Mio padre ha sempre avuto un eccezionale senso degli affari. Un esempio lampante di ciò fu la realizzazione di Shore Haven, un progetto che ha beneficiato di un prestito da 10,3 milioni di dollari dalla Federal Housing Administration (FHA). Questo prestito fu calcolato sulla base di quello che l'agenzia considerava un costo equo per il progetto, inclusi un margine di profitto del 7,5% per il costruttore. Grazie alla sua abilità nel negoziare con i fornitori e nel gestire i subappaltatori, mio padre riuscì a terminare il progetto in anticipo rispetto ai tempi previsti, risparmiando quasi un milione di dollari rispetto al budget iniziale. Quello che lui e altri sviluppatori come lui riuscirono a guadagnare grazie a tale efficienza fu definito “profitti imprevisti”, anche se in seguito questa pratica venne vietata. Nonostante ciò, mio padre riuscì a costruire migliaia di appartamenti di alta qualità destinati alle famiglie a basso e medio reddito, una tipologia di edilizia che ormai non esiste più. Oggi, gli edifici Thimp nel Queens e a Brooklyn sono ancora considerati tra i posti più convenienti e di buona qualità in cui vivere a New York.
Quando mi diplomai alla New York Military Academy nel 1964, iniziai a pensare di intraprendere una carriera nel mondo del cinema, attratto dal glamour dei film e dalla figura di grandi showman come Sam Goldwyn, Darryl Zanuck e Louis B. Mayer. Ma alla fine, la mia passione per il settore immobiliare mi sembrò molto più promettente. Decisi di frequentare la Fordham University nel Bronx per avvicinarmi a casa, ma dopo due anni sentii la necessità di confrontarmi con i migliori. Così, mi trasferii alla Wharton School of Finance all'Università della Pennsylvania, considerata all'epoca la scuola d’élite per chi voleva intraprendere una carriera d’affari. Nonostante la reputazione prestigiosa di Wharton, la lezione che più mi colpì fu quella di non lasciarsi impressionare dalle credenziali accademiche. Mi resi presto conto che i miei compagni di corso non erano poi così eccezionali e che avrei potuto competere con loro senza problemi. La cosa che più contava, in effetti, era il titolo di laurea stesso, che in ambito professionale aveva un peso notevole.
Dopo aver conseguito la laurea, tornai subito a casa e iniziai a lavorare a tempo pieno con mio padre. Ma ben presto cominciai a guardare oltre, cercando opportunità che fossero più in linea con le mie aspirazioni. Mio padre lavorava principalmente in una nicchia che non mi entusiasmava: gli appartamenti a basso costo nelle periferie di New York, dove il margine di profitto era minimo e le condizioni di lavoro spesso difficili. Ricordo che una volta accompagnai i cosiddetti “esattori di affitti”, che si occupavano di recuperare il denaro da inquilini morosi. Questo lavoro richiedeva una presenza fisica imponente, poiché era più facile risolvere i problemi con la forza che con la ragione. Il primo insegnamento che appresi fu che, quando si bussa alla porta di qualcuno che potrebbe essere ostile, era meglio stare di lato per proteggersi. Mi fu spiegato che, se avessi bussato direttamente alla porta, avrei potuto ritrovarmi con una pistola puntata contro.
La seconda difficoltà che notai fu la scarsa qualità del design. Le costruzioni dovevano essere semplici e funzionali, quasi tutte identiche: quattro mura, una facciata di mattoni e nulla più. Il mio padre cercava sempre di risparmiare su ogni possibile spesa. Mi ricordo di una volta, durante la costruzione del Trump Tower, quando mio padre osservò la facciata in vetro e mi disse: “Perché non lasciamo solo quattro o cinque piani in vetro e poi usiamo mattoni per il resto? Non importa davvero, tanto nessuno guarderà mai in alto.” Era un uomo molto pratico, ma per me quella mentalità non era adatta a quello che volevo fare.
La verità è che avevo sogni più grandi e visioni più grandiose. Mio padre, per quanto fosse un uomo di grande valore, non vedeva oltre il mondo concreto degli affari immobiliari di massa. Era un uomo che apprezzava la competenza e l'efficienza, ma non aveva l'istinto per il glamour o per l'ostentazione che io desideravo. E questo contrasto tra il mio spirito più orientato verso l'immagine e il suo approccio pragmatico mi spinse a cercare altrove la mia strada.
