Le statistiche sull'occupazione nel settore STEM suggeriscono che i lavoratori di queste professioni siano generalmente soddisfatti del loro lavoro. Tuttavia, quando si analizzano più da vicino i dati, si scopre che la realtà potrebbe non essere così semplice. I lavoratori STEM, infatti, non sono necessariamente più soddisfatti dei loro colleghi che lavorano in settori non-STEM. Sebbene le aziende facciano ogni sforzo per attrarre e mantenere questi professionisti altamente qualificati, le aspettative per una soddisfazione lavorativa eccezionale si scontrano spesso con una realtà che rivela alcune criticità.
I dati mostrano che la soddisfazione dei lavoratori STEM è in genere positiva, ma non è priva di ambiguità. Prendiamo, ad esempio, un campione che raccoglie informazioni sui lavoratori STEM da varie categorie: scienziati biologici, matematici, scienziati fisici, ingegneri e occupazioni informatiche. I risultati delle indagini evidenziano che tra il 40,9% (nelle occupazioni informatiche) e il 45,5% (tra i matematici) dei lavoratori STEM si dichiarano "molto soddisfatti" del loro lavoro. Tuttavia, questa soddisfazione non è condivisa da tutti. Una parte significativa dei lavoratori, tra il 45,9% e il 49,1%, è "abbastanza soddisfatta" ma non completamente. In altre parole, quasi metà dei lavoratori STEM trovano qualcosa di insoddisfacente nel loro lavoro, e un numero significativo si trova nella fascia di insoddisfazione moderata.
Anche se questi numeri potrebbero sembrare incoraggianti per chi investe nell'educazione STEM, c'è una dimensione più complessa da considerare. In effetti, i lavoratori non-STEM sembrano essere altrettanto soddisfatti, se non di più, dei lavoratori STEM. Secondo i dati raccolti, i laureati in settori non-STEM, pur con piccole differenze, presentano una percentuale più alta di soddisfazione "molto alta" (46,2%), mentre quelli nel settore STEM si aggirano intorno al 40%. Questo solleva interrogativi sul valore percepito di questi lavori. Se i lavoratori non-STEM sono così soddisfatti, perché ci si aspetta che quelli STEM siano più entusiasti?
Un altro punto interessante riguarda la differenza tra le aspettative e la realtà del mercato del lavoro. La promozione e la visibilità delle professioni STEM come settori d'eccellenza alimentano l'idea che chi lavora in questi campi dovrebbe essere particolarmente felice e appagato. Tuttavia, quando si analizza la soddisfazione lavorativa dei singoli, emerge che le aspettative non sempre corrispondono alla realtà del posto di lavoro. Infatti, non è raro che i lavoratori STEM siano delusi dalla mancanza di opportunità di crescita o dalla natura transitoria dei loro contratti. L'elevato turnover nel settore tecnologico è solo un altro indicatore della difficoltà di trattenere i lavoratori a lungo termine.
Il processo di assunzione in ambito STEM merita una riflessione a parte. Nonostante la carenza di competenze nel settore, molte aziende preferiscono reclutare esternamente piuttosto che promuovere i propri dipendenti. Questo approccio può risultare frustrante per i laureati STEM, che si trovano ad affrontare un processo di selezione che non sempre riconosce appieno il valore delle loro competenze o esperienze precedenti. In molti casi, i lavoratori STEM si ritrovano a dover costruire una propria "marca personale" per attrarre l'attenzione dei datori di lavoro, utilizzando piattaforme online come LinkedIn, Stack Overflow o GitHub. Questo approccio competitivo e individualista può far sentire i lavoratori come se fossero dei "liberi professionisti" piuttosto che membri di un'organizzazione stabile.
L'importanza del branding personale nell'assunzione è un aspetto significativo: i lavoratori STEM devono non solo possedere competenze tecniche, ma anche essere in grado di comunicarle efficacemente. Questo è particolarmente evidente nelle professioni tecnologiche, dove la competizione è agguerrita e i datori di lavoro sono costantemente alla ricerca di nuovi talenti. Tuttavia, il fatto che molti lavoratori, anche altamente qualificati, non riescano a trovare un posto che li soddisfi appieno, dimostra che il mercato del lavoro, in particolare per le posizioni STEM, non è privo di difetti. La mancanza di allineamento tra le esigenze del mercato e le aspettative dei lavoratori può compromettere la soddisfazione a lungo termine.
