La riforma fiscale del 2017, nota come Tax Cuts and Jobs Act (TCJA), ha rappresentato un punto di svolta per l’economia statunitense. La combinazione di riduzioni dell’imposta sul reddito personale e, soprattutto, dell’aliquota fiscale per le imprese ha introdotto un doppio stimolo – sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta – che ha prodotto effetti tangibili sulla crescita economica, sull’occupazione e persino sulla dinamica dell’economia globale.
Nei mesi successivi all’entrata in vigore della riforma, la crescita del PIL reale negli Stati Uniti si è avvicinata al 4% su base annualizzata nel secondo e terzo trimestre del 2018. Tale impulso è stato chiaramente sostenuto da una politica fiscale espansiva, che ha incluso l’aumento delle spese militari, della spesa pubblica per consumi e degli investimenti, oltre a un ambiente favorevole all’innovazione e alla crescita della produttività, con un incremento sensibile negli investimenti in capitale ICT e nel numero di brevetti.
L’occupazione ha registrato miglioramenti rilevanti. Il tasso di disoccupazione è sceso a livelli storicamente bassi in tutte le fasce etniche, riflettendo una ripresa ampia e diffusa del mercato del lavoro. Ciò ha avuto anche un impatto positivo sui salari reali, sia per i lavoratori qualificati che per quelli non qualificati, grazie alla piena occupazione che ha esercitato una pressione al rialzo sui salari. Alcuni ostacoli strutturali per gli immigrati, pur persistenti, si sono rivelati meno gravi di quanto previsto da precedenti analisi pessimistiche: l'accesso crescente all’imprenditoria e all’istruzione superiore da parte della seconda generazione di immigrati mostra segnali incoraggianti, pur nella necessità di un sostegno finanziario più mirato e un contenimento dei costi universitari, tema che tuttavia non è stato affrontato dalle politiche dell’Amministrazione Trump.
La riforma fiscale ha avuto effetti indiretti anche sul piano globale. Secondo l’analisi del Consiglio dei Consulenti Economici (CEA) degli Stati Uniti, guidato da Kevin Hassett, la riduzione del costo del capitale ha favorito un aumento degli investimenti, che a sua volta ha generato effetti positivi sulle aspettative di crescita globale. L’aggiornamento dell’IMF del 2018 ha evidenziato come metà dell’aumento previsto del tasso di crescita mondiale fosse attribuibile ai cambiamenti nella politica fiscale statunitense. Un modello autoregressivo globale ha mostrato che una riduzione dell’1% delle tasse negli Stati Uniti, in rapporto al PIL, può generare un incremento della crescita nell’Unione Europea e nel resto del mondo vicino all’1% nell’anno successivo, con un impatto massimo a due anni.
Le stime del Congressional Budget Office (CBO) sono state riviste al rialzo: la crescita per il 2018 è passata dal 2,0% al 3,3%, e quella per il 2019 dall’1,5% al 2,4%. Non solo: l’impatto previsto della crescita sull’aumento delle entrate fiscali da imposta societaria nel periodo 2018–2027 è stato rivisto a +476 miliardi di dollari, superando il costo statico stimato della riforma.
L’aumento degli investimenti fissi aziendali, in particolare negli asset intangibili come la proprietà intellettuale, è stato marcato: nel primo trimestre del 2018, l’investimento in strutture è salito del 16,2%, mentre quello in proprietà intellettuale del 13,2%. L’intero settore dell’investimento privato fisso ha raggiunto, in quel periodo, il valore più alto come percentuale del PIL dal 2008.
Tuttavia, non mancano i rischi. Il rapporto debito pubblico-PIL, già elevato, potrebbe trasformarsi in una fragilità sistemica qualora i tassi di interesse continuino a salire, aggravando il peso del servizio del debito. Questo rischio è acuito dalla struttura delle scadenze dei titoli del Tesoro statunitense, generalmente più corte rispetto a quelle di paesi europei come Germania e Francia.
