapeutico.

Il trattamento della UC non si limita solo ai farmaci biologici. Gli steroidi, sebbene siano efficaci nel trattamento delle forme acute della malattia, non sono raccomandati per l'induzione della remissione in monoterapia, a causa dei loro effetti collaterali a lungo termine. Allo stesso modo, i farmaci come le tiopurine e il metotrexato sono consigliati solo in alcuni casi specifici, in particolare per il mantenimento della remissione nei pazienti che hanno risposto positivamente ai trattamenti iniziali. È importante evitare l'uso di metotrexato come monoterapia per l'induzione o il mantenimento della remissione, in quanto la sua efficacia in questi contesti è stata ritenuta insufficiente.

Nei pazienti con UC grave o acuta, come quelli con colite ulcerosa acuta grave (ASUC), la gestione ospedaliera è essenziale. I pazienti con ASUC dovrebbero essere trattati con corticosteroidi endovenosi, come il metilprednisolone, in dosi tra i 40 e i 60 mg al giorno, evitando dosi più alte, che non hanno mostrato di apportare vantaggi aggiuntivi. Se non vi è risposta a questi corticosteroidi entro 3-5 giorni, sono necessarie opzioni terapeutiche di salvataggio, come infliximab o ciclosporina. In alcuni casi, se il trattamento non è efficace, è necessario un intervento chirurgico urgente, come una colectomia subtotale.

Inoltre, l'uso precoce di agenti biologici, con o senza immunosoppressori, è spesso preferito rispetto ad un approccio più graduale basato sull'aumento progressivo dei farmaci. Tuttavia, alcuni pazienti con malattia meno grave potrebbero optare per una terapia graduale con 5-ASA, incentrata sulla sicurezza, piuttosto che su una terapia biologica immediata.

L'importanza del monitoraggio costante e della gestione tempestiva delle complicanze è fondamentale. I pazienti con ASUC, se non trattati adeguatamente, corrono il rischio di sviluppare megacolon tossico o perforazione intestinale, condizioni che richiedono un intervento chirurgico immediato. Una diagnosi precoce e una valutazione accurata tramite esami come la sigmoidoscopia flessibile e le biopsie sono cruciali per evitare il deterioramento rapido della condizione.

Per quanto riguarda la prevenzione della recidiva della malattia, la terapia di mantenimento deve essere avviata subito dopo l'induzione della remissione. La combinazione di trattamenti biologici e immunosoppressori può essere efficace per mantenere la remissione a lungo termine, ma i pazienti devono essere seguiti regolarmente per monitorare eventuali segni di recidiva. Non è consigliato continuare con il 5-ASA per l'induzione o il mantenimento della remissione in pazienti che hanno già raggiunto una remissione clinica con agenti biologici.

Infine, è fondamentale che i medici considerino l'approccio più personalizzato possibile per ogni paziente, tenendo conto delle sue condizioni cliniche specifiche, delle risposte ai trattamenti precedenti e delle preferenze individuali. La scelta tra farmaci biologici, immunosoppressori e altri trattamenti dipende non solo dall'efficacia, ma anche dalla sicurezza a lungo termine e dalla qualità della vita del paziente.