La spettroscopia a fluorescenza a raggi X (XRF) si basa sull'emissione di raggi X fluorescenti da un campione eccitato da una sorgente di radiazioni. La sfida principale dopo la produzione dei raggi X fluorescenti consiste nella loro separazione e nella misura accurata delle loro intensità, compito affidato allo spettrometro. Esistono due tipi fondamentali di spettrometri: quelli a dispersione di lunghezza d’onda (WDS) e quelli a dispersione di energia (EDS), entrambi dotati di una sorgente di eccitazione, un sistema di posizionamento del campione e un elemento dispersivo.
Storicamente, i primi tentativi di analisi elementare con XRF risalgono agli anni ’20, ma solo dagli anni ’70, grazie a progressi tecnologici nei rivelatori e nell’elaborazione dati, la tecnica è diventata più accessibile e diffusa. La miniaturizzazione degli strumenti ha consentito lo sviluppo di dispositivi portatili, utilizzati ad esempio per analisi rapide su rottami metallici o vernici in situ. Questi strumenti inizialmente impiegavano radioisotopi come sorgenti di raggi X, ma per motivi di sicurezza sono stati sostituiti da piccoli tubi a raggi X.
Gli spettrometri WDS utilizzano cristalli per separare la radiazione fluorescente tramite diffrazione, in accordo con la legge di Bragg. La selettività del cristallo fa sì che solo i raggi riflessi a specifici angoli vengano rilevati, richiedendo quindi un elevato flusso di raggi X per mantenere un buon rapporto segnale-rumore. Di conseguenza, questi strumenti richiedono tubi di eccitazione potenti e sistemi di raffreddamento e schermatura più complessi. Il vantaggio principale del WDS risiede nella sua elevata risoluzione, che permette di distinguere picchi molto vicini e di quantificare con precisione anche elementi leggeri, spesso difficili da rilevare con altre tecniche.
Al contrario, gli spettrometri EDS effettuano la separazione energetica direttamente nel rivelatore, che trasforma i raggi X ricevuti in segnali proporzionali all’energia di ciascun fotone. Sebbene la risoluzione energetica dell’EDS sia inferiore rispetto al WDS, i miglioramenti tecnologici hanno ridotto questo gap. Questi sistemi possono operare con tubi a bassa potenza, spesso raffreddati ad aria, consentendo dimensioni più compatte degli strumenti. Tuttavia, la minore risoluzione comporta una difficoltà maggiore nel distinguere picchi sovrapposti e un rischio di identificazioni errate, soprattutto per gli elementi più leggeri.
Le artefatti spettrali sono più frequenti nell’EDS rispetto al WDS e comprendono fenomeni come i picchi di fuga e i picchi di somma. I picchi di fuga si generano quando i raggi X assorbiti dal materiale del rivelatore causano fluorescenza interna, abbassando l’energia registrata del fotone. Ad esempio, un picco di fuga per il ferro su un rivelatore al silicio appare a un’energia pari alla differenza tra il picco di ferro e quello del silicio. I picchi di somma invece derivano dalla simultanea rilevazione di due fotoni identici, che vengono interpretati come un singolo evento con energia doppia. Questi artefatti, pur essendo generalmente di bassa intensità, possono complicare l’interpretazione spettrale.
L’analisi quantitativa tramite XRF è teoricamente diretta, poiché l’intensità dei picchi è proporzionale alla concentrazione degli elementi nel campione secondo la legge di Moseley. Tuttavia, fenomeni di matrice possono alterare significativamente i risultati. La fluorescenza indotta da un elemento può eccitare altri elementi presenti, causando un potenziamento o un’attenuazione delle intensità spettrali. Questo effetto incrociato, unito alla sovrapposizione di linee spettrali di elementi diversi, rende necessario un approccio analitico attento e spesso l’uso di linee spettrali alternative per una corretta quantificazione.
La preparazione del campione riveste un ruolo cruciale nella precisione e riproducibilità dell’analisi. Per solidi, si utilizzano tipicamente polveri libere, pellet pressati o perle fuse. L’uso di polveri libere in contenitori con film polimerici è meno ideale per l’analisi quantitativa a causa della variabilità di volume e densità, che può influire sulla costanza dei risultati.
Oltre a quanto sopra, è importante considerare che la complessità dello spettro XRF richiede non solo una strumentazione adeguata, ma anche una comprensione profonda dei fenomeni fisici sottostanti, quali le interazioni tra i raggi X e la materia, la risposta del rivelatore e le condizioni di eccitazione. Solo integrando queste conoscenze con una corretta preparazione del campione e una valutazione critica degli artefatti si possono ottenere risultati affidabili e significativi.
Come si formano le bande di energia nei solidi e qual è il ruolo degli orbitali molecolari nel legame elettronico?
