Quando ci si sposta in un nuovo ambiente, che sia per motivi professionali o personali, il processo di adattamento è inevitabile. La sfida non riguarda solo l’abitudine a nuove abitudini, ma anche il modo in cui una famiglia può integrarsi in un contesto culturale e sociale diverso. La mia esperienza, che mi ha portato a trasferirmi in India negli anni '70, offre uno spunto di riflessione su come le dinamiche familiari possano evolversi e come l’interazione tra diverse generazioni possa influire sulla vita quotidiana.

Nel mio caso, il trasloco a Mumbai si è svolto con una certa facilità, grazie all’aiuto della comunità COBRA, che, pur essendo un gruppo di dimensioni considerevoli, favoriva la creazione di contatti personali stabili. La vicinanza a Geetanagar, una zona povera ma vivace, ci ha permesso di contare su un’efficace rete di supporto per le necessità quotidiane, come l’assunzione di collaboratori domestici per la pulizia della casa. Le risorse locali erano abbondanti, e la possibilità di fare acquisti a pochi passi da casa ha semplificato molto la nostra sistemazione.

Nonostante le difficoltà iniziali, come l’attesa della nostra mobilia che sarebbe arrivata dall’Inghilterra, la vita quotidiana si adattava rapidamente alla nuova realtà. Non appena i nostri beni arrivarono, il nostro appartamento, che inizialmente appariva vuoto, fu improvvisamente colmo di oggetti familiari. A quel punto, la nostra casa divenne un vero e proprio punto di riferimento per me e la mia famiglia, ma anche per chi ci circondava. Nonostante l’assenza di una televisione nella nostra zona, il nostro appartamento divenne il primo a disporre di un set televisivo, creando un piccolo punto di incontro per vicini e amici.

Questa transizione, seppur relativamente priva di difficoltà pratiche, segnò l'inizio di un adattamento più profondo a un contesto sociale molto diverso. Questo cambiamento fu reso meno arduo anche dalla nostra possibilità di mantenere contatti con l'estero, e da una certa flessibilità nel lavoro, che mi permise di continuare a viaggiare e a collaborare con professionisti di altre nazioni. La nostra piccola famiglia, composta da figli piccoli, non subì un vero e proprio "shock culturale" grazie alla giovane età dei bambini, che si adattarono con naturalezza.

Con il tempo, l’arrivo dei miei genitori nel 1973, subito dopo il pensionamento di mio padre, aggiunse una nuova dimensione alla nostra vita. La loro presenza in casa non solo arricchì le nostre giornate, ma aprì anche riflessioni più ampie sul concetto di famiglia allargata e sulla vita in una casa condivisa. L’esperienza di vivere insieme ai miei genitori era qualcosa che, sebbene strettamente legata alle tradizioni familiari indiane, offriva anche nuove sfide quotidiane.

L’adattamento alle dinamiche della casa comune non fu sempre facile. Ogni generazione aveva la propria visione del mondo e il proprio modo di gestire la casa. Mia madre, ad esempio, si trovava spesso a dover mediare tra le differenti aspettative della nostra nuova routine familiare. Nonostante le differenze, le mie figlie trassero grandi benefici dalla presenza dei nonni, che le educarono con saggezza e pazienza, insegnando loro non solo le tradizioni culturali, ma anche valori di disciplina e rispetto che difficilmente avrebbero potuto ricevere altrove. La tradizione di recitare shlokas la sera, sotto la guida di mia madre, rimase un ricordo indelebile per me e per le mie figlie.

Ciò che posso dire con certezza è che vivere insieme a più generazioni in una casa comune offre tanto, ma porta anche inevitabili conflitti. La convivenza non è mai priva di attriti, e sebbene possa sembrare che le piccole divergenze siano banali, esse rappresentano il cuore di un processo di negoziazione continua e, alla fine, di crescita reciproca. La diversità di approccio nel gestire la casa e il rispetto delle routine personali, come nel caso di mio padre, che era molto rigido nel seguire il suo orario quotidiano, è una manifestazione delle differenze tra le persone che coabitano.

