La scoperta che ho fatto recentemente mi ha sconvolto. In un mondo che credevo di conoscere, ho trovato una realtà che nessuno, nemmeno i più eruditi, avrebbe mai potuto immaginare. Il viaggio nel tempo, la possibilità di navigare nelle menti degli altri, mi ha portato a un confronto con qualcosa di molto più grande di quanto avessi mai pensato. L'intera storia del popolo di Athilan, così ricca di mistero e di enigmi, è finalmente cominciata a svelarsi. Il Romany Star, la cerimonia che avevo osservato in silenzio, mi ha condotto verso una rivelazione scioccante: gli Athilantani non sono originari di questo mondo.

Il rito del Romany Star, che tanto aveva affascinato me e sicuramente anche altri, si è rivelato essere un legame con un passato lontano e tragico. Mi ero infiltrato nella mente di Ram, osservando i suoi ricordi di quella notte. All'inizio, non capivo la sua importanza, ma presto il filo della sua memoria mi ha condotto a un'altra dimensione, a un mondo che non avevo mai immaginato. Un mondo in cui la civiltà degli Athilantani si ergeva in tutta la sua fragilità e grandezza, un mondo che è stato distrutto, non da una guerra, ma dall'esplosione di un sole rosso. Il Romany Star, quindi, non è solo una preghiera o un rito: è una memoria collettiva di una catastrofe cosmica che ha segnato la fine di un'epoca.

Nel cammino attraverso la mente di Ram, ho potuto percepire le emozioni di coloro che avevano assistito alla fine del loro mondo. Immagini di una città leggera, costruita con canne intrecciate e rovine che si mescolano con i ricordi di un disastro imminente. Il cielo si infiammava, il sole rosso cresceva, e con esso la paura. La distruzione era inevitabile. Un numero ridotto di fortunati avrebbe trovato salvezza su astronavi destinate a sfuggire all'implosione della loro stella. L’immagine di quei vascelli che si sollevano nel cielo, con pochi sopravvissuti a bordo, è un'eco distante di ciò che è successo. Quello che pensavo fosse solo un mito, una leggenda, si è rivelato la verità.

Athilan, dunque, non è solo un nome di un'era lontana. È la testimonianza di un popolo che ha visto il proprio mondo distruggersi, e che ora guarda al cielo, pregando per le anime perdute sotto quella stella che un tempo era casa loro. Ma non erano semplici esseri umani. Gli Athilantani erano alieni. Non nel senso tradizionale del termine, ma in quanto esseri provenienti da un altro sistema stellare. Loro, come molte civiltà nel cosmo, sono sopravvissuti grazie alla fuga dalla loro stella morente, e sono giunti sulla Terra, portando con sé una cultura straordinariamente avanzata. Nel momento in cui sono atterrati, gli abitanti di questo pianeta non conoscevano nemmeno il metallo, eppure si sono trovati di fronte a una civiltà in grado di viaggiare tra le stelle.

Questa rivelazione cambia tutto. Il nostro mondo preistorico, quello che oggi vediamo come un insieme di miti e leggende, era una realtà distorta dalla presenza di questi esseri avanzati. I Cro-Magnon, e altre tribù del Paleolitico, probabilmente vedevano gli Athilantani come degli dèi. Non si trattava solo di una questione di cultura e tecnologia superiori: c'era una distanza profonda tra l'esperienza di vita umana e quella degli Athilantani, che era già segnata dalla tragedia di una fine imminente.

Oggi, se guardiamo alle leggende dei popoli primitivi, possiamo scoprire che queste storie sono il riflesso di un incontro tra civiltà disparate. Gli Athilantani, sebbene simili agli esseri umani, si consideravano superiori, quasi come se fossero una razza separata. E in effetti, questo potrebbe essere il vero motivo dietro il termine "Dirt People" con cui i discendenti degli Athilantani si riferiscono agli umani nativi della Terra. Non è un razzismo nel senso moderno, ma una separazione radicale tra due mondi che non possono essere mai più davvero uguali.