In definitiva, i lavoratori STEM non sono più soddisfatti rispetto ai non-STEM come spesso si crede. La realtà del posto di lavoro STEM può essere complessa, con molteplici fattori che influenzano la percezione della soddisfazione lavorativa. Nonostante il continuo miglioramento delle opportunità di formazione e delle politiche aziendali per attrarre e mantenere i talenti, le aziende non sempre sono in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze e alle aspettative dei lavoratori, creando una disconnessione tra le potenzialità del settore e l'effettiva soddisfazione di chi ci lavora.
La precarietà del lavoro nel settore STEM: tra illusioni di stabilità e realtà economiche
Nel contesto odierno, la carriera nel settore STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica) è spesso considerata sinonimo di stabilità, alta retribuzione e opportunità in continua espansione. Tuttavia, la realtà del lavoro in questo campo è ben più complessa e, in molti casi, precaria. Nonostante il crescente bisogno di professionisti altamente qualificati, il settore è segnato da una fragilità strutturale che rende anche i lavoratori STEM vulnerabili a condizioni lavorative instabili.
Un aspetto centrale della precarietà nel settore STEM è la crescente tendenza a ricorrere a contratti temporanei e a professionisti freelance, piuttosto che a impiegati a tempo indeterminato. Se da un lato il contratto a termine può sembrare un'opportunità per acquisire nuove competenze e lavorare su progetti diversi, dall'altro porta con sé incertezze e rischi legati alla mancanza di garanzie a lungo termine. La posizione di lavoratore autonomo può sembrare attraente per chi ha competenze richieste e rare, come i data scientist o i chief financial officer, ma la verità è che per molti altri, questa condizione si traduce in uno stato di continua instabilità, con la paura costante di essere sostituiti da una forza lavoro più economica.
Il passaggio dal lavoro dipendente a quello da freelance ha portato con sé non solo la promessa di maggiore libertà, ma anche l'esperienza di disuguaglianza e sfruttamento. Molti lavoratori STEM si ritrovano a lottare per ottenere una posizione stabile e rispettata, mentre si trovano a essere trattati come risorse usa e getta, spesso ignorati dai superiori e relegati a ruoli marginali. In alcuni casi, i manager che si occupano di questi contratti a termine sono percepiti come incompetenti, con una gestione inefficace che peggiora ulteriormente l'esperienza lavorativa.
Ma la precarietà del lavoro nel settore STEM non è solo una questione di contratti a breve termine o di cattiva gestione. È una conseguenza diretta delle pressioni economiche imposte dagli investitori e dagli azionisti, che privilegiano la flessibilità e i profitti a breve termine rispetto alla sicurezza dei lavoratori. La tendenza delle aziende a esternalizzare il lavoro, assumendo professionisti a basso costo o riducendo il numero di dipendenti, è alimentata dalla ricerca di un rendimento rapido, spesso a discapito della qualità e della stabilità del lavoro. Questo fenomeno, che ha radici profonde nell’economia moderna, sta creando un ciclo di sfiducia e disconnessione tra i datori di lavoro e i lavoratori STEM, dove l'aspettativa di una carriera stabile è destinata a infrangersi contro la realtà di una costante incertezza.
Gli effetti collaterali di questa situazione sono molteplici. Da una parte, si osserva una crescente migrazione di talenti dal settore STEM verso altri campi, come la medicina o la gestione aziendale, in cerca di maggiore stabilità e opportunità. Dall’altra, la fuga di cervelli e la scarsità di professionisti nel settore alimentano il mito di una "crisi delle competenze", che porta a un ulteriore abbassamento degli standard educativi e delle opportunità per i giovani laureati. Il problema, però, non risiede tanto nell’educazione, quanto nel fatto che le competenze acquisite dai laureati STEM diventano rapidamente obsolete in un mercato in continua evoluzione. L’innovazione tecnologica è un elemento centrale nella vita di un lavoratore STEM, ma la stessa innovazione che porta a nuovi progressi e a soluzioni all’avanguardia, rende rapidamente obsoleti i metodi e le conoscenze di pochi anni prima.
