Nel contesto del tentativo di Donald Trump e dei suoi alleati di contestare i risultati delle elezioni presidenziali del 2020, si sviluppò una serie di atti concreti che miravano a modificare il processo elettorale in modo illegittimo. Tra questi, spiccano le azioni intraprese da alcuni membri del partito repubblicano in Georgia, un esempio emblematico delle manovre orchestrate in vari Stati cruciali.

Nel dicembre del 2020, in un periodo di crescente incertezza riguardo ai risultati elettorali, si verificò una serie di contatti tra importanti figure politiche e legali legate alla campagna di Trump. Un elemento centrale fu l'interazione tra Robert David Cheeley, il membro del partito repubblicano, e John Eastman, professore di diritto che svolse un ruolo chiave nel sostenere la tesi secondo cui gli elettori repubblicani avrebbero dovuto riunirsi per esprimere il loro voto per Trump, nonostante la vittoria di Joe Biden nelle elezioni del 3 novembre.

Il 7 dicembre 2020, un'altra figura chiave, Rudolph Giuliani, ritwittò un appello di uno degli alleati di Trump per organizzare azioni a favore di una sessione speciale del legislatore della Georgia. L'idea era quella di mettere in piedi un gruppo di elettori favorevoli a Trump che avrebbero potuto contestare i risultati ufficiali, esercitando una pressione illegittima sulle autorità statali per convocare una sessione speciale dell'Assemblea Generale della Georgia.

Nel corso dei giorni seguenti, l'obiettivo divenne sempre più chiaro: manipolare il sistema delle elezioni presidenziali affinché alcuni Stati come la Georgia, il Michigan e la Pennsylvania potessero certificare i propri elettori a favore di Trump, sebbene la volontà popolare avesse già scelto Biden. Tra le varie manovre, venne incluso un tentativo di contattare il presidente della Camera dei Rappresentanti della Georgia, David Ralston, per chiedere che fosse convocata una sessione speciale, che avrebbe consentito di modificare i risultati elettorali attraverso un voto illegittimo.

Inoltre, una serie di documenti, scritti da Kenneth Chesebro, vennero inviati a diversi membri del partito repubblicano in vari Stati, delineando le modalità per organizzare il voto degli elettori di Trump, in contrasto con il principio di legittimità elettorale. La distribuzione di questi materiali era finalizzata a garantire che gli elettori di Trump si riunissero il 14 dicembre 2020, nonostante la vittoria di Biden fosse ormai sancita dalla legge.

La rete di comunicazioni non si fermò agli Stati Uniti: nel 2020, Donald Trump stesso fece pressioni per coinvolgere altre figure politiche e legali, come la presidente del Comitato Nazionale Repubblicano, Ronna McDaniel, per organizzare la convocazione di questi elettori. Ciò evidenziava un coinvolgimento diretto della leadership nazionale del partito nel tentativo di manipolare il processo elettorale in vari Stati chiave.

È fondamentale che i lettori comprendano che tali azioni, purtroppo, non si trattavano semplicemente di tentativi di contestare i risultati di un'elezione. Esse erano parte di una strategia ben definita, messa in atto da un gruppo di persone che cercavano di sovvertire l'esito di una competizione democratica regolarmente svolta. Le implicazioni di tali manovre vanno ben oltre la politica ordinaria e toccano il cuore della democrazia, poiché miravano a indebolire le fondamenta stesse del sistema elettorale americano.

Oltre ai dettagli operativi di queste azioni, è importante riflettere su come questo episodio sia emblematico di una tendenza preoccupante, in cui la politica si intreccia con la manipolazione delle leggi e delle istituzioni per fini privati. Comprendere le dinamiche dietro a queste manovre è essenziale per ogni cittadino consapevole, affinché non vengano sottovalutati i rischi di interferenze indebite con il processo democratico.