Questa visione, anche se affascinante, solleva numerosi interrogativi. Cos’è che ha realmente portato gli Athilantani a visitare la Terra? Perché il loro ritorno al mondo di origine, la loro casa, è stato accolto con un misto di reverenza e tristezza? La cerimonia del Romany Star non è solo una preghiera, ma un atto di memoria storica. Il ricordo di una civiltà che ha dovuto fuggire e che ha trovato rifugio su un altro mondo, che ora è riconosciuto come il nostro.

Le implicazioni di questa scoperta sono enormi. Non si tratta solo di una civiltà aliena che ha lasciato il segno sulla Terra. Si tratta di un popolo che ha subito una catastrofe cosmica, che ha portato con sé la sua cultura e la sua tecnologia, e che ora cerca di preservare la memoria del proprio passato. E noi, che viviamo nel presente, non possiamo ignorare questa realtà. La storia degli Athilantani è la storia di una perdita, ma anche di una speranza. La speranza che, nonostante la fine di un mondo, l'umanità possa continuare a guardare verso le stelle, cercando di comprendere chi siamo veramente e da dove veniamo.

Perché Athilan deve perire? Una riflessione sulla fatalità e la resistenza umana al destino

Il destino di una civiltà è spesso avvolto nel mistero e nella fatalità. La storia di Athilan, una città che si avvia verso la sua inevitabile distruzione, è un esempio perfetto di come, a volte, l'uomo sia impotente di fronte agli dèi e alle leggi che regolano l'universo. Nonostante le conoscenze avanzate e le opportunità di salvezza, il principe di Athilan rifiuta ogni tentativo di fuga o salvataggio, rimanendo fermo nella sua fede nei decreti divini. La sua decisione di non sfuggire al destino della sua città ci offre spunti profondi sulla natura della fatalità e sul significato del potere e della leadership.

Il colloquio tra il mago e il principe di Athilan, che si svolge poco prima della catastrofe imminente, mette in luce la visione di un mondo dove l'individuo, anche se consapevole della propria fine, continua a lottare, mentre una civiltà intera si arrende di fronte a un destino che ritiene ineluttabile. Il mago, proveniente da un tempo e un mondo diversi, suggerisce una via di fuga: trasferire la popolazione su una nuova terra, in luoghi come l'Egitto o la Mesopotamia, luoghi ricchi di risorse, dove una nuova civiltà potrebbe prosperare e durare secoli. Eppure, la risposta del principe è categorica e pervasa di un'incredibile serenità: "Anche se sapessi che la calamità ci colpirà tra dieci mesi, non farei nulla per evitarla."

La lezione della "Rite of Anointing", un rituale che segna l'iniziazione dei principi, non è quella di prepararsi alla catastrofe con azioni pragmatiche, ma di imparare ad accettare che le divinità abbiano stabilito il destino di una civiltà, e che nulla possa alterarlo. La resistenza del principe di Athilan è l'espressione di una filosofia che rifiuta il tentativo umano di dominare il futuro. Non si tratta di fatalismo nel senso negativo del termine, ma di una visione più profonda della propria posizione nell'universo: l'uomo non è padrone del destino, ma parte di un disegno più grande e misterioso.

Questo atteggiamento ci porta a riflettere sul contrasto tra la fatalità e l'impegno umano. Nel nostro mondo, le persone continuano a vivere e a lavorare, nonostante la consapevolezza che la morte è inevitabile. La differenza tra il destino individuale e quello collettivo è spesso il centro delle nostre scelte, ma che succede quando una civiltà intera, come quella di Athilan, è condannata? L'individuo può lottare contro il proprio destino, ma la collettività, come dimostra il caso di Athilan, non può sfuggire al volere degli dèi. Il re, pur avendo la consapevolezza della fine imminente, non agisce per salvare la sua gente, in quanto ritiene che il suo dovere sia accettare il volere divino.

Questa filosofia è completamente aliena alla nostra comprensione della storia e del progresso. La società moderna ha una visione determinista e scientifica del mondo, nella quale l'uomo può intervenire per modificare il suo destino. Tuttavia, la cultura di Athilan sembra respingere questa concezione, accettando che ogni grande civiltà debba perire per fare posto a una nuova. In questo contesto, la tragedia non è vista come una fine definitiva, ma come un passaggio necessario per il fiorire di una nuova grandezza, come la fenice che rinasce dalle sue ceneri.

