Gli azaareni, come piridine e chinoline, sono strutture fondamentali presenti in un ampio spettro di prodotti bioattivi naturali e non naturali, che spaziano da agrochimici a farmaci, materiali funzionali, catalizzatori e leganti. Questi composti contengono imine, gruppi cruciali per l’attività biologica e chimica, ma la loro sintesi è stata storicamente ostacolata da difficoltà intrinseche legate alla natura elettronica degli azaareni, che presentano una base relativamente debole. Questa debolezza può ostacolare le interazioni enantioselettive tra substrati e prodotti, riducendo il controllo sulla funzionalizzazione asimmetrica. Negli ultimi anni, però, la fotocatalisi ha mostrato un potenziale notevole nel superare queste difficoltà, consentendo la funzionalizzazione asimmetrica in condizioni più leggere e sostenibili.
L’approccio tradizionale per la funzionalizzazione degli azaareni si è concentrato su interazioni deboli di legame idrogeno tra l'azoto degli azaareni e i catalizzatori, spesso utilizzando condizioni forti che potevano risultare dannose per la selettività stereochimica. Tuttavia, la combinazione della fotocatalisi con strategie basate su legami idrogeno chirali ha offerto una piattaforma altamente efficace per la sintesi di derivati azaarenici chirali, facilitando l’uso di reazioni di tipo Minisci, ma in modo asimmetrico e sotto condizioni meno aggressive. Queste metodologie hanno aperto la strada a una nuova era nella sintesi degli azaareni chirali, caratterizzata da reazioni più facili, ecologiche ed efficienti.
La reazione di Minisci e la sua evoluzione asimmetrica
La reazione di Minisci, una delle tecniche più note per la sintesi di azaareni funzionalizzati tramite processi di aggiunta radicalica, è stata a lungo un metodo fondamentale. Per un lungo periodo, questa reazione richiedeva l’uso di acidi forti, come l’acido trifluoroacetico o l’acido solforico, o di ossidanti aggressivi come il persolfato o il perossido di idrogeno. Tali condizioni non solo limitavano la funzionalizzazione in modo sicuro e selettivo, ma rendevano difficile la realizzazione di una sintesi asimmetrica, per via delle condizioni generalmente severe richieste.
Con l'avvento della fotocatalisi, però, gli scienziati sono riusciti a sviluppare una versione più delicata e rispettosa dell’ambiente della reazione di Minisci, riducendo drasticamente la necessità di condizioni dure. Nel 2018, un'importante evoluzione è stata introdotta dal gruppo di Phipps, che ha riportato la prima reazione di Minisci asimmetrica mediata dalla fotocatalisi, utilizzando un complesso di iridio come fotocatalizzatore. In questo nuovo approccio, un estere attivo derivato da un amminoacido veniva utilizzato come precursore radicalico, ridotto dal composto Ir(II) per generare un intermedio radicalico ammino-alchilico. Questo intermedio si aggiungeva successivamente agli azaareni grazie all'attivazione di acidi fosforici chirali (CPA), risultando in un'alta resa e in una notevole enantioselettività (fino al 97% di ee).
Stereocentri α in azaareni: costruzione e sfide
La costruzione di stereocentri α in azaareni rappresenta una delle sfide più intriganti e complesse nella sintesi chimica, soprattutto perché riguarda posizioni direttamente legate all’azoto aromatico. Negli ultimi decenni, la ricerca ha focalizzato l'attenzione sul miglioramento delle metodologie per la sintesi asimmetrica di questi composti, sfruttando i progressi nelle tecniche di fotocatalisi e la chimica dei legami idrogeno chirali. La versatilità della fotocatalisi ha offerto la possibilità di effettuare reazioni a temperatura ambiente o a basse temperature, eliminando la necessità di reattivi aggressivi e riducendo la produzione di sottoprodotti indesiderati. Questo non solo rende il processo più ecologico, ma consente anche la realizzazione di reazioni con un controllo stereochimico più preciso.
