L’adozione dei principi guida rappresenta una tappa cruciale nella costruzione di una partnership solida e duratura, poiché questi principi incarnano norme sociali fondamentali che regolano i comportamenti e assicurano l’allineamento tra le parti coinvolte. La loro definizione non può limitarsi a un semplice esercizio formale o burocratico: è essenziale dedicare tempo e attenzione alla comprensione profonda di cosa ciascun principio significhi concretamente e come influenzi le dinamiche tra le organizzazioni.

Un approccio collaudato prevede una fase preparatoria, durante la quale si utilizzano strumenti specifici, come il “Statement of Intent toolkit” disponibile presso l’Università del Tennessee, risorsa preziosa per strutturare il lavoro. In questa fase è utile coinvolgere non solo i membri principali del team ma anche altri stakeholder e rappresentanti della leadership, al fine di raccogliere input diversificati che tengano conto delle prospettive del cliente, delle strategie organizzative e della necessità di un consenso diffuso.

L’esame collettivo delle definizioni dei principi guida – reciprocità, autonomia, onestà, lealtà, equità e integrità – deve essere approfondito partendo da esperienze personali e professionali, indagando come questi principi si manifestano nella vita quotidiana e quali conseguenze derivino dal loro rispetto o dalla loro violazione in ambito lavorativo. Questa riflessione favorisce l’interiorizzazione dei valori sottesi e la consapevolezza del loro ruolo nel plasmare una relazione commerciale equa e sostenibile.

La reciprocità, ad esempio, implica un equilibrio nelle concessioni e negli investimenti di rischio; l’autonomia vieta l’uso del potere per favorire interessi unilaterali; l’onestà richiede trasparenza e veridicità; la lealtà esige fedeltà alla relazione in cui gli interessi di entrambe le parti sono considerati con pari importanza; l’equità richiede un’analisi critica della distribuzione delle risorse, andando oltre semplici divisioni aritmetiche; l’integrità chiede coerenza nelle decisioni e nelle azioni.

La formalizzazione di questi principi nel contratto attraverso una formulazione condivisa e chiara è la fase successiva, che si realizza mediante iterazioni volte a raggiungere il consenso. Il risultato finale, il Statement of Intent, deve essere integrato fisicamente nel documento contrattuale principale, preferibilmente all’inizio, per sottolineare il valore fondante di tali norme.

Oltre alla mera definizione e formalizzazione, è cruciale comprendere che i principi guida non sono un vincolo rigido, ma un insieme di norme sociali adattabili, fondate sulla fiducia reciproca e sulla volontà di cooperare in modo trasparente e rispettoso. Essi costituiscono una base essenziale per superare l’inevitabile incompletezza contrattuale, offrendo un quadro etico e comportamentale capace di sostenere la relazione nel tempo, anche in presenza di cambiamenti o imprevisti.

La scelta di un facilitatore terzo neutrale, esperto e imparziale, spesso facilita il processo, garantendo che le discussioni non diventino semplici formalità ma momenti autentici di dialogo e costruzione condivisa. Questo aiuta a evitare fraintendimenti e a promuovere un impegno reale verso i valori comuni.

La comprensione profonda dei principi guida permette inoltre di anticipare le dinamiche future del rapporto, migliorando la capacità di allineare interessi e aspettative nel momento di progettare gli specifici punti contrattuali. In questo senso, il loro ruolo si estende ben oltre la semplice cornice contrattuale, influenzando la cultura organizzativa e la qualità delle interazioni quotidiane.

Il rispetto delle norme sociali alla base dei principi guida è sostenuto anche da studi multidisciplinari che ne confermano l’importanza nella creazione di fiducia, cooperazione e successo collaborativo. Strategie come il “tit-for-tat” nei giochi di cooperazione dimostrano empiricamente come l’equilibrio e la reciprocità generino maggior valore e stabilità nelle relazioni.

In definitiva, l’adozione consapevole dei principi guida è una scelta strategica per qualsiasi partnership che ambisca a durare, evolversi e generare benefici condivisi, poiché permette di affrontare la complessità delle relazioni commerciali con una bussola etica e comportamentale chiara e condivisa.

La loro efficacia risiede nella capacità di tradurre norme sociali generali in impegni concreti e osservabili, che consolidano la fiducia e facilitano la risoluzione dei conflitti, rendendo più agevole il percorso verso obiettivi comuni e sostenibili.

Quale prevalenza hanno i principi guida o le clausole contrattuali nei contratti relazionali?