Un aspetto cruciale da comprendere è che, nel contesto di un’educazione STEM che continua a evolversi, molti professionisti si trovano a dover affrontare una sorta di "treadmill" delle competenze. Ogni avanzamento tecnologico richiede una costante formazione, e i lavoratori STEM devono essere pronti a investire tempo ed energie per rimanere competitivi. Tuttavia, questa continua necessità di aggiornamento non è sempre supportata adeguatamente dai datori di lavoro. Le aziende spesso non offrono programmi di riqualificazione per i propri dipendenti, lasciando a questi ultimi l’onere di rimanere al passo con l’evoluzione del mercato, con il rischio che le loro competenze diventino obsolete troppo velocemente.
La situazione si complica ulteriormente quando si considera che le politiche educative e le politiche aziendali tendono a concentrarsi solo sulla formazione di nuovi talenti, trascurando l’importanza di aggiornare le competenze di chi è già nel mercato del lavoro. Investire nell’educazione STEM è essenziale, ma è altrettanto importante garantire che questa educazione sia utile per tutta la durata della carriera professionale di un individuo. La chiave per un ritorno sull’investimento positivo nell’educazione STEM risiede nella capacità di adattare e aggiornare costantemente le competenze richieste dal mercato, altrimenti il rischio è quello di creare una generazione di lavoratori altamente qualificati ma comunque vulnerabili alle oscillazioni del mercato del lavoro.
È quindi fondamentale che le aziende riconoscano il valore di un lavoro stabile e soddisfacente per i propri dipendenti, offrendo opportunità di aggiornamento continuo e cercando di ridurre il ricorso a contratti precari e sfruttamento. Allo stesso modo, i lavoratori STEM devono essere consapevoli che la loro carriera potrebbe essere influenzata non solo dalle loro competenze, ma anche dalle dinamiche economiche e aziendali che determinano la domanda e l’offerta di lavoro.
Perché le Aziende Non Investono in Formazione per i Loro Lavoratori?
La formazione dei lavoratori è uno degli aspetti più critici per il progresso di un'impresa, ma nonostante i suoi indiscutibili vantaggi, molte aziende si rifiutano di investire nei propri dipendenti. Questo fenomeno non riguarda solo piccole imprese, ma anche colossi del settore tecnologico come Google e Microsoft, che, sebbene spendano ingenti somme in formazione per migliorare la propria immagine e aumentare i profitti, sono riluttanti a formare i propri lavoratori interni. Il motivo principale di questa scelta risiede nell'approccio "short-termista" che domina la cultura aziendale.
Le aziende, infatti, sono maggiormente incentivate a massimizzare il valore per gli azionisti a breve termine, spesso a scapito di investimenti a lungo termine come la formazione. Questo fenomeno è un chiaro riflesso della cultura dominante, dove i lavoratori sono visti più come una risorsa da sfruttare temporaneamente piuttosto che come un capitale umano da sviluppare nel tempo. Secondo Becker, economista che ha studiato questi fenomeni, le aziende tendono a investire nella formazione solo se le competenze acquisite sono strettamente specifiche per quella determinata impresa, come nel caso di tecnologie o pratiche aziendali esclusive. In questo modo, la formazione diventa un investimento che l'azienda può recuperare, evitando che il lavoratore, una volta formato, vada a lavorare per la concorrenza.
Nonostante queste dinamiche, è evidente che l'approccio "compra" piuttosto che "costruisci" non è sempre vantaggioso. Sebbene acquistare competenze esterne possa sembrare una soluzione rapida per colmare le lacune, i costi di assunzione di nuovi dipendenti sono considerevoli e non garantiscono che il nuovo lavoratore sia sempre migliore di uno già formato internamente. Un'analisi ha mostrato che i dipendenti formati internamente sono più fedeli all'azienda e meno propensi a lasciare l'impresa, riducendo i costi legati al turnover.