In questo contesto, la reazione delle istituzioni è altrettanto cruciale. La fermezza con cui le autorità statali e federali hanno risposto a questi tentativi di manipolazione del voto è stata determinante nel mantenere l'integrità del sistema elettorale, anche se non priva di sfide.

Il Ruolo delle False Dichiarazioni nella Legittimità delle Elezioni: Il Caso della Georgia e le Conseguenze Legali

Nel dicembre 2020, un caso di grave rilevanza legale si sviluppò nello Stato della Georgia, un episodio che evidenziò il coinvolgimento di vari individui, tra cui figure di spicco, in atti finalizzati a influenzare il risultato delle elezioni presidenziali del novembre dello stesso anno. Alcuni accusati, tra cui Rudolph William Louis Giuliani, Ray Stallings Smith III e Robert David Cheeley, furono accusati di aver fatto dichiarazioni false e di aver tentato di manipolare l’esito delle elezioni, utilizzando false affermazioni per creare un’illusione di irregolarità. L’obiettivo era quello di invalidare o distorcere i risultati elettorali legittimi.

In particolare, si parla di un tentativo deliberato di fare false dichiarazioni riguardo ai risultati delle elezioni, accusando fraudolentemente i lavoratori elettorali di contare più volte le schede o addirittura di dichiarare che persone morte avessero votato. Questo fu il punto centrale di una serie di incontri e comunicazioni con alti funzionari della Georgia, compresi il Governatore Brian Kemp e altri membri di spicco del governo dello Stato, con l’intento di creare un pretesto per il cambiamento dei risultati elettorali.

Il caso si concentrò in particolare su due reati principali: le false dichiarazioni e la sollecitazione alla violazione del giuramento da parte di funzionari pubblici. L’accusa di aver inviato documenti falsificati al fine di minare la legittimità dei risultati elettorali, con l’intenzione di avviare un procedimento per dichiarare invalidi i risultati delle elezioni, è grave e con implicazioni legali significative. La legge della Georgia, infatti, punisce severamente le dichiarazioni false e le tentate manipolazioni di elezioni, specialmente quando queste azioni compromettono il buon ordine e la pace dello Stato.

Il coinvolgimento di personaggi pubblici e l’uso di dichiarazioni intenzionalmente false rappresentano una violazione diretta della legge statale, che stabilisce il crimine come una serie di atti che vanno contro l'ordine costituito e la dignità dello Stato. Le dichiarazioni fatte da questi individui, che includevano accuse senza fondamento riguardanti il voto di criminali e morti, furono indirizzate a membri della legislatura della Georgia, cercando di creare un ambiente in cui le elezioni venissero fraudolentemente invalidati.

È importante sottolineare che, oltre alla gravità delle accuse di falsità, ciò che rende la questione ancora più complessa è l'intento di sollecitare pubblici ufficiali a compiere atti contrari ai loro giuramenti e alla loro responsabilità verso l’elettorato. La sollecitazione al crimine, che coinvolse figure di rilievo del Senato della Georgia, implicava non solo una violazione di legge ma anche una manipolazione del sistema elettorale stesso, con la richiesta di nominare elettrici presidenziali in modo illegale.

Accuse di false dichiarazioni furono rivolte anche a Ray Stallings Smith III e Robert David Cheeley, i quali, in incontri pubblici con membri della commissione giuridica del Senato, diffusero informazioni erronee e tendenziose riguardo alla condotta del voto, creando così confusione e sfiducia nei confronti del processo elettorale.

Infine, il caso prese una piega ancora più controversa quando Donald Trump e John Charles Eastman furono accusati di aver presentato documenti falsificati in un tribunale federale, alimentando ulteriormente il clima di disinformazione. Il loro intento era chiaro: mettere in discussione i risultati delle elezioni con l’uso di dati e affermazioni completamente errati, creando una narrazione che avrebbe potuto giustificare un'azione legale contro il sistema elettorale dello Stato della Georgia.

