Durante la campagna presidenziale del 2016, Donald Trump ha esibito una serie di comportamenti e posizioni che hanno profondamente segnato il panorama politico degli Stati Uniti. La sua figura, controversa e divisiva, ha suscitato reazioni di rifiuto e accettazione. Mentre Trump veniva accusato di molestie sessuali e di promuovere un’agenda estremamente polarizzante, molti dei suoi sostenitori, compresi i leader della destra cristiana e i conservatori, hanno continuato a sostenerlo, giustificando le sue azioni in nome delle promesse politiche, come la nomina di giudici anti-aborto. Il suo comportamento irriverente non ha impedito il suo successo, ma piuttosto ha fatto parte di un progetto politico che ha messo in luce le crepe nella politica tradizionale degli Stati Uniti.

La figura di Trump ha incarnato un tipo di demagogia che ha radicalizzato il discorso politico, sfruttando la paura, la paranoia e il risentimento razziale come leve per accrescere il suo consenso. I suoi eventi elettorali erano segnati da episodi di incitamento alla violenza, come quando i sostenitori urlavano slogan minacciosi contro i suoi avversari. L’uso del linguaggio polarizzante e la costante incitazione contro i suoi rivali politici sono diventati un elemento centrale della sua retorica. Nonostante le accuse di molestie sessuali e la pubblicazione di video compromettenti, Trump ha continuato a mantenere un solido seguito, alimentando un fenomeno che sarebbe stato descritto poi come “Trumpismo”. L’eccitazione per il suo discorso non risiedeva solo nelle sue promesse politiche, ma anche nella sua capacità di identificare nemici e di canalizzare la frustrazione di una parte significativa della popolazione americana.

Le elezioni del 2016 sono state segnate da scandali e attacchi, non ultimi i temi legati alla possibile interferenza russa nel processo elettorale. Mentre Trump e il suo entourage minimizzavano il coinvolgimento della Russia, il partito Democratico lottava per mantenere l’attenzione pubblica su temi cruciali, ma il flusso incessante di email rubate e di disinformazione ha offuscato il dibattito. La vittoria di Trump, seppur con una minoranza di voti popolari, è stata un segno di un cambiamento profondo nella politica americana, dove il messaggio di divisione e paura aveva trovato terreno fertile.

Il suo approccio non si limitava solo alla retorica, ma si estendeva anche alle sue politiche, come dimostrato dalle sue risposte ai tragici eventi di Charlottesville nel 2017. La manifestazione dei suprematisti bianchi e dei neonazisti, che culminò nell’uccisione di Heather Heyer, non fu condannata con la forza necessaria. La reazione iniziale di Trump, che parlò di “violenza da molte parti”, fu accolta con indignazione, poiché sembrava voler giustificare o minimizzare la gravità dell’odio razziale in atto. La sua successiva dichiarazione, che accusava esplicitamente i suprematisti bianchi, arrivò solo sotto la pressione di collaboratori e politici repubblicani, ma non fece altro che evidenziare la sua ambiguità nei confronti delle forze estremiste.

Trump non rappresenta un'eccezione, ma è diventato l’incarnazione di un lungo processo di trasformazione all'interno del Partito Repubblicano. La sua ascesa non è stata un fenomeno improvviso, ma il risultato di decenni di politiche che avevano spesso fatto leva sulla paura e sull’odio, usando le minoranze e i nemici esterni come capri espiatori. Con Trump, però, queste forze sono state esplicitamente alimentate e amplificate. Ha preso il posto di una leadership che aveva a lungo fatto uso di eufemismi, trasformandosi in un megafono per sentimenti di paura, odio e intolleranza. La sua retorica di divisione ha non solo consolidato la sua base, ma ha anche messo in evidenza le fratture nella società americana, con i suoi alleati pronti a difendere qualsiasi comportamento, anche quando apparentemente in contraddizione con i valori democratici.

L'ascesa di Trump ha avuto implicazioni globali. I suoi alleati politici in tutto il mondo, inclusi leader autoritari, hanno celebrato la sua vittoria come un segno di un cambiamento globale nelle dinamiche politiche, un ritorno all’ideologia del nazionalismo e del sovranismo. La sua vittoria è stata interpretata da molti come una rivincita contro le élite e una riaffermazione della potenza degli Stati Uniti, ma ha anche portato a un progressivo isolamento e alla crescente destabilizzazione delle alleanze internazionali.

