Il sentiero pietroso sembrava deserto, ma non lo era. I segni lasciati dagli zoccoli erano troppi, troppo evidenti per non essere notati da occhi esperti. Young Wild West, quel giovane dal nome leggendario e dal sangue impetuoso, li aveva visti subito e, ancor prima che gli altri potessero rendersene conto, comprese di essere sulle tracce giuste. Non fu l’incontro con Gold Dollar Dick a fargli cambiare direzione, bensì quei solchi nel terreno: indicavano una presenza, un movimento clandestino, forse un errore commesso in fretta da chi pensava di agire nell’ombra.

Gold Dollar Dick lo affrontò con uno sguardo intriso di disprezzo e ironia. La sua domanda – “Chi sei?” – non era solo un’interrogazione, ma una provocazione mascherata da curiosità. Wild rispose con semplicità, ma anche con quella sicurezza che appartiene solo a chi ha una missione chiara: “Young Wild West.” La reazione fu immediata, sarcastica, quasi grottesca, come se quel nome fosse una barzelletta sentita mille volte. Ma sotto quella risata si celava il nervosismo: la paura di essere riconosciuto, scoperto, smascherato.

In quel momento, nel cuore della boscaglia, iniziava un gioco pericoloso fatto di parole, sospetti e identità nascoste. Wild intuì qualcosa di più profondo. Non era solo questione di due fuorilegge, ma di un’intera organizzazione: la famigerata Secret Seven. Quando lanciò la sua accusa, la reazione fu violenta, scomposta, come quella di un animale braccato. Gold Dollar Dick rimase sconvolto, sorpreso da una verità che credeva ben sepolta.

Nel silenzio che seguì, le intenzioni dei due si fecero chiare: eliminare Wild. Ma il giovane non era uno qualunque. Non agiva per caso né per vendetta personale. Aveva intuito la posizione della loro base, sapeva che la chiave per smantellare quel gruppo era seguire le tracce, studiare i movimenti, aspettare il momento giusto. Non si fece vedere, non li affrontò apertamente, ma si nascose, ascoltò, osservò.

I due, ignari della sua vicinanza, continuarono a parlare. Progettarono di spostarsi verso una miniera abbandonata vicino Weston. Era un nascondiglio perfetto: isolato, accessibile e soprattutto pieno di oro. Non solo un rifugio, ma anche una risorsa economica per finanziare nuove operazioni. Wild comprese che non bastava catturarli: bisognava distruggere l’intero nido, estirpare la radice del male.

Ma il destino aveva altri piani. Un solo rumore, un ramo spezzato sotto il peso del suo corpo, bastò a tradirlo. Nonostante l’istinto, l’abilità e l’esperienza, fu preso. Silenziosamente, con una precisione quasi militare, gli misero un sacco sulla testa e lo legarono a un cavallo. Nessuna parola, nessuna minaccia urlata, solo l’oscura calma di chi sa esattamente cosa fare con una preda catturata.

Il cammino verso la miniera fu lungo e tortuoso. Volevano disorientarlo, impedirgli di capire dove si trovasse. Ma era chiaro che volevano portarlo lì non solo per ucciderlo, ma per farne un esempio. “Lo uccideremo e lasceremo il segno della Secret Seven sul suo petto”, disse uno di loro. La morte come messaggio, la violenza come linguaggio.

Ciò che non sapevano era che Wild, anche legato e cieco, non smetteva di pensare. Ogni parola, ogni svolta, ogni profumo del paesaggio veniva memorizzato. La sua mente lavorava, cerca

Che tipo di pericolo rappresentano i "Secret Seven"?

Il sole alto filtrava a malapena attraverso la polvere che si sollevava al trotto dei cavalli. Una risata rozza riecheggiò tra i rami secchi e il cigolio delle selle, mentre un gruppo di cavalieri dal volto ombroso piombava sul sentiero, guidato da un uomo il cui aspetto pareva scolpito nella brutalità. La loro comparsa non era solo intimidatoria — era una dichiarazione. Con un grido sguaiato e una pioggia di parole beffarde, si fermarono davanti ai viaggiatori.