L’intera vicenda mette in evidenza come la diffusione di dichiarazioni false, seppur ben orchestrate, possa minare la fiducia nel sistema elettorale e negli organi di governo, e come la manipolazione dei risultati elettorali possa avere ripercussioni legali devastanti. È essenziale che il pubblico sia consapevole dei pericoli che l’uso di informazioni false comporta, in quanto non solo distorce la realtà dei fatti ma mina anche la legittimità delle istituzioni democratiche.

Il caso della Georgia dimostra, inoltre, come le leggi statali possano essere un potente strumento per difendere la verità e la giustizia, anche contro potenti forze politiche che cercano di sovvertire l’ordine costituito. La responsabilità dei pubblici ufficiali e dei cittadini nel mantenere l'integrità delle elezioni è un principio fondamentale che va difeso in ogni momento, per evitare che la politica venga corrotta da narrazioni false e fuorvianti.

Come le false accuse di frode elettorale hanno minato la fiducia nelle istituzioni democratiche

Nel novembre del 2020, l’influenza di una serie di accuse infondate di frode elettorale iniziò a diffondersi, mettendo sotto pressione le istituzioni democratiche negli Stati Uniti, in particolare in Georgia. Le denunce, alimentate da teorie complottiste, non solo hanno destabilizzato il processo elettorale ma hanno anche avuto gravi ripercussioni politiche e sociali. Le azioni di alcuni protagonisti, inclusi collaboratori stretti e consiglieri, hanno cercato di manipolare e influenzare i risultati delle elezioni, portando alla messa in discussione della legittimità del voto popolare e dei delegati elettorali.

Il 25 novembre, Co-Conspirator 3 presentò una causa contro il governatore della Georgia, accusandolo falsamente di aver perpetrato una “massiccia frode elettorale” tramite il software e l’hardware utilizzati nelle macchine da voto. Il ricorso, che fu poi respinto il 7 dicembre, si basava su affermazioni infondate che venivano amplificate da dichiarazioni pubbliche e tweet, nonostante i numerosi avvertimenti interni che indicavano la mancanza di prove. L'accusa che milioni di voti siano stati manipolati da macchinari elettronici si rivelò una delle principali narrazioni che alimentò il panico e la sfiducia, nonostante le numerose smentite tecniche.

Il 3 dicembre, un'altra azione strategica, coordinata da Co-Conspirator 1, vide la presentazione di prove ingannevoli davanti alla sottocommissione giudiziaria del Senato della Georgia. Durante questo incontro, si affermò, senza fondamento, che oltre 10.000 morti avessero votato nello stato, e si diffusero video manipolati che suggerivano irregolarità nel conteggio dei voti. Nonostante le indagini ufficiali avessero rivelato che tali accuse erano infondate, la macchina della disinformazione continuava a diffondere falsità a un pubblico sempre più ampio.

Pochi giorni dopo, il 7 dicembre, la Georgia smentì pubblicamente queste accuse, con il segretario di Stato che confermò che il presunto video del "fraudolento conteggio dei voti" mostrava semplicemente il normale processo di verifica dei voti. Tuttavia, il danno era già stato fatto. Le voci di frode continuavano a circolare, alimentando un clima di sospetto e divisione. Le smentite ufficiali sembravano inefficaci di fronte all'insistenza delle narrazioni complottiste.

Il 10 dicembre, l'intensificazione delle falsità raggiunse il culmine quando Co-Conspirator 1, di nuovo, cercò di spingere l'agenda politica in un incontro pubblico con la Commissione degli Affari Governativi della Camera dei Rappresentanti della Georgia, presentando video manipolati e accusando ingiustamente due lavoratori elettorali di comportamenti fraudolenti. Questa retorica pericolosa culminò in minacce di morte dirette verso i lavoratori elettorali accusati.

Il 15 dicembre, le false accuse di frode vennero ripetute anche durante un incontro al Congresso, dove l'amministrazione entrante cercò di ribadire, senza successo, la veridicità delle accuse. Le pressioni continuavano, e la macchina della disinformazione sembrava irrimediabilmente alimentata dal comportamento delle persone coinvolte. Nonostante gli avvertimenti interni e le smentite ufficiali, la narrativa di frode elettorale continuò a permeare l'opinione pubblica.