Nel contesto della fisica dello stato solido, i cristalli vibrano secondo modalità quantizzate chiamate fononi, analoghe alle vibrazioni molecolari, ma estese a un reticolo periodico. Queste oscillazioni coinvolgono i nuclei ionici che si muovono fuori fase rispetto ai loro vicini lungo un asse del cristallo, provocando un’interazione cruciale con gli elettroni di conduzione. Il moto degli elettroni viene infatti disperso da queste vibrazioni ioniche, determinando una perdita energetica che si traduce in un aumento dell’energia vibratoria del cristallo e, di conseguenza, nella conversione dell’energia elettrica in calore. Questo fenomeno, noto come effetto ohmico, spiega il riscaldamento elettrico osservato in dispositivi comuni come le resistenze di un bollitore.
Tuttavia, il modello degli elettroni liberi risulta insufficiente per spiegare la differenza tra materiali conduttori, semiconduttori e isolanti. Per comprenderla, si ricorre alla teoria degli orbitali molecolari applicata ai solidi, che li considera come un insieme vastissimo di atomi legati in modo periodico. La risoluzione diretta dell’equazione di Schrödinger per un sistema di tale complessità è impraticabile, ma un’approssimazione fondamentale consiste nella combinazione lineare degli orbitali atomici (LCAO). Questo metodo, noto in fisica come approssimazione tight-binding, descrive gli elettroni come vincolati agli atomi, al contrario del modello degli elettroni liberi.
L’esempio base è la molecola di H₂, in cui due orbitali 1s di due atomi di idrogeno si combinano per formare un orbitale di legame, con interferenza costruttiva, e un orbitale antilegante, con interferenza distruttiva. Il primo è più stabile (a energia più bassa) rispetto agli orbitali atomici originali, mentre il secondo è meno stabile. La stabilità del legame dipende dall’entità della sovrapposizione tra gli orbitali 1s, che varia al variare della distanza tra i nuclei.
Estendendo questo concetto a una catena lineare di N atomi di idrogeno, si ottengono N orbitali molecolari distribuiti su una gamma energetica che si stabilizza al crescere di N, dando origine a una quasi-continuità di livelli energetici. Quando si considera una catena di atomi metallici con un numero molto elevato di atomi, come in un cristallo reale, la differenza di energia tra livelli adiacenti diventa così piccola da formare una banda continua di energia.
Questo concetto è alla base della formazione delle bande di energia nei solidi. L’energia degli elettroni non è più quantizzata in livelli discreti come nelle molecole isolate, ma si distribuisce in bande, grazie alla periodicità e alla sovrapposizione degli orbitali atomici su scala macroscopica. L’approccio matematico utilizza combinazioni lineari di orbitali atomici, moltiplicate per fattori di fase che riflettono la periodicità del cristallo, e introdotte dal vettore d’onda k, che etichetta ogni orbitale molecolare (o di cristallo). Nel caso unidimensionale di una catena di atomi, la funzione d’onda risultante è una somma pesata degli orbitali 1s di ogni atomo, modulata da un fattore complesso dipendente da k e dalla posizione dell’atomo nella catena.
È fondamentale comprendere che la teoria degli orbitali molecolari applicata ai solidi permette di spiegare in modo coerente non solo la conduzione elettrica nei metalli, ma anche il comportamento dei semiconduttori e isolanti, in termini di bande proibite e bande di conduzione. Le proprietà elettroniche di un materiale derivano infatti dalla struttura delle sue bande energetiche, dalla larghezza della banda proibita (gap) e dalla distribuzione degli elettroni nelle bande.
La periodicità del reticolo cristallino e la conseguente formazione delle bande non solo modificano le energie elettroniche, ma determinano anche le proprietà ottiche, termiche e meccaniche del solido. Le vibrazioni del reticolo, ossia i fononi, interagiscono con gli elettroni, influenzando la resistività elettrica e fenomeni quali la superconduttività. In definitiva, la comprensione della formazione delle bande di energia e del ruolo degli orbitali molecolari è essenziale per affrontare temi avanzati nella chimica e fisica dei materiali, per progettare nuovi semiconduttori, materiali innovativi e per interpretare i meccanismi microscopici alla base del trasporto elettronico e delle proprietà termiche dei solidi.
Le Proprietà di Conduzione Ionica nei Solidi e il Loro Impiego in Elettrodi e Batterie
Il coordinamento attorno agli ioni è relativamente basso, il che implica che quando questi ioni si spostano da un sito all'altro, il cambiamento di coordinazione è minimo. Ciò permette loro di percorrere la rete cristallina con una bassa energia di attivazione. Le proprietà degli anioni sono fondamentali in questo contesto: essi risultano essere piuttosto polarisabili, il che significa che la nube elettronica che circonda un anione può essere facilmente distorta, facilitando il passaggio degli ioni cationici attraverso la rete. Tali caratteristiche sono cruciali quando si cerca di sviluppare nuovi conduttori ionici veloci.