Nonostante questi progressi, esistono ancora notevoli difficoltà. La maggior parte dei derivati asimmetrici di azaareni si concentra principalmente sulla posizione C-2 del nucleo aromatico, ma restano poche le documentazioni riguardanti altre posizioni, come C-3 e C-4, in particolare nelle piridine. La difficoltà di costruire stereocentri in posizioni diverse dalla C-2 suggerisce la necessità di sviluppare nuove strategie di funzionalizzazione, che possano affrontare queste sfide con successo.
Verso una sintesi più sostenibile e precisa
La continua evoluzione della chimica fotocatalitica e dei sistemi basati sui legami idrogeno chirali offre nuove opportunità per la creazione di derivati asimmetrici di azaareni in condizioni più dolci e con un controllo stereochimico più fine. Tuttavia, la ricerca futura dovrà concentrarsi su soluzioni per estendere queste metodologie a nuove posizioni negli azaareni, come le posizioni C-3 e C-4, e per affrontare le difficoltà legate alla creazione di derivati azaarenici chiralmente puri in modo più efficiente.
L'avanzamento della fotocatalisi e delle strategie basate su legami idrogeno chirali potrebbe quindi rappresentare una delle chiavi per la futura sintesi di composti azaarenici chirali, che non solo soddisfino gli standard di purezza richiesti per l'industria farmaceutica, ma che possano anche essere realizzati in modo più ecologico e sostenibile.
Qual è il ruolo della luce visibile nella sintesi di composti imidazopiridinici e imidazotiazolici?
La sintesi di strutture imidazo-fuse rappresenta un settore cruciale nella chimica medicinale grazie alla loro vasta gamma di attività farmacologiche e biologiche, quali proprietà antibatteriche, antivirali, antinfiammatorie e fungicide. La metodologia recentemente sviluppata per la sintesi di questi composti si distingue per l’assenza di catalizzatori e solventi, operando sotto l’irradiamento di luce visibile, in condizioni ambientali miti. Nella reazione che coinvolge 2-aminopiridina, aldeide e isocianuro, la presenza della luce emessa da una lampada fluorescente compatta (CFL) a 24 W per 3 ore a temperatura ambiente permette di ottenere prodotti con rese estremamente elevate, fino al 98%. In assenza di questa fonte luminosa, il prodotto è quasi assente, evidenziando l’importanza imprescindibile della luce visibile per l’attivazione della reazione.
Questa metodologia si rivela non solo efficiente in termini di resa, ma anche estremamente versatile: differenti sostituenti elettronici sui reagenti non compromettono la formazione del prodotto, dimostrando una tolleranza significativa ai gruppi funzionali. Il percorso meccanicistico si fonda su un meccanismo radicalico, indotto dalla luce, confermato da esperimenti di cattura dei radicali, che confermano la formazione di intermedi radicalici durante la trasformazione. Inoltre, la stessa strategia è stata adattata con successo anche per la sintesi di imidazotiazoli, sottolineando la generalità del protocollo.
Parallelamente, sono stati sviluppati altri metodi photoindotti, come quello ideato dal gruppo Komogortsev nel 2019, che impiega la radiazione UV per la sintesi di derivati di imidazo[1,5-a]piridina-5,8-dione. Pur ottenendo rese più modeste (circa 30%), questa reazione si caratterizza per l’assenza di catalizzatori e solventi tossici e per l’elevata economia atomica. Qui, la trasformazione avviene tramite una reazione fotochimica di tipo Norrish 2, generando intermedi biradicalici. La specificità del processo è legata alla presenza di un forte gruppo donatore elettronico in posizione C-2 dell’anello imidazolico, sottolineando l’importanza della struttura molecolare per l’efficacia della reazione.
