La questione del terreno per la costruzione del centro scientifico IUCAA divenne presto uno dei temi più discussi. Il Rettore dell'Università di Poona, infatti, si trovava sotto pressione per la richiesta di cedere un'area del campus universitario, temendo che in futuro la disponibilità di spazio potesse diventare un ostacolo alla crescita stessa dell'università. Le voci di critica si moltiplicavano, soprattutto da chi sosteneva che, se il terreno venisse ceduto così generosamente, sarebbe diventato difficile per l'università espandersi. Una situazione complicata e urgente, che richiedeva una soluzione rapida.
Il passo decisivo arrivò da una mossa audace, il cui fulcro fu la convinzione di poter far leva sulle istituzioni più alte per superare le difficoltà burocratiche e politiche locali. Come membro del Consiglio Consultivo per la Scienza del Primo Ministro Rajiv Gandhi, avevo avuto modo di osservare da vicino il suo impegno per portare l'avanzamento della scienza e della tecnologia in India. La sua attitudine a ridurre la burocrazia e a favorire i progetti innovativi mi aveva colpito positivamente. Nel gennaio del 1988, durante l'apertura del Congresso annuale della Scienza indiana, il Primo Ministro aveva annunciato ufficialmente l'intenzione di creare l'IUCAA a Poona. Tuttavia, ero consapevole che questa dichiarazione, fatta senza aver ancora ottenuto il consenso formale da parte dell'UGC, aveva suscitato qualche imbarazzo, in particolare nei confronti di Yash Pal, che ricopriva un ruolo di responsabilità in ambito educativo.
Nel marzo dello stesso anno, decisi di scrivere una lettera al Primo Ministro per aggiornarlo sui progressi dell'iniziativa e per chiedere il suo supporto nel risolvere la questione del terreno. La risposta che ricevetti non tardò ad arrivare: una settimana prima di partire per la Francia, fui contattato dal Ministero del Capo del Governo di Maharashtra, Shankarrao Chavan. La sua risposta fu positiva e diretta: «Quanto terreno vi serve?» chiese. La mia richiesta di venti acri sembrò insignificante, e il Capi di Governo promise di risolvere la situazione con la massima priorità.
Quando arrivai in Francia come professore ospite al Collège de France, l'intera situazione sembrava in una fase di stallo, ma la promessa del CM era ancora valida. I problemi iniziarono a manifestarsi però quando Charles Correa, il nostro architetto, visitò Poona per esplorare il terreno assegnato. L'incontro con il Rettore dell'università si rivelò problematico, con il Rettore che ribadiva la sua opposizione a cedere terreno, nonostante le promesse politiche.
La situazione divenne ancora più incerta quando, a causa di un cambiamento politico, Shankarrao Chavan fu sostituito da Sharad Pawar come Capo del Governo. Tuttavia, la continuità amministrativa garantita dalla permanenza di DasGupta nel suo ruolo di segretario mi permise di non dover ricominciare da capo. Il mio ritorno in India coincise con l'evolversi della vicenda: a luglio del 1988, ricevetti il terreno promesso, sebbene con un piccolo intoppo, dato che la misurazione indicava solo undici acri invece dei venti richiesti. Tuttavia, la garanzia che il resto del terreno sarebbe stato fornito più tardi mi rassicurò. Il 19 luglio, giorno del mio cinquantesimo compleanno, mi venne ufficialmente consegnato l'ordine del governo.
La questione del terreno non era solo una battaglia pratica, ma anche un confronto con le difficoltà politiche e burocratiche che inevitabilmente emergono quando si cerca di realizzare un grande progetto in un contesto di gestione complessa come quello universitario. La figura del CM e il supporto che ricevetti dal governo centrale furono determinanti, ma non furono sufficienti da soli. L'intervento di figure chiave come B.G. Deshmukh, Principal Secretary presso il Primo Ministro, dimostrò quanto fosse cruciale l'influenza delle alte istituzioni politiche nell'orientare le decisioni a livello locale.