Era evidente che, per realizzare i miei sogni, avrei dovuto affrontare un percorso molto diverso. Mio padre, nonostante la sua durezza nel lavoro, mi aveva insegnato a pensare in grande, ma io avevo bisogno di creare qualcosa di più spettacolare, di più unico, che andasse oltre la semplice costruzione di appartamenti. Così, intrapresi la mia strada, pronto a lasciare la sua impronta di praticità per abbracciare la mia visione di lusso e grandiosità.
A volte, però, è importante ricordare che, per arrivare in alto, bisogna conoscere il valore del sacrificio, della perseveranza e delle risorse economiche che permettono di realizzare anche i sogni più ambiziosi. Solo con una solida base, costruita sulle esperienze del passato, si può progettare il futuro, senza dimenticare che ogni grande risultato è spesso il frutto di scelte difficili e decisioni cruciali.
Qual è il segreto del successo nelle trattative? La combinazione di visione, tempismo e reputazione
Nel corso degli anni, mi è capitato di affrontare trattative che avrebbero potuto sembrare impossibili a chiunque altro, ma che per me si sono rivelate opportunità straordinarie, spesso proprio grazie a una combinazione di visione, tempismo e reputazione. In una di queste situazioni, mi trovai di fronte a un'opportunità che, inizialmente, non avrei mai pensato di sfruttare come avevo fatto in passato: un incontro casuale che avrebbe cambiato la mia carriera.
Il 16 ottobre 1981, dopo mesi di attesa e di incertezze, la Divisione delle forze di controllo del gioco aveva finalmente concluso la sua indagine, emettendo un parere positivo su di noi. Nonostante il fatto che la mia attività di gioco fosse ancora giovane e senza esperienza pregressa nel settore, la mia reputazione come sviluppatore e costruttore ci aveva dato una forza che si rivelò fondamentale. Le autorità non avevano motivo di dubitare della mia capacità di rispettare i tempi e i costi, e questo mi aveva permesso di ottenere le necessarie approvazioni per i lavori.
Durante il periodo di attesa per le udienze ufficiali della licenza, avevamo già ottenuto tutte le approvazioni necessarie, tra cui il permesso di costruire un collegamento sopraelevato tra il nostro hotel e il centro congressi accanto. Un vantaggio che, in effetti, ci permetteva di realizzare uno degli hotel più grandi della città, sfruttando una posizione che altri non avevano nemmeno preso in considerazione. Era un vantaggio competitivo che solo una visione audace del progetto e un'attenzione ai dettagli avrebbero permesso di cogliere.
Una volta conclusa questa fase, il vero problema sarebbe stato il finanziamento, che non era affatto garantito. Nonostante avessi già una buona reputazione tra le banche, molte di esse avevano politiche interne contro il finanziamento delle attività legate al gioco, a causa della cattiva fama che queste avevano. L'ironia della situazione era che la mia reputazione nel settore immobiliare, pur essendo ottima, non garantiva alcuna esperienza diretta nel settore del gioco. Ma io sapevo come utilizzare questa situazione a nostro favore. Anziché puntare su un operatore di gioco con una reputazione discutibile, propinsi l'idea di lavorare con una compagnia pulita, che non avesse legami passati con il settore, ma che avesse dimostrato di saper costruire e sviluppare con successo.
Fu così che, grazie alla nostra esperienza nella costruzione e alla fiducia che avevamo guadagnato, riuscimmo a ottenere il finanziamento da una banca che, pur non avendo esperienza nel settore, riconosceva la solidità del nostro progetto. All'inizio, le condizioni non erano ideali, ma sapevo che sarebbe stato difficile lamentarmi: ottenere finanziamenti era già di per sé un successo.
Poi, a un certo punto, accadde qualcosa di totalmente inaspettato. Un giorno ricevetti una telefonata da Michael Rose, il presidente della Holiday Inns. Non avevo mai incontrato quest'uomo, ma sapevo che Holiday Inns era una delle principali catene alberghiere, e che aveva anche esperienza nel settore del gioco. Nonostante non avessi mai pensato a un partner per il progetto, la proposta che mi fece durante il nostro incontro cambiò completamente la prospettiva. Non era interessato al Barbizon, come pensavo inizialmente, ma alla nostra attività di Atlantic City. Holiday Inns era già presente nel mercato del gioco con un casinò di successo, Harrah’s al Marina, ma non aveva un sito sul Boardwalk. Ecco che entrava in gioco la nostra proprietà.