Importante è comprendere che Trump non ha creato il malcontento che ha capitalizzato. La sua figura è solo l’espressione massima di una tendenza di lungo corso. La sfida per gli Stati Uniti non è solo il carattere del suo governo, ma la profondità delle divisioni che ha accentuato, la crisi di fiducia nelle istituzioni e il dilagare della disinformazione come strumento politico. Il fenomeno del Trumpismo, dunque, non si è esaurito con la sua presidenza; è destinato a perdurare, con un impatto duraturo sul modo in cui la politica americana verrà interpretata nelle decadi future.

Il Partito Repubblicano e la Polarizzazione Politica: Un'analisi della degenerazione dell'ideologia e della cultura della malizia

Nel corso degli ultimi decenni, la politica americana ha vissuto una crescente polarizzazione che ha trovato il suo apice sotto la guida dell'ex presidente Donald Trump e del suo impatto sulla visione del Partito Repubblicano. Questo processo non è stato casuale, ma il risultato di un lungo e minuzioso lavoro di radicalizzazione che affonda le sue radici nell’alleanza tra il GOP (Grand Old Party) e gruppi estremisti di destra, tra cui i fondamentalisti religiosi, i nazionalisti bianchi e i conservatori sociali. La strategia politica del GOP, sempre più distaccata dai valori della democrazia liberale e della razionalità, ha trovato terreno fertile in un ambiente mediatico che ha alimentato e costruito paure infondate, in una spirale che ha finito per deturpare le tradizioni democratiche degli Stati Uniti.

Il tema delle questioni "culturali", come la lotta contro i diritti delle persone transgender, l’aborto, il matrimonio tra persone dello stesso sesso e la teoria critica della razza, ha dominato i dibattiti e le politiche repubblicane. Questi argomenti, a dispetto della loro rilevanza per le minoranze, sono stati sfruttati per mobilitare un elettorato sempre più spaventato dalla crescente diversità del paese. Il caso del Roe v. Wade, con l’annullamento della sentenza da parte di una Corte Suprema dominata dai giudici conservatori, ne è un esempio paradigmatico. La decisione ha rappresentato il culmine di decenni di mobilitazioni da parte di gruppi che hanno lavorato incessantemente per indebolire i diritti civili delle donne e delle minoranze.

Il legame tra Trump e il Partito Repubblicano ha evidenziato una triste realtà: il GOP si è trasformato in un veicolo per la malizia e l’estremismo. Le accuse di pedofilia rivolte ai Democratici, a partire dalla nomina della giudice Ketanji Brown Jackson, sono state una delle manifestazioni più inquietanti di questa discesa nell’oscurità politica. Le affermazioni senza fondamento, come quella di Trump Jr. che dichiarava che i Democratici cercassero di "assicurarsi il voto dei pedofili", si sono diffuse velocemente tra le file dei sostenitori del GOP, alimentando la paranoia e la divisione. Questo tipo di retorica ha distorto la realtà, creando un clima di odio che ha raggiunto il suo apice con la violenza dell’insurrezione del 6 gennaio 2021.

L’ascesa di Trump e del suo culto della personalità ha messo in evidenza un problema strutturale all'interno del Partito Repubblicano: l'incapacità di sfuggire dalla sua presa ideologica. Le sue bugie, come quella delle elezioni rubate, hanno contribuito a creare una forma di "psicosi condivisa" tra milioni di americani, i quali, pur essendo consapevoli delle falsità, hanno continuato a credere ciecamente a ciò che veniva loro presentato. Questa dinamica ha trasformato il Partito Repubblicano in un'entità incapace di compiere una riflessione critica e di aprire la strada a un possibile cambiamento.

Anche quando la sconfitta alle elezioni del 2020 avrebbe potuto servire da momento di riflessione per il GOP, la risposta è stata diversa. Invece di cercare una correzione di rotta, il partito si è chiuso in un riflesso condizionato di vendetta, mentre le voci più estreme, come quelle di Tucker Carlson, continuavano a incitare alla paura del "grande sostituto" e alla divisione razziale. Questi atteggiamenti hanno dato forma a una cultura della malizia che non solo ha distorto la politica americana, ma ha minato la capacità del paese di funzionare come una democrazia sana.

