L’utilizzo di tensioni acceleratrici elevate nei microscopi elettronici a scansione (SEM) comporta sia vantaggi sia svantaggi che incidono significativamente sulla qualità dell’immagine e sull’integrità del campione. Un aumento della tensione acceleratrice porta a un incremento del volume di interazione tra il fascio di elettroni e il campione, permettendo al fascio di penetrare più in profondità nel materiale. Questo fenomeno incrementa la quantità di elettroni retro-diffusi, che possono contribuire al segnale rilevato dal rivelatore di elettroni secondari. Di conseguenza, sebbene si possa ottenere una maggiore intensità del segnale, la risoluzione spaziale dell’immagine tende a diminuire, poiché le informazioni raccolte derivano da regioni più ampie e meno superficiali.
Parallelamente, l’accumulo di cariche elettriche sulla superficie del campione, noto come “charging”, rappresenta un problema non trascurabile, soprattutto per materiali isolanti o con bassa conducibilità. Questo fenomeno genera artefatti visivi nell’immagine, distorcendo la rappresentazione reale della superficie. Inoltre, l’energia più elevata degli elettroni può causare un riscaldamento locale del campione, con conseguente rischio di alterazioni o danni irreversibili alla struttura analizzata.
Un altro parametro cruciale nel controllo della qualità dell’immagine è la dimensione del “spot” elettronico, ovvero il diametro del fascio elettronico sulla superficie del campione. Un aumento della dimensione dello spot comporta un maggior numero di elettroni nel fascio, producendo un’immagine più luminosa, ma a discapito della risoluzione spaziale, che diminuisce per la minore definizione del punto di scansione. Questo bilanciamento tra luminosità e dettaglio è fondamentale nella pratica microscopica per ottimizzare le condizioni di osservazione in base alla natura e alla finalità dell’analisi.
Il concetto di “working distance” (WD), ovvero la distanza tra la sommità del campione e la parte inferiore della colonna del SEM, rappresenta un altro elemento determinante. Per immagini ad alta risoluzione, il WD è mantenuto generalmente entro 10 mm, poiché distanze maggiori riducono la divergenza del fascio e aumentano la profondità di campo, ovvero l’intervallo spaziale in cui il campione appare a fuoco. Rispetto ai microscopi ottici tradizionali, i SEM garantiscono una profondità di campo notevolmente superiore, facilitando l’osservazione di superfici con morfologie tridimensionali complesse.
Nel caso della microscopia elettronica a trasmissione (TEM), la natura dell’interazione tra elettroni e campione cambia radicalmente. Qui, gli elettroni ad energia molto più elevata attraversano il campione, consentendo ingrandimenti superiori e risoluzioni dell’ordine di 0,1 nm o inferiori. La risoluzione è direttamente correlata alla lunghezza d’onda degli elettroni, che diminuisce all’aumentare della tensione acceleratrice, secondo relazioni quantistiche ben definite. La preparazione del campione in TEM assume una rilevanza cruciale: per consentire il passaggio degli elettroni, esso deve essere estremamente sottile, spesso nell’ordine di poche centinaia di nanometri, e disposto su griglie metalliche rivestite da film trasparenti agli elettroni, come quelli di carbonio poroso.
Il TEM utilizza molteplici lenti elettromagnetiche, più numerose rispetto al SEM, che agiscono in due stadi principali: il primo focalizza il fascio dopo la diffusione sul campione per formare un’immagine primaria, mentre il secondo la ingrandisce ulteriormente fino alla formazione dell’immagine finale, proiettata su uno schermo fosforico o acquisita da sofisticate camere digitali. Le tecniche di imaging a campo chiaro (“bright-field”) e campo scuro (“dark-field”) offrono modalità complementari per l’analisi strutturale: la prima esalta le differenze di assorbimento o diffusione elettronica che appaiono come regioni scure o chiare, mentre la seconda enfatizza le aree di diffusione diffusa, evidenziando difetti o disomogeneità con un contrasto superiore.
In aggiunta, la possibilità di combinare SEM con tecniche di analisi elementare come la spettroscopia a dispersione di energia dei raggi X (EDX) amplia notevolmente il potenziale informativo dello strumento, permettendo non solo l’osservazione morfologica, ma anche la caratterizzazione chimica dei materiali.
È fondamentale comprendere che il compromesso tra risoluzione, luminosità, profondità di campo e integrità del campione è alla base della scelta delle condizioni operative nei microscopi elettronici. La corretta preparazione del campione, il controllo preciso dei parametri di fascio e la conoscenza approfondita dei fenomeni fisici alla base dell’interazione elettrone-materiale sono elementi imprescindibili per ottenere immagini affidabili e informazioni dettagliate, indispensabili in molti ambiti della ricerca scientifica e industriale.
Quali sono le proprietà e le strutture degli ossidi binari non stechiometrici dei metalli di transizione?