Un’altra strategia significativa è la sintesi promossa dalla luce visibile riportata dal gruppo Thomas nel 2020, che sfrutta la bromurazione ossigenata di alcheni per ottenere imidazopiridine senza catalizzatori né additivi. Questa reazione avviene attraverso la formazione di α-bromo chetoni intermedi e mostra un’ottima compatibilità con alcheni aromatici contenenti gruppi elettron-donatori o elettron-attrattori, garantendo rese moderate o elevate. L’efficacia del processo su scala grammo e la necessità imprescindibile dell’illuminazione per mantenere elevate le rese rendono questa metodologia interessante per applicazioni industriali. Anche in questo caso, la reazione procede per via radicalica, evidenziata da esperimenti di cattura dei radicali.
Un’evoluzione rilevante nel campo è rappresentata dall’utilizzo di complessi donatore-accettore (EDA) che favoriscono sintesi in condizioni mild, senza catalizzatori. Nel 2022, Novikov e collaboratori hanno sviluppato una sintesi one-pot di imidazopiridine da 2-bromoazirine e piridine, basata su formazione di complessi EDA seguiti da ciclizazione fotoindotta con resa fino al 93%. La generalità del metodo è notevole, estendendosi anche a isoquinoline e piridazine, e il meccanismo radicalico è stato confermato sia da esperimenti che da calcoli DFT.
Nel campo dei metalli, protocolli fotocatalizzati utilizzano complessi come Ru(bpy)3Cl2·6H2O o fac-Ir(ppy)3 per promuovere reazioni di accoppiamento o alchilazione di 2-aminopiridine, mantenendo condizioni eco-compatibili e ottenendo rese elevate. Tali metodologie sono state applicate con successo a substrati diversificati, comprendenti gruppi funzionali elettron-donatori o elettron-attrattori, e mostrano un significativo potenziale per sintesi industriali. I prodotti ottenuti hanno inoltre dimostrato attività citotossica su linee cellulari tumorali umane, evidenziando l’importanza applicativa di questi composti in ambito biomedico. Le indagini meccanicistiche indicano che la fotodecomposizione fotosensibilizzata di precursori quali gli azidi vinilici avvia la formazione dei radicali necessari alla reazione.
Questi progressi sottolineano come la luce visibile stia emergendo come uno strumento chiave nella sintesi organica moderna, permettendo reazioni più sostenibili, selettive e con un minore impatto ambientale rispetto ai metodi tradizionali. La luce agisce come fonte di energia pulita che può attivare specie chimiche in modo controllato e senza necessità di catalizzatori tossici o solventi pericolosi.
È fondamentale considerare che il successo di tali reazioni dipende strettamente da molteplici fattori: la natura e posizione dei gruppi sostituenti nei reagenti, la lunghezza d’onda e l’intensità della luce, la presenza o meno di ossigeno e atmosfera inerte, nonché la compatibilità con le condizioni operative. Inoltre, la comprensione approfondita dei meccanismi radicalici, spesso complessi e sensibili a molteplici variabili, è indispensabile per ottimizzare e ampliare l’applicabilità di queste metodologie. Infine, l’integrazione di studi spettroscopici e computazionali rappresenta uno strumento imprescindibile per decifrare i processi fotochimici e guidare la progettazione di nuovi sistemi sintetici basati sulla fotocatalisi e fotoattivazione.
Quali sono i vantaggi e i limiti delle sintesi fotoindotte di imidazotiazoli?
Negli ultimi anni, l’interesse verso metodologie sintetiche eco-compatibili e prive di metalli ha generato un impulso significativo nello sviluppo di protocolli fotoindotti per la sintesi di eterocicli azotati e solforati come gli imidazotiazoli. Queste molecole rivestono una rilevanza crescente nel panorama farmaceutico e dei materiali funzionali, in particolare per la loro struttura condensata e la capacità di interagire con siti biologici attraverso legami multipli.