L'effetto di questa deriva ideologica è stato un progressivo allontanamento dalla realtà. La crescente diffusione di teorie complottiste, come quelle che riguardano il controllo della democrazia da parte di poteri esterni o la manipolazione delle elezioni, ha creato una frattura irrimediabile tra le due fazioni politiche. Eppure, nonostante la violenza del 6 gennaio e le falsità che hanno alimentato l’assalto al Campidoglio, una parte significativa dell'elettorato repubblicano ha continuato a giustificare l'insurrezione come un'azione a difesa della democrazia.

La domanda che sorge è se esista ancora una via d'uscita per il Partito Repubblicano o se esso sia destinato a diventare sempre più un veicolo per l’estremismo e la radicalizzazione. Il futuro del partito appare incerto, ma è chiaro che la sua evoluzione dipenderà dalla capacità di affrontare e correggere le sue derive ideologiche. In questo contesto, il ruolo della società civile e della cultura democratica diventa fondamentale per contrastare la polarizzazione e il risorgere di una politica basata sull’odio e sul disprezzo reciproco.

Il futuro politico degli Stati Uniti dipenderà dalla capacità del paese di superare questa fase di divisione. La democrazia americana, pur nelle sue imperfezioni, è sempre stata un modello di adattamento e correzione. Tuttavia, la resistenza alla verità, l’intolleranza verso le diversità e la politica della malizia mettono a rischio le fondamenta stesse della nazione. Il passo successivo deve essere quello di affrontare questi problemi con un rinnovato impegno verso l’unità e la verità, riconoscendo la profondità del conflitto che divide il paese.

Come la Nuova Destra ha Rimodellato la Politica Americana: L'Ascesa di Ronald Reagan e Orrin Hatch

Alla metà degli anni '70, il Partito Repubblicano si trovava in una situazione di evidente crisi. I suoi leader, ormai sconfitti, screditati o troppo anziani per rivendicare un'influenza politica significativa, non erano in grado di opporsi con efficacia ai Democratici. Il cosiddetto "Grand Old Party" aveva perso la Casa Bianca, conservando appena delle minoranze apparentemente irreducibili al Congresso, e mantenendo la gestione di governatorati in solo 13 stati su 50, molti dei quali piccoli e politicamente insignificanti. In questo scenario, alcuni esponenti di spicco del partito suggerirono che il nome del GOP fosse ormai inutilizzabile, proponendo di cambiarlo. Tra questi c’era Ronald Reagan.

Nel 1976, un giovane avvocato mormone di 42 anni, senza esperienza politica, decise di candidarsi al Senato degli Stati Uniti dallo Utah. Il suo nome era Orrin Hatch. Spinto da una convinzione profonda, raccontò di aver sentito il richiamo di Dio per entrare in politica e sfidare il senatore uscente, il liberale Frank Moss. Questo inesperto candidato repubblicano, per iniziare la sua campagna, si rivolse a un teorico della cospirazione di destra e sostenitore della John Birch Society, W. Cleon Skousen, un ex impiegato dell'FBI e già commissario della polizia di Salt Lake City, noto per le sue teorie folli e per le sue idee estremiste. Skousen, autore di libri come "The Naked Communist" e "The Naked Capitalist", aveva una visione apocalittica della politica mondiale, sostenendo che il comunismo stesse infiltrando ogni aspetto della società americana e che una “società segreta” composta da poteri sovranazionali, come il Council on Foreign Relations, stesse tramando per controllare il mondo.

Nonostante la sua visione delirante, Skousen aveva un seguito, in particolare nello Utah, e Hatch lo reclutò per la sua campagna. Skousen contribuì in modo significativo, inviando lettere a ottomila persone per promuovere la candidatura di Hatch, raccogliendo fondi e reclutando volontari. Fu proprio grazie a queste risorse che Hatch riuscì a vincere il suo primo confronto elettorale, approfittando di un’onda crescente di sostegno da parte di un’ala destra che, purtroppo per molti, non si limitava a posizioni conservatrici moderate, ma abbracciava la retorica divisiva e le tattiche aggressive della Nuova Destra.

La Nuova Destra stava infatti guadagnando terreno anche grazie a figure come Richard Viguerie, il "re della posta diretta", che aveva aiutato a finanziare campagne politiche utilizzando strategie di raccolta fondi via mail. Con l’aiuto di questi nuovi mezzi, Hatch vinse le primarie repubblicane e sconfisse Moss, un risultato che mostrava chiaramente il potenziale della Nuova Destra di mobilitare e radicalizzare l’elettorato conservatore. Hatch non fu l’unico a trarre vantaggio da questo fermento politico. Ronald Reagan, dopo la sconfitta nelle primarie contro Gerald Ford, aveva messo insieme una grande quantità di fondi e una mailing list che contava 183.000 nomi. Utilizzando queste risorse, fondò un comitato di azione politica chiamato "Citizens for the Republic", che lo portò a entrare nel giro della Nuova Destra, facendo leva sulla paura diffusa di un governo centralizzato e invadente.

