Le Foreste Tropicali Secche (TDF) rappresentano un ecosistema unico, una formazione vegetale che emerge nelle zone tropicali e subtropicali, caratterizzate da una stagione secca prolungata. Questa vegetazione, pur essendo strettamente legata ai biomi tropicali, ha peculiarità ecologiche che la distinguono nettamente dalla foresta tropicale umida. La piovosità annua in queste aree non supera i 1100 mm, e la stagione asciutta, definita come il periodo in cui le precipitazioni mensili sono inferiori a 100 mm, dura per almeno 5-6 mesi (Murphy e Lugo 1986; Gentry 1991). Tuttavia, questo intervallo climatico non è universale, e le foreste tropicali secche possono variare notevolmente in base alla durata della stagione asciutta e alla distribuzione delle precipitazioni.

Alcuni autori, come Gerhardt e Hytteborn (1992), hanno suggerito che il periodo secco possa durare fino a sei mesi in alcune aree, con piogge che vanno dai 400 ai 1700 mm annui. Questo fenomeno, noto anche come "stagione di siccità" o "stagione secca", è una delle caratteristiche distintive delle foreste tropicali secche, le quali non dipendono tanto dalla quantità complessiva di precipitazioni, quanto dalla severità della stagionalità. Ciò implica che le foreste tropicali secche siano meno influenzate dalla piovosità annua e più dalla durata e intensità della stagione secca.

Uno degli aspetti più intriganti delle TDF è la presenza di "foreste sotterranee". Questi ambienti, che si sviluppano in particolari condizioni pedologiche, sono caratterizzati da suoli difficilmente penetrabili per l'acqua a causa di orizzonti sabbiosi superiori che sovrastano strati di argilla pesante o una crosta duripara. In alcuni casi, questi orizzonti superiori sono così compatti che limitano la penetrazione delle radici, favorendo una vegetazione di tipo geoxilico, che cresce principalmente sottoterra. Tali vegetazioni sono rappresentate da suffrutici che rispuntano ogni anno dopo la stagione di siccità, dimostrando un'evoluzione adattativa a condizioni ambientali particolarmente severe. Le piante geoxiliche, come il Dichapetalum cymosum in Africa o Andira humilis in Sud America, sono esempi tipici di questa formazione vegetale.

La foresta tropicale secca, pur essendo meno diversificata in termini di biodiversità alpha rispetto alle foreste pluviali tropicali, mostra una notevole diversità filogenetica. Questo tipo di foresta è un rifugio per numerose specie endemiche, che si sono adattate a condizioni particolarmente difficili. In alcune regioni, come la Caatinga in Brasile o il Maputaland in Sud Africa, le TDF sono caratterizzate da un’elevata endemicità, con piante che si sono evolute in modo unico in risposta a condizioni di aridità e suoli poveri.

Le TDF sono anche caratterizzate dalla presenza di una flora decisa, che durante la stagione secca perde le foglie, ma in alcune regioni si trovano anche piante semi-decidue o persino sempreverdi. Questo comportamento fenologico è adattivo, poiché permette alle piante di conservare le risorse idriche durante i periodi di siccità. Le foreste tropicali secche presentano inoltre un’abbondante presenza di succulente, tra cui piante della famiglia delle Cactaceae e della Euphorbiaceae, che sono in grado di immagazzinare l'umidità e sopravvivere in condizioni di scarsità d'acqua.

La differenza principale tra le TDF e le savane tropicali risiede nella mancanza di un sottobosco erboso continuo. Mentre le savane sono dominate da erbe, le foreste tropicali secche sono meno erbacee, con una maggiore presenza di arbusti e piante legnose resistenti alla siccità. Alcuni ecosistemi, come quelli di Maputaland, sono classificati come "pedobiomi" piuttosto che biomi veri e propri, poiché la loro vegetazione è strettamente legata alla particolare struttura del suolo e alle condizioni ecologiche locali.

Questa distinzione tra TDF e savanne è cruciale per comprendere il ruolo ecologico di queste formazioni vegetali. Le TDF non solo forniscono habitat per specie che si sono evolute per adattarsi a condizioni di aridità, ma sono anche fondamentali per la conservazione di alcune delle specie più rare e vulnerabili. Le caratteristiche fisiche e chimiche del suolo, insieme alla struttura vegetale e alla fenomenologia stagionale, determinano la distribuzione e la composizione della fauna e della flora in questi ecosistemi.

Infine, è importante notare che le TDF sono spesso minacciate dalle attività umane. La deforestazione, il pascolo e l'agricoltura intensiva minacciano questi ecosistemi unici, che sono già vulnerabili a causa delle loro condizioni ambientali difficili. La comprensione delle dinamiche ecologiche delle foreste tropicali secche è quindi essenziale per la loro conservazione e per la gestione sostenibile delle risorse naturali.

