In quale tipo di mondo si trovava Eric, pieno di angoscia? Non poteva credere che un luogo così esistesse. Doveva esserci qualcosa di meglio da qualche parte, un angolo del mondo, un rifugio più vicino al cielo. Era impossibile che una persona potesse sopportare di vivere in un mondo dove le madri mettono i propri figli nei cassonetti e se ne vanno, lasciandoli morire. Era un mondo in cui la violenza, l'abbandono e l'indifferenza regnavano incontrastati.

Quando Eric trovò la bambina nel bidone, capì subito che ciò che stava vedendo era inconcepibile. Lei era stata messa a testa in giù, il corpo magro scintillava alla luce del sole come latte, e su una delle natiche c'era un livido scuro. Eric sentì il cuore stringersi, la rabbia e la tristezza gli gonfiavano gli occhi di lacrime, ma non riusciva a piangere. Per un istante, tornò bambino e avrebbe voluto urlare, come quando era piccolo e impotente davanti alla sofferenza. Lanciò il bidone di lato e si inginocchiò, osservando come le gambe cedevano con un suono di metallo e polvere. I piedi erano sporchi. Allungò la mano per toccarle, ma la ritirò subito, un gesto che si tradusse in un repentino rifiuto di avvicinarsi ulteriormente a quella realtà disumana. Le cosce si contorcevano, e quando Eric guardò più attentamente, vide una piccola ciocca di capelli dorati. Non era un neonato, e saperlo lo colpì come un pugno nello stomaco. Era una ragazzina di circa dodici o tredici anni, forse denutrita, ma con un corpo che non tradiva troppi segni di fame. Eppure, i lividi sulle braccia e sulle gambe raccontavano una storia di violenza. Il pensiero che potesse essere stata vittima di abusi lo terrorizzava, e fu un momento che lo segnò indelebilmente.

Nonostante le sue paure, la ragazza si svegliò, si stirò e guardò Eric senza sorpresa. “Come sono finita qui?” chiese con voce flebile. Non sembrava né spaventata né confusa. La risposta alla sua domanda non venne mai, ma Eric sentì il bisogno di proteggerla. Non aveva mai avuto un padre, e in un mondo che sembrava aver dimenticato il suo valore, lei appariva come una figura incastrata in una realtà troppo grande per lei. La sua vita era stata un insieme di fughe e solitudine, di lotte per la sopravvivenza, ma in quel momento sembrava che qualcosa stesse cambiando. “Sono scappata da qualcuno… mi ha preso, mi ha picchiato…” aveva detto con una calma inquietante. Era il racconto di una ragazzina che sembrava aver vissuto troppo, ma che ancora non aveva perso quella scintilla di speranza.

Eric decise di prenderla sotto la sua ala protettiva. La portò a casa, la fece mangiare, e senza fare domande, le offrì la sua casa, anche se in cuor suo sapeva che non sarebbe mai stata una scelta facile per lei. La ragazza, Paula, mangiava come se non avesse mai visto cibo prima, ma non per fame fisica, piuttosto per una fame più profonda, quella di un’anima che cercava di ricostruire la propria identità dopo aver vissuto nel buio del rifiuto. Il suo corpo sembrava infinito nella sua necessità di nutrirsi, ma la sua mente restava distante, come se avesse imparato a proteggersi da un mondo che l’aveva già tradita troppo.

Nonostante l’indifferenza iniziale, Paula iniziò a comportarsi in modo diverso. Non appena si stabilì a casa di Eric, le chiese dei vestiti, cercando di adattarsi al nuovo ambiente, anche se ancora sembrava incerta e a disagio. Quando gli chiese se avesse qualche vecchio abito da prestarle, la sua richiesta non sembrò un capriccio, ma il segno di un bisogno di appartenere a qualcosa, di sentirsi come una persona normale, non più come un residuo di un mondo che l'aveva dimenticata. Eric, quasi senza pensarci, le comprò vestiti, cercando di darle una possibilità. Non sapeva cosa stava facendo, ma sapeva che la sua casa, la sua vita, la sua routine stavano lentamente cambiando in modo inesorabile.

La ragazzina si rivelò più intelligente e capace di quanto Eric avesse immaginato. Le affidò compiti di lavoro, piccole mansioni all'inizio, per poi proseguire con incarichi più complessi. Si destreggiava tra numeri e file come se fosse sempre stata un’esperta, ma dietro quella facciata di capacità, Eric intuiva il vuoto che Paula sentiva dentro di sé. Non era solo una questione di sopravvivenza fisica; era un’esistenza svuotata di certezze e di amore. La sua storia divenne quella di una giovane ragazza che, a modo suo, cercava di costruire qualcosa di solido tra le macerie di una vita distrutta dalla crudeltà.