Non bisogna dimenticare che il percorso dell'IUCAA è stato un viaggio segnato da numerosi ostacoli e compromessi, ma anche da un impegno costante e una determinazione che ha permesso di superare difficoltà politiche, burocratiche e logistiche. La nascita dell'IUCAA non è solo un esempio di come un'idea possa concretizzarsi grazie alla tenacia e al supporto politico, ma anche di come le alleanze strategiche possano risolvere, o quantomeno aggirare, le sfide pratiche che emergono in progetti di grande rilevanza.
Quali sono le difficoltà e le esperienze di un giovane studente a Cambridge?
Il giardino botanico di Trescow, con la sua collezione di piante tropicali, sembrava un angolo di mondo lontano. La gestione dell’isola era nelle mani della famiglia Dorien Smith, la cui grande casa e proprietà mi davano un’idea di come potesse essere il castello di Blandings descritto nei romanzi di Wodehouse. I responsabili del corso del British Council erano con noi, organizzando di tanto in tanto conferenze e proiezioni per introdurci alla storia e alla geografia locali. Il viaggio di ritorno a Penzance fu tranquillo, con un mare particolarmente calmo. Arrivammo giusto in tempo per prendere il treno pomeridiano per Londra. Passammo la notte nell’Indian Students’ Hostel. Le nostre intenzioni di assistere alla gara di canottaggio tra Oxford e Cambridge vennero frustrate dalla pioggia, quindi decidemmo di seguire l’evento in televisione. Cambridge vinse, con nostra soddisfazione, anche se sospettavo che la signora Kumar, la responsabile dell’ostello, fosse più simpatizzante per Oxford. Tornammo a Cambridge con il treno serale.
Il trimestre di Pasqua iniziò ad aprile, e mentre i giorni diventavano sempre più lunghi e il clima più mite, cresceva l’attrazione per l’aria aperta. Tuttavia, al termine di questo breve periodo di lezioni, mi attendevano gli esami. O meglio, due di essi. Uno dei miei professori, Fred Hoyle, un personaggio dai colori vivaci appena nominato Plumian Professor di Astronomia e Filosofia Sperimentale, era il mio preferito. Le sue lezioni, ben oltre il programma, offrivano nuove prospettive sulla teoria elettromagnetica. All’epoca non avrei mai immaginato che sarei stato uno dei suoi collaboratori a lungo termine. Amartya Sen, che avevo incontrato alla BHU prima di partire per il Regno Unito, era stato all’estero quando arrivai a Cambridge, ma dopo il suo ritorno mi cercò e ci incontrammo nel suo appartamento a Trinity. La sua casa, elegante e comoda, mi ricordava ciò che avrei voluto sperimentare vivendo all’interno di un college.
Aprile e gran parte di maggio passarono nella frenesia dei preparativi per gli esami. Ogni tanto, inviti per il tè mi permettevano di mantenere i contatti con i miei professori e amici, come Mr. Cunningham e il signor Thatcher, che in modo discreto mi sostenevano nel mantenere alta la motivazione per i test che mi aspettavano. I pacchetti di cibo da casa continuavano ad arrivare regolarmente, anche se via posta marittima. In uno di questi pacchetti c’era un piatto tipico della cucina Maharashtriana, il Chirota. Anche se la mia attenzione era rivolta principalmente agli esami, pensavo anche alla lunga vacanza che sarebbe seguita. Quasi quattro mesi di pausa mi avrebbero permesso di tornare a casa. Ma la signora Vesugar mi consigliò vivamente di rimanere nel Regno Unito, per esplorarlo meglio e, se possibile, visitare il Continente. Mio padre mi suggerì di fare visita ai Dilwali a Roma, una famiglia che conoscevamo da tempo. Il signor Dilwali era stato un suo studente alla BHU e lavorava all'ONU, di stanza a New York, con un incarico alla FAO di Roma.