Come le zone alpine temperate e i biomi di montagna si connettono alle zone climatiche globali

Il termine "alpine" viene comunemente utilizzato per indicare quegli ecosistemi situati oltre la linea degli alberi, ma la sua applicazione va oltre una semplice descrizione geografica. Questo termine, infatti, è un esempio di "para-bioma", un gruppo informale che raccoglie ecosistemi simili in termini geografici, ecologici e fisiognomici, pur non essendo un bioma nel senso stretto del termine. Esempi di "para-biomi" sono anche il "bioma tropicale", il "bioma temperato", il "bioma forestale" e il "bioma delle praterie". Sebbene il termine "alpine" sia ampiamente usato per facilitare il confronto tra diverse aree geografiche, come mostrato anche dal lavoro di Testolin et al. (2020), non basta ad esaurire la complessità dei biomi di montagna.

La classificazione degli ambienti alpini è tutt'altro che univoca. In primo luogo, le zone alpine, sebbene condividano caratteristiche morfologiche e climatiche, si trovano distribuite in vari contesti climatici globali. Questi ecosistemi alpini non si limitano a differenziarsi per le condizioni bioclimatiche, ma anche per le modalità di assemblaggio della flora, che può essere influenzata da fattori evolutivi differenti in ogni regione del mondo.

La presenza di biomi alpini nelle montagne dei Tropici, come nel caso delle Ande e dell'Himalaya, presenta un contrasto significativo rispetto ai biomi di montagna delle zone temperate. In queste regioni, le dinamiche di temperatura e precipitazioni che accompagnano l'aumento dell'altitudine sono nettamente differenti da quelle che si riscontrano nelle montagne delle regioni extratropicali. Questo produce schemi climatici unici, che ospitano biomi ad alta quota distintivi e ben definiti. Sebbene le zone alpine tropicali e subtropicali siano riconosciute in alcune classificazioni, come nel caso del Páramo e della Puna, questi biomi sono spesso unificati sotto una sola categoria denominata "Subtropicale". La difficoltà nel mappare e nel riconoscere la giusta collocazione di questi biomi tropicali e subtropicali risiede proprio nella loro posizione intermedia tra i biomi temperati e quelli tropicali.

Nel panorama più ampio delle classificazioni bioclimatiche globali, l'analogia tra le zone alpine e le fasce vegetative montane spesso non è completamente realizzabile. In particolare, la separazione tra biomi montani dominati da fattori diurne e quelli dominati dalla stagionalità non è facilmente comparabile, proprio perché i biomi tropicali ad alta quota (come il Páramo e la Puna) hanno dinamiche climatiche uniche, che sfuggono alle convenzioni della classificazione bioclimatica standard.

I biomi alpini temperati, in particolare, sono riconosciuti come unità orografiche, e non vanno considerati come grandi comunità biologiche funzionali. Se da un lato Walter (1997) esprimeva delle riserve sulla validità delle categorie degli orobiomi, Box (2014) ha posto l'accento sui difetti logici di tale classificazione, pur non abbandonando del tutto il concetto. Da questi lavori si evince la necessità di un nuovo framework che riesca a interpretare correttamente la relazione tra i biomi alpini temperati e i rispettivi biomi di zone fredde (come la tundra artica e antartica), che si presentano come zone extrazonali rispetto alle loro controparti climatiche più ampie.

Un aspetto interessante della classificazione dei biomi alpini temperati risiede nel fatto che essi si estendono da zone di alta montagna situate in climi boreali, temperati e subtropicali. Ad esempio, i biomi alpini situati nell'emisfero settentrionale, come quelli delle Alpi, dei Pirenei, dei Balcani e dell'Himalaya, vengono considerati come unità extrazonali rispetto alla tundra artica (zona A1), mentre quelli australi, come quelli delle Ande e della Patagonia, si ritrovano in posizioni simili ma rispetto all'emisfero antartico. Questo legame tra biomi alpini e zone climatiche fredde (artiche e antartiche) è stato evidenziato in modo particolare nei lavori di Hämet-Ahti (1979) e in altre ricerche recenti.

In particolare, l'aspetto delle montagne tropicali, come quelle delle Ande, ha suscitato un interesse crescente a causa della loro posizione tra i biomi più freddi delle regioni temperate e quelli più caldi delle zone tropicali. In questi ambienti, l'assemblaggio floristico e la vegetazione ad alta quota presentano una grande diversità, ma le condizioni climatiche rimangono relativamente stabili rispetto ai cambiamenti stagionali più pronunciati che si verificano in altre latitudini. Tali ambienti sono il risultato di una combinazione unica di fattori climatici e geologici, che li distingue dalle zone alpine di latitudini più settentrionali o meridionali.

Un ulteriore approfondimento potrebbe riguardare il comportamento della flora alpina in relazione alla variazione stagionale. Nelle montagne situate in regioni più settentrionali, le piante sono costrette a adattarsi a condizioni climatiche estremamente fredde e ad un lungo periodo di neve, mentre nelle zone tropicali ad alta quota la vegetazione si sviluppa in ambienti dove le variazioni termiche giornaliere sono più marcate, ma l'escursione stagionale è meno evidente. Questa differenza ha un impatto significativo sulla biodiversità e sull'evoluzione delle specie che abitano questi biomi.