Le sue lettere, piene di toni apocalittici e di denunce contro il "Grande Fratello" del governo federale, erano pensate per risvegliare i timori di una sorveglianza incessante e di un potere statale opprimente. La retorica della Nuova Destra si fondava su un mix di paura, rabbia e sfiducia, che riusciva a ottenere risposte emotive dai suoi lettori e a incanalare quelle emozioni in una mobilitazione politica sempre più forte. Queste tattiche non erano solo il risultato di una genuina preoccupazione per la direzione del paese, ma anche il frutto di una strategia di raccolta fondi e di mobilitazione di massa che faceva leva sul disagio e la frustrazione di una parte significativa dell’elettorato conservatore.

Ma la Nuova Destra non rimase solo una forza marginale: le sue idee e le sue modalità di mobilitazione riuscirono a conquistare il cuore del Partito Repubblicano. Le sue posizioni più estremiste, che un tempo erano considerate ai margini, diventarono parte integrante della strategia politica del GOP. Un altro nome destinato a emergere fu quello di Newt Gingrich, un professore di storia che, dopo aver fallito due volte alle elezioni per il Congresso, riuscì a ottenere il successo grazie all’adozione delle stesse tattiche aggressive e polarizzanti che avevano portato Hatch alla vittoria.

Questa trasformazione del Partito Repubblicano non fu solo il risultato di un singolo evento o di un gruppo di leader carismatici, ma rappresentò un cambiamento profondo nella cultura politica degli Stati Uniti. La Nuova Destra non si limitò a cercare di vincere le elezioni: cercò di riscrivere il manuale della politica americana, spingendo per una politica di divisione, di conflitto aperto e di polarizzazione. Se un tempo il GOP era visto come il partito della moderazione, della responsabilità e del consenso, la Nuova Destra lo trasformò nel partito della lotta culturale e della retorica bellicosa, dove le divisioni tra liberali e conservatori non erano più solo ideologiche, ma esistenziali.

Alla base di questa strategia c’era un altro elemento fondamentale: il potere del denaro nella politica. Le risorse raccolte dai gruppi della Nuova Destra non solo finanziavano le campagne, ma garantivano anche il controllo delle narrazioni politiche, creando una realtà alternativa in cui la paura e l’insoddisfazione venivano costantemente alimentate, e dove la politica stessa diveniva una lotta per il potere, senza alcun interesse per la mediazione o il compromesso.

Per capire a fondo questa evoluzione, è cruciale riconoscere che la Nuova Destra non era solo un fenomeno politico, ma un movimento culturale che ha cercato di ridefinire la politica attraverso la costruzione di una "guerra culturale". Una guerra in cui la verità non era un valore assoluto, ma uno strumento da usare per polarizzare e vincere.

La guerra culturale e la politica americana: tra ideali e realtà

Nel corso della storia politica degli Stati Uniti, la "guerra culturale" ha assunto una posizione centrale, in particolare per i conservatori sociali. Paul Weyrich, una delle figure più influenti della destra religiosa, si è spesso trovato a lamentarsi della direzione presa dal paese. Con una visione che sfidava il trionfo dei valori tradizionali, Weyrich dichiarava con amarezza che "se davvero esistesse una maggioranza morale, Bill Clinton sarebbe stato cacciato dalla carica mesi fa". Il suo rimpianto era che, nonostante i conservatori sociali avessero guadagnato posizioni influenti nella politica, la cultura americana sembrava aver subito una trasformazione che travolgeva anche le battaglie politiche.

Il fallimento dell'agenda conservatrice si manifestava chiaramente nei temi più cari alla destra religiosa: l'aborto, i diritti degli omosessuali, la preghiera nelle scuole, la pornografia e la rappresentazione della violenza e della sessualità nei media. Nonostante le vittorie elettorali e la crescente influenza nei partiti, Weyrich osservava che la sua visione di una società basata su valori conservatori stava perdendo terreno. La sua diagnosi era cupa: "La politica stessa ha fallito." Questo sentimento, che rifletteva una frustrazione crescente, metteva in evidenza quanto fosse difficile per i conservatori sociali ottenere il cambiamento culturale che tanto desideravano.