L'insegnamento del principe non è di abbandonare ogni speranza, ma di capire che il percorso dell'umanità è segnato e che l'uomo deve vivere con la consapevolezza di essere parte di un ciclo più grande di lui, destinato a ripetersi attraverso il tempo. La saggezza di Athilan sta nel riconoscere che, nonostante i propri sforzi, ogni civiltà raggiunge un punto in cui è costretta a cedere al volere delle divinità. L'idea di "costruire un nuovo impero" in un luogo lontano è un sogno che, sebbene affascinante, non può alterare la legge universale della decadenza e della rinascita.

Il messaggio che emerge da questa storia non è solo una riflessione sul destino, ma anche una lezione sulla consapevolezza della propria fragilità. Le civiltà, così come gli individui, sono destinate a scomparire, e la forza sta nell'accettare questa realtà senza soccombere alla disperazione. La vera grandezza di un popolo non sta nel tentare di sfuggire alla morte, ma nel comprendere che essa è solo una parte di un ciclo che continua. La creazione e la distruzione sono legate indissolubilmente, e l'uomo è chiamato a vivere e a lottare, nonostante la consapevolezza che nulla è eterno.

Come la monarchia assoluta si mantiene stabile: Le leggi non scritte del potere

Il Re è l'essere umano più straordinario che io abbia mai visto. In termini di grandezza, presenza e autorità, è una combinazione di Mosè, Abramo Lincoln e l'Imperatore Augusto. È molto alto, particolarmente per un Athilantano, con lunghi capelli bianchi e una barba folta e bianca. Ha un'aria di nobiltà e saggezza così evidente che ti viene voglia di inginocchiarti davanti a lui e baciargli le sandali. Quel giorno, indossava vesti purpuree intrecciate con fili d'oro e d'argento e una corona di foglie di alloro su spuntoni d'oro.

Con grande solennità, prese il Principe Ram tra le sue braccia e lo tenne stretto, poi si fece un passo indietro, affinché potessero guardarsi negli occhi. Nei suoi occhi scuri e lucenti si rifletteva un calore, una profondità d'amore che mi fece sentire una tristezza e una certa invidia: nessun altro al mondo poteva mai essere stato amato dal padre come questo principe.

"Ci sei mancato ogni giorno della tua assenza, e ogni ora di ogni giorno," disse il Re. "Abbiamo pregato gli dèi ogni giorno per preservarti e riportarti sano e salvo a noi. E ora le nostre preghiere sono state esaudite."

Le loro mani si sfiorarono velocemente e delicatamente, come è usanza degli Athilantani. Poi, sei sacerdoti apparvero, conducendo un altro aurochs, e padre e figlio sacrificarono la povera bestia proprio lì, usando le loro spade con impugnature gioiello. Un fuoco fu acceso, la carne venne cotta, i sacerdoti tagliarono pezzi e li portarono al Re e al Principe, che si alimentarono l'un l'altro con le proprie mani. Fu, lo so, un cerimoniale di rinnovato amore. Ma a me sembrava anche un atto sanguinario e barbarico, e fui sollevato quando finì e il Principe e suo padre entrarono insieme nel palazzo reale.

Non si può facilmente credere alla magnificenza di quel luogo. Le drappeggi sontuose, le sculture in avorio e giada, le colonne di pietra multicolore e le aperture delle finestre finemente decorate—è il palazzo dei "Le mille e una notte" reso realtà. Guardi tutto questo e il cuore ti si stringe, perché non puoi fare a meno di dirti che tutto finirà, che tutta questa bellezza è destinata a sprofondare nel fondo dell'Oceano Atlantico, sepolta sotto migliaia di anni di melma e sedimenti. Stai in mezzo a tutta questa meravigliosa, quasi onirica bellezza e sai che i suoi giorni sono contati, che non durerà oltre il prossimo mese, o forse il prossimo anno, o al massimo, il prossimo secolo. È doloroso pensarlo.