Un elemento che merita un’attenzione particolare è l’effetto di imitazione che le politiche statunitensi generano in altri paesi. Quando la principale economia mondiale adotta una misura che stimola la crescita, una parte rilevante del resto del mondo tende a seguire un orientamento simile, innescando un effetto moltiplicatore globale. Tale meccanismo non si limita all’effetto aritmetico derivante dalla quota del PIL mondiale detenuta dagli Stati Uniti, ma coinvolge dinamiche più complesse legate a fiducia, trasmissione di politiche e dinamiche finanziarie internazionali.
È fondamentale anche comprendere che l’aumento della produttività, indotto da investimenti facilitati dalla riforma, può generare effetti a lungo termine sull’economia statunitense. Un’espansione del capitale intellettuale, accompagnata da incentivi all’innovazione e da un mercato del lavoro tendenzialmente pieno, può determinare una crescita sostenibile se supportata da una gestione oculata del debito pubblico e da politiche redistributive efficaci per ridurre le disuguaglianze.
Brexit, Populismo e la Trasformazione Economica Globale: Quali Implicazioni per gli Stati Uniti e l'Europa?
La comparazione tra gli Stati Uniti e l’Europa è sempre affascinante e, sebbene le differenze possano sembrare marcate, un’analisi attenta dell’economia dimostra che il divario tra il reddito per capita effettivo nell’Unione Europea (EU15) e gli Stati Uniti è sorprendentemente ridotto. Questo suggerisce che gli Stati Uniti potrebbero imparare tanto dall’Europa quanto l’Europa dagli Stati Uniti, con la Svizzera che emerge come un punto di riferimento su molte questioni economiche. Tuttavia, un problema globale che entrambi i continenti affrontano è la disuguaglianza digitale, una sfida che richiede soluzioni concertate a livello internazionale.
In questo scenario, l’Europa non è priva di instabilità. Le proteste politiche radicali in Francia e in altri paesi dell’UE, insieme alla crescente visibilità del populismo, indicano che la regione sta attraversando un periodo di transizione e di incertezze politiche. L’Unione Europea, in particolare, subisce gli effetti di eventi come la Brexit e le politiche protezionistiche adottate dagli Stati Uniti sotto la presidenza di Donald Trump. Il mondo post-2025 potrebbe essere fondamentalmente diverso, con una crescente tendenza al nazionalismo e una maggiore instabilità geopolitica, simile alle rivalità delle grandi potenze della fine del XIX secolo.
Per quanto riguarda le visite personali negli Stati Uniti, la mia esperienza risale al 1990. Durante il mio soggiorno come McCloy Distinguished Research Fellow presso l’AICGS/Johns Hopkins University, gli Stati Uniti stavano attraversando gli ultimi anni dell’amministrazione Reagan, con il presidente George H.W. Bush che cercava di rafforzare il ruolo di leadership americana nel mondo occidentale. Questo periodo coincideva con eventi cruciali, come la riunificazione della Germania e il coinvolgimento degli Stati Uniti nella Guerra del Golfo. L’esperienza di quegli anni mi ha fornito una prospettiva diretta sulla politica americana, che ha continuato a evolversi con le amministrazioni successive, inclusi Clinton, Bush Jr., Obama e infine Trump.
Anche se il sistema politico americano è noto per la sua complessità, esso ha caratteristiche che lo rendono uno degli esempi di riferimento per molti paesi che cercano riforme. L’America è una nazione che, per decenni, ha incarnato l’ideale di una terra aperta, multiculturale e ricca di opportunità. Tuttavia, tra le generazioni più giovani, si sta diffondendo un crescente scetticismo riguardo alle opportunità reali: le tasse universitarie e i costi per gli alloggi nei campus sono proibitivi, mentre i salari di partenza per i laureati di università meno prestigiose sono spesso insufficienti.
Nel corso degli anni, ho avuto il privilegio di fare numerose ricerche e di partecipare a presentazioni in vari istituti, tra cui l’AICGS/Johns Hopkins University, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Una delle esperienze più formative è stata il mio intervento al Senato degli Stati Uniti nel 1990, che ha rappresentato una prova importante delle mie capacità nel condividere le mie analisi con i politici di uno dei sistemi politici più influenti al mondo.