In un contesto come quello di un famiglia allargata, dove ogni membro porta con sé il proprio bagaglio culturale e le proprie aspettative, è fondamentale capire che, sebbene la vicinanza fisica possa favorire il conflitto, è altrettanto vero che fornisce occasioni continue di apprendimento e di crescita. Il processo di adattamento non si limita a una semplice gestione di spazi fisici, ma coinvolge anche l’introspezione e l’interazione tra valori, tradizioni e visioni del mondo. La nostra esperienza, pur se segnata da piccoli contrasti, ci ha insegnato che la coesistenza, nonostante le difficoltà, porta inevitabilmente a un arricchimento delle nostre vite.

Come IUCAA ha costruito la sua identità accademica e amministrativa

Nel 1989, quando mi sono unito a IUCAA come direttore a tempo pieno, l'amministrazione dell'Istituto operava ancora da una singola stanza nel Golay Bungalow. In quel periodo, ho avuto modo di incontrare numerosi candidati per vari ruoli, con gli intervistati che attendevano all'esterno su gradini di pietra. I primi membri del nostro personale includevano persone che avrebbero avuto un impatto fondamentale sull’evoluzione dell'Istituto, come Ratna Rao, Santosh Khadilkar, Rajiv Pardeshi e Niranjan Abhyankar. Abhyankar, tra le altre cose, si occupava della gestione contabile dell’Istituto. Allo stesso tempo, Mrs. Malegaonkar, che si era già unita al team, era impegnata nell’organizzazione dei libri di IUCAA in una sezione separata della biblioteca GMRT, grazie ancora una volta alla gentilezza di Govind Swarup.

Ricordo anche il momento in cui Ajit Kembhavi e Mrs. Malegaonkar, sotto una pioggia battente, aspettavano l’arrivo di una nuova fornitura di libri. Questo fu solo l'inizio di un processo di crescita che avrebbe portato IUCAA a diventare un punto di riferimento nel campo dell'astronomia e astrofisica, non solo a livello nazionale, ma internazionale.

Una delle prime priorità fu quella di dotarci di un’amministrazione efficace, e per questo, Naresh e io abbiamo chiesto all'Università di Pune di mettere a nostra disposizione i servizi di Suresh Panchwagh, un esperto funzionariato proveniente dall’ufficio del registro dell'università. Questa richiesta venne prontamente accettata, alleviando in parte il nostro carico di lavoro, mentre eravamo alla ricerca di un amministratore più stabile. Tuttavia, Panchwagh preferì tornare alla sua posizione originaria una volta scaduto il periodo di deputazione, ed è stato sostituito da Tarunaditya Sahay, un altro eccellente professionista, che ha ricoperto il ruolo di amministratore fino al 2002.

Il mio obiettivo, fin dai primi giorni, era avviare un programma accademico solido e sostenibile, mirato al settore universitario. Mentre il GMRT, il radiotelescopio, era ancora lontano dalla sua completa realizzazione, non potevamo fare affidamento solo su di esso. La nostra visione era più ampia, come delineato nel "Cammino Ottuplice" per sviluppare l'attività accademica nell’ambito dell'astronomia e astrofisica (A & A) nel settore universitario. Per questo, era fondamentale stabilire un corpo docente centrale all'interno di IUCAA, composto da ricercatori attivi che potessero dirigere i programmi accademici e coinvolgere esperti di istituti di ricerca in astronomia per partecipare alle nostre attività pedagogiche.

Nonostante il nostro focus iniziale fosse orientato sul radiotelescopio, era chiaro che l'istituzione di un forte legame con le università sarebbe stato cruciale per il successo di IUCAA. A questo scopo, abbiamo avviato una serie di “incontri regionali” in diverse parti del paese, nei quali descrivevamo gli sviluppi in astronomia e astrofisica, le opzioni di carriera per i giovani studenti e le risorse di aggiornamento a disposizione dei membri delle facoltà universitarie. Questi incontri si sono rivelati fondamentali per aumentare la visibilità di IUCAA e per raccogliere informazioni sulle condizioni del settore universitario, aiutandoci a individuare docenti promettenti e istituzioni che avrebbero beneficiato delle nostre risorse.