Mentre la preparazione per gli esami proseguiva, la tensione cresceva. Il 26 maggio arrivò finalmente il giorno del primo esame del Tripos. La sede era la biblioteca universitaria, che mi era familiare, e l’atmosfera era più informale rispetto agli esami in India, dove la segretezza era totale: qui, infatti, ci veniva chiesto di scrivere il nostro nome e il nostro college sulla carta delle risposte. Gli esaminatori erano presenti in caso di necessità di chiarimenti. Mi trovai subito a riflettere sul fatto che, se il sistema fosse stato gestito correttamente, l'esame sarebbe stato un’esperienza più serena rispetto a quanto avessi conosciuto fin lì. La valutazione stessa era rapida, con i risultati che venivano pubblicati in modo quasi rituale, ogni anno, il giovedì dopo la seconda domenica di giugno.
Il 12 giugno, mi recai al Senate House per la proclamazione dei risultati. Lì, davanti a una folla di studenti, il Presidente degli Esaminatori annunciò i risultati da un balcone interno, mentre gli studenti, vestiti di accademico, aspettavano ansiosi sotto. Per me, quel giorno non era solo una formalità: era il preludio alla mia personale esperienza, che si sarebbe ripetuta l’anno successivo, quando avrei sperato che il mio nome, "Narlikar, J.V., Fitzwilliam", venisse letto tra i migliori della classe. Quando finalmente i risultati furono pubblicati, con grande sollievo vidi che avevo ottenuto il primo posto in entrambi gli esami. I miei compagni Chitre e Naresh Chand non furono così fortunati, ma anche loro si accontentarono di un buon risultato.
Quella sera stessa, presi la mia strada verso l’ufficio postale per inviare il telegramma a casa con la buona notizia.
È importante sottolineare che in questa esperienza si intrecciano diversi aspetti fondamentali: dall’inizio del percorso accademico a Cambridge, alla gestione dei rapporti interpersonali, fino all’atteggiamento che un giovane studente deve adottare per affrontare con successo il percorso di studi, che richiede costante preparazione, resilienza e un equilibrio tra vita sociale e accademica. Oltre agli esami, ci sono momenti che formano la personalità e il carattere di un individuo, come il supporto di amici e colleghi, l’importanza di rimanere in contatto con la propria cultura e famiglia, ma anche la necessità di adattarsi a un sistema completamente diverso da quello a cui si è abituati. La combinazione di queste esperienze arricchisce l’individuo e fornisce le basi per una crescita personale che va oltre il semplice conseguimento di un risultato accademico.
Per quanto tempo è stato via?
Un uomo uscì di casa tra le tre e le quattro del pomeriggio e vi tornò tra le sette e le otto della sera. Notò che le lancette dell'orologio di casa si erano scambiate di posto nei momenti della sua partenza e del suo ritorno. Quanto tempo era stato via?
Questa semplice riflessione ci invita a considerare non solo l'aspetto oggettivo del tempo che trascorre, ma anche il modo in cui comprendiamo e interpretano il mondo che ci circonda. La nostra percezione del tempo non è sempre lineare e scontata, e può essere influenzata da vari fattori, alcuni dei quali sono ben lontani dall’essere ovvi.
Viviamo in una realtà in cui la scuola moderna, sovraccarica di programmi e contenuti, sembra spesso privilegiare l’assimilazione di nozioni piuttosto che la comprensione profonda dei concetti. Eppure, la comprensione è ciò che permette di elaborare e utilizzare la conoscenza in modo significativo. Quando si tratta di apprendimento, non basta memorizzare informazioni. Prendiamo ad esempio una semplice frase che ogni bambino impara a memoria: “Il sole sorge a est e tramonta a ovest”. Un'affermazione che, sebbene apparentemente banale, solleva una serie di interrogativi fondamentali: dove va il sole quando tramonta? E da dove appare quando sorge? È lo stesso sole che sorge ogni giorno? A queste domande, che non sono affatto banali, un buon insegnante dovrebbe saper rispondere, stimolando la curiosità e il pensiero critico. Tuttavia, nella frenesia di un programma scolastico sempre più esteso e nella necessità di gestire classi sovraffollate, il tempo per riflettere e discutere su questi temi rimane sempre più limitato.