In particolare, il comportamento dei solidi ionici, come α-AgI, ha suscitato un crescente interesse nella ricerca di altri materiali con alta conducibilità ionica, in particolare a temperature inferiori ai 147°C. La sostituzione parziale dell'argento (Ag) con rubidio (Rb) porta alla formazione del composto RbAg4I5, che presenta una conduttività ionica a temperatura ambiente di 25 S m−1, con un'energia di attivazione di soli 0,07 eV. Sebbene la struttura cristallina di RbAg4I5 differisca da quella di α-AgI, entrambi i composti mostrano una rete rigida di ioni Rb+ e I−, mentre gli ioni Ag+ sono distribuiti casualmente su una rete di siti tetraedrici che permettono loro di muoversi facilmente attraverso il materiale. Questo comportamento favorisce l'uso di tali composti come elettroliti solidi nelle batterie.
Un elettrolita solido in una batteria deve non solo possedere una elevata conducibilità ionica, ma deve anche avere una conducibilità elettronica trascurabile, al fine di evitare cortocircuiti. Gli elettroni devono fluire solo attraverso il circuito esterno, dove possono essere utilizzati per compiere lavoro. Il RbAg4I5 è stato impiegato come elettrolita solido in batterie con elettrodi a base di Ag e triioduro di rubidio (Rb[I3]). Queste celle sono in grado di operare in un ampio intervallo di temperature, da -55°C a +200°C, presentano una lunga durata di vita e resistono agli urti meccanici, dimostrando così un'affidabilità notevole per applicazioni pratiche.
Le batterie che utilizzano elettroliti solidi a base di composti come il RbAg4I5 sono un esempio delle potenzialità dei conduttori ionici veloci. La ricerca continua a esplorare altre strutture cristalline simili a quella di α-AgI, cercando soluzioni che possano essere ulteriormente ottimizzate per applicazioni in dispositivi elettronici e di accumulo energetico. L'esplorazione di altre strutture come i conduttori ionici a base di solfuri o cloruri mostra che le possibili varianti e miglioramenti non mancano.
In parallelo, la ricerca sui conduttori ionici a base di litio, come il LiI, trova applicazione in dispositivi più specifici, come le batterie per pacemaker. Sebbene la conduttività ionica del LiI sia relativamente bassa, la sua capacità di essere utilizzato come elettrolita solido in pacemaker deriva dalla sua stabilità e compattezza, permettendo la realizzazione di batterie molto piccole, durevoli, e altamente affidabili. I pacemaker alimentati da queste batterie sono stati utilizzati fin dagli anni '70, dimostrando la validità di questo approccio tecnologico.
Un'area di ricerca molto attiva è quella dei conduttori ionici a base di litio che possano sostituire il LiI nelle batterie. I conduttori LISICON-like, ad esempio, si basano su una struttura distorta di γ-Li3PO4 e sono un esempio di come le sostituzioni parziali con metalli più leggeri possano migliorare la conduttività ionica a temperatura ambiente. Altri composti, come Li10GeP2S12 (LGPS), offrono conduttività ancora maggiore grazie all'uso di zolfo al posto dell'ossigeno, anche se questi materiali sono soggetti a ossidazione a voltaggi superiori a 2,5 volt e devono essere protetti.
L'evoluzione della ricerca ha portato anche all'indagine su altri sistemi cristallini, come i garnet al litio e i perovskiti, che sono caratterizzati da strutture complesse in grado di ospitare ioni litio nei loro reticoli. I garnet al litio, come Li7La3Zr2O12, hanno mostrato una conduttività promettente, con un comportamento che suggerisce che gli ioni litio si spostano tra siti distorti a otto facce. Questi materiali sono oggetto di studio anche per la loro capacità di condurre ioni litio in modo efficiente a temperatura ambiente, portando a soluzioni potenzialmente migliori rispetto ai tradizionali elettroliti liquidi.
Infine, tra i nuovi composti in fase di studio ci sono anche i materiali del tipo NASICON, che si basano su una struttura del fosfato. In questi composti, i metalli occupano siti a otto facce, offrendo una rete cristallina che consente il passaggio di ioni litio con una conducibilità significativa.
La ricerca sui conduttori ionici è in continua evoluzione e ha il potenziale di rivoluzionare non solo le batterie, ma anche altre tecnologie che richiedono la gestione degli ioni in solidi, come i superconduttori e i dispositivi a stato solido. Un'importante considerazione per il lettore è che la ricerca sui conduttori ionici non si limita alla sola conduzione ionica, ma abbraccia anche sfide tecnologiche come la stabilità, la resistenza agli urti, e la compatibilità termica. L'equilibrio tra conducibilità ionica ed elettronica, così come la stabilità a lungo termine dei materiali, sono fattori chiave da considerare quando si esplorano nuove soluzioni per elettroliti solidi in dispositivi tecnologici.

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