In seguito, il 23 dicembre, il capo dello staff del Presidente fece una dichiarazione sul processo di verifica delle firme, ma l'individuo in questione, pur riconoscendo la trasparenza e l'accuratezza delle indagini ufficiali, scelse di diffondere ulteriori dichiarazioni infondate sulla presunta copertura delle prove. I falsi miti, quindi, non vennero abbattuti facilmente, e l’efficacia della verità nella lotta contro la disinformazione risultò paradossalmente più fragile.

Il 27 dicembre, il Presidente, ancora insistendo sulle accuse infondate di frode, chiamò il procuratore generale ad interim, senza esitare a rifiutare le smentite ufficiali, e continuò a sollevare dubbi sulle prove di frode già confutate. Questo comportamento esemplificava come, in momenti di crisi politica, le false accuse possano innescare una spirale di discredito che mina la fiducia nella democrazia.

Questa serie di eventi culminò il 2 gennaio, quando, pochi giorni prima della certificazione ufficiale dei risultati, venne fatto un ulteriore tentativo di manipolare i risultati elettorali in Georgia. La telefonata al Segretario di Stato della Georgia cercò di modificare il conteggio dei voti, utilizzando ancora una volta la narrazione infondata del video di State Farm Arena. Tuttavia, il tentativo non riuscì, e l'elezione fu certificata come legittima.

Questo episodio evidenzia non solo l’importanza della verità nei processi elettorali, ma anche il rischio di come la disinformazione possa distruggere la fiducia nelle istituzioni. Le false accuse, soprattutto quando amplificate da attori politici influenti, mettono in pericolo non solo i risultati di un'elezione, ma la stessa salute della democrazia.

Inoltre, è cruciale che ogni cittadino comprenda il pericolo insito nella diffusione di notizie non verificate e l'importanza di un approccio critico verso le fonti di informazione. Le elezioni sono il fondamento di qualsiasi sistema democratico, e qualsiasi minaccia a questo processo va presa con la massima serietà, indipendentemente dalla sua origine.

Come è stato costruito un piano per sovvertire la volontà degli elettori negli Stati Uniti?

Nel novembre e dicembre del 2020, mentre i risultati ufficiali delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti venivano certificati dai singoli stati, alcuni esponenti della campagna elettorale del Presidente uscente hanno orchestrato una serie di iniziative tese a minare la legittimità del voto e a ribaltare l’esito elettorale, in particolare negli stati ritenuti “contesi”. Tra questi, la Pennsylvania e il Wisconsin sono diventati centri nevralgici di una narrazione costruita su informazioni manifestamente false.

In Pennsylvania, uno dei principali collaboratori del Presidente promosse pubblicamente l’idea che lo stato avesse distribuito 1,8 milioni di schede elettorali per il voto per corrispondenza ma ne avesse ricevute 2,5 milioni — un’affermazione immediatamente smentita dagli stessi membri della campagna elettorale, che la definirono “semplicemente sbagliata” e “indifendibile”. Nonostante le smentite interne e l'opposizione esplicita dei leader repubblicani del legislatore statale, il Presidente continuò a promuovere la falsa narrazione, arrivando perfino a definire “codardi” i legislatori che avevano riconosciuto la mancanza di autorità per sovvertire il voto popolare.

Analogamente, in Wisconsin, nonostante un riconteggio richiesto e pagato dalla campagna del Presidente non solo confermasse, ma ampliasse il margine di vittoria del candidato vincente, e nonostante il rifiuto della Corte Suprema dello stato di qualsiasi contestazione fondata, le accuse di frode continuarono. Il Governatore del Wisconsin certificò ufficialmente il risultato elettorale e la legittimità dei grandi elettori votati dalla popolazione. Ciononostante, il Presidente reagì pubblicamente reiterando accuse infondate e sollecitando l'intervento del legislatore statale per annullare i risultati.

