Nel febbraio del 2017, Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, si trovò al centro di una polemica riguardo alla sua visione del ruolo dei media, accusandoli di essere "nemici del popolo americano". Durante una conferenza stampa di 77 minuti, Trump criticò apertamente la copertura mediatica della sua amministrazione. Il giorno successivo, attraverso un tweet, dichiarò che i media "falsi" (come il New York Times, CNN, NBC News e altri) erano nemici del popolo americano, aggiungendo anche ABC e CBS alla lista. Il messaggio, purtroppo, non rimase invariato a lungo; venne infatti rimosso e successivamente ripubblicato con un’aggiunta che cambiava lievemente il contenuto. Nonostante la modificata formulazione, il messaggio rimase invariato nel suo nucleo: i media erano nemici della democrazia e della verità.

Un attacco simile non è nuovo. Nel passato, anche Richard Nixon aveva descritto la stampa come "nemica" durante il periodo dello scandalo Watergate. Tuttavia, il termine usato da Trump, "nemico del popolo", è particolarmente pericoloso, soprattutto quando si considerano le sue radici storiche. In effetti, questa frase è stata utilizzata in vari contesti autoritari, da parte di dittatori e regimi totalitari per legittimare la soppressione di oppositori politici e della libertà di espressione. La stessa frase venne usata dal governo romano contro l'imperatore Nerone, dal regime nazista per demonizzare gli ebrei e, successivamente, dal regime sovietico di Lenin e Stalin contro chiunque fosse ritenuto un nemico interno. Questi paralleli storici indicano chiaramente come l'uso di un linguaggio di questo tipo sia un segnale di autoritarismo in atto.

L'aspetto più inquietante della retorica di Trump è che essa non si limitava solo a denigrare le singole testate, ma costituiva un attacco diretto al cuore della democrazia: la libertà di stampa. La Costituzione degli Stati Uniti, nel Primo Emendamento, stabilisce che "congresso non farà alcuna legge... che limiti la libertà di parola o di stampa". Si tratta di un principio fondamentale che riconosce nella stampa uno dei pilastri della democrazia. Quando un presidente, o qualsiasi altro leader, minaccia o delegittima i media, sta indebolendo una delle libertà essenziali che garantiscono la vita democratica. È un attacco non solo alla verità, ma anche al diritto dei cittadini di essere informati in modo corretto e indipendente.

L'attacco di Trump alla stampa non è stato isolato, ma si è ripetuto nel corso degli anni. Nel febbraio 2019, ad esempio, dopo che il New York Times aveva pubblicato un reportage sulle sue manovre politiche, Trump tornò a definire il quotidiano "un vero nemico del popolo". Non fornì prove a supporto delle sue affermazioni, ma si limitò a ripetere la sua retorica distruttiva. Il suo attacco alla stampa, alimentato dalla convinzione che i media fossero una minaccia, ha avuto delle conseguenze tangibili, tra cui un crescente clima di ostilità verso i giornalisti, che spesso si sono trovati vittime di minacce e violenze. Alcuni hanno suggerito che le dichiarazioni di Trump incoraggiassero attacchi fisici contro i professionisti dell'informazione, sia a livello nazionale che internazionale.

Trump non si è limitato a criticare i media tradizionali. In un contesto più ampio, ha anche attaccato istituzioni come WikiLeaks, con il suo fondatore Julian Assange, che ha affrontato accuse legali per aver pubblicato informazioni ritenute dannose per il governo. In effetti, l'amministrazione Trump ha portato avanti il caso giudiziario contro Assange, minacciando di applicare la legge sull'Esionaggio, una mossa che molti esperti legali e attivisti per i diritti civili hanno interpretato come un attacco diretto alla libertà di stampa. L'accusa di spionaggio contro un editore è stata definita come un pericoloso precedente per la libertà di informazione negli Stati Uniti.

Nel contesto globale, il conflitto tra Trump e i media ha avuto risonanze in altri paesi. Mentre l’America vedeva attacchi ripetuti alla stampa libera, in altri angoli del mondo regimi autoritari hanno visto nel linguaggio di Trump un esempio da emulare. In paesi dove la libertà di stampa è già sotto attacco, la retorica del presidente degli Stati Uniti ha fornito un'ulteriore legittimazione alla repressione della stampa.

Il pericolo di questa dinamica non sta solo nella retorica, ma anche nel suo impatto reale sulla società. Un sistema in cui i giornalisti sono costantemente attaccati, minacciati e ostacolati, è un sistema in cui le informazioni affidabili vengono progressivamente soppiantate da narrazioni controllate e manipolate. Il dibattito pubblico diventa più povero, le opinioni vengono polarizzate e la capacità di fare scelte informate si indebolisce. In un tale scenario, la democrazia stessa rischia di vacillare, poiché il pubblico non è più in grado di accedere alla verità e di esercitare i propri diritti politici in modo consapevole.