Infine, va considerato come i biomi alpini non siano semplicemente il risultato di un processo naturale, ma possano essere influenzati dalle attività umane, in particolare per quanto riguarda il cambiamento climatico. Le modificazioni delle temperature medie annuali e l'intensificazione delle precipitazioni potrebbero alterare irreversibilmente la distribuzione delle piante e degli animali in queste zone, minacciando gli ecosistemi già fragili e limitati dalle condizioni estreme.

Quali sono le caratteristiche ecologiche e geografiche dei biomi oromediterranei nelle regioni meridionali?

I biomi oromediterranei, che si sviluppano principalmente nelle zone montuose ad alte latitudini, presentano caratteristiche ecologiche uniche che si differenziano in base alla posizione geografica e all'altitudine. In particolare, l'area compresa tra la regione settentrionale del Cile e l'Argentina ospita una varietà di ecosistemi alpini che riflettono l'influenza storica delle glaciazioni. La Patagonian Ice Sheet, che durante l'Ultima Massima Glaciazione (LGM) si estendeva per circa 2000 km lungo la cordillera delle Ande, ha lasciato una forte impronta sul paesaggio e sulla vegetazione, creando ambienti ad alta montagna, con zone di alpinismo che sono oggi classificate come biomi austro-alpini. La presenza di ghiacciai, benché in ritirata, ha permesso la conservazione di queste aree come "relitti" glaciali.

Le alte montagne della regione andina, che vanno dai 1000 m ai 2100 m di altitudine, costituiscono l'habitat ideale per una varietà di piante resistenti, tra cui quelle della fascia di vegetazione alpina, che includono cespugli e piante da cuscino come Azorella madreporica e Berberis empetrifolia. La caratteristica principale di questi biomi è la presenza di una linea di albero che definisce il confine tra le zone temperate e quelle alpine, e sopra di essa si estende una vegetazione che può essere descritta come un "campo subnivale", dove le condizioni ambientali sono particolarmente severe.

Un aspetto cruciale della dinamica di questi biomi è l'impatto della variabilità climatica e la sincronia dei fenomeni di espansione e ritrazione delle aree glaciali, come documentato da studi condotti in Tasmania e in Nuova Zelanda. In entrambe le regioni, il bioma austro-oromediterraneo si estende lungo le catene montuose che raggiungono altezze simili, come le Alpi meridionali della Nuova Zelanda o le montagne vulcaniche dell'isola di Tasmania. Le condizioni climatiche di queste regioni sono dominati da estati secche e inverni umidi, con precipitazioni che raggiungono anche i 1300–1400 mm, a seconda dell'altitudine e della esposizione geografica.

Un altro esempio significativo di bioma oromediterraneo è quello che si trova nella regione del Capo in Sud Africa, dove l'ecosistema si manifesta come una forma di vegetazione alpina denominata "altimontane fynbos". Questa zona è caratterizzata da terreni poveri di nutrienti, dove le piante come le Restionaceae e le eriche dominano il paesaggio. Anche se la presenza di un "timberline" o linea degli alberi non è chiaramente definibile in queste regioni, le alte altitudini (intorno ai 2600 m) ospitano comunque vegetazione simile a quella dei biomi alpini, che si estende oltre la linea delle foreste.

Le differenze geografiche e climatiche tra l'emisfero settentrionale e quello meridionale nella distribuzione dei biomi oromediterranei sono sorprendenti. Sebbene entrambi gli emisferi condividano alcuni tratti comuni come la presenza di piante adattate a climi freddi e le specifiche condizioni topografiche, le caratteristiche peculiari di ogni regione, come l'esposizione al vento, la variazione della temperatura e l'influenza della posizione rispetto ai mari e alle correnti atmosferiche, giocano un ruolo fondamentale nell'evoluzione della vegetazione. Queste dinamiche ecologiche sono il risultato di un processo evolutivo che ha visto la vegetazione adattarsi progressivamente alle condizioni glaciali e post-glaciali.

La comprensione di come le piante alpine abbiano avuto origine e si siano adattate a queste condizioni difficili è essenziale per interpretare le attuali condizioni ecologiche di queste regioni. Anche se il cambiamento climatico attuale sta portando a una continua modificazione di questi biomi, la loro conservazione rappresenta una sfida cruciale per le future generazioni di ecologi e conservazionisti. La resistenza delle piante alpini alle condizioni ambientali estreme, come la scarsità d'acqua, le basse temperature e l'intensa radiazione solare, è una testimonianza della loro straordinaria capacità di adattamento.

L'interconnessione tra il clima, la topografia e la vegetazione rimane un aspetto fondamentale da esplorare ulteriormente. L'equilibrio delicato tra questi fattori influisce non solo sulla biodiversità, ma anche sul ruolo di questi ecosistemi nell'ecosfera globale. La comprensione dei biomi oromediterranei, quindi, non è solo una questione di catalogazione e descrizione di piante e climi, ma anche di approfondimento delle relazioni ecologiche che li sostengono, che ci permette di capire meglio il funzionamento del nostro pianeta e le sfide future.