Un altro passo significativo verso il consolidamento della nostra struttura accademica fu l'inizio del programma di reclutamento del personale docente centrale. Inizialmente, eravamo io, Naresh e Ajit, ma ben presto ho aggiunto Sanjeev Dhurandhar, che proveniva dal Dipartimento di Matematica dell'Università di Pune e aveva ottenuto il dottorato sotto la mia guida. I nostri sforzi non sono passati inosservati. Yash Pal, un autorevole leader nel campo dell'educazione e della ricerca, ci ha consigliato di includere nel nostro brainstorming due eminenti figure: Rais Ahmed e N. Mukunda. Da queste discussioni è emerso chiaramente che IUCAA doveva basarsi su un corpo docente di scienziati attivi nella ricerca, capaci di condurre progetti di alta qualità, ma anche disposti a partecipare ai programmi pedagogici dell'Istituto.

Anche se l'originale progetto di IUCAA prevedeva venti membri accademici, alla fine del secolo eravamo ancora fermi a 13. Ma nonostante queste difficoltà, IUCAA ha continuato a evolversi con l’introduzione di un "Calendario Accademico", un’iniziativa che è stata pionieristica in India, seguita in seguito da molte altre istituzioni. Allo stesso tempo, IUCAA ha introdotto un sistema completamente informatizzato per la sua biblioteca, con l’ausilio di un software fornito dalla ditta Gaikaiwari di Pune, un passo fondamentale nel processo di digitalizzazione.

Non meno importante fu l’implementazione del centro computerizzato, che fu pensato non solo per soddisfare le esigenze amministrative, ma anche per diventare un punto di riferimento per gli accademici in visita. Per dar vita a questa nuova infrastruttura, avevamo bisogno di spazio. Il nostro ufficio, situato nel Golay Bungalow, non poteva più accogliere tutte le necessità crescenti dell'Istituto. Di conseguenza, fu deciso di costruire un edificio temporaneo di circa 2000 piedi quadrati, che fu completato nel settembre 1989, e che presto divenne il cuore delle operazioni quotidiane dell'Istituto.

Questa “baracca”, destinata inizialmente a essere una soluzione temporanea, divenne un simbolo di resistenza e adattamento per IUCAA, tanto che, con il tempo, decidemmo di conservarla come parte permanente della nostra struttura. Un altro aspetto significativo fu l'interazione con l'architetto Charles Correa, che, attraverso numerosi incontri, tradusse la nostra visione in un progetto concreto. La pianificazione dei lavori fu suddivisa in tre fasi: la costruzione di alloggi per il personale, la realizzazione degli edifici istituzionali e infine l'auditorium e il centro ricreativo, che avrebbero completato l'immagine di un IUCAA autonomo e pronto a guardare al futuro.

Come l'ospitalità e la cordialità britanniche hanno arricchito un viaggio in Inghilterra

Il viaggio verso Lee Abbey, un’antica dimora di campagna situata sulla costa del Devon, rappresenta un esempio di come la gentilezza e l’ospitalità possano rendere straordinaria una semplice escursione. Peter, che aveva organizzato tutti i dettagli per la mia visita, aveva prenotato un autobus per il viaggio da Cambridge a Lynton. Per facilitare la mia partenza, mio cugino mi venne a prendere con l’auto e mi accompagnò fino al Senato, da dove il bus avrebbe dovuto partire. Nonostante il viaggio fosse iniziato con un piccolo ritardo, la lunga corsa verso la costa non fece che arricchire la mia esperienza.

In quegli anni, prima della costruzione delle autostrade in Inghilterra, i viaggi erano più lenti. Tuttavia, il percorso offriva panorami straordinari e uno degli aspetti che mi impressionò maggiormente fu la calma con cui il conducente affrontava la lunga distanza: in ben 400 km, il clacson venne suonato una sola volta. Ogni piccolo dettaglio del viaggio mi sembrava segnato da una cultura di tranquillità e misura. La mia attenzione fu poi catturata dalla natura selvaggia che iniziava a emergere man mano che ci avvicinavamo alla costa, con gli scorci del mare che apparivano come scorci di un sogno lontano.

