Il discorso scientifico ordinario è irrimediabilmente impegnato con oggetti astratti – nazioni, specie, numeri, funzioni, insiemi – così come lo è con le mele e altri corpi. Tutti questi oggetti figurano come valori delle variabili nel nostro sistema complessivo del mondo. I numeri e le funzioni contribuiscono in modo altrettanto genuino alla teoria fisica quanto le particelle ipotetiche (Quine 1981a, pp. 149–150). Combinando le Tesi A e B, si supporta il primo principio dell'argomento dell'indispensabilità, come riformulato da Colyvan (2001, p. 11), la cui formulazione è spesso considerata la sua forma canonica:
P1 Le entità matematiche sono indispensabili per le nostre migliori teorie scientifiche.
Secondo l'idea di Quine sull'impegno del quantificatore, ci sono due modi in cui questa affermazione di indispensabilità può essere descritta, ognuno dei quali porta a una diversa formulazione in cui le frasi quantificate esistenzialmente appaiono nelle formule delle teorie scientifiche. Baker (2003, p. 53) chiama il primo modo la "forma debole", dove il quantificatore esistenziale cade nell'ambito del quantificatore universale (∀∃...), e il secondo modo la "forma forte", dove il quantificatore universale cade nell'ambito del quantificatore esistenziale (∃∀...). A seconda della formulazione, si giunge a conclusioni differenti. Accettando la forma debole, si stabilisce che il riferimento a (alcune) entità matematiche è indispensabile in generale. Senza di esse, le migliori teorie scientifiche non potrebbero essere formulate. Tuttavia, non si può giungere a conclusioni definitive su quali specifiche entità matematiche ciò comporti, e quindi l'unica conclusione che ne consegue è che esistono entità matematiche, punto e basta. Accettando invece la forma forte, si stabilisce l'indispensabilità di entità matematiche specifiche, implicando che le migliori teorie scientifiche non potrebbero essere formulate senza quelle specifiche entità matematiche, e quindi la conclusione è che esistono quelle entità matematiche specifiche. L'argomento dell'indispensabilità continua poi con il secondo principio:
La direzione "solo quelle entità" del principio precedente può essere difesa facendo riferimento all'idea del naturalismo ontologico, che nasce dall'idea che la filosofia sia continua con la scienza. Si riconosce che è all'interno della scienza stessa, e non in una filosofia preliminare, che la realtà deve essere identificata e descritta (Quine 1981b, p. 21). Una delle idee chiave è che tutto ciò che esiste è un continuum spaziotemporale, insieme a tutte le entità che lo abitano (Marcus 2014a, p. 3576). Il dominio spaziotemporale è esattamente l'oggetto di studio delle scienze. E in quanto tale, "le domande ontologiche, sotto questa visione, sono sullo stesso piano delle domande di scienza naturale" (Quine 1951, p. 43). Il naturalismo ontologico è talvolta compreso in modo negativo: accettare solo quelle entità nella propria ontologia che le migliori teorie scientifiche sono ontologicamente impegnate ad accettare. Ciò preclude, ad esempio, altre entità che alcune teorie metafisiche e/o teologiche sono impegnate a considerare.
L'altra direzione del principio, o "tutte le entità", è supportata dall'appello all'olismo di conferma, che è una relazione tra evidenza empirica da un lato e teorie nella loro interezza dall'altro. Essa afferma che una singola affermazione (osservazionale) o una singola ipotesi non possono essere testate in isolamento. Dopotutto, un'ipotesi isolata non comporta mai una previsione empirica. Il punto è che sullo sfondo è in gioco un'intera teoria, o gruppo di teorie, che contiene ipotesi ausiliarie, leggi e altre assunzioni di base. La logica deduttiva non ci fornisce una risposta su quali di quelle componenti possano essere (dis)confermate. Solo l'intero quadro teorico può essere (dis)confermato. Questo è ciò che ha portato Duhem (1906b, p. 260) a osservare che un esperimento "non può mai condannare un'ipotesi isolata". Poiché è l'intero quadro teorico a essere confrontato con i dati osservativi e giustificato da essi, Quine (1960a, pp. 362–364) conclude che anche la parte matematica del quadro teorico è pertinente a tale evidenza. Considerare l'intero di un quadro teorico implica considerare tutte le sue componenti individuali, e questo include anche tutto l'apparato inferenziale, cioè la logica e la matematica (Marcus 2014a, p. 3578).