Rose mi propose un accordo che inizialmente mi sembrò troppo vantaggioso per essere vero: Holiday Inns avrebbe finanziato parte del progetto, avremmo diviso i profitti 50-50, e soprattutto, avrebbero messo a disposizione i loro fondi, sollevandomi dal rischio finanziario personale. C'era anche un'altra parte dell'accordo che non poteva non attirare la mia attenzione: Holiday Inns avrebbe garantito contro qualsiasi perdita operativa per i primi cinque anni, un'assicurazione che nessun altro partner avrebbe potuto offrirci.
Nonostante l'accordo fosse ancora soggetto alla firma dei contratti e all'approvazione da parte del consiglio di amministrazione, avevamo già concordato le condizioni di base. Questo incontro casuale, con un partner inaspettato, si rivelò essere un'opportunità che non avrei mai potuto prevedere, ma che dimostrò come la combinazione di una reputazione solida, un progetto ben pensato e una visione aperta a nuove possibilità possa trasformare ogni incontro in una potenziale opportunità di successo.
In ogni trattativa o partnership, che si tratti di costruzione, gioco d'azzardo o qualsiasi altro settore, il vero vantaggio risiede nella capacità di leggere il mercato, saper adattarsi rapidamente e avere la capacità di fare affidamento su una solida reputazione. Più che le risorse iniziali o la conoscenza specifica di un settore, ciò che fa davvero la differenza è la combinazione di visione, coraggio e capacità di costruire relazioni che possano trasformarsi in alleanze strategiche.
Quali fattori influenzano il valore e le decisioni immobiliari a New York? Un'analisi del mercato immobiliare degli anni '80.
Nel corso degli anni '80, il mercato immobiliare di New York ha attraversato numerosi alti e bassi, influenzati da tendenze architettoniche, regolamenti urbanistici e dinamiche economiche che si intrecciavano tra loro. All'inizio degli anni '80, quando il valore medio di una stanza in un immobile cooperativo raggiunse i 93.000 dollari, il mercato sembrava essere su una traiettoria in ascesa. Tuttavia, a metà del 1983, il valore scese drasticamente a 67.000 dollari per poi risalire nel 1985, arrivando a 124.000 dollari. Questa volatilità del mercato dimostrava una realtà cruciale per ogni investitore: la capacità di adattarsi alle condizioni mutevoli del mercato è essenziale per ottenere profitti a lungo termine.
Un aspetto significativo di questo periodo fu la capacità di fare previsioni sulle tendenze del mercato. A metà degli anni '80, la tendenza al "modernismo" nella progettazione degli edifici a New York, che aveva visto la costruzione di torri in vetro lucido come il Trump Tower, stava cedendo il passo a una nuova ondata di interesse per lo stile "classico", che stava tornando in auge. Questo cambiamento di gusti e preferenze ha portato a una riflessione fondamentale per gli sviluppatori: se i clienti sono più orientati verso edifici dal design più tradizionale, non ha senso insistere su uno stile che non rispecchia le loro preferenze.
Durante questo periodo, mi trovavo di fronte alla necessità di decidere se abbattere un vecchio edificio e costruire uno nuovo, rispettando le normative urbanistiche e i limiti di dimensione imposti dalla legge, o ristrutturare e migliorare l’edificio esistente. La questione si presentava sotto una luce inaspettata quando un architetto, a cui avevo commissionato un progetto per il sito Barbizon-Plaza, mi rivelò che la nuova costruzione, pur rispettando i limiti urbanistici, sarebbe risultata molto più piccola e meno imponente dell'edificio che intendevamo sostituire. Mi chiesi subito se fosse davvero necessario demolire l'edificio originale per creare una struttura che, a parer mio, avrebbe avuto molto meno impatto visivo e una qualità inferiore. La risposta venne sotto forma di una ristrutturazione che avrebbe incluso il mantenimento della facciata e l’ingrandimento delle finestre, riducendo i costi e preservando l’integrità estetica dell’edificio.
La ristrutturazione del Barbizon non era solo più conveniente, ma si rivelava anche una scelta di design più intelligente. Il lavoro di rinnovamento costava circa 100 milioni di dollari, contro i 250 milioni necessari per una demolizione totale e una nuova costruzione. In questo scenario, la ristrutturazione non solo rispondeva meglio alle esigenze del mercato, ma permetteva anche di mantenere il carattere distintivo di un edificio che, a quel punto, faceva parte dell'iconografia di Central Park South. La nuova realizzazione avrebbe rischiato di compromettere la qualità e lo spirito di quel tratto di Manhattan.