Con l’elezione di Donald Trump e l’introduzione di politiche protezionistiche, gli Stati Uniti stanno intraprendendo una strada che potrebbe avere ripercussioni globali. La sua amministrazione ha dato un segnale chiaro riguardo alla sua visione economica, concentrandosi sul rafforzamento del mercato interno e riducendo l’impegno internazionale degli Stati Uniti. Le politiche commerciali e le relazioni internazionali, infatti, potrebbero subire cambiamenti radicali con effetti significativi sull’economia globale.
Questo libro mira a esplorare i motivi che hanno portato al successo elettorale di Trump e gli effetti delle sue politiche commerciali sull’Europa e sul resto del mondo. La sua visione economica ha mostrato come le grandi decisioni politiche degli Stati Uniti abbiano ripercussioni dirette su moltissimi paesi, dall’Europa alla Cina, dal Canada al Messico. La crescente ondata di populismo che accompagna l’amministrazione Trump ha, inoltre, un impatto che va oltre i confini degli Stati Uniti, influenzando anche la politica europea e quella di altre regioni del mondo.
Con la crescente polarizzazione politica e la sfida del populismo, i principi che hanno governato l’economia globale per decenni – liberalizzazione delle società e delle economie, applicazione delle scoperte scientifiche e cooperazione internazionale – sembrano essere messi in discussione. In particolare, l’era della prosperità globale che ha caratterizzato gli ultimi decenni potrebbe essere giunta al termine. Le politiche di Trump sembrano puntare a un modello di governo che potrebbe essere definito bonapartista, un ritorno al nazionalismo e a una visione geopolitica più isolazionista.
È interessante notare che la visione populista di Trump non si limita agli Stati Uniti, ma ha un impatto globale, estendendo la sua influenza sull’Europa, sull’America Latina e su altre regioni economiche. Questo porta a una riflessione importante: la disuguaglianza e l’instabilità economica, che si manifestano anche attraverso il fenomeno della digitalizzazione e le disparità sociali, sono problemi comuni a livello globale. Gli Stati Uniti, con la loro dimensione economica, non possono agire in isolamento senza implicazioni per il resto del mondo. La sfida è, dunque, globale e richiede una risposta congiunta da parte delle principali potenze economiche.
La riflessione finale riguarda il modo in cui la politica e l’economia si intrecciano in un mondo sempre più interconnesso. Sebbene le soluzioni possano sembrare complesse e lontane dalla realtà, l’importanza di affrontare queste sfide con un’ottica transnazionale è essenziale. Il dialogo transatlantico, che ha per lungo tempo caratterizzato le relazioni tra Europa e Stati Uniti, deve essere rinforzato, e sarebbe auspicabile l’inclusione di paesi asiatici, come la Cina, in una cooperazione globale più ampia.
Gli Effetti Economici della Politica Protezionistica e Fiscale negli Stati Uniti: Un'Analisi Critica
Il commercio globale è da sempre un motore fondamentale per la crescita economica, ma l'introduzione di politiche protezionistiche ha avuto un impatto significativo sulle dinamiche economiche, specialmente negli Stati Uniti. I dati empirici, come quelli raccolti da Kutlina-Dimitrova nel 2018, mostrano chiaramente che le regole di approvvigionamento pubblico che si configurano come protezionismo non solo portano a inefficienza, ma determinano anche una perdita di posti di lavoro complessivi. Nonostante questi risultati, l'amministrazione Trump sembrava determinata a implementare una politica di "compra americano", ignorando le implicazioni negative a lungo termine per l'economia degli Stati Uniti e per i suoi partner commerciali. Il protezionismo, infatti, non si è mai rivelato una soluzione efficace a lungo termine, ma viene spesso adottato per motivi politici di breve periodo, come dimostra l'approccio della presidenza Trump.