Tuttavia, le aziende non sembrano essere disposte a superare i vari ostacoli che impediscono loro di intraprendere una strategia di formazione interna. Secondo lo studioso Jason Wingard, le principali barriere sono rappresentate dalla priorità di ottenere profitti immediati, dalla preferenza per altre strategie aziendali e dalla cultura aziendale che tende a favorire la velocità di assunzione rispetto alla lentezza della formazione. Anche i leader aziendali, influenzati dalla logica delle performance finanziarie immediate, vedono l'investimento in formazione come un rischio, temendo che i lavoratori possano lasciare l'impresa non appena acquisiranno competenze utili altrove. Questo comportamento non fa che alimentare un circolo vizioso di disinteresse verso la formazione, mentre i dipendenti, vedendo scarso investimento nelle loro competenze, sono più inclini a cercare nuove opportunità altrove.
A livello globale, le differenze tra gli Stati Uniti e l'Europa sono evidenti. Secondo uno studio della McKinsey, mentre i dirigenti europei sono favorevoli a una strategia di formazione continua, con una percentuale significativa che supporta l'idea di "riqualificazione" dei dipendenti, i dirigenti americani preferiscono in gran parte l'assunzione esterna per colmare le lacune nelle competenze. La logica di "comprare" competenze sembra più radicata negli Stati Uniti, dove le aziende tendono a trattare la formazione come una questione secondaria rispetto alla ricerca di nuove assunzioni. Questo contrasto rispecchia differenze culturali profonde, dove in Europa la formazione continua dei lavoratori è considerata una priorità strategica, mentre negli Stati Uniti l'approccio è più focalizzato sul ricambio rapido della forza lavoro.
Un altro aspetto da considerare è la prospettiva dei lavoratori stessi. Se le aziende non investono nella formazione, i dipendenti si trovano a dover sviluppare le proprie competenze in modo autonomo o a trasferirsi altrove. Questo porta alla riduzione del ritorno sugli investimenti pubblici nella formazione STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica), con molti lavoratori che decidono di abbandonare il settore non appena acquisiscono esperienza, poiché le aziende non sono disposte a supportarli nel loro percorso di crescita professionale.
È quindi fondamentale riconoscere che, sebbene le aziende possano pensare che l'acquisto di competenze esterne sia una soluzione economica, esse si trovano ad affrontare costi elevati e incertezze nel momento in cui nuovi dipendenti non si rivelano all'altezza delle aspettative. La formazione interna, d'altro canto, rappresenta un'opportunità per fidelizzare i lavoratori, migliorarne le performance e, a lungo termine, ottenere benefici economici tangibili.
Il sistema attuale, che privilegia l'assunzione esterna rispetto alla formazione interna, sta accelerando il fenomeno del turnover e riducendo la capacità delle aziende di sviluppare risorse umane a lungo termine. Per invertire questa tendenza, è essenziale che le imprese rivedano il proprio approccio alla gestione del capitale umano, adottando una visione più orientata al lungo periodo, dove la formazione diventa un investimento e non una spesa.
Perché le aziende tecnologiche stanno trasformando il lavoro in STEM in un mestiere privo di significato morale
Le piattaforme tecnologiche e i social media sono diventati strumenti di diffusione di contenuti estremamente polarizzati, contribuendo in modo significativo alla diffusione di odio e conflitto. Secondo Joseph Bak-Coleman e i suoi colleghi, che hanno studiato questo fenomeno, gli algoritmi utilizzati per raccomandare contenuti in base alle presunte preferenze individuali degli utenti possono creare un feedback che rende sempre più estremi sia i gusti degli utenti che il tipo di contenuto a cui sono esposti. Questo tipo di dinamica può avere effetti trasformativi, alterando le preferenze e i valori degli utenti stessi e portando alla radicalizzazione.