Nel 2021, Wang e Yan hanno proposto un protocollo di sintesi visibile-light-driven per la preparazione di benzo[d]imidazo[5,1-b]tiazoli, privo di metalli e fotocatalizzatori. L’uso di isotiocianati arilici alogenati e isonitrili, in presenza di Cs₂CO₃ come base in DMSO, ha portato alla formazione del prodotto target con rese fino all’84% in condizioni ambientali, confermando la formazione intermedia di radicali attraverso esperimenti di intrappolamento. Questo protocollo si è dimostrato applicabile su scala grammo e ha tollerato numerosi gruppi elettron-donatori ed elettron-attrattori, sebbene i sostituiti fenilici e nitro sui substrati isonitrilici non abbiano fornito prodotti reattivi.
Successivamente, nel 2022, Liu e collaboratori hanno introdotto un ulteriore protocollo basato sulla formazione di complessi donatore-accettore elettronici (EDA), sempre attivato dalla luce visibile, e privo non solo di metalli e fotocatalizzatori, ma anche di ossidanti. Questa metodologia ha utilizzato chalconi e 2-mercaptobenzimidazoli in presenza di Cs₂CO₃ e 18-corona-6 in solvente misto DMSO/NMP, con l’irraggiamento di LED bianchi da 10 W a temperatura ambiente, ottenendo rese fino al 96% in 24 ore. Gli autori hanno condotto misurazioni UV-vis e NMR, oltre a esperimenti ON/OFF e di trapping radicalico, dimostrando che la reazione progredisce tramite un meccanismo SET (Single Electron Transfer), avviato dall’EDA complex. L’elevata tolleranza funzionale e l’ampio spettro di substrati impiegabili rendono questa strategia estremamente promettente in termini di versatilità e sostenibilità.
Nel 2020, Liu et al. avevano già dimostrato la possibilità di attuare una sintesi organofotocatalizzata di imidazo[2,1-b]tiazoli tramite aminotioilazione tra Z-α-bromocinnamaldeidi e 2-mercaptobenzimidazoli. Eosin Y si è rivelato il fotocatalizzatore più efficiente rispetto ad altri composti organici e complessi metallici di Ir e Ru. Le condizioni di reazione, molto blande (LED bianco, temperatura ambiente, K₂CO₃ come base), hanno consentito di ottenere rese fino all’82% in 12 ore. Anche in questo caso, le variazioni sui substrati si sono dimostrate ben tollerate, confermando la robustezza del metodo.
Il filo conduttore tra queste strategie è rappresentato dall’abbandono dei metalli di transizione pesanti a favore di approcci più verdi e sostenibili, che sfruttano l’energia luminosa per innescare trasformazioni radicaliche. La formazione di complessi EDA emerge come elemento chiave nella generazione controllata di specie reattive, riducendo al minimo l’impiego di condizioni drastiche o reagenti tossici. La capacità di eseguire queste reazioni a temperatura ambiente, in presenza di aria, senza catalizzatori costosi o additivi ossidanti, contribuisce a renderle adatte non solo alla ricerca accademica ma anche a una futura applicazione industriale.
Tuttavia, nonostante i numerosi vantaggi, permangono delle criticità non trascurabili. L’efficienza del protocollo è spesso fortemente dipendente dalla struttura elettronica dei substrati; alcuni gruppi funzionali, come i nitro e i fenilici su isonitrili, si dimostrano incompatibili. Inoltre, l’insufficienza di una comprensione meccanicistica profonda limita la possibilità di progettare reazioni su misura o scalabili. Sebbene gli esperimenti di supporto (spettroscopia UV-vis, NMR, trapping radicalico) offrano una base interpretativa solida, l’assenza di modelli cinetici dettagliati o di studi computazionali avanzati rappresenta un ostacolo metodologico rilevante.
Infine, l’assenza di applicazioni in reattori a flusso continu
Come avvengono le ciclizazioni radicaliche sotto catalisi fotoredox e quali sono le implicazioni meccanicistiche?