Accettare l'olismo di conferma significa anche che è sufficiente stabilire la tesi più debole, dove il quantificatore esistenziale cade nell'ambito del quantificatore universale. La conclusione dell'argomento di indispensabilità di Quine-Putnam è, infatti, un'approvazione del platonismo matematico:
C ∴ Dobbiamo essere ontologicamente impegnati con le entità matematiche.
Una volta che si accettano i principi, la conclusione segue inevitabilmente. Al centro dell'argomento c'è l'idea che certe proprietà possano essere trasferite da una classe di teorie indiscusse a una classe di teorie discusse: [supponiamo di avere una classe di teorie di tale tipo che abbiamo mezzi abbastanza chiari per stabilire se siano vere (o giustificate, o confermate, o simili)... Supponiamo di avere teorie di una seconda classe, una classe per la quale ci mancano quei mezzi probatori... Se abbiamo un modo di mostrare che l'appello alle teorie di questa seconda classe non può... essere evitato dalle teorie della prima classe, possiamo avere una ragione per pensare che alcune proprietà semantiche o epistemiche... siano trasferite dalle prime alle seconde] (Panza & Sereni 2016, p. 470).
Nel caso dell'argomento di indispensabilità di Quine-Putnam, l'obiettivo specifico è stabilire se gli oggetti controversi della prima classe di teorie esistono, trasferendo alcune proprietà accettate degli oggetti indiscussi della seconda classe di teorie alla prima. Sebbene valido, l'argomento non è privo di obiezioni. Le obiezioni possono essere suddivise grosso modo in coloro che negano che la matematica sia indispensabile per le nostre migliori teorie scientifiche, contrariamente al primo principio; coloro che accettano la matematica come indispensabile, ma negano l'impegno ontologico verso le entità matematiche, contrariamente al secondo principio; e coloro che negano una direzione del secondo principio. Tra coloro che negano che la matematica sia indispensabile per la scienza, il più importante esponente è Field (1980). Nel suo lavoro 'Science without Numbers', egli segue un suggerimento del matematico David Hilbert, e mostra che grandi parti della teoria gravitazionale newtoniana possono essere formulate senza ricorrere alle entità matematiche. Sebbene il lavoro dimostri solo la dispensabilità della matematica per una parte della fisica newtoniana, esso mostra anche un teorema di rappresentazione che dimostra che nessuna delle nozioni importanti riguardanti le affermazioni numeriche nella formulazione matematica originale della teoria, come quelle che si trovano nelle funzioni per il potenziale gravitazionale o la densità di massa, vengono perse nella meta-teoria (Colyvan 2012, pp. 68–69). Certamente, resta da vedere se una strategia simile sia possibile per altre parti della fisica newtoniana e, più importante, per le teorie fisiche più recenti. Tuttavia, il risultato è tutt'altro che triviale.
L'Indispensabilità della Matematica e la Circolarità delle Spiegazioni: Un'Analisi Critica
Il dibattito sull'Indispensabilità Matematica (IMA) si arricchisce di numerose obiezioni che mettono in discussione non solo la validità dei suoi argomenti, ma anche la possibilità di una loro applicazione coerente e non circolare. La questione centrale di tali obiezioni riguarda il fatto che, pur essendo la matematica frequentemente utilizzata nelle spiegazioni scientifiche, la sua presenza non giustifica automaticamente la veridicità o l'indispensabilità della stessa all'interno di un contesto naturalistico. In altre parole, se esistono molteplici spiegazioni che soddisfano le stesse osservazioni empiriche, l'invocazione del potere esplicativo della matematica rischia di risultare circolare, poiché implica la verità della spiegazione matematica senza fornire un fondamento solido per tale verità.
Questo punto viene ben evidenziato da Ladyman et al. (1997, p. 313), che mettono in luce come l'uso del Principio di Inferenza al Miglior Spiegazione (IBE) nelle scienze non possa giustificare, da solo, la pretesa di veridicità ontologica di entità matematiche. Se le spiegazioni possibili sono molteplici e ugualmente compatibili con le osservazioni empiriche, si entra in un circolo vizioso: la matematica come spiegazione non si distingue dalle altre possibili spiegazioni sul piano epistemologico, e la decisione su quale teoria sia la "migliore" si basa su assunzioni non giustificate, come la preferenza per la matematica come "più generale" o "più potente". Tuttavia, l'adozione di un principio come l'IBE non è sufficiente a risolvere la questione, poiché non elimina la possibilità di altre spiegazioni concorrenti.