Quando le parti in un contratto relazionale concordano di seguire determinati principi guida, ma allo stesso tempo inseriscono clausole scritte che non sono allineate a tali principi, emerge un dilemma fondamentale: quale delle due componenti deve prevalere? La soluzione più semplice sembrerebbe quella di dichiarare esplicitamente nel contratto che le clausole concrete prevalgano sui principi guida. Tuttavia, questa scelta rischia di compromettere il valore complessivo dell’accordo, riducendo la fiducia reciproca e favorendo comportamenti opportunistici, come la cosiddetta "shading", ovvero l’adozione di condotte finalizzate a sottrarre valore o creare perdite alla controparte.

L’esperienza concreta con un contratto di outsourcing universitario evidenzia chiaramente questo problema. Sebbene le parti avessero adottato il principio di autonomia, l’avvocato dell’università insistette per includere una clausola di ampio respiro ("scope sweeper clause"), che il fornitore accettò riluttante, temendo di perdere l’accordo. Questo inserimento forzato di una clausola incongruente danneggiò immediatamente la fiducia del fornitore nell’impegno dell’università verso i principi guida. Successivamente, se si presentasse la necessità di servizi aggiuntivi non previsti, il fornitore si troverebbe in una situazione difficile: accettare una riduzione del proprio margine o sollevare la questione alla luce dei principi guida. Se l’università si rifugiasse nel rigore delle clausole scritte, ciò genererebbe frustrazione e aumenterebbe la probabilità di comportamenti opportunistici, vanificando lo scopo stesso di un contratto relazionale.

Il contratto relazionale, specie quando caratterizzato da dipendenze e rischi di medio-alto livello tra le parti, è concepito proprio per evitare tali rischi, e l’allineamento tra clausole e principi guida diventa cruciale. Qualsiasi tentativo di derogare da questa coerenza richiede un’attenta riflessione, poiché mette a repentaglio la solidità della relazione.

La transizione da clausole contrattuali tradizionali a quelle tipiche del contratto relazionale inizia portando al tavolo le persone giuste, capaci di confrontarsi con apertura e visione condivisa. Nel caso di Island Health e dei medici ospedalieri ("Hospitalists"), la creazione di un team multifunzionale di "Deal Architect" ha consentito di ripensare profondamente il contratto. La composizione del team, con rappresentanti amministrativi e medici affiancati da consulenti legali esterni, favorì un dialogo collaborativo e costruttivo.

Il lavoro congiunto si svolse attraverso incontri programmati e workshop facilitati da un esperto neutrale in contratti "win-win". L’approccio “two-in-a-box”, con coppie formate da un amministratore e un medico incaricate di sviluppare aspetti specifici dell’accordo, rafforzò ulteriormente le relazioni personali e professionali tra le parti. L’esperienza di condivisione di attività quotidiane, come la partecipazione di un dirigente amministrativo a un turno ospedaliero, contribuì a superare barriere culturali e a costruire comprensione reciproca.

Uno dei nodi cruciali affrontati fu la riformulazione del modello di remunerazione, tradizionalmente basato su pagamenti transazionali e spesso fonte di conflitti. Il dialogo aperto sulla limitatezza delle risorse e sulle restrizioni normative, unito alla volontà condivisa di trovare una soluzione che soddisfacesse entrambe le parti, permise di sviluppare un modello di finanziamento con componenti fisse e variabili gestite congiuntamente. Tale struttura trasmise un segnale forte: la sicurezza del posto di lavoro e l’autonomia gestionale erano riconosciute e valorizzate.

Un elemento chiave emerso durante il processo fu il valore del "Statement of Intent", che tradusse in clausole contrattuali l’impegno reciproco verso i principi guida e la visione condivisa. Questo documento divenne un riferimento costante, specialmente nelle situazioni di difficoltà, aiutando a evitare il ricadere in vecchi schemi conflittuali. Il clima di fiducia instaurato permise di superare la tradizionale rigidità negoziale e di creare un contratto che supportasse effettivamente la relazione e gli obiettivi comuni.

Oltre all’importanza di allineare le clausole al quadro relazionale e ai principi guida, è fondamentale riconoscere che il contratto scritto rappresenta solo una parte della relazione. La costruzione e il mantenimento di un rapporto di fiducia e collaborazione richiedono un impegno continuo, dialogo aperto e adattamento reciproco alle circostanze che mutano nel tempo. La rigida applicazione letterale delle clausole può distruggere questo equilibrio, mentre un approccio flessibile e orientato alla condivisione degli obiettivi protegge e valorizza il patrimonio relazionale creato.

Come Viene Applicato il Principio di Buona Fede nei Contratti Relazionali?