Le ciclizazioni radicaliche mediate da fotoredox catalisi rappresentano un avanzamento significativo nella sintesi organica, permettendo la formazione rapida ed efficiente di eterocicli saturi a partire da precursori aciclici in condizioni blande. Un esempio emblematico è il lavoro di Kelly, Molander e collaboratori (2019), che hanno sviluppato una reazione radicale/polare crossover mediata da fotoredox utilizzando alchilbis(catecolato)silicates in combinazione con aldimine N-feniliche, ottenendo una rapida sintesi di pirrolidine, piperidine e azepane con rese che raggiungono l’84%. La tolleranza del metodo nei confronti di aldimine derivanti sia da benzaldeidi elettron-ricche che elettron-povere, nonché l’accettazione di chetimine permettendo la formazione di centri quaternari α nei prodotti, sottolineano la robustezza e la versatilità della procedura.
Dal punto di vista meccanicistico, la fotocatalisi con iridio (IrIII) coinvolge l’eccitazione del catalizzatore sotto luce visibile, generando uno stato eccitato altamente ossidante *IrIII. Quest’ultimo viene ridotto da silicato alchilico, formando uno stato ridotto IrII e un radicale alchilico che si addiziona all’immina, generando un radicale N-centrato. Successivamente, la riduzione di questo radicale da parte di IrII conduce all’anione che si ciclica formando l’eterociclo desiderato. Questo meccanismo radicale-polare evidenzia l’efficacia della fotoredox catalisi nel controllare trasformazioni complesse attraverso step successivi di trasferimento elettronico e ciclizazione.
L’uso di esteri redox-attivi, come gli N-idrossibenzimidoyl cloruri (NHBC), ha permesso di estendere la metodologia alla fluoroalchilazione intramolecolare di substrati diallilici. Qui, la ciclizzazione radicalica mediata fotoredox porta alla formazione di pirrolidine fluorinate in ottime rese e con buon controllo diastomerico, confermato anche da calcoli DFT che sostengono la via radicale fluorocarbonica.
Un ulteriore sviluppo è rappresentato dall’uso di catalisi fotoredox mediata da rame per la ciclizzazione di alcheni ingombrati stericamente. In questo sistema, l’eccitazione di un catalizzatore organico come MesAcrPh+ produce uno stato eccitato altamente ossidante che ossida l’alchene a radicale cationico, il quale viene rapidamente attaccato da un nucleofilo eterociclico pendente, generando un radicale carbonioso successivamente ossidato da Cu(II) a Cu(III). L’eliminazione da Cu(III) porta alla formazione dell’eterociclo desiderato. Questo ciclo fotoredox-ossidativo permette la sintesi diretta di pirrolidine e anelli a sei membri con una buona tolleranza alle variazioni strutturali del substrato.
In alternativa ai metalli, metodi metal-free sono stati sviluppati per la ciclizzazione chetone-alchene usando catalizzatori organici di tipo acridinio. Il meccanismo “olefina-prima” è suggerito dall’integrità dei ciclopropani nel substrato durante la ciclizzazione, a conferma di un percorso radicale che coinvolge inizialmente l’olefina e non il chetone.
La sintesi fotocatalitica di pirroli altamente sostituiti si è arricchita con metodi multicomponente che utilizzano benzofenone come fotocatalizzatore organico, il quale promuove il trasferimento di atomi di idrogeno da intermedi iminici generati in situ, favorendo la formazione di radicali carboniosi. Questi radicali, attraverso processi di omodimerizzazione e successive trasformazioni, conducono alla formazione di pirroli con un’efficienza notevole. Il ruolo dell’ossigeno atmosferico come accettore di elettroni nella rigenerazione del catalizzatore evidenzia l’importanza della gestione dell’ambiente reattivo per ottenere rese elevate.