Un buon insegnante, sebbene costretto dalle circostanze, dovrebbe comunque cercare di suscitare la curiosità nei suoi alunni, facendo sì che non si limiti solo all'assimilazione di concetti, ma che li esplori in profondità. È il caso, ad esempio, di alcuni insegnanti di matematica, che incoraggiavano dimostrazioni alternative di proposizioni geometriche, o di insegnanti di scienze che, durante le lezioni, realizzavano esperimenti pratici per illustrare teorie complesse. Ricordo ancora l'emozione che provai quando, durante una lezione, il professore mostrò il principio dietro il funzionamento di un sifone per trasferire acqua da un recipiente all'altro. Finché non lo spiegò, sembrava magia: l’acqua si sollevava sopra il livello di partenza prima di cadere nel contenitore. Senza quell’esperienza pratica, nessuna lettura del libro di testo avrebbe potuto trasmettermi lo stesso entusiasmo.
Le esperienze scolastiche, purtroppo, non sono sempre positive. Alcune riflessioni sul sistema educativo possono essere dure. Ad esempio, quando ho proposto una dimostrazione alternativa del teorema di Pitagora durante un esame, il mio insegnante mi lodò per la mia creatività ma mi avvertì che non avrei dovuto usare quella dimostrazione all’esame finale, perché gli esaminatori non avrebbero avuto il tempo di verificare se fosse corretta, essendo diversa da quella presentata nei libri di testo. Questo episodio non solo evidenzia la rigidità del sistema scolastico, ma anche come l’innovazione spesso venga vista con sospetto, soprattutto quando si distacca dai metodi convenzionali.
Questi eventi ci fanno riflettere anche sulla nostra educazione linguistica e culturale. Quando si trattava di scegliere una scuola, molti dei miei compagni di classe erano stati mandati in istituti di prestigio, dove l’inglese era la lingua principale, mentre io fui mantenuto in una scuola che utilizzava l’hindi. Per molti genitori, una scuola di lingua inglese era considerata la chiave per accedere a una classe sociale superiore, ma io non credo che sia sempre vero. Il mio legame con l'hindi mi ha permesso di comprendere più facilmente concetti scientifici, dato che la lingua che parlavo quotidianamente era quella in cui venivano spiegati i fenomeni. Questo contrasto tra l’inglese e l’hindi è emblematico di un fenomeno più ampio: la conoscenza e la comprensione di un soggetto dipendono dalla lingua in cui viene trattato. Molte volte, quando lo studente non è a suo agio con la lingua del corso, è costretto a memorizzare senza veramente comprendere il significato profondo dei concetti.
Nonostante queste difficoltà, il mio periodo scolastico ha lasciato in me anche molti ricordi positivi. Penso, ad esempio, a un episodio che riguarda una situazione in cui, come prefetto, commisi un errore di valutazione. Il nostro insegnante di educazione fisica non si presentò, e così, dopo aver aspettato un po’, decisi, insieme ai miei compagni, di tornare a casa. La decisione fu presa collettivamente, ma nonostante ciò, il mio errore fu evidente agli occhi del direttore. "L'autorità comporta responsabilità maggiore", mi disse. Questo commento è rimasto impresso nella mia memoria e mi ha accompagnato nel corso della vita, poiché mi ha insegnato che l’autorità non è solo un potere, ma un onere che implica una maggiore responsabilità nelle scelte.
Infine, è fondamentale ricordare che la comprensione di ciò che apprendiamo non dipende solo dall’assimilazione delle informazioni, ma anche dalla nostra capacità di pensare criticamente, di porre domande e di non accontentarsi di risposte superficiali. Il vero apprendimento avviene quando riusciamo a collegare le conoscenze a esperienze personali, quando siamo in grado di vedere oltre ciò che ci viene insegnato. Questo è il tipo di educazione che dovrebbe essere incoraggiato, un'educazione che valorizzi la comprensione profonda e il pensiero indipendente, piuttosto che il semplice accumulo di fatti.
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