"Solo un miglio fino a Weston," rispose il giovane con voce ferma, incurante dell’aria minacciosa. Era Wild West, riconoscibile non tanto dal nome quanto dall’atteggiamento – freddo, lucido, sicuro. Ma in quel momento non era solo la distanza a preoccupare: era il tipo d’uomini con cui stavano avendo a che fare.

Il nome del gruppo era pronunciato con orgoglio e superstizione: The Secret Seven. Un nome che evocava terrore e lasciava il segno ovunque passassero — un simbolo inquietante composto da un teschio e due coltelli incrociati. Non era solo un gioco d'immagine; era un codice di violenza, un avvertimento lasciato dietro ogni crimine. A ogni occasione, ribadivano la loro presenza con quel marchio sinistro, come a dire che la legge qui era la loro.

Gold Dollar Dick, uno dei leader del gruppo, si alzò con lentezza, con una teatralità studiata. Estrasse una bottiglia e propose un brindisi "al Segno dei Secret Seven". La scena si caricava di tensione mentre il whiskey passava di mano, gesto che nel loro mondo significava lealtà, ma anche intimidazione. Rifiutare un sorso non era semplicemente una scelta: era una provocazione.

"Scusateci, ma non beviamo adesso," disse Wild con fermezza. Un rifiuto che accese l’ira tra gli uomini, abituati a ottenere obbedienza senza discussione. La provocazione fu subito seguita da un tentativo di costrizione. Quando uno di loro spinse con forza la fiasca sotto il naso di Jim, Wild intervenne con decisione, facendo volare la bottiglia per terra.

L’atmosfera mutò in un attimo. L’odore del whiskey si mescolò alla polvere mentre i cavalli si innervosivano. Uno dei cowboy, infuriato, cercò di colpire Wild, ma fu fermato da un pugno secco che riecheggiò tra i rami come un colpo d’ascia. Il duello a cavallo che ne seguì fu breve e brutale, un’esplosione di forza e controllo. I compagni del giovane si tirarono indietro: ciò che stava accadendo non era ordinaria rissa, era uno scontro simbolico tra due visioni del West.

Nonostante la violenza, nessuno dei capi dei Secret Seven estrasse l’arma. Forse per arroganza, forse per sottovalutazione. Ma quel gesto rivelava anche altro: una legge non scritta del loro mondo, dove il disonore si lavava prima con i pugni e solo dopo, se necessario, con il piombo.

Nel frattempo, la narrazione si spostava verso un altro luogo carico di silenzio: la sepoltura anonima di una vittima del gruppo. Tra le fronde di cedro, il corpo veniva nascosto, le mani dei ragazzi scavavano nella sabbia con rispetto, marcando il punto con una pietra. Il rito non era religioso, ma profondamente umano. Non avevano conosciuto l’uomo, ma gli dovevano qualcosa. La giustizia, in quelle terre, non arrivava col distintivo — ma con la memoria.

Il simbolo dei Secret Seven veniva recuperato accanto al cadavere: un piccolo oggetto ma dal significato enorme. Era il solo indizio rimasto, e bastava a far partire la caccia. Wild e i suoi compagni decisero di dividersi, stabilendo una base provvisoria per setacciare i sentieri nei dintorni. Non c’erano mappe, solo tracce sottili e intuizioni. Nessuno dei cavalieri portava insegne ufficiali, ma il loro senso della giustizia era più tagliente di qualsiasi stella di latta.

Importante da comprendere è la funzione del simbolo nei gruppi clandestini: non serve solo a identificare, ma a intimidire, a creare una narrativa attorno alla propria invulnerabilità. Il terrore, come l’ideologia, è spesso più efficace del proiettile. Inoltre, il rifiuto del whiskey non è un dettaglio banale: nel codice culturale del West, esso rappresenta accettazione, alleanza momentanea, rispetto delle regole non scritte. Chi rifiuta la bevuta rifiuta l’intero sistema di valori che la sorregge, e in questo senso Wild non compie solo un gesto personale, ma una sfida diretta all'ordine stabilito dai fuorilegge. L’equilibrio fragile del potere si spezza proprio in questi momenti.