In quel periodo, Eric cominciò a rendersi conto di quanto fosse cambiata la sua percezione della realtà. La presenza di Paula riempiva la sua casa di un’energia che lui non aveva mai conosciuto, ma che non riusciva a ignorare. In qualche modo, sembrava che il suo cuore avesse iniziato a battere di nuovo, a ritmo con quello di lei. Ogni sua risata, ogni sua parola, lo rendevano più consapevole della sua solitudine precedente. Il mondo che gli si era aperto davanti non era solo un riflesso di ciò che Paula stava cercando di fuggire, ma anche di ciò che lui aveva sempre cercato: una ragione per credere che la vita potesse essere qualcosa di più di una mera esistenza.

La sua esistenza stava diventando un cammino insieme, ma a quale prezzo? Eppure, più il tempo passava, più si rendeva conto che forse, forse, era proprio il bisogno di essere visti e di appartenere a qualcosa che legava in modo indissolubile le vite di Paula ed Eric. Ognuno di loro stava cercando di curare le ferite invisibili, ma nessuno dei due sapeva cosa sarebbe successo una volta che quelle ferite fossero guarite.

Chi è Godiva? Un'analisi delle sue motivazioni e il suo ruolo nell'oscurità di un mondo segreto

Il suo corpo sembrava fatto per la solitudine: alta, esile, con una postura che la rendeva una figura inquietante, sebbene irresistibile. Godiva, con la sua figura perfetta ma distaccata, vestiva sempre abiti lunghi e pesanti, come se volesse nascondere una parte di sé che, forse, neppure lei stessa voleva comprendere. I suoi tratti delicati, i lunghi capelli neri e la pelle morbida non sembravano corrispondere alla durezza della sua missione. Eric, tuttavia, non riusciva mai a capire completamente chi fosse davvero, un dubbio che lo tormentava frequentemente, ma che non osava mai risolvere. Non riusciva a percepire la sua personalità, come se fosse costruita apposta per non farlo. Godiva non parlava mai di sé, e ogni volta che qualcuno tentava di avvicinarsi, lei respingeva ogni tentativo con un silenzio impenetrabile. Forse, pensava Eric, la sua presenza aveva un solo scopo: rimanere un enigma, un fattore ignoto in un mondo dove ogni cosa, ogni mossa, ha un prezzo.

La sua altezza e la sua forma perfetta attiravano l'attenzione di chiunque fosse nelle vicinanze, ma non era solo la bellezza fisica a catturare lo sguardo. C’era qualcosa di più in quella donna, un'aura di mistero che sembrava circondarla costantemente. Gli occhi scuri, sempre fissi su qualcosa, non lasciavano mai trapelare un'emozione genuina. Non parlava mai per caso, non rideva mai, ma a volte, quando sorrideva, si poteva scorgere un accenno di qualcosa di inquietante, un sorriso che svelava una bocca perfetta di denti bianchi, ma che non comunicava alcun tipo di calore umano.

Godiva era un "reclutato privato" di Arthur Bingle, un uomo dalle ambizioni segrete e dalle alleanze non dichiarate. Eric sapeva che Godiva faceva parte di un piano, ma non sapeva quale fosse il suo ruolo esatto. Ogni volta che pensava a lei, una sensazione di repulsione e attrazione insieme lo pervadeva. La sua bellezza era spiazzante, ma qualcosa di oscuro la rendeva difficile da avvicinare. Eric non riusciva a non pensare che il suo ruolo nella vita di Bingle fosse di natura sessuale, ma presto si rendeva conto che questa non poteva essere la risposta. Godiva non era una donna come le altre. Non era una donna che si offriva, ma una che esisteva, come una pedina silenziosa in un gioco che nessuno comprendeva appieno.

Nella stessa stanza, altri uomini osservavano Godiva con lo stesso interesse, ma con modalità differenti. Farnsworth, un uomo di grandi dimensioni ma dalla mente acuta, non nascondeva il suo desiderio per lei. Per lui, Godiva rappresentava una forma di "carne" che stava lì per essere goduta, senza alcuna necessità di troppo impegno emotivo. Lui, così come altri uomini, vedeva solo una parte di lei: il suo corpo. Ma c’era molto di più, un mondo invisibile che pochi potevano percepire. Era come se tutti, pur riconoscendo la sua bellezza, stessero cercando di decifrare un codice che non riuscivano a comprendere, ma che continuavano a cercare.