Una delle principali motivazioni di Trump per la sua politica protezionistica è stata la convinzione che i dazi sulle importazioni, in particolare quelli imposti alla Cina, potessero giovare all'economia statunitense. Sebbene alcune analisi, come quella di Zoller-Rydzek e Felbermayr nel 2018, suggeriscano che gli Stati Uniti potrebbero ottenere un beneficio economico di 18 miliardi di dollari dai dazi cinesi, questi calcoli si limitano a un numero ristretto di effetti economici. Non si prendono in considerazione variabili cruciali, come gli effetti sugli investimenti diretti esteri degli Stati Uniti e la riduzione della redditività delle filiali statunitensi in Cina, che sono il risultato diretto di tali tariffe. Un modello macroeconomico più ampio, che consideri anche questi fattori, suggerisce che i dazi unilaterali degli Stati Uniti sulla Cina potrebbero avere un effetto negativo sul benessere economico del paese.
Nel discorso inaugurale del gennaio 2017, Trump ha dipinto un quadro di debolezza dell'economia statunitense, esprimendo la necessità di una nuova politica economica. Parole come "L'establishment ha protetto se stesso, ma non i cittadini del nostro paese" risuonavano come un attacco alle élite economiche, ma non sembravano essere basate su una valutazione realistica della situazione economica del paese. Gli Stati Uniti nel 2016 stavano già raggiungendo il pieno impiego e avevano registrato una solida crescita economica nel biennio 2015-2016. L'affermazione di Trump, quindi, sembrava una visione distorta della realtà, forse più orientata alla costruzione di un messaggio politico che a una diagnosi economica accurata.
La politica fiscale espansiva adottata da Trump, che ha incluso tagli fiscali e aumenti della spesa pubblica, ha avuto un impatto diretto sul debito pubblico. Nel 2018, la spinta fiscale di Trump ha portato a un’espansione economica, ma anche a un aumento del deficit del bilancio federale, con il rapporto debito/PIL che ha raggiunto livelli preoccupanti. Questo approccio ha rispecchiato una logica espansionistica pro-ciclica, il che significa che, invece di concentrarsi sulla riduzione del debito durante un periodo di crescita, l'amministrazione ha optato per una spesa maggiore e una riduzione delle tasse. Tuttavia, questa politica ha sollevato interrogativi, in quanto generalmente l'economia consiglia di mantenere bassi i deficit durante i periodi di espansione, in modo da avere più spazio per manovre fiscali durante le recessioni.
La risposta della Federal Reserve agli aumenti della spesa è stata l'innalzamento dei tassi d'interesse, come previsto dalla regola di Taylor, che impone l'aumento dei tassi in caso di aumento della capacità produttiva e dell'inflazione. L'espansione fiscale, sebbene stimolasse la crescita, ha avuto l'effetto collaterale di far salire l'inflazione e ha spinto la Fed ad aumentare i tassi di interesse, il che ha ridotto gli investimenti e le esportazioni nette. Così, la politica fiscale di Trump è risultata essere altrettanto contraddittoria rispetto alla sua politica commerciale, rendendo difficile per gli economisti spiegare come queste scelte possano portare a un successo economico duraturo.
In sostanza, l’approccio economico adottato dall’amministrazione Trump sembra non solo incoerente, ma anche potenzialmente dannoso per la stabilità economica degli Stati Uniti. La politica fiscale espansiva in tempi di crescita economica ha aumentato il rischio di un deterioramento delle finanze pubbliche, mentre le politiche commerciali protezionistiche hanno aggravato le tensioni globali senza generare benefici a lungo termine per il mercato interno. Il dilemma che gli Stati Uniti si trovano ad affrontare è legato a una visione a breve termine delle politiche economiche, che non tengono conto degli effetti collaterali a lungo termine. Pertanto, è essenziale per i responsabili politici adottare strategie che bilancino la crescita sostenibile e il mantenimento di un’economia globalmente integrata, piuttosto che perseguire approcci che potrebbero rivelarsi autolesionisti nel lungo periodo.
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