In parallelo, le dinamiche di acquisizione e vendita si sviluppavano secondo schemi simili. Nel 1985, ero pronto ad acquistare l'hotel St. Moritz, un altro pezzo del puzzle immobiliare che avrebbe permesso di consolidare la mia posizione in Central Park South. Tuttavia, il prezzo inizialmente richiesto era troppo alto rispetto al valore effettivo dell’hotel. Attraverso una serie di trattative e utilizzando il mio potenziale immobile vicino (il Barbizon), sono riuscito a ridurre significativamente il costo, riuscendo a ottenere una proposta che mi permise di acquistare l'hotel senza dover investire capitale proprio, ma con un margine di guadagno che superava di gran lunga il mio investimento iniziale.
Una volta acquisito lo St. Moritz, la gestione e l'efficienza operativa dell'hotel migliorano significativamente, portando a un incremento del 31% delle entrate, ben oltre quanto previsto inizialmente. Questo risultato dimostra che, nonostante la volatilità e le sfide del mercato, la gestione oculata e una visione strategica a lungo termine possono garantire successi imprevisti. La comprensione delle dinamiche finanziarie, dei gusti dei consumatori e delle regolamentazioni urbanistiche è fondamentale per un investitore che voglia operare nel mercato immobiliare di New York, dove i margini di errore sono ridotti al minimo.
In questo contesto, è importante sottolineare che l’immobiliare non è solo una questione di acquisto e vendita, ma di lettura delle tendenze, di adattamento ai cambiamenti e di tempismo perfetto. Il valore di un immobile non è determinato solo dalla sua posizione, ma dalla sua capacità di rispondere alle esigenze estetiche e funzionali dei suoi occupanti. Un edificio non è solo una struttura, ma un elemento che riflette i gusti e le aspirazioni di una città in costante evoluzione.
Perché la USFL ha fallito: Le sfide del cambiamento e l’ostilità dell’NFL
Il 4 gennaio 1984 si svolse il draft della USFL, che vide la selezione di Mike Rozier, vincitore del Trofeo Heisman con Nebraska, da parte della franchigia di Pittsburgh, il quale firmò un contratto con la squadra solo cinque giorni dopo. In un istante, le vendite di abbonamenti stagionali aumentarono da 6.000 a 20.000. Un altro colpo significativo fu l’ingaggio di Steve Young, il quarterback della Brigham Young, che firmò un contratto multimilionario con i Los Angeles Express. Don Klosterman, presidente dei Los Angeles Express, riuscì a firmare altri quattordici giocatori promettenti, tutti con potenziale da NFL. In totale, quasi la metà dei migliori prospetti universitari fu ingaggiata dalla USFL. La rivista Sports Illustrated sollevò una domanda evidente: "Quanti altri giocatori come Rozier e Young l’NFL può permettersi di perdere?"
Nonostante il successo nel draft e l’ingaggio dei migliori talenti, il 17 gennaio, durante una riunione dei proprietari della lega a New Orleans, tornai a spingere per il cambiamento della stagione sportiva dalla primavera all’autunno. Con il nostro successo nell’attirare giocatori dall’NFL e nell’ingaggiare i migliori talenti universitari, il momento sembrava perfetto per fare questo passo. Propinsi un voto immediato sulla questione, ma i proprietari, restii a prendere decisioni difficili, optavano per un compromesso: costituire un comitato di pianificazione a lungo termine per esaminare la questione. Le comitati sono spesso lo strumento usato dalle persone insicure per procrastinare decisioni difficili, ma almeno la questione dell’autunno era finalmente stata posta in modo serio.
Nel frattempo, l'NFL iniziò a temerci. La prova più evidente di questa paura fu un incontro che la lega organizzò a Cambridge, Massachusetts, nel febbraio del 1984, per discutere il suo futuro e la minaccia rappresentata dalla USFL. Il seminario principale fu condotto dal rispettato professore della Harvard Business School, Michael Porter, che preparò un documento di quarantasette pagine intitolato “The USFL vs. the NFL”. Durante questa presentazione, Porter delineò un piano articolato per dichiarare guerra totale alla nostra lega, utilizzando numerose strategie anticoncorrenziali. Tra i suggerimenti, vi era quello di "dissuadere" la ABC dal proseguire il contratto televisivo con la USFL, incoraggiare la sindacalizzazione dei giocatori per aumentare i costi della lega e cercare di "comprare" i proprietari più influenti della USFL offrendo loro franchigie NFL. Anche se non eravamo ancora al corrente di questa campagna segreta, i segni di ostilità erano evidenti.