Facebook, come uno degli esempi più emblematici, ha dimostrato come la ricerca di engagement, basata sulla diffusione di contenuti provocatori e divisivi, possa avere conseguenze devastanti. Durante la distribuzione dei vaccini COVID-19 nel 2021, per esempio, gli articoli più visualizzati sulla piattaforma erano quelli che collegavano la vaccinazione alla morte, anziché al virus. Sebbene l’algoritmo di Facebook fosse direttamente responsabile di questa distorsione della realtà, la leadership dell'azienda non sembrava preoccupata per il danno causato, poiché la rabbia generata da questi contenuti serviva a vendere più pubblicità. In effetti, le recensioni delle performance dei lavoratori e le loro retribuzioni dipendevano da quanto riuscivano a mantenere attiva questa "macchina dell'indignazione".
Nonostante il danno evidente, alcuni dipendenti hanno sollevato delle obiezioni morali. Nel 2020, BuzzFeed riportò le dimissioni di importanti figure all'interno dell'azienda, che accusavano la leadership di Facebook di permettere la diffusione di contenuti violenti e di odio. Una persona, che lavorava nella divisione "Violence and Incitement" (violenza e incitamento), dichiarò che gli sforzi per fermare i contenuti dannosi erano completamente vanificati dalle forze interne che favorivano la produzione di contenuti dannosi. Un altro ingegnere di software, Max Wang, rivelò in un video che lasciava l'azienda per ragioni morali, sostenendo che Facebook stesse danneggiando le persone su larga scala e che i suoi fallimenti fossero stati consacrati nelle politiche aziendali.
Anche quando contenuti politici estremi, come quelli di Donald Trump, incitavano alla violenza, Facebook non interveniva, mentre Twitter applicava etichette di avvertimento. Il caso di Trump è emblematico: un suo post che incitava alla violenza contro i manifestanti del movimento Black Lives Matter rimase su Facebook, nonostante la piattaforma fosse consapevole del suo contenuto incitante. La gestione di tali situazioni ha ulteriormente minato la fiducia dei lavoratori nei confronti della leadership.
Un caso particolarmente devastante per l'immagine dell'azienda è stato quello di Sophie Zhang, una scienziata dei dati di Facebook, che, dopo essere stata licenziata, ha scritto una lunga lettera di 6.600 parole in cui denunciava gli effetti perniciosi della piattaforma sulla politica globale. Zhang ha spiegato che, come parte del team "Site Integrity" di Facebook, le sue decisioni avevano avuto un impatto su presidenti nazionali e che era stata costretta a ignorare manipolazioni antidemocratiche da parte di governi di vari paesi. Secondo lei, Facebook aveva dato priorità ai problemi di pubbliche relazioni rispetto alla protezione della democrazia, esponendo il mondo a manipolazioni politiche e violazioni della privacy.
Questi episodi sono solo alcuni dei tanti esempi che evidenziano come i lavoratori nel settore tecnologico possano affrontare forti stress morali. Il caso di Kickstarter, la piattaforma di crowdfunding, è altrettanto illuminante: dopo che la leadership aveva annullato il supporto a un progetto anti-razzista, i dipendenti si erano sollevati, manifestando indignazione per il fatto che la compagnia cedesse alle pressioni di media di destra. Questa situazione mette in luce una delle problematiche fondamentali per i lavoratori nelle aziende tecnologiche: il senso di impotenza di fronte a decisioni aziendali che non solo danneggiano il loro benessere, ma anche quello della società.
È essenziale comprendere che non è necessario che un'azienda supporti direttamente cause come la violenza o la repressione politica per causare stress morale ai propri dipendenti. Spesso, modelli di business che promuovono l'edonismo, l'autosufficienza o l'uso compulsivo di giochi elettronici sono sufficienti a creare dissonanze etiche. La domanda che ci dobbiamo porre, quindi, è perché tante aziende del settore tecnologico, nonostante abbiano a disposizione un capitale umano altamente qualificato, non utilizzano le competenze in STEM per affrontare i problemi urgenti e globali.
La risposta risiede principalmente nei poteri economici che guidano queste imprese: gli investitori. Questi ultimi, infatti, sono la forza motrice dietro molte delle decisioni che disincentivano le aziende a fare scelte che possano davvero contribuire al miglioramento sociale o alla risoluzione dei grandi problemi globali. Invece, si tende a concentrarsi sulla massimizzazione dei profitti e sull'espansione del mercato, spesso a scapito del bene collettivo e del benessere degli individui.
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