Un passo ulteriore in questa discussione viene proposto da Douven (2017), che suggerisce di riformulare il passaggio abductivo in termini di probabilità maggiore per una determinata ipotesi rispetto ad altre. Questo approccio evita il problema della verità assoluta, ma pone un nuovo interrogativo: su quale base si compie il confronto tra ipotesi differenti? Una teoria sulla "vicinanza alla verità" è necessaria per risolvere questa questione, ma resta da chiarire quale criterio oggettivo debba essere adottato per determinare quale spiegazione sia "migliore".
Le obiezioni esaminate in questo capitolo riguardano anche la presunta superiorità delle spiegazioni matematiche rispetto a quelle nominalistiche. Sebbene la generalità sia spesso vista come una virtù esplicativa, l'estensione della generalità delle spiegazioni matematiche è problematica quando si discute all'interno di un contesto naturalistico. Il punto cruciale è che, sebbene le spiegazioni matematiche siano più generali, la loro applicazione e comprensione all'interno di fenomeni fisici devono essere giustificate attraverso una corretta interpretazione, senza che l'uso della matematica venga erroneamente scambiato per una vera e propria spiegazione causale.
Nel contesto dell'EIA (Enhanced Indispensability Argument), un altro problema si manifesta riguardo alla natura esplicativa della matematica. L'idea che la matematica non faccia altro che rappresentare o indicizzare i fatti, piuttosto che spiegarli, solleva interrogativi importanti sul ruolo che la matematica gioca nell'esplicare fenomeni empirici. In effetti, molte delle volte si confonde la matematica come strumento rappresentazionale con la sua funzione esplicativa, senza considerare che la vera spiegazione deriva dai fatti fisici stessi, mentre la matematica è solo uno strumento che aumenta la salienza cognitiva, ampliando la nostra comprensione di tali fatti.
Infine, un'importante riflessione riguarda il rischio di circolarità che emerge quando si adotta l'IBE nel contesto dell'EIA. Se la matematica è la spiegazione più forte, la sua superiorità deve essere giustificata in modo non circolare, evitando il rischio che l'argomentazione stessa sia viziata da un pregiudizio ontologico che considera la matematica come "la migliore" senza spiegare adeguatamente perché tale scelta sia preferibile rispetto ad altre spiegazioni. Questo è particolarmente evidente nel caso della ciclicità del fenomeno delle cicale periodiche, dove le spiegazioni matematiche sono considerate più forti di quelle nominalistiche, ma la scelta di preferirle rischia di essere una tautologia che non offre una vera soluzione epistemologica.
Le implicazioni di queste osservazioni sono significative. Per evitare il circolo vizioso delle spiegazioni matematiche, è essenziale adottare un criterio di selezione delle spiegazioni che non dipenda da pregiudizi ontologici né da assunzioni non giustificate. Inoltre, il ruolo della matematica nelle scienze deve essere correttamente definito: non si tratta di una spiegazione in senso stretto, ma piuttosto di uno strumento che amplia le nostre capacità cognitive e interpretative, unito alla necessità di contestualizzare la sua applicazione in modo realistico e empirico.
È possibile spiegare scientificamente senza accettare l’esistenza dei numeri?
Nel dibattito sull’indispensabilità della matematica nelle spiegazioni scientifiche, uno dei punti più delicati riguarda la natura del principio HP (Hypothetical Principle) e il suo ruolo nel colmare i vuoti esplicativi identificati nell’argomento dell’indispensabilità (EIA). Se HP è un principio analitico, allora il contenuto matematico non solo compare nell’argomento, ma si trasferisce direttamente all’explanandum, cioè al fenomeno da spiegare. In tal caso, non si può evitare che la spiegazione scientifica abbia un contenuto matematico intrinseco. La possibilità stessa di predicare la primalità in una formulazione logica del dato empirico (Df_ol) dipende dalla natura analitica o meno di HP.
In questa cornice, la strategia dell’EIA si trova in una posizione fragile: se HP è analitico, allora si genera un problema di circolarità. Per evitare questa trappola, occorre assumere che HP non sia analitico. Tuttavia, questa assunzione non è ovvia né universalmente accettata, ed è oggetto di dibattito. Accettando per ipotesi che HP non sia analitico, l’EIA può avanzare una spiegazione combinando HP con la logica del secondo ordine dyadica e vincoli biologici, ottenendo così una spiegazione del fenomeno biologico (Df_ol). Se tale spiegazione risultasse essere la migliore disponibile, allora si avrebbe un motivo per accettare l’esistenza dei numeri à la Frege, secondo la conclusione dell’argomento.