La buona fede, concetto tanto discusso nel campo dei contratti, gioca un ruolo cruciale nel colmare le lacune e nell'interpretare gli accordi in modo che riflettano le aspettative morali e comportamentali delle parti coinvolte. Sebbene non esista una definizione universale di buona fede, è chiaro che questo principio ha una funzione fondamentale nell’interpretazione dei contratti, specialmente quando il linguaggio contrattuale risulta ambiguo o quando alcune problematiche non vengono esplicitamente trattate.

Nel sistema giuridico britannico, ad esempio, la corte adotta un approccio metodologico per stabilire quando applicare la buona fede. Prima di tutto, esamina se il contratto può essere classificato come "relazionale", ossia se le parti hanno intrapreso un impegno a lungo termine e interdipendente. Nel caso di un contratto relazionale, infatti, non si guardano solo le clausole esplicite, ma anche i comportamenti delle parti, tra cui il principio di buona fede. Questo approccio è diverso da quello adottato negli Stati Uniti, in Germania o in Francia, dove il dovere di buona fede è un principio generale applicato a tutti i contratti. Nel Regno Unito, tuttavia, l’idea di un “continuum” di relazioni tra acquirente e fornitore – come teorizzato da studiosi come Ian Macneil e Oliver Williamson – è cruciale per comprendere che la portata della buona fede dipende dalla natura del rapporto commerciale.

In pratica, la buona fede serve a risolvere le ambiguità del contratto e a colmare eventuali vuoti. Sebbene concetti come i termini impliciti e altre dottrine legali possano svolgere la stessa funzione, la caratteristica distintiva della buona fede è la sua connessione con principi morali ed etici come onestà, lealtà e integrità. La corte, infatti, può invocare la buona fede per interpretare il linguaggio contrattuale e per risolvere le lacune, utilizzando tali principi come guida. Un esempio significativo è il caso Bates, in cui il comportamento della Posta Britannica è stato giudicato “oppressivo” e non conforme agli standard di trasparenza e cooperazione dovuti ai subpostmasters.

Tuttavia, rimane una domanda centrale: cosa significa realmente buona fede? E chi decide cosa sia buona fede? Non è essenziale che vi sia una definizione universale di buona fede. La libertà contrattuale, uno dei principi fondamentali, consente alle parti di determinare cosa significhi buona fede nel contesto del loro contratto specifico. Questa libertà permette di evitare l'incertezza, aggiungendo chiarezza a un concetto che, se lasciato vago, può generare disaccordi. In particolare, quando le parti contrattuali adottano sei principi guida – reciprocità, autonomia, onestà, lealtà, equità e integrità – essi forniscono una definizione più precisa di buona fede. Un contratto che integri questi principi consente alla corte o al tribunale di arbitrato di comprendere meglio le intenzioni delle parti e di applicare una definizione di buona fede concordata.

Tuttavia, alcuni critici sostengono che includere tali principi in un contratto formale sia ridondante, dato che questi principi sono già impliciti nel concetto di buona fede. Ma vi sono validi motivi per esplicitare tali principi: innanzitutto, la buona fede è un concetto vago e complesso, e formalizzare le aspettative comportamentali permette di evitare malintesi. Ad esempio, nel caso Bates, la corte ha rilevato che la Posta non aveva una visione condivisa di cosa significasse agire in buona fede. La redazione esplicita dei principi guida, pertanto, non solo aiuta le parti a comprendere il significato preciso del dovere di buona fede, ma facilita anche l'applicazione del contratto da parte di chi lo utilizza quotidianamente.

Un altro aspetto cruciale di un contratto relazionale formale è che non si tratta solo di un documento legale, ma diventa una sorta di manuale d'uso per le parti coinvolte. Quando le parti redigono un contratto in cui stabiliscono chiaramente le loro aspettative reciproche, il contratto diventa uno strumento vivo e operativo, piuttosto che un semplice insieme di clausole imposte da avvocati. In questo modo, il contratto non solo facilita la comprensione delle aspettative morali, ma offre anche un quadro operativo che guida le azioni delle parti durante la durata della relazione commerciale.

Inoltre, è essenziale non sottovalutare il fatto che anche le corti possono commettere errori interpretativi. Un contratto che espliciti le intenzioni delle parti riduce il rischio di malintesi e permette di evitare dispute che possano sorgere in seguito a decisioni giuridiche che non riflettano correttamente l’intento delle parti.

Infine, è importante comprendere che la buona fede non è solo un concetto giuridico, ma ha radici profonde nel sistema di norme sociali più ampio. La sua applicazione in un contratto relazionale mira a prevenire che una parte danneggi l’altra durante lo svolgimento dell'attività commerciale, creando un equilibrio tra i diritti e i doveri delle parti. La buona fede funge quindi da strumento per garantire che le relazioni commerciali non siano solo vincolate da obblighi legali, ma anche da principi morali che promuovono la fiducia e la cooperazione.