Ogni membro della famiglia reale ha una propria suite nel palazzo. La suite del Principe Ram è sul retro, al secondo piano, che si affaccia su un cortile e un giardino. È abbastanza grandiosa da rendere felice qualsiasi re. Mi chiedo come siano le stanze del Re stesso, se questo è ciò che spetta a un principe.

Ormai il Principe Ram era talmente stanco che facevo fatica a comprendere i suoi pensieri. Tutto ciò che passava nella sua mente giungeva a me in una forma sfocata e indistinta. Cercava di fingere che stesse bene, e per un po’ lui e il Re rimasero insieme in una delle stanze di Ram, discutendo di importanti questioni governative che non riuscivo a seguire affatto. Ma era evidente che il Principe non riusciva a tenere gli occhi aperti, e dopo un po’ il Re lo salutò e andò via. Il Principe recitò le solite preghiere della fine della giornata con una fretta frenetica e si gettò sul letto come un uomo morto.

Gli lasciai riposare per metà notte. Ma c'era troppo che volevo dirti. Così presi il controllo di lui e andammo a cercare materiale per scrivere, lo trovammo, e nelle ultime due ore l'ho fatto scrivere tutto questo su lunghe strisce di pergamena. La sua mente è ancora addormentata, così sta ricevendo il riposo di cui ha bisogno. Ma domani avrà una mano dolorante da tanto scrivere. Penso che dovrei fermarmi ora, comunque. È quasi l'alba. Laggiù, migliaia di miglia a est, il sole è già sorto. Spero che tu stia bene. E che un giorno tu possa vedere questo posto fantastico con i tuoi occhi.

Il sistema di governo Athilantano è assolutamente monocratico. Il Re è un monarca assoluto, e intendo dire assoluto. Qualunque cosa dica, quella è legge. Non esiste un consiglio di nobili, né un senato, né alcuna autorità che possa sfidare l’autorità del Re. Ha cortigiani e burocrati, certo, ma l’intero impero è essenzialmente di sua proprietà privata, da governare come meglio crede.

Sembrerebbe un ricetta per il disastro. Storicamente, un simile assetto non ha mai avuto un esito positivo. Nessun impero può sperare di avere una serie continua di sovrani capaci. Un re può essere buono, ma prima o poi un folle come Nerone, Caligola o Hitler potrebbe arrivare al trono, incapace di gestire il potere assoluto, e creare caos e distruzione. Ma per qualche motivo, qui non è ancora successo.

Eppure, a mantenere l'equilibrio in una monarchia assoluta non è solo la forza del sovrano. L'efficienza di un simile sistema dipende da una serie di fattori complessi che raramente vengono percepiti all’esterno. La chiave sta nella capacità del monarca di circondarsi di un'élite intellettuale e amministrativa capace di bilanciare l'assoluta centralizzazione con un controllo pragmatico della quotidianità del governo. La figura del Re non è solo una manifestazione del potere, ma diventa anche il custode di un ordine invisibile, che si regge su una serie di leggi non scritte.

Inoltre, il carisma del monarca e la sua figura di padre supremo sono elementi cruciali. Il legame emotivo che si instaura tra il sovrano e il suo popolo è una rete di supporto che supera la semplice politica. Il popolo non solo riconosce l’autorità del Re, ma si identifica con lui, dandogli quasi un ruolo divino. In questo modo, anche quando il Re agisce in modo dispotico o autoritario, il suo popolo può perdonarlo, giustificando le sue azioni come necessarie per il bene dell’impero.

Infine, ciò che deve essere compreso è che, in un sistema come questo, il bene comune si fonda sull’idea che ogni azione intrapresa dal sovrano è un atto di tutela e protezione, non solo di potere. Eppure, questa visione idealizzata nasconde i pericoli legati a un governo che non ammette opposizione. La paura di un cambiamento, la certezza di non poter sfidare l'autorità, spesso porta a una passività che, sebbene sembri stabilizzare la situazione, è un terreno fertile per l'abuso di potere.