Arrivati a Lee Abbey, una grande casa di campagna capace di ospitare circa 100 persone, la bellezza del posto mi lasciò senza parole. Situata sulla sommità di una collina affacciata sulla costa, l'abbazia offriva una vista spettacolare. Le sue 260 acri di terreno, un paesaggio di verdi colline e sentieri boscosi, erano ideali per chi volesse dedicarsi a lavori fisici, ma anche per chi, come me, preferiva il silenzio e la solitudine della biblioteca, che divenne il mio rifugio di lavoro. Lì, circondato dalla luce dorata del mattino che filtrava dalle finestre, continuai a scrivere e a preparare appunti per le mie lezioni, con pochi disturbi da parte degli altri studenti, che seguivano un programma accademico separato dal mio.

Sebbene il periodo trascorso a Lee Abbey fosse sereno e produttivo, il mio soggiorno non fu privo di momenti di incontro con la vita fuori dall'abbazia. Un giorno, il mio amico John Lovel, accompagnato dalla sua famiglia, mi portò in una gita nei dintorni, mostrandomi luoghi incantevoli come Hunter’s Inn e Woody Bay. Lì, in una fattoria, ci fermammo per un tè con la famosa panna del Devon, un dolce piacere che rimase impresso nella mia memoria. Un episodio curioso accadde con il piccolo Richard, il figlio di John, che, vedendomi con un solo scarpa a causa del mio ingessamento, si preoccupò e mi chiese dove fosse finito l’altro scarpa, rimanendo perplesso fino a quando gli spiegai che l'avevo dimenticato a casa.

La pace di Lee Abbey e la sua atmosfera serena divennero il contesto ideale per recuperare le lezioni perse e riorganizzare i miei pensieri. Le giornate passavano tra lavori accademici e gite in campagna, mentre la primavera, con il suo clima mite e soleggiato, arricchiva ogni passeggiata che riuscivo a fare con le mie stampelle. Le difficoltà di muovermi non mi impedirono di godermi il paesaggio, che, nelle sue infinite sfumature di verde e blu, mi sembrava una metafora della calma interiore che avevo trovato.

Un episodio che rispecchiava l’onestà e la cordialità del popolo britannico si verificò al termine della mia permanenza a Lee Abbey. Quando il professor Grave, il preside del mio college, venne a prendermi per riportarmi a Cambridge, accadde un piccolo incidente. Avevo dimenticato la mia valigia fuori dal cancello, e solo quando eravamo già a metà strada, ci accorgemmo dell’errore. Nonostante la difficoltà, Dr. Grave e sua moglie non esitarono a tornare indietro per recuperarla. Questo gesto di attenzione e onestà è emblematico di un’Inghilterra che, pur famosa per la sua formalità, nasconde in realtà una grande generosità d’animo.

Durante il mio soggiorno, anche il supporto dei miei tutor fu fondamentale. Nonostante l’incidente che mi aveva costretto a camminare con le stampelle e un piede ingessato, continuai a seguire il mio programma accademico senza mai sentirmi abbandonato. La presenza di un tutor come Dr. Lyttleton per la matematica applicata e del Dr. Wei per la matematica pura fu fondamentale per il mio recupero e la mia preparazione.

Le difficoltà fisiche non impedirono di mantenere i contatti sociali. Nonostante il mio piede ingessato, i miei amici, colleghi e i vari docenti mi invitarono a pranzo o per una tazza di tè. Le visite del Dr. Arun Mahajani e altri amici indiani arricchirono ulteriormente la mia esperienza. Ricordo con affetto anche un incontro casuale con il dottor V.N. Shrikhande, un chirurgo che, nonostante i suoi numerosi successi, rimase una persona modesta e generosa.

La mia esperienza a Lee Abbey, quindi, non è solo una testimonianza della bellezza del paesaggio inglese, ma anche un racconto di umanità, gentilezza e supporto reciproco che, in un periodo di difficoltà, rappresentano il valore di una comunità. Questo viaggio, che sembrava iniziare come un semplice soggiorno in un luogo lontano, si rivelò essere molto di più: un incontro profondo con la cultura, l’onestà e la solidarietà che, a volte, possono fare la differenza nei momenti di necessità.