Ma questa via non è l’unica percorribile. Anche ipotizzando la non-analiticità di HP, resta aperta la questione se la spiegazione matematica proposta dall’EIA sia effettivamente la migliore. Da qui nasce la “strategia dell’interpretabilità”, che propone un’alternativa per chi rifiuta l’EIA, sfruttando i teoremi di interpretabilità relativa.
L’idea è indagare quali siano le teorie più deboli che possono interpretare la matematica necessaria nelle spiegazioni scientifiche. Questo ha un doppio interesse: da un lato, capire quali fenomeni naturali possano essere spiegati in modo nominalista; dall’altro, comprendere quale tipo di matematica si presta a queste interpretazioni deboli. L’esempio canonico è la spiegazione del ciclo vitale dei cicale periodiche, che mostra come i cicli primi riducano l’intersezione con altri cicli, basandosi su lemmi aritmetici legati al minimo comune multiplo e alla coprimalità.
La strategia alternativa prende le mosse da una teoria della concatenazione di stringhe non vuote di simboli “a” e “b”, chiamata QT. QT è formulata in logica del primo ordine, con identità, due costanti individuali (a, b) e un simbolo di funzione binaria “∗” per la concatenazione. Le cinque assiomi fondamentali di QT definiscono le proprietà strutturali della concatenazione. Il risultato è una teoria minimale, ma dotata di una sorprendente capacità espressiva.
QT ha una rilevanza particolare per il nominalista: è già stata utilizzata da Goodman e Quine nella loro teoria nominalista della sintassi. In effetti, ogni teoria metafisica coerente con una teoria della verità presuppone una teoria della sintassi, e questa richiede una teoria della concatenazione. Sebbene Goodman e Quine rifiutassero l’esistenza di infiniti oggetti, QT non ammette modelli finiti. Altri nominalisti, come Field, non esitano invece ad accettare un’infinità di oggetti.
Ciò che rende QT ancora più interessante è che essa è mutualmente interpretabile con la Teoria Insiemistica Aggiuntiva (AST) con l’assioma di estensionalità (EXT), un linguaggio anch’esso del primo ordine, dotato solo del simbolo di relazione binaria ∈. AST+EXT si basa su tre assiomi: l’esistenza dell’insieme vuoto, l’aggiunta di elementi a insiemi già esistenti e l’estensionalità. Il risultato è un frammento estremamente debole della teoria Zermelo-Fraenkel con scelta (ZFC).
Field ha tentato di dimostrare che ZFC con “urelementi” — oggetti che possono appartenere a insiemi senza essere essi stessi insiemi — è conservativa rispetto a qualsiasi teoria fisica internamente coerente, e non aggiunge nulla di non-matematico a essa. Questa posizione ha avuto un peso rilevante nel dibattito nominalista.
L’importanza di questa strategia risiede nella possibilità di costruire spiegazioni scientifiche robuste senza impegnarsi ontologicamente con gli oggetti matematici. Se è possibile interpretare la matematica necessaria per la spiegazione dei cicli vitali delle cicale all’interno di QT o AST+EXT, allora si mostra che non è necessario credere nei numeri per accettare la validità della spiegazione. L’efficacia esplicativa non implica ontologia.
Il problema centrale si sposta allora sulla definizione della “migliore spiegazione”. Se si assume che la potenza matematica sia un criterio decisivo, si introduce un pregiudizio contro il nominalismo. L’uso di criteri che favoriscono sistematicamente spiegazioni matematiche non può essere considerato neutro. La scelta della spiegazione migliore, quindi, non può essere determinata solo dalla sua capacità formale o computazionale, ma deve tener conto della struttura ontologica presupposta.
Importante da aggiungere è il fatto che l’intero impianto argomentativo poggia su assunzioni metodologiche che non sono condivise da tutte le scuole filosofiche. L’adozione di una logica del secondo ordine, la legittimità di traduzioni inter-teoriche, e la scelta dei criteri di superiorità esplicativa sono tutti elementi che non godono di un consenso unanime. Inoltre, la questione della spiegazione migliore non può essere disgiunta da quella della comprensibilità e della coerenza epistemica all’interno del quadro teorico scelto. Infine, anche se una spiegazione nominalista può risultare formalmente equivalente a una spiegazione platonista, resta aperta la questione se entrambe abbiano lo stesso potere predittivo, capacità di unificazione e coerenza con il resto delle teorie scientifiche.
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