Nonostante le sfide associate all’attivazione fotochimica di legami forti carbonio-alogeno, metodi controllati e delicati sono stati sviluppati, come nel caso della arilazione C–H di benzammidi clorurate in soluzioni micellari acquose, utilizzando blu di metilene come fotocatalizzatore. La preferenza per la funzionalizzazione dei legami terziari C–H dimostra il controllo selettivo raggiunto e apre la strada alla sintesi di isoindolinoni in condizioni ecocompatibili.
L’importanza di comprendere la natura e il comportamento dei radicali carboniosi generati, nonché la dinamica degli stati elettronici eccitati dei fotocatalizzatori, è cruciale per l’ottimizzazione e l’espansione di queste metodologie. Il controllo della sequenza di eventi radicalici e ionici (radical/polar crossover) consente di dirigere le trasformazioni verso prodotti desiderati con alta efficienza e selettività. È inoltre fondamentale riconoscere il ruolo della struttura elettronica e sterica dei substrati, che può influenzare sia la formazione che la stabilità degli intermedi radicalici e i percorsi di ciclizazione. L’adozione di metodi metal-free e l’impiego di condizioni blande, come l’uso di luce visibile e solventi acquosi, riflettono una crescente attenzione alla sostenibilità e alla praticità delle procedure sintentiche.
Come avviene la formazione dei radicali arilici nella fotoattivazione e quali sono le implicazioni nella sintesi degli eteroareni?
La generazione di radicali α-aminoalchilici tramite deprotonazione rappresenta un passaggio chiave nella sintesi di composti biarilici. Questo processo prevede l’interazione successiva tra il radicale α-aminoalchilico e il sale arilico di tiantrenio, con la formazione di tiantrene e di un radicale arilico. Il radicale arilico così generato si addiziona poi all’eteroarene, seguito da un’ossidazione a singolo elettrone e da una deprotonazione, portando infine al prodotto biarilico desiderato. È fondamentale sottolineare come questa trasformazione avvenga in condizioni molto miti, senza l’impiego di additivi, luce o catalizzatori metallici, dimostrando inoltre una notevole compatibilità con l’aria e l’acqua.
Nel 2020, il gruppo di Procter ha sfruttato il 10-fenilfenotiazina (PTH) come fotocatalizzatore altamente efficiente per attivare sali di dibenzotiofeni in situ generati, facilitando il processo formale di accoppiamento C–H/C–H di areni. La forte capacità riducente del PTH (E_red 1/2 * = –2,1 V vs. SCE in DMSO) ha permesso la riduzione fluida dei sali dibenzotiofeni, confermata da esperimenti di Stern–Volmer che hanno evidenziato il quenching ossidativo dello stato eccitato del fotocatalizzatore. Il radicale arilico ottenuto attraverso un processo di trasferimento elettronico singolo tra PTH* e i sali dibenzotiofeni subisce quindi un’aggiunta radicalica seguita da ossidazione, conducendo ai prodotti finali. Questa metodologia consente l’accoppiamento C–H/C–H degli areni in una singola potenza procedurale semplice ed efficace.
Più recentemente, il nostro gruppo ha sviluppato una strategia innovativa di fotoattivazione dei sali arilici solfonio, basata sulla formazione di un complesso donatore-accettore elettronico (EDA) con 1,4-diazabiciclo[2.2.2]ottano (DABCO). Questa tecnica consente la generazione di radicali arilici tramite irradiazione con luce visibile e ha dimostrato la sua efficacia nella sintesi di eteroareni arilati con rese da moderate a buone. Queste condizioni di reazione miti sono state applicate con successo anche all’accoppiamento di molecole bioattive complesse, inclusi farmaci e prodotti agricoli. Studi meccanicistici approfonditi, che includono esperimenti di cattura radicalica, misure UV–vis, risonanza magnetica nucleare e calcoli di teoria del funzionale della densità (DFT), hanno confermato la formazione del complesso EDA e la sequenza di trasformazioni radicaliche che conducono al prodotto finale. In particolare, il radicale arilico reagisce con il doppio legame C=N di azauracile generando un radicale N-centrato, che subisce uno spostamento 1,2-idrogeno formando un radicale carbonioso. Successivamente, un trasferimento elettronico singolo tra DABCO+ e il radicale carbonioso produce un radicale catione, il quale perde un protone per dare il prodotto finale.