Tuttavia, la politica non è mai statica e, nel 1999, un giovane George W. Bush si trovava a dover gestire la stessa tensione tra la tradizione conservatrice e la necessità di un'immagine più moderata. Nella sua corsa alla presidenza, Bush si presentava come il candidato del "conservatorismo compassionevole", un concetto che cercava di temperare la durezza della politica conservatrice con una retorica più inclusiva. L'obiettivo di Bush era chiaro: attrarre il voto degli indipendenti e dei democratici moderati senza alienarsi la base conservatrice. A un evento della Christian Coalition, Bush si allineava sui principi fondamentali della destra, pur evitando di entrare troppo nei dettagli dei temi sociali che tanto infiammavano i sostenitori di Robertson. Nonostante l'opposizione all'aborto fosse dichiarata, Bush evitava di fare di questo punto una battaglia centrale.

Questa strategia di distanziamento dai più estremi dell'ala destra, tuttavia, non significava che Bush potesse ignorare completamente l'influenza dei conservatori sociali. Nonostante le sue dichiarazioni moderate, Bush aveva bisogno del sostegno della base radicale per vincere le primarie. Il conflitto interno tra la necessità di apparire come un candidato centrista e l'urgenza di non perdere il sostegno dei conservatori più tradizionali si manifestava chiaramente nelle sue azioni e nelle sue dichiarazioni.

La figura di Bush rappresentava un equilibrio precario tra il mantenimento dei valori di destra e la necessità di modernizzare l'immagine del partito. Quello che si percepiva era una lotta continua per definire i confini tra il conservatorismo puro e l'interpretazione pragmatica della politica. Questo confronto aveva delle ripercussioni più ampie, non solo a livello di partito, ma sulla cultura politica americana in generale. La polarizzazione tra le due anime del partito repubblicano – quella più moderata e quella radicale – era sempre più evidente, con i conservatori sociali che vedevano nella politica moderata un tradimento dei principi fondamentali.

In questa continua tensione, la politica americana si trovava a dover fare i conti con il cambiamento sociale e culturale che non poteva più essere ignorato. La guerra culturale non era solo una battaglia per i valori, ma una lotta per il futuro della politica stessa, che cercava di navigare tra il conservatorismo tradizionale e le esigenze di un paese in continuo cambiamento.

Oltre a questo contesto di scontro ideologico, è essenziale comprendere che la politica negli Stati Uniti non può essere ridotta solo a una lotta tra destra e sinistra, ma è anche il riflesso di un paese che sta cercando di conciliare la sua identità con il progresso e la diversità culturale. La cosiddetta "guerra culturale" ha radici profonde nella storia del paese e continua ad evolversi, influenzando non solo la politica, ma anche la società, l'educazione, e la percezione collettiva di cosa significhi essere un "americano".

Come la paura e l’estremismo hanno influenzato la politica americana: il caso della rielezione di Obama e le conseguenze per il Partito Repubblicano

Le elezioni presidenziali americane del 2012 sono state un test decisivo non solo per la direzione politica del paese, ma anche per la salute interna dei partiti. La campagna di Mitt Romney, il candidato repubblicano, si scontrò con una serie di sfide che non solo evidenziarono la divisione ideologica del paese, ma anche la crescente influenza di gruppi estremisti all'interno del Partito Repubblicano. La strategia repubblicana, che si basava su accuse spesso esagerate e una polarizzazione sempre più marcata, non riuscì a distogliere l'attenzione del pubblico dalle difficoltà economiche e sociali di molti americani. In particolare, il discorso di Romney, che cercava di dipingere Barack Obama come un leader debole e incapace, fu oscurato da una serie di incidenti che mostravano la vera natura del dibattito politico americano.

Uno dei momenti più surreali della campagna fu l’apparizione di Clint Eastwood alla convention repubblicana, dove si rivolse a una sedia vuota, simbolo di Obama. Questo gesto, che molti criticarono come ridicolo e confuso, fu un riflesso di una strategia che puntava a discreditare il presidente, ma che finì per sembrare fuori luogo in un contesto di crescente polarizzazione e sfiducia.