Teuton, un uomo di piccole dimensioni ma con una forza straordinaria, era un altro osservatore di Godiva. Quando Eric lo presentò a Bob Turner, un nuovo membro dell’organizzazione, la reazione di Turner fu immediata: il suo corpo crollò davanti alla figura di Teuton. Un’ulteriore conferma che l’ambiente in cui si trovavano non era adatto a tutti. La sensibilità, come nel caso di Turner, poteva portare a una reazione fisica estrema. Teuton, ridendo di ciò che aveva appena visto, non sembrava prendere la cosa sul serio, ma era evidente che c’era una netta separazione tra chi poteva resistere e chi no.

Il mondo in cui vivevano queste persone, uomini e donne legati a forze oscure e a giochi di potere, era governato dalla paura, dal rispetto e dalla costante attesa di un passo falso. Era un mondo dove le apparenze erano ingannevoli, dove le alleanze erano fragile e, soprattutto, dove il valore di una persona non si misurava mai in base a ciò che mostrava in superficie. Godiva, come gli altri membri di quella rete segreta, doveva essere lasciata al suo posto, senza domande, senza interferenze. Il suo ruolo era stato definito, ma il suo scopo rimaneva un mistero.

Oltre alla figura enigmatica di Godiva, è importante riflettere sul contesto sociale e psicologico che si nasconde dietro la sua presenza. Il suo distacco e il suo comportamento freddo sono manifestazioni di un ambiente che richiede totale devozione a un obiettivo, senza spazio per emozioni superflue o legami affettivi. In un mondo dove il silenzio è la forma più potente di comunicazione, l'indifferenza di Godiva diventa il suo strumento di sopravvivenza. La sua bellezza, così evidente, nasconde il suo vero potere, che non è fisico, ma mentale e strategico.

Perché ci siamo? L'incontro tra il destino e la libertà

Il ristorante si trovava in una zona degradata. Era un luogo che lei aveva scelto di visitare. Gli scarti della società si aggiravano negli angoli o si appoggiavano al bancone; si infastidivano tra loro e con il barista. Ma questi scarti erano diversi. I loro vestiti erano puliti, i volti rasati, le parole stonate pronunciate con un accento preciso. I poliziotti presenti, invece, non erano altrettanto curati, né educati. Si appoggiavano vicino all’ingresso, osservando il biondo alto e la sua compagna. I loro sguardi, avidi, non si avvicinavano mai al tavolo dei due. Ogni tanto però, gli occhi dei poliziotti si spostavano su un altro tavolo dove cinque uomini giocavano a carte. Loro erano un avvertimento per i poliziotti. Il biondo e la sua compagna erano protetti, dovevano essere lasciati in pace.

Un vagabondo si piegò sopra la spalla di Paula e mormorò qualcosa.
"Dagli cinquanta dollari," disse a Eric.
"Così tanti?"
"Puoi permettertelo."
Il vagabondo prese i soldi e si diresse verso il bancone.

Paula appoggiò il mento su una mano.
"Perché hai detto che sono ingrata?"
"Ti ho tirata fuori da una spazzatura, ricordi?"
"Non l'hai fatto gratis. Non fai mai nulla senza un motivo."
"E c'è qualcosa di sbagliato in questo?"
"Nulla," rispose lei.