I reagenti a iodio ipervalente, come i sali di diariliodonio, rivestono un ruolo importante come precursori di radicali arilici grazie alla loro stabilità, versatilità e compatibilità con molteplici gruppi funzionali. Processi di fotoredox in stato eccitato che utilizzano questi sali sono stati sviluppati per realizzare arilazioni selettive in condizioni blande. Nel 2022, Murarka e collaboratori hanno mostrato una reazione di arilazione fotocatalizzata diretta di chinoxalin-2-(1H)-oni usando sali di diariliodonio triflato come sorgente economica e stabile di gruppi arilici. Questa tecnica ha consentito la sintesi di una vasta gamma di 3-arilchinoxalin-2-(1H)-oni di rilevanza farmacologica. Nel 2023, lo stesso gruppo ha messo a punto un sistema fotoredox che combina NaI, PPh3 e TMEDA per la generazione di radicali arilici, ampliando ulteriormente la versatilità e l’efficienza dell’arilazione di eteroareni elettron-deficienti ed elettron-ricchi, anche non aromatici. Questa piattaforma a quattro componenti sfrutta la luce visibile per ottenere prodotti con rese da moderate ad eccellenti, applicabili anche a prodotti naturali e composti bioattivi, permettendo la diversificazione molecolare in fasi avanzate dello sviluppo farmaceutico.
Gli ylide di iodio ipervalente (HVI) rappresentano un’ulteriore classe di precursori di radicali arilici grazie alla loro stabilità termica, economicità e facilità di accesso. Nel 2022, Wu e Cui hanno introdotto una arilazione fotocatalitica degli eteroareni impiegando HVIs senza necessità di ossidanti o metalli, ottenendo ampio spettro di substrati e elevata tolleranza funzionale. Questa metodologia è stata applicata con successo anche alla modificazione di molecole bioattive complesse e farmaceutiche, inclusi flavoni e coumarine, dimostrando la sua potenzialità nella sintesi organica selettiva e nella funzionalizzazione tardiva di composti di interesse terapeutico.
I perossidi aril-acilici (diacilperossidi) sono precursori accessibili e versatili di radicali arilici, sintetizzati facilmente da acidi carbossilici e derivati. Questi composti, per effetto di calore, catalisi metallica o irraggiamento, rompono il legame O–O liberando CO2 e radicali arilici o alchilici. Nel 2022, il gruppo di Li ha proposto una metodologia per la C–H arilazione di chinoxalin-2-(1H)-oni mediata dalla luce visibile senza fotocatalizzatori, additivi o metalli, ottenendo prodotti con rese moderate e buone. Il processo di decarbossilazione risulta particolarmente agevole, facilitato da un basso costo energetico, e ulteriormente migliorato da trasferimenti elettronici efficienti.
L’importanza di queste metodologie risiede nella possibilità di effettuare arilazioni di eteroareni in condizioni estremamente blande, con ampia tolleranza a gruppi funzionali e in presenza di molecole complesse. La capacità di generare radicali arilici selettivamente e controllare le reazioni radicaliche tramite fotoredox o complessi EDA apre prospettive significative per la sintesi di molecole bioattive, farmaci e materiali avanzati. Comprendere la natura dei complessi donatore-accettore, l’interazione tra fotocatalizzatori e substrati, nonché i meccanismi di trasferimento elettronico singolo è fondamentale per progettare reazioni efficienti e prevedibili. Inoltre, la sostenibilità di queste procedure, grazie all’eliminazione di metalli pesanti e condizioni drastiche, rappresenta un progresso cruciale verso una chimica più verde e applicabile su larga scala.
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