La comprensione degli ossidi binari non stechiometrici dei metalli di transizione, come TiO, VO, ZnO, MnO, FeO, CoO e NiO, è fondamentale per approfondire la chimica dello stato solido. Questi materiali si caratterizzano per difetti strutturali e non stechiometricità che ne influenzano le proprietà fisiche e chimiche, in particolare la conduttività elettrica, la stabilità termica e le proprietà magnetiche.
Gli ossidi di tipo A e B, che presentano un eccesso di metallo, sono particolarmente significativi in quanto l’eccesso metallico viene incorporato nella struttura cristallina in posizioni interstiziali. Questo fenomeno è evidenziato da una figura che mostra due modalità principali di compensazione della carica: nella prima, gli elettroni associati a un difetto di anione possono essere localizzati, mentre nella seconda, gli atomi interstiziali si ionizzano liberando elettroni che si associano a cationi vicini, riducendoli a stati di ossidazione inferiori. Un esempio classico è l'ossido di cadmio (CdO), che presenta una struttura di tipo B, con ioni Cd2+ che migrano in posizioni interstiziali e si riducono a Cd+ o addirittura a atomi di Cd. Analogamente, quando l'ossido di zinco (ZnO) viene riscaldato, si verifica una perdita di ossigeno, creando vuoti ossido e spostando ioni Zn2+ in posizioni interstiziali, dove si riducono anch'essi.
Al contrario, gli ossidi di tipo C presentano una carenza di metallo, ma compensano questa mancanza con anioni interstiziali. La compensazione della carica avviene tramite la creazione di due ioni M3+ per ogni anione interstiziale, con ciascuno di questi ioni che possiamo concepire come M2+ associato a un "buco positivo". Questa configurazione è fondamentale per la comprensione delle proprietà elettroniche e della stabilità strutturale di questi materiali.
Per quanto riguarda gli ossidi monossidi dei metalli di transizione, la conduttività elettrica dipende da due fattori contrastanti: da un lato, l'overlap degli orbitali d degli atomi di transizione, che genera una banda elettronica e consente la delocalizzazione degli elettroni; dall'altro, la repulsione interelettronica che tende a localizzare gli elettroni sugli atomi individuali. Ad esempio, TiO e VO si comportano come conduttori metallici grazie alla buona sovrapposizione degli orbitali d, mentre MnO, FeO, CoO e NiO sono isolanti, poiché la contrazione degli orbitali d impedisce una sovrapposizione sufficiente, riducendo la larghezza della banda elettronica.
Inoltre, quando si tratta di ossidi non stechiometrici, l'eccesso di metallo deve essere bilanciato da un'adeguata compensazione di carica. Gli ossidi di tipo A e B si comportano come semiconduttori di tipo n, in cui la conduzione è garantita dagli elettroni liberi che si spostano attraverso la rete cristallina. Al contrario, in ossidi come il Cu1−xO, che presenta un difetto del tipo catione, la conduzione avviene tramite "buche" positive nel bandgap, rendendolo un semiconduttore di tipo p.
Questi ossidi non stechiometrici non possono essere descritti facilmente con la teoria delle bande, poiché la localizzazione degli elettroni dovuta alla repulsione interelettronica non consente la delocalizzazione necessaria. Per questo motivo, la conduzione in questi materiali è meglio spiegata tramite il concetto di "hopping" (salto), dove gli elettroni si spostano da un sito all'altro sotto l'influenza di un campo elettrico. Questo processo è meno energetico rispetto al salto tra stati di valenza ben distinti in un cristallo ionico perfetto, grazie alla presenza di più stati di valenza disponibili.
La conducibilità "hopping" può essere descritta matematicamente attraverso l'equazione di diffusione, che dipende dall'energia di attivazione del salto. L'equazione evidenzia che la mobilità delle cariche è un processo attivato che dipende dalla temperatura e che la conducibilità aumenta con essa. Di conseguenza, la conducibilità elettronica di questi materiali segue un comportamento tipico dei semiconduttori, dove la temperatura agisce come un fattore chiave nel determinare la mobilità degli elettroni.
Un aspetto interessante di questi ossidi non stechiometrici è che la densità degli elettroni liberi non dipende dalla temperatura, ma solo dalla composizione cristallina, che è un aspetto che li distingue dai semiconduttori convenzionali. La teoria del "hopping" consente di spiegare anche il comportamento di conduzione senza dover fare ricorso alla teoria delle bande, poiché la localizzazione degli elettroni sulle posizioni di difetto o sugli atomi rende difficile la delocalizzazione su larga scala.
La comprensione di questi fenomeni è cruciale non solo per applicazioni tecnologiche in elettronica e magnetismo, ma anche per comprendere come i difetti strutturali possano alterare le proprietà fisiche dei materiali. La possibilità di manipolare questi difetti attraverso trattamenti termici, dopaggio e altre tecniche apre a nuove strade per la progettazione di materiali con proprietà elettriche e magnetiche desiderabili.
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