Nel frattempo, il partito repubblicano cercava di sfruttare tragedie come l'attacco al consolato americano a Benghazi, in Libia, per minare la credibilità di Obama. La campagna repubblicana accusò la Casa Bianca di aver ingannato il pubblico riguardo alla natura dell'attacco, ma le successive indagini non confermarono queste accuse. Questa continua escalation di retorica negativa aveva un obiettivo chiaro: dipingere Obama come un presidente incapace di proteggere il paese e di rispondere efficacemente alle minacce globali.

La campagna di Obama, d’altra parte, capitalizzò sull'immagine di Romney come un miliardario distante dalle preoccupazioni dei cittadini comuni. Un video segreto, in cui Romney dichiarava che il 47% degli americani era composto da persone che si consideravano vittime e dipendenti dal governo, divenne una delle armi più efficaci contro di lui. La reazione pubblica a queste dichiarazioni fu schiacciante: Obama, con il suo messaggio di solidarietà e inclusione, guadagnò un ampio supporto, mentre Romney venne visto come un leader che non si preoccupava delle difficoltà quotidiane degli americani.

Quando giunse il giorno delle elezioni, la vittoria di Obama fu chiara. Il presidente ottenne il 51% dei voti popolari contro il 47% di Romney e conquistò 332 voti nel Collegio Elettorale, contro i 206 del suo avversario. A quel punto, le reazioni nella destra furono contrastanti. Rupert Murdoch, il proprietario di Fox News, commentò con amarezza: "La nostra nazione è rovinata". Donald Trump, pochi minuti dopo, twittò che l'elezione era una "truffa totale" e che gli Stati Uniti non erano più una democrazia.

Nonostante la vittoria, Obama si trovò a fronteggiare un Partito Repubblicano sempre più radicalizzato. Durante la campagna, Obama aveva sperato che una sua rielezione avrebbe potuto segnare una riflessione interna nel GOP e una possibile moderazione della sua linea politica. Ma questa speranza non si concretizzò. L’indagine interna del partito, pubblicata nel marzo 2013, diagnosticò una crisi di identità: la percezione pubblica del partito era ai minimi storici, e i giovani, le minoranze e le donne si sentivano sempre più estranei alla sua ideologia. La soluzione proposta? Un cambiamento radicale di approccio, con un’inclusività maggiore verso le minoranze etniche e sessuali, oltre a una riforma della retorica sui temi sociali.

Tuttavia, la resistenza interna all'interno del GOP fu immediata e feroce. Le correnti più conservatrici, in particolare quelle rappresentate dal movimento Tea Party, continuarono a dominare, opponendosi fermamente a qualsiasi forma di riforma, come quella sull’immigrazione. Questa divisione esplose quando alcuni membri più radicali, come il rappresentante Steve King, si opposero all’introduzione di una legislazione per la legalizzazione degli immigrati irregolari. Non solo, ma la retorica razzista e xenofoba continuò a permeare il discorso pubblico, con slogan come “Immigrazione = invasione legale” che divennero sempre più diffusi tra i sostenitori del Tea Party.

Anche quando il GOP tentò di seguire la strada di una maggiore inclusività, la realtà dei fatti dimostrò che le sue basi più profonde, composte da elettori di destra estremista, non erano pronte ad accettare cambiamenti. L'immigrazione, il cambiamento demografico e la crescente accettazione di gruppi minoritari continuavano a essere visti come minacce da parte di una parte significativa del partito.

Nel frattempo, il confronto con l'Affordable Care Act (Obamacare) divenne uno dei temi dominanti della politica interna. Nonostante la retorica apocalittica dei suoi critici, che prevedevano il fallimento del sistema, Obamacare si rivelò essere un programma popolare che non solo sopravvisse agli attacchi, ma migliorò significativamente la copertura sanitaria di milioni di americani. L'incredibile successo di Obama su questo fronte, tuttavia, non fermò la paura e la paranoia che continuavano a prevalere all'interno della destra. La campagna di disinformazione e la propaganda dei media conservatori alimentavano la sfiducia e l'odio, ostacolando qualsiasi possibilità di cambiamento sostanziale.

Il futuro del Partito Repubblicano si stava delineando in modo chiaro: continuare a flirtare con l’estremismo o cercare una nuova strada, più moderata e inclusiva, ma rischiando di alienare una parte del proprio elettorato. Gli sviluppi successivi mostrarono quanto fosse difficile liberarsi dall'ombra di gruppi radicali che avevano preso il controllo di gran parte della narrativa politica.