La questione dell'attacco alla stampa non si limita all'adozione di un linguaggio autoritario o alla minaccia diretta contro i giornalisti. Si inserisce all'interno di un quadro più ampio che riguarda la salute della democrazia, la protezione dei diritti civili e l'importanza di mantenere un sistema politico trasparente e giusto. Proteggere la stampa significa proteggere il diritto alla verità, che è essenziale per la democrazia stessa. La sfida che i cittadini, le istituzioni e i giornalisti devono affrontare è quella di rimanere vigili e di difendere il valore inestimabile della libertà di stampa in un mondo sempre più minacciato dal populismo e dal potere autoritario.

Qual era il pensiero politico e filosofico di Voltaire e Rousseau nell’Illuminismo?

Francois-Marie Arouet, noto come Voltaire, incarnò l’essenza dell’Illuminismo francese come scrittore, filosofo, poeta, drammaturgo e storico. La sua opera, vasta e variegata, rappresenta un attacco deciso alla tirannia, al bigottismo e alla crudeltà, spesso irritando le autorità religiose e politiche del suo tempo. Voltaire si schierò come paladino dei diritti civili liberali, quali il diritto a un giusto processo, la libertà di parola e di religione, denunciando le ipocrisie e le ingiustizie dell’Ancien Régime. Pur apprezzando le idee di filosofi come Newton, Locke e Bacon, fautori di una società libera e commerciale, Voltaire manifestò una profonda diffidenza verso la democrazia, vista come veicolo di ignoranza e idiozia delle masse. Invece, sostenne l’idea di un dispotismo benevolo, simile a quello auspicato da Platone, come sistema per preservare l’ordine e la razionalità.

Voltaire, inoltre, non fu un ateo nel senso stretto, ma un deista razionale che condannava il fanatismo religioso e la superstizione. Sostenne la tolleranza religiosa pur mantenendo una critica severa verso cristianesimo, giudaismo e islam. La sua famosa espressione «Écrasez l’infâme» («Distruggete l’infame») rappresenta un invito a combattere le storture e le oppressioni derivanti dalla religione fanatica. Egli riteneva necessario un duplice livello di religione: una più razionale e pura per l’élite e una fede più drammatica per regolare le masse, un concetto che anticipò il culto del Supremo Essere durante la Rivoluzione Francese.

Jean-Jacques Rousseau, nato a Ginevra e immerso nel calvinismo, rappresenta un’altra figura cardine dell’Illuminismo, portatore di una visione più repubblicana e radicale. Con le sue opere principali, come il «Discorso sulle Scienze e le Arti» e il «Discorso sull’Origine e i Fondamenti della Disuguaglianza tra gli Uomini», Rousseau criticò lo sviluppo della civiltà come causa di corruzione morale e alienazione dell’uomo dalla sua natura originaria. Egli denunciò la disuguaglianza sociale generata da nobiltà e clero, che vivevano nel lusso mentre i contadini poveri sopportavano il peso delle tasse. Il suo pensiero anticipa teorie evoluzionistiche, sostenendo che per comprendere l’uomo occorre analizzare il suo sviluppo storico e sociale, non solo la sua condizione attuale.

Nel «Discorso sull’Economia Politica» Rousseau propone un rimedio alle ingiustizie, invitando gli individui a riconoscersi come parte integrante della società e a coltivare una libertà civile accompagnata da una libertà morale. L’idea è che l’identificazione con la patria porti un sentimento profondo di appartenenza e amore per essa, più forte dell’interesse personale isolato.

La sua opera culmina ne «Il Contratto Sociale» (1762), testo che afferma come la società debba essere fondata su un patto che consenta agli uomini di superare i limiti naturali e raggiungere un livello superiore di sviluppo. L’uomo nasce libero, ma ovunque è incatenato da leggi e costrizioni che vanno giustificate solo se rispettano la legge naturale e garantiscono l’ordine pubblico e la felicità individuale. Questa visione rivoluzionaria fece sì che il libro fosse proibito dalle autorità parigine, ma rimane un pilastro fondamentale del pensiero politico moderno.

È essenziale comprendere che Voltaire e Rousseau, pur appartenendo entrambi all’Illuminismo, rappresentano due posizioni distinte e talvolta contrapposte. Voltaire vede il progresso attraverso la ragione, la moderazione e un governo forte ma illuminato, mentre Rousseau pone l’accento sulla libertà individuale, l’eguaglianza e una più radicale trasformazione della società, sottolineando i pericoli della disuguaglianza e della perdita della natura umana autentica.

Inoltre, la loro critica alla religione non è semplicemente un rigetto della fede, ma una richiesta di razionalità, tolleranza e riforma, che tenga conto del ruolo sociale e politico della religione senza lasciarsi dominare dal fanatismo o dalla superstizione. Essi indicano l’importanza di un equilibrio tra libertà e ordine, tra ragione e sentimento, tra individuo e collettività, riflettendo così la complessità del pensiero illuminista.