Di fronte al fallimento di influenzare le autorità statali attraverso accuse infondate, prese forma una strategia più audace e sistemica: creare falsi collegi di grandi elettori in sette stati — Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, New Mexico, Pennsylvania e Wisconsin — e inviare al Congresso certificazioni fraudolente che dichiaravano questi come i legittimi elettori del Presidente uscente. Questa strategia mirava a generare deliberatamente una controversia formale durante la certificazione dei voti elettorali al Congresso, fornendo al Vicepresidente — in qualità di presidente del Senato — il pretesto per accettare i voti dei falsi elettori e respingere quelli legittimi.

Il piano trovava la sua base in una serie di memorandum legali redatti da uno degli avvocati della campagna, i quali si evolsero progressivamente da strumenti di tutela giuridica a veri e propri dispositivi di sovversione del processo costituzionale. Il primo, datato 18 novembre, suggeriva che, nel caso di riconteggio in corso, i potenziali elettori del Presidente potessero incontrarsi per votare a titolo cautelativo. Tuttavia, un memorandum successivo del 6 dicembre spostava radicalmente l’obiettivo, promuovendo l’idea che i falsi elettori in sei stati si riunissero imitando le procedure dei veri elettori, con l’intento di fornire un’alternativa artificiale il 6 gennaio, giorno della certificazione.

Un terzo documento, datato 9 dicembre, forniva istruzioni dettagliate su come i falsi elettori dovessero comportarsi per emulare quanto più fedelmente possibile il comportamento dei legittimi, pur riconoscendo che in molti stati la legge avrebbe reso impossibile replicare pienamente il processo ufficiale, poiché richiedeva l’intervento formale di funzionari statali e l’accesso a risorse governative.

Il progetto si estese rapidamente oltre il Wisconsin, arrivando a coinvolgere stati dove il margine di sconfitta era superiore al 10%, come il New Mexico. Un’email inviata il 6 dicembre dal Capo di Gabinetto del Presidente ai membri dello staff della campagna esplicitava l’obiettivo: “Ci serve solo qualcuno che coordini gli elettori per ogni stato.” In quella stessa giornata, il Presidente e uno dei suoi principali collaboratori chiamarono la presidente del Comitato Nazionale Repubblicano, chiedendo il supporto del partito per reclutare elettori alternativi. A quest’ultima venne falsamente assicurato che quei voti sarebbero stati utilizzati solo se il contenzioso legale avesse cambiato l’esito elettorale.

Il giorno seguente, il 7 dicembre, uno dei cospiratori ricevette i memorandum e iniziò a coordinarsi con un altro collaboratore per individuare avvocati disponibili a supportare l’operazione negli stati bersaglio. Il giorno dopo, il 8 dicembre, la macchina organizzativa era già in moto.

Tutto ciò dimostra come la costruzione di una realtà alternativa non sia frutto del disordine o dell’errore, ma il risultato di una pianificazione consapevole, sostenuta da una rete di attori politici, legali e organizzativi. L’obiettivo non era semplicemente contestare i risultati, ma creare l’apparenza formale di una disputa, sufficiente a sovvertire il processo costituzionale.

Questo piano non si reggeva su una convinzione soggettiva di frodi elettorali, ma sull’uso intenzionale di menzogne e documenti falsi per alterare la percezione pubblica e i meccanismi istituzionali. Le affermazioni di brogli, come quella dei 205.000 voti in eccesso rispetto agli elettori in Pennsylvania, o decine di migliaia di voti illegali in Wisconsin, venivano ripetute pubblicamente anche dopo essere state smentite in privato dal Dipartimento di Giustizia. Il fine era chiaro: generare confusione, ritardare la certificazione, e aprire la strada a un atto di forza istituzionale il 6 gennaio.

Il lettore deve comprendere che quanto avvenuto non rappresenta un sem