L'inizio della seconda stagione della USFL, nella primavera del 1984, non fu privo di difficoltà. Alcuni dei nostri proprietari più vulnerabili—specialmente quelli di Chicago, Washington, San Antonio e Oklahoma—cominciarono a trovarsi in difficoltà finanziarie. L’unico pericolo per la lega non era la perdita di qualche franchigia, ma il danneggiamento della nostra credibilità. Se le città più deboli avessero continuato a lottare con la scarsa affluenza, i giornalisti sportivi avrebbero continuato a concentrarsi su queste difficoltà, trascurando le squadre più forti. Allo stesso tempo, come temevamo, lo studio di pianificazione a lungo termine proseguiva con lentezza. La maggior parte dei proprietari aveva votato per assumere il consulente esterno McKinsey & Company per esaminare la questione della stagione primaverile-autunnale. McKinsey, pur essendo tra i migliori, non riuscì ad accelerare il processo. Il costo del loro studio—600.000 dollari—fu esorbitante e non portò a soluzioni rapide. Il risultato fu che, il 22 agosto 1984, Sharon Patrick di McKinsey presentò le sue conclusioni, che suggerivano di continuare a giocare in primavera, ridurre le spese e solo in futuro considerare il passaggio all’autunno. Personalmente, non dava molto peso ai sondaggi, che rivelavano una maggioranza di tifosi favorevoli a mantenere la primavera. La realtà era che, sebbene si potesse ridurre la perdita, non c'era alcuna possibilità di profitto a breve termine e molti proprietari non avrebbero potuto permettersi altre perdite. La decisione radicale di spostare la stagione in autunno divenne inevitabile.
A quel punto, fu avviata una causa antitrust contro l'NFL, accusandola di adottare pratiche anticoncorrenziali. Il nostro commissario, Chet Simmons, inviò una lettera al commissario NFL, Pete Rozelle, mettendo in chiaro che l’operato dell’NFL doveva essere conforme alle leggi che regolano la posizione dominante di mercato. In pratica, se ci avessero danneggiato ulteriormente, avremmo fatto causa.
Le trattative con le reti televisive, CBS e NBC, iniziarono a cambiare. Prima, entrambe le reti sembravano interessate a trattare per una trasmissione autunnale, ma dopo l'annuncio della nostra decisione di passare all'autunno, entrambe si ritirarono completamente. Era evidente che l'NFL esercitava pressioni enormi per evitare che le reti collaborassero con noi. L'ironia era che, pur perdendo milioni di dollari con i diritti televisivi dell’NFL, le reti non volevano rischiare di alienarsi la lega. Il football era lo sport di prestigio in televisione, e le reti accettavano la perdita come una strategia per restare competitive tra loro.
Nel frattempo, la USFL, privata di alleanze televisive decisive, non aveva altra scelta. Il 17 ottobre 1984, intraprenderemo una causa antitrust contro l'NFL, chiedendo danni per 1,32 miliardi di dollari e limitazioni sui contratti televisivi dell'NFL. La situazione era ormai insostenibile. La nostra unica speranza era una lotta legale che mettesse in evidenza l’abuso di posizione dominante da parte della NFL.
Per quanto riguarda la legge dell'offerta e della domanda, è importante sottolineare che non si tratta solo di un conflitto tra due leghe di football, ma di una manifestazione della lotta per il controllo delle risorse economiche e mediatiche che definivano l’industria sportiva. La USFL cercava di creare un nuovo modello, ma la concorrenza con un gigante come l’NFL portò a un inevitabile scontro con gli interessi economici consolidati. La lezione più grande che il lettore deve comprendere è che la battaglia per l'autonomia economica e la sostenibilità in un mercato dominato da colossi, come nel caso della USFL e dell’NFL, non si vince solo con buone intenzioni o con una forza innovativa, ma richiede anche alleanze strategiche, risorse enormi e una visione politica e legale solida. Il conflitto non fu solo sportivo, ma anche economico e mediatico, con la USFL che tentò di scardinare un sistema che, pur essendo obsoleto sotto molti aspetti, deteneva ancora il potere di determinare le sorti di un’intera industria.
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