"Stai davvero bene stasera."
"Già. Non pensi che questo vestito argento stia bene in contrasto con gli altri abiti qui? Guarda quell'uomo lì vicino alla finestra. Ha un buco enorme nel cappotto. Sembra affamato. Ha un orologio Mickey Mouse. Il mio è tempestato di diamanti. Indossa sandali. Anch'io, ma i miei costano duecento dollari. Hai visto l'espressione disperata sul suo volto? Guarda il mio. Cosa vedi?"
"Come al solito, senza traccia di emozione."
"Non è un bel contrasto? Noti i contrasti tanto quanto me?"
"Mangia i tuoi spaghetti," rispose lui.
"Il poliziotto che gestisce questo posto ha un cuoco straordinario come parente. Siamo fortunati ad averlo trovato."
"Lo hai trovato tu."
"Ho un sesto senso. Come quando mi sono infilato in quella spazzatura sei anni fa. Sapevo che mi avresti trovato."
"Non me l'hai mai detto."
Rise.
"Non prendermi in giro," disse lui.
"Non ti sto prendendo in giro. Hai ragione, raramente faccio qualcosa senza una ragione. Ti ho tirato fuori da quella spazzatura senza motivo, ma non ti ho accudito per lo stesso motivo."
"Naturalmente no. Mi stai preparando a diventare tua moglie."
Lui si irrigidì.
"Se lo sapevi da sempre, perché hai finto che la cosa non ti interessasse?"
"Sei un uomo bellissimo. Gira appena la testa verso la luce. Un profilo perfetto. La natura è stata generosa con te."
"Vuoi dire che ti attraggo?"
"Ti dico che sei attraente."
"Non è la stessa cosa."
Le sue sopracciglia si abbassarono.
"No."
"Dannazione, Paula, dentro di te c'è un essere umano. Nessuno mai lo tirerà fuori?"
"Hai provato per anni."
Lui lasciò cadere la forchetta, la raccolse di nuovo.
"Significa che ho fallito."
"Non ne sei sicuro. Mi chiedo cosa faresti con me se ne fossi certo."
Maledisse tra sé.
"Puoi comprare cento donne. Quel tipo di amore non è fuori moda. È ancora un affare in piena espansione."
"Mi stai consigliando di vendermi altrove?"
Testa si girò al suo suono, e lei rise.
"Ti amo," disse lui. "E tu mi ami. Lo so."
Lei allungò la mano e toccò la sua.
"Mi hai insegnato più di chiunque altro. Senza di te non sarei mai stata certa di cosa fosse il mondo. Avrei vagato nel caos e sarei stata completamente inutile."
"Quando mi sposerai?"
La sua mano tremava.
"È tradizione che l'uomo faccia questa domanda. In questo caso però, dovrà essere l’altra parte a farla. Mi dispiace. Avresti dovuto trovare una ragazza normale in una spazzatura. Dovrai aspettare che sia io a chiedere."
Ora fu lui a tremare.
"Non ti smuovo affatto? Non ti faccio alcun effetto? Mi fai sentire come se avessi la testa girata di lato mentre io ti faccio sentire come una pietra."
"L'hai detto tu, non io."
Per un lungo minuto lui la guardò.

"Stai cambiando. Ultimamente ho notato che ti stai ammorbidendo. Ridi molto. Stai diventando più dolce. Forse è un buon segno. Anche il tuo corpo sembra diverso. Sembra più pieno. È la mia immaginazione o hai preso qualche chilo? Spero di sì. Eri troppo magra. C'è qualcosa che non va? Hai freddo?"
"Sì, improvvisamente mi sono gelata."

Tidy Crawford, con un grosso fazzoletto rosso, si asciugò la fronte.
"Non so perché un giovane come te si metta a inseguire una ragazza come quella, una statua bionda. È il tipo che ti divora le viscere. Ho detto qualcosa che ti ha sorpreso? Non importa, se ne è andata. È una cosa strana, e se non ti dispiace, parlo di questo per dimenticare e poter dormire la notte. So che inseguite le ragazze, ma non capisco perché, visto che non c'è nulla di brutto in te. Ma questo è un altro discorso. Il gigante che ho visto... era un tipo duro, e sono andato via subito dopo averlo visto."

Gli occhi di Tidy si accendevano mentre parlava. Il suo racconto sembrava provenire da una realtà lontana, dove la resistenza umana, le sue contraddizioni e la sua capacità di trasformare anche l’amore più distruttivo in qualcosa di apparentemente giusto, venivano mescolati in un vortice di storie e misteri. Ogni angolo di quella scena raccontava una storia di vita e morte, un continuo oscillare tra il desiderio di fuga e il richiamo delle proprie radici. Come se, a un certo punto, le parole perdessero di significato e ci fosse solo la necessità di guardare e capire attraverso l’esperienza vissuta.

Qual è il prezzo della sopravvivenza in un mondo senza leggi?

Era un trucco semplice, quello di spaventare le persone fino a farle svuotare le tasche. Il mercante, però, era arrabbiato di nuovo. Non solo stava notando sempre più spesso i due stranieri, l'Orientale e il suo amico alto, ma in più tre dei suoi dipendenti erano scomparsi. Restavano solo sette da raccogliere alla porta quando arrivavano gli esseri strani. Maledetti esseri, sempre a cercare di imbrogliare. Pazzia pura. Ultimamente avevano preso l'abitudine di indossare lunghe mantelle nere che li facevano sembrare una banda di vampiri. Quel pensiero faceva rabbrividire il mercante. Forse quegli esseri avevano preso l'abitudine di succhiare sangue. Niente li faceva rabbrividire. Bastava una mitragliatrice, e il mercante era sempre pronto a usarla quando l'ora degli esseri arrivava. Un uomo doveva essere preparato, se voleva farcela nel mondo. Il mercante non aveva paura, avrebbe tagliato a pezzi quegli esseri in qualsiasi momento avessero deciso di diventare ostili. Ma loro non lo facevano mai. Ogni volta che entravano nel locale, alcuni anche a quattro zampe, sembravano selvaggi ed esplosivi, ma si calmavano non appena vedevano i materassi sul retro.

Il mercante non guardava mai gli esseri mentre si avvicinavano ai materassi. Non aveva lo stomaco per farlo. Ma si chiedeva: perché le persone non tenevano meglio d'occhio i loro figli? C'era un vecchio essere che faceva la stessa cosa ogni volta che veniva nel locale Nod. Strisciava sul suo ventre come un serpente, si contorceva e strisciava fino al materasso più vicino, per cercare un bambino che fosse vicino alla morte. Sempre ce n'era uno al limite, pronto a passare oltre. Il vecchio essere aveva un buon senso interiore e sapeva riconoscere la differenza tra una crisi minore e quella pausa che precedeva la caduta nel buco finale. Non voleva un bambino che si sarebbe svegliato alla luce del giorno. Quello che faceva era raccogliere il corpo prossimo alla morte, piangere su di esso. Per ore, si lamentava e singhiozzava, rivivendo qualche dolore, reale o immaginario.

Era l'unico adulto a sopravvivere alla notte. Non venivano mai inviti per il linciaggio. O forse era una festa? Arrivavano le tre, le quattro, le cinque del mattino, e con l'alba cominciava un nuovo giorno per i bambini violentati e le ragazze travolte, ma nessun altro aveva voce per raccontarlo. Durante la notte, i vicini della zona circostante avevano afferrato i loro beni e se ne erano andati. Coloro che possedevano un udito sensibile erano scappati nei vicoli, correndo furtivamente e freneticamente. Era strano. Non c'era alcun rumore dopo le due di notte, nessun suono, non nel locale Nod. Molti rumori c'erano altrove, ma il rifugio del mercante conosceva il silenzio della tomba una volta arrivata l'ora fatidica. Forse l'udito dei vicini era come quello dei cani. Condizionati dai tempi pericolosi, avevano sviluppato un ulteriore meccanismo di difesa. Chi avrebbe avuto bisogno di un'udito ordinario per sapere quando il fantasma con la falce stava ululando per la strada?

Comunque, all'alba tutti erano stati sistemati. Dietro il locale Nod giacevano dodici bare allineate fianco a fianco. Tutto ciò che serviva per riempirle era stato un po' di disattenzione nel "junking". Il "junk" era una piccola pila di polvere. Un po' di stricnina, un po' di zucchero del latte, una miniatura di Equus, e la quarta dimensione era a portata di mano. Lì, una persona non trovava né posto, né cosa. Era la terra benedetta dell'Alto. Troppo di uno dei due ingredienti poteva mandare un'anima nella bara. Il mercante e i suoi discepoli erano andati giù; troppo del primo ingrediente, esecutore diabolico, strano senso dell'umorismo.

Lo stesso esecutore organizzò una festa in un tunnel della metropolitana abbandonato. Piccolo ma potente, prese in prestito la mitragliatrice del mercante e la piazzò tra un paio di binari. Poi aspettò il ritorno delle persone che vivevano lì. Al loro arrivo, le mutilò in sei pezzi, tranne un vecchio il cui vizio era quello di piangere per i bambini sofferenti.

Eppure, questo non era l'inizio di una nuova società. Piuttosto, si trattava della progressiva scomparsa di quella che una volta poteva essere stata una civiltà. Le persone non erano più disposte a combattere per un mondo migliore, e la sopravvivenza stessa era diventata il centro di un esistenza senza regole. Si era persa ogni traccia di civiltà, e ciò che restava era solo un riflesso stanco di quello che un tempo era stato un sistema sociale. Ogni giorno, i sopravvissuti lottavano per sfuggire a un destino di miseria che sembrava non avere fine. Il mondo sembrava ruotare intorno al caos, con ogni piccolo gesto di umanità che veniva soppresso, annientato da una violenza che si nutriva della paura.

Il senso della giustizia, quello che in passato aveva dato un ordine alle cose, ora sembrava appartenere a un passato lontano, sepolto sotto le rovine di una società che non si curava più del prossimo. In questo contesto, chi riusciva a mantenere un briciolo di speranza o di empatia era destinato a soccombere. Chi poteva, si arrendeva alla durezza della vita, cercando di salvare il proprio